Storie originali > Drammatico
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Autore: LizTheStrange    03/01/2013    0 recensioni
Penelope e Oliver sono due fratelli, cresciuti in orfanotrofio. Oliver parte, costretto dalla fame e dalla voglia di poter avere una casa in cui sentirsi al sicuro, e fa una promessa alla piccola e dolce sorellina: tornerà presto e poi non se ne andrà mai più. Gli anni però passano e Penelope cresce, diventando una giovane e intelligente donna. Con lei cresce anche la sua paura di non rivedere più il fratello, lontano ormai da un tempo troppo lungo; finchè un giorno Oliver non torna, convinto di aver trovato la fortuna. Eppure, dopo poco tempo, Penelope comprende che in realtà Oliver non ha mantenuto la sua promessa...
In questo racconto le vite speciali di due fratelli che, nonostante tutto, si sono sempre voluti bene.
[One-shot|Song-fic|Piccole somiglianze con Lorax: il guardiano della foresta]
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Step one you say we need to talk 
He walks, you say sit down it's just a talk
He smiles politely back at you 
You stare politely right on through 
Some sort of window to your right 
As he goes left and you stay right 
Between the lines of fear and blame 
You begin to wonder why you came 
La bambina gongolò agitando le braccia come una bambola di pezza. I capelli neri si agitarono sul cappuccio della felpa color fragola. < Me lo prometti? > La tenera voce che si nascondeva tra i lineamenti così delicati e infantili del suo viso appariva ogni istante di più agli occhi del fratello che stava per partire una cosa che gli sarebbe mancata tanto e che non avrebbe mai voluto lasciare. < Allora, me lo prometti? >
Il ragazzo non si trattenne dal carezzarle il viso e lasciò che la sua mano seguisse delicata le gote rosate della sorella. Gli angoli della bocca di lei ampliarono il sorriso alla risposta. < Sì, te lo prometto. >
< Non basta. Dobbiamo stringerci la mano, come fanno i grandi. > Penelope gli mostrò il palmo della mano mancina, quella che usava per scrivere e disegnare e che la differenziava un poco dagli altri. Oliver scoppiò a ridere. < D'accordo, se ci tieni tanto.> corresse la sua stretta di mano per non farle del male, sigillarono il patto e la promessa e questo per la piccola non era poco. < Ma devi tornare presto, eh. Ti aspetto. > promise la bambina, e per quanto cercasse di sembrare seria, ad Oliver pareva solo più buffa. < Va bene - rispose allora lui chiedendosi se quella promessa sarebbe mai potuta essere mantenuta - farò in un lampo e prima ancora che tu possa dire ciambella io sarò già qui, e non me ne andrò più via. > 
Penelope ridacchiò al nominare della ciambella, ma l'istante dopo si ammutolì come se nemmeno avesse parlato, lasciando che il silenzio risucchiasse la risata e se la portasse via per sempre. < Ciambella. > 
Where did I go wrong?, I lost a friend 
Somewhere along in the bitterness 
And I would have stayed up with you all night 
Had I known how to save a life 
Oliver attraversò mari e monti, accompagnato solo dalla sua chitarra di legno e da una piccola scintilla di speranza che a lungo andare era destinata a spegnersi. Viaggiò per boschi, spiagge e giardini, incontrando persone e conoscendo luoghi; insieme alla sua solitudine, in cerca di qualcosa che si avvicinasse il più possibile alla fortuna, o ad un lavoro, o a qualcosa che lasciasse prendere una svolta alla sua vita. Gli piaceva viaggiare, suo padre una volta gli aveva detto che per conoscere la vita era necessario prima conoscere un poco del mondo, conoscere ciò che possiamo. Apprezzava quando la gente si fermava e gli faceva i complimenti per la sua voce e per le sue canzoni, che canzoni non erano ma ci assomigliavano. Apprezzava quando entrava in un nuovo paese e giorno dopo giorno cominciava a conoscere le tradizioni del luogo e la cultura che lo rappresentava. Ma tutte le volte che si diceva 'ehi, ce l'ho quasi fatta. Me lo sento, ho trovato la fortuna' qualcosa andava storto e gli faceva rifare tutto daccapo. E così Oliver voltava una pagina di lettere ammassate l'una sull'altra come un vortice di inchiostro e ne prendeva un'altra, bianca e pulita, per ricominciare. 
Penelope era mantenuta e cresciuta dalle tate, e anch'esse, un giorno o l'altro, sarebbero dovute andare via e lei sarebbe rimasta sola, come suo fratello, entrambi in cerca di un pezzo di pane e di un luogo per dormire. Imparava l'alfabeto e le tabelline e tutti i pomeriggi faceva un giro in biblioteca per leggere e trovare nei libri quelle stesse lettere e quegli stessi numeri che aveva imparato; e impararne ancora. C'era una tata, però, quella bionda che parlava sempre un'altra lingua, a cui non piacevano i libri; eppure costringevano lei e Penelope a sopportarsi a vicenda quasi tutti i pomeriggi. La donna non voleva che leggesse, gesticolava e farneticava sul fatto che avrebbe dovuto imparare a cucire e a cucinare, non a leggere. E allora Penelope gridava e piangeva, perchè voleva conoscere tutto del mondo; così la donna la portava in una stanza vuota e buia e lì la lasciava per tutta la notte, privandola della cena. Penelope si affacciava dall'unica finestra che c'era e guardava la luna - aveva letto che si chiamava proprio così, luna. Era una bambina intelligente, lo dicevano tutti, eppure nessuno mai aveva deciso di adottare lei e suo fratello. Penelope cresceva e cominciava a pensare se lo avrebbero fatto mai.
Let him know that you know best 
Cause after all you do know best 
Try to slip past his defense 
Without granting innocence 
Lay down a list of what is wrong 
The things you've told him all along 
And pray to God he hears you 
And pray to God he hears you 
Era appena passato un inverno lungo e gelido, e il tempo aveva deciso di lasciare che la neve si sciogliesse e che le persone cominciassero a sentire il profumo dei fiori che presto ci sarebbero cresciuti attraverso. Le giornate erano un poco più calde, come gli animi della gente; e più giocose, più allegre, come il cielo che a poco a poco stava diventando sempre più azzurro. Oliver e Penelope si chiedevano se si sarebbero rivisti ancora, e si preoccupavano l'uno per l'altro, domandandosi se stavano bene, dovunque fossero in quel momento. Erano passati tre anni. Penelope aveva cominciato le elementari. Aveva conosciuto altre bambine, e si era fatta delle amiche. Aveva otto anni e cominciava a comprendere come l'orologio della vita rintoccava, come la ruota girava, giorno dopo giorno, lentamente, un ciclo continuo incapace di fermarsi. Anche Oliver era cresciuto, ma non la sua speranza. La sua anima era stata ghiacciata dall'inverno e così anche la voglia di ritentare e di voltare pagina, un'altra volta ancora. Si diceva 'ormai il libro di pagine bianche è finito. Solo pagine sporche, lette e rilette come se non esistesse nient'altro al di fuori di esse'. E fu quando tutto gli andò storto che si accorse dove aveva sbagliato. Un malintenzionato gli rubò la chitarra, la signora che lo aveva accolto per ben due settimane lo cacciò di casa accusandolo di averle ucciso il cane, le poche provviste che gli erano rimaste dall'inverno scarseggiarono e si ritrovò a patire la fame. Fu quando cominciò a pensare che il mondo in realtà faceva schifo, che sarebbe sempre voluto rimanere all'orfanotrofio e che suo padre gli aveva raccontato troppe, troppe menzogne che si rese conto che stava semplicemente rigirando il cucchiaio nella stessa tazzina. E che il mondo ancora lo doveva scoprire.
Where did I go wrong?, I lost a friend 
Somewhere along in the bitterness 
And I would have stayed up with you all night 
Had I known how to save a life 
Era un posto meraviglioso. Si era messo a camminare a lungo per trovarlo, ma ne era sicuro, esisteva. Lo aveva immaginato quella notte che aveva passato al freddo, sotto la pioggia, coperto solo dal proprio cappotto, con lo stomaco mai sazio. E allora si era deciso a mettersi in cammino ancora una volta, questa volta davvero, senza fermarsi e con una meta precisa, anche se non sapeva ancora dove essa fosse. Camminando lentamente lo aveva trovato, quasi per sbaglio. E ora lo osservava come si osserva un bambino nascere o un fiore sbocciare. Il cielo non era mai stato così azzurro, o almeno Oliver non ricordava di averlo mai visto così radioso e incoraggiante. Il sentiero si snodava per il paese deserto come un serpente dall'animo buono e i colori vivaci. Era bello trovarsi lì, era bello davvero. Tutto ciò che osservava gli donava allegria, e perchè no, anche un poco di speranza e di coraggio. Gli alberi e l'erba formavano un tutt'uno con gli animali e il senso di pace che trasmettevano. Non vi era nessuno, ma trovò una casetta piena di attrezzi per il cucito - e roba da mangiare - e si mise subito al lavoro per imparare. Cominciò immediatamente a esplorare il posto. Ci vollero mesi prima che riuscisse a creare ciò che aveva in mente ma alla fine fu quasi soddisfatto del risultato. Aveva sacrificato una pecora, o almeno la sua folta chioma morbida, per fabbricarli. I guanti erano bellissimi: bianchi, morbidi e di lana vera. Ne avrebbe fatti ancora, e ancora, e alla fine sarebbe tornato in città per guadagnare i soldi che spettavano a lui e a sua sorella. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, Oliver ci sarebbe riuscito. 
Penelope aspettava, e aspettava ancora. Eppure suo fratello non arrivava. Il tempo passava, lei cresceva e le tate la assistevano sempre meno. Persino la signorina bionda Durher - era tedesca, lo aveva capito quando a scuola parlarono della prima guerra mondiale - non le badava più. Presto l'avrebbero cacciata dall'orfanotrofio, se lo sentiva, e non sapeva se ce l'avrebbe fatta là fuori. Oliver sì, lui sì che ce l'avrebbe fatta, continuava a ripetersi. Ma il tempo passava in fretta, i giorni, i mesi, gli anni si susseguivano come secondi rintoccati dall'orologio a cucù della sala da pranzo. Era troppo veloce, il tempo. Non gli piaceva essere battuto, e Penelope lo sapeva bene.
Aveva dieci anni quando Oliver tornò. Era adulto, ormai, ma Penelope lo riconobbe appena lo intravide tra la folla del mercato del martedì. Lui l'aveva abbracciata così forte da toglierle il fiato, le aveva detto 'ho un regalo per te' e le aveva infilato i soffici guanti caldi. Penelope gli aveva chiesto se li avrebbe venduti e Oliver le aveva risposto 'certo, tantissimi. Saremo ricchi.' Ma quando andarono in città per venderli, tutto si susseguì velocemente sotto gli occhi della bambina in un uragano troppo violento di emozioni e fatti, estranei alla sua realtà quotidiana. Oliver ne aveva creati tantissimi, di guanti, infinite scorte e Penelope si cominciò a chiedere dove avesse trovato tutta quella lana. Non fece in tempo a pensarlo che Oliver divenne davvero ricco, i suoi guanti erano i più venduti della città e chi non ne aveva era considerato qualcuno da isolare e dimenticare. Penelope non voleva questo. E, ne era sicura, nemmeno Oliver lo voleva. Eppure la fama era brutta, e sapeva toccare punti dell'anima che non si credeva nemmeno di possedere. Come l'avarizia. Oliver diventò avaro, ed egoista. Così Penelope scappò, lontano da lui e da i suoi soldi. Perchè quello non era suo fratello. La ricchezza lo aveva trasformato in un mostro.
As he begins to raise his voice 
You lower yours and grant him one last choice 
Drive until you lose the road 
Or break with the ones you've followed 
He will do one of two things 
He will admit to everything 
Or he'll say he's just not the same 
And you'll begin to wonder why you came 
Non sapeva nemmeno lei perchè lo aveva fatto, era certa che non sarebbe riuscita a sopravvivere da sola. Eppure quando si rifugiò in un vicolo cieco, lontana da tutto e al sicuro, cominciò a piangere non per ciò che aveva fatto ma per ciò che sarebbe successo. Che ne era stato di suo fratello? Non si sarebbe nemmeno accorto della sua assenza, o se l'avesse fatto, non gliene sarebbe importato. I singhiozzi non si calmarono al pensiero che ora non l'avrebbe più rivisto, che ora era al sicuro. E ora?, lei che avrebbe fatto? Si sarebbe raggomitolata su sé stessa in eterno, finchè non sarebbe gelata lì e qualcuno l'avrebbe trovata con ancora le lacrime fresche sul volto? No, non avrebbe più pianto. Ma ogni volta si dicesse 'sarò forte', le lacrime le offuscavano la vista e il respiro le veniva meno, finchè non si addormentò, la gola secca e la testa piena di pensieri che non se ne sarebbero mai andati. Il giorno dopo Penelope si svegliò che era già pomeriggio. Qualcuno le stava pizzicando delicatamente i capelli, come chiedendosi se ciò che stava toccando era vero o no. La bambina si ritrasse, sul punto di gridare. < Calmati - disse il ragazzino con un sorriso ingenuo - non voglio farti male. Cosa ci fai qui? >. Penelope lo osservò in silenzio per diversi istanti. < Chi sei? > Si sorprese della vivacità con cui lo disse. Il ragazzino, più o meno dodici anni, si passò una mano tra i capelli biondi e li spettinò fugacemente, mentre osservava la parete di muro alle spalle della bambina. < Solo qualcuno che va in giro in cerca di francobolli usati e pastelli per disegnare sulle mura del municipio... non è che per caso ne hai uno? >; < Di cosa? >. Lui rise come se Penelope avesse sparato una battuta irresistibilmente divertente. < Sai che ti dico? Che mi sei simpatica. - le porse una mano in un gesto galante. - Alzati, su. Andiamo a fare un giro. >. Penelope osservò il palmo pallido della mano dello sconosciuto come se avesse paura che potesse aggredirla. Per un istante, uno solo, però le venne voglia di stringerlo forte e aggrapparsi ad esso. < Un giro? Io... non posso. > Fece per alzarsi e sentì le gambe e la schiena di una pesantezza unica. Il fresco delle giornate di marzo si faceva sentire durante la notte. < Avanti. - il ragazzino sorrise candidamente, come a dirle 'andrà tutto bene' e non qualcosa di minaccioso. Penelope pensò che i suoi occhi azzurri erano molto belli e non tradivano nessuna emozione. Eppure, titubante, indietreggiò per andarsene. - Sarà divertente. Mi chiamo Kentin. Ma chiamami Ken. >; < Davvero... devo andare. >; < Ti ho visto piangere ieri sera. Qualunque cosa sia, va dimenticata. Il mondo è pieno di cose nuove da scoprire e conoscere. Dimentica il passato. Come ho fatto io. > continuava a sorridere, quel sorriso innocente e puro, e le offrì nuovamente la mano. Penelope non capiva veramente cosa significasse quel 'dimentica il passato', ma comprese che doveva essere stato proprio il passato la causa del 'come ho fatto io'. Ken aveva sofferto, forse anche lui era stato abbandonato dalla sua famiglia, o forse qualcos'altro. Pensò che le mancanze un po' si assomigliano tutte. Guardò il nuovo amico negli occhi e gli strinse la mano.
< Da dove vieni? > le chiese Ken sottintendendo la domanda 'cosa ti è successo per scappare?'. Stavano camminando lentamente per la piazza, verso una meta che a Penelope era sconosciuta. < Dall'orfanotrofio Della Rosa Rossa. - aveva sentito che una volta la signorina Durher lo aveva chiamato così e automaticamente il suo cervello aveva memorizzato l'immagine di una rosa, rossa perchè macchiata di qualcosa di rosso e colante da un petalo. Decise di raccontare tutto, perchè non sarebbe riuscita a tenere quel 'segreto' per sè per troppo tempo. - Hai mai visto qualcuno che vendeva guanti bianchi qui in città? >; < No. Avrei dovuto? > per un istante Penelope si chiese quanto avesse corso la sera precedente da allontanarsi completamente dalla propria realtà. < No. E' solo che mio fratello ora li fa vendere dappertutto. Si chiama Oliver e io gli volevo bene. Però i soldi lo hanno trasformato completamente... hai presente quando qualcuno ti dice 'non ti riconosce nemmeno tua madre'? E' diventato un po' così... irriconoscibile. Cattivo e irriconoscibile. > fu contenta di aver avuto l'occasione di dimostrare la propria cultura con parole come irriconoscibile, ma appena pronunciò la parola cattivo le venne un dolore intenso alla gola, come se essa non volesse più sentire parole del genere. Aveva appena insultato suo fratello. Gli voleva ancora bene? Ken era rimasto in silenzio e annuiva leggermente con il capo. < Capisco. Anche la mia famiglia mi ha tradito. Sono scappati lasciandomi da solo in casa con dei ladri. E' già tanto che sia ancora vivo, questo lo so. Ma se avessero aspettato almeno qualche istante io avrei spento la televisione e sarei sceso in punta di piedi dalle scale... > nella sua voce correva rapido il ricordo e parallelo il dolore che doveva aver provato da piccolo. < Fidati, forse è meglio che ti abbiano abbandonato. Preferiresti stare con una famiglia che non ti vuole? > Ken fece per pensarci su, poi voltò la testa verso di lei. < Sei in gamba. Non ci avevo mai pensato. - si fermò davanti ad un tendone del circo. - Entriamo. >. Dentro era tutto buio e gigantesco. Penelope strinse la mano di Ken per non perdersi nel buio finchè non sentì le dita che le facevano male e allentò la presa. All'improvviso le luci si accesero e i due ragazzini si ritrovarono al centro di un piccolo stadio circolare. Ken notò la sua disorientazione e le disse che non c'era da preoccuparsi, che erano a casa. Penelope si guardò attorno: era quella la sua casa? Presto fece conoscenza con gli altri membri della 'famiglia' di Ken: i giocolieri, gli equilibristi, le ballerine, gli elefanti, le scimmiette, il mangiafuoco e persino due gnometti sloveni dall'aria buffa e simpatica. Dissero che lei poteva rimanere lì finchè voleva e che doveva sentirsi a casa, perchè loro erano una grande famiglia di persone che una vera famiglia non avevano.  Penelope decise di restare, e per diversi giorni fu sfamata e aiutata da ballerine e giocolieri, e fece anche amicizia con uno dei leoni. Scoprì che i mangiafuoco la affascinavano tanto e che Ken aveva un talento innato per l'addestramento delle foche. Trascorse una settimana imparando tanto dal circo e dalle persone che le stavano accanto. Poi un giorno Ken le chiese di accompagnarlo a fare una passeggiata e lei accettò. La portò oltre il Ponte di Ghiaccio e le cascate, attraverso il bosco e infine nella valle delle pecore. Lì si fermarono a mangiare, ma Ken non sembrava per niente tranquillo. Si guardava attorno come in cerca di qualcosa misteriosamente sparito. Penelope si chiese come mai la valle delle pecore si chiamasse così se di pecore non vi era l'ombra.
Camminarono ancora fino alle montagne, finchè non giunsero a valle. Ken le aveva parlato per tutto il viaggio di un luogo meraviglioso dove la pace guidava le correnti d'acqua e le brezze del vento e dove tutti gli animali vivevano in libertà senza recinzioni nè guardiani. Quando percorsero l'ultimo sentiero prima di quel luogo straordinario si cominciò a sentire subito un'aria tutt'altro che allegra e pacifica. Scoprirono che di quel posto non vi era rimasto più nulla. Nulla. Solo terra bruciata e tronchi di alberi spezzati. Nient'altro. Niente animali, niente piante, niente fiori, niente cielo azzurro. Fu terribile. Ken impazzì, e solo quando si calmò spiegò a Penelope che tutto ciò era opera dell'essere umano. I pezzi combaciarono solo quando Ken le disse che la prima cosa che quella persona crudele aveva fatto fuori era stata la lana.
Quella notte, acucciata nel suo sacco a pelo, Penelope non riuscì a dormire. Si girò e rigirò, finchè non si alzò e andò fuori dal tendone. L'aria fredda della sera le suggerì che c'era un'unica cosa da fare rimasta. E così la ragazzina la fece. Tornò indietro per tutto il tragitto che aveva percorso quella sera piangendo, cercando di ricordare gli arbusti dei sentieri e le palazzine dei villaggi. Si perse diverse volte e per un giorno intero non mangiò, ma giunse al suo vecchio orfanotrofio all'alba del giorno seguente. Distrutta, affamata e infreddolita, ma ce l'aveva fatta. Si sforzò di fare gli ultimi passi verso la nuova casa di Oliver - che aveva acquistato appena ne aveva avuto il denaro - e bussò alla porta. Si ritrovò suo fratello di fronte, in tutta la sua altezza e robustezza. Non aveva paura. Non poteva farle niente di peggio di ciò che le aveva già fatto. Lo guardò con sguardo severo mentre lui cercava di capire se era davvero sua sorella quella che aveva davanti. Indossava vestiti da cerimonia bianchi, i suoi guanti e un mantello nero, con tanto di cappotto e cappello. Non sembrava più nemmeno lui. < P... Penelope? >
< Non mi hai nemmeno cercata, non è così? >
< Io... cosa? Non dire sciocchezze! >
< Io lo so. Non mi hai nemmeno cercata. Non vedevi l'ora che mi togliessi di mezzo. >
< Come puoi solo pensarlo?! >
< Non lo penso, ne sono certa. E poi... e poi hai distrutto un'intera valle di pace! Hai bruciato tutto! Hai lasciato che tutto accadesse! >
< Penelope, io non so di cosa diavolo tu stia parlando. > il tono di voce di Oliver si fece più duro. Penelope lo stava accusando. E le accuse gli facevano male. < Tu non mi vuoi davvero bene. - Penelope avrebbe tanto voluto piangere, ma non voleva mostrarsi più debole di quanto già non fosse. - Mi hai abbandonata. Non sei più tornato tu. Cinque anni, solo cinque anni e sei cambiato così tanto. Non credevo che potessi riuscirci... non tu. Tu sei sempre stato buono. >
< Ma io sono buono! - gridò il fratello stringendo i pugni. Perchè gli stava dando del cattivo? Lui stava facendo tutto questo anche per lei. - Ti ricordo che senza di me saresti ancora all'orfanotrofio! >
< Allora io preferirei stare all'orfanotrofio con la signorina Durher - Penelope non riuscì più a trattenere le lacrime che le punzecchiavano i lati degli occhi e le affievolivano la voce, rendendola ancora più vulnerabile e insicura. Guardò Oliver negli occhi, negli stessi occhi che pochi anni prima le avevano promesso che sarebbero tornati, e non se ne sarebbero andati mai più. Invece quegli occhi non erano tornati. Penelope si domandò se lo avrebbero fatto mai. - piuttosto che con te! >. Oliver sentì lo stomaco accartocciarsi come un foglio di carta e le gambe perdere la forza di tenerlo in piedi. Cercò di mantenere un'espressione dura in volto per non mostrarle la propria debolezza in quel momento. Tutto ciò lo stava facendo impazzire, gli girava vorticosamente la testa e se non si fosse seduto immediatamente avrebbe probabilmente perso i sensi. Tuttavia la sua instabilità si manifestò attraverso la rabbia. Se n'era accorto anche lui, negli ultimi giorni non faceva che cambiare umore da un momento all'altro e ciò non gli piaceva perchè la rabbia prendeva quasi sempre il sopravvento. E la rabbia era cattiva, voleva comandare e chiunque si fosse opposto avrebbe perso di fronte alla sua potenza. Penelope approfittò del suo silenzio per acquisire coraggio. < Avevamo fatto un patto! Ti ricordi almeno di questo? O la tua parte malvagia ha risucchiato via tutto dalla tua memoria? >. La rabbia in quel momento volle fare irruzione nuovamente nelle emozioni di Oliver, come se non le avesse già rovinate a sufficienza. Comandò le sue mani come fosse un burattino e le guidò fino al viso della sorella, che pochi anni prima avevano accarezzato dolcemente. Lo costrinse a darle uno schiaffo, con una forza che solo la rabbia sapeva donare. La potenza fece cadere a terra la bambina, che alzò il capo toccandosi la guancia pallida e bagnata di lacrime. Oliver non fece in tempo a realizzare ciò che aveva appena fatto che Penelope si alzò e, spaventata da ciò che era successo, corse via. Ciò che lo colpì fu il respiro irregolare e inquietante della bambina. Il petto stretto che si alzava e si abbassava in un misto di dolore e paura. Aveva paura di lui. Oliver abbassò lo sguardo e si guardò le mani, ricoperte dai guanti bianchi che in città erano considerati oggetto sacro. La vista di quei guanti era così insopportabile che gli venne la nausea. Li sfilò dalle dita, entrò in casa e li gettò sul fuoco del caminetto. Li guardò ardere mentre si prendeva la testa fra le mani e si domandava perchè l'aveva fatto.
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Penelope non si allontanò. Dopo aver svoltato la via aspettò qualche istante, si calmò e si convinse a tornare indietro. I suoi occhi castani fecero il giro della piazza e incrociarono la figura del fratello che rincasava, come se niente fosse successo. Egli non chiuse nemmeno la porta, lasciò che uno spiraglio di luce rimanesse vivo e permettesse alla bambina di osservare qualcosa di candido ardere nelle fiamme del fuoco e consumarsi lentamente. Per minuti interi le sue emozioni non riuscirono a farle formulare un pensiero completo, a farle realizzare ciò che era successo. O forse era proprio la mente di Penelope che non voleva saperlo, che lo impediva. Si accontentava di osservare in quel passivo silenzio la piazza e la porta che conduceva a quel regno di ricchezza che sarebbe dovuto essere la sua casa.
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Penelope si sfilò il cappotto e lo poggiò sulla credenza all'ingresso, proprio accanto alla mensola con le foto di famiglia, foto scattate per il piacere di immortalare la loro meravigliosa famiglia e la sintonia che circolava come brezza nei loro animi. Come tutte le volte che rincasava dal lavoro, osservò quelle foto e vi sorrise, perchè le regalavano la forza di andare avanti. < Tesoro, - gridò alla stanza accanto. - sono a casa >. Dalla cucina si udì una voce maschile coperta dai gridolini di due bambini. Penelope aprì la porta del salotto e salutò i due figlioli: la bambina con i capelli neri e gli occhi azzurri e il biondino dagli occhi castani. < Dov'è papà? > chiese loro dolcemente. La bimba chiuse il libro che stava leggendo e le indicò la cucina con un movimento della mano. Il fratellino invece non si degnò nemmeno di osservarla, ma a Penelope andava bene lo stesso perchè sapeva che era concentrato nel suo disegno. In cucina il marito le sorrise. < Siamo occupati tutti, vedo. > disse scherzosamente Penelope dando un bacio a Ken. Lui ridacchiò e sollevò il coperchio dalla pentola sul fuoco. Una nuvola di vapore lo avvisò che era pronto. < Com'è andata al lavoro? > le chiese. < Niente di nuovo. Però una cliente, una ragazza, mi ha domandato una cosa piuttosto insolita. >. Ken corrugò le sopracciglia bionde e attese che proseguisse. < Cosa? > domandò, riempiendo i piatti del pranzo. Penelope distolse lo sguardo e lo perse fuori dalla finestra, dove la neve stava cominciando a scendere e a posarsi sui rami degli alberi di quel paradiso terrestre. Ricordava quando Ken glielo aveva presentato, a quei tempi altro non era che una nuvola di fumo e di sofferenza, per le piante e gli animali che si erano allontanati per cercare da mangiare. Ma con il passare del tempo, grazie alle loro cure, era tornato rigoglioso e splendido come Ken lo ricordava. Vivere in quel posto era la miglior cosa che le potesse capitare. < So che sembra stupido, ma mi sono stupita che mi abbia chiesto come mai uno dei miei dipinti ritraeva una colomba tra le fiamme e un altro una colomba che si librava nell'aria. Di solito i clienti non fanno osservazioni sui miei soggetti >. Rimasero in silenzio mentre il marito cominciava ad apparecchiare la tavola. < Le hai risposto? >; < No. In realtà, non ricordo nemmeno quando questa visione si fece strada nella mia mente. Dovevo essere molto piccola e spaventata. >. In quell'istante qualcosa nella sua memoria si fece vivo come un fulmine a ciel sereno e Penelope si disse che se suo fratello non se ne fosse andato, avrebbe tanto voluto che fosse lì con lei a osservare che in realtà non aveva rovinato tutto e che lei gli voleva ancora bene. 
How to save a life
Avvertenza: questa storia ha tratto ispirazione dal film Lorax: il guardiano della foresta. Grazie per la lettura anche se non credo che nessuno abbia il tempo - e la voglia - di arrivare fino in fondo al racconto. Ma grazie lo stesso per aver aperto la pagina. La canzone è How to Save a Life dei The Fray.

A mio nonno. Se solo avessi saputo come salvare una vita.

 

Micro-Cortometraggio            Nuovo Makeup

 

         How to save a Life

 

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La bambina gongolò agitando le braccia come una bambola di pezza. I capelli neri si agitarono sul cappuccio della felpa color fragola. < Me lo prometti? > La tenera voce che si nascondeva tra i lineamenti così delicati e infantili del suo viso appariva ogni istante di più agli occhi del fratello che stava per partire una cosa che gli sarebbe mancata tanto e che non avrebbe mai voluto lasciare. < Allora, me lo prometti? >

Il ragazzo non si trattenne dal carezzarle il viso e lasciò che la sua mano seguisse delicata le gote rosate della sorella. Gli angoli della bocca di lei ampliarono il sorriso alla risposta. < Sì, te lo prometto. >

< Non basta. Dobbiamo stringerci la mano, come fanno i grandi. > Penelope gli mostrò il palmo della mano mancina, quella che usava per scrivere e disegnare e che la differenziava un poco dagli altri. Oliver scoppiò a ridere. < D'accordo, se ci tieni tanto.> corresse la sua stretta di mano per non farle del male, sigillarono il patto e la promessa e questo per la piccola non era poco. < Ma devi tornare presto, eh. Ti aspetto. > promise la bambina, e per quanto cercasse di sembrare seria, ad Oliver pareva solo più buffa. < Va bene - rispose allora lui chiedendosi se quella promessa sarebbe mai potuta essere mantenuta - farò in un lampo e prima ancora che tu possa dire ciambella io sarò già qui, e non me ne andrò più via.> 

Penelope ridacchiò al nominare della ciambella, ma l'istante dopo si ammutolì come se nemmeno avesse parlato, lasciando che il silenzio risucchiasse la risata e se la portasse via per sempre. < Ciambella. > 

Where did I go wrong?, I lost a friend 

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Had I known how to save a life 

Oliver attraversò mari e monti, accompagnato solo dalla sua chitarra di legno e da una piccola scintilla di speranza che a lungo andare era destinata a spegnersi. Viaggiò per boschi, spiagge e giardini, incontrando persone e conoscendo luoghi; insieme alla sua solitudine, in cerca di qualcosa che si avvicinasse il più possibile alla fortuna, o ad un lavoro, o a qualcosa che lasciasse prendere una svolta alla sua vita. Gli piaceva viaggiare, suo padre una volta gli aveva detto che per conoscere la vita era necessario prima conoscere un poco del mondo, conoscere ciò che possiamo. Apprezzava quando la gente si fermava e gli faceva i complimenti per la sua voce e per le sue canzoni, che canzoni non erano ma ci assomigliavano. Apprezzava quando entrava in un nuovo paese e giorno dopo giorno cominciava a conoscere le tradizioni del luogo e la cultura che lo rappresentava. Ma tutte le volte che si diceva 'ehi, ce l'ho quasi fatta. Me lo sento, ho trovato la fortuna' qualcosa andava storto e gli faceva rifare tutto daccapo. E così Oliver voltava una pagina di lettere ammassate l'una sull'altra come un vortice di inchiostro e ne prendeva un'altra, bianca e pulita, per ricominciare. 

Penelope era mantenuta e cresciuta dalle tate, e anch'esse, un giorno o l'altro, sarebbero dovute andare via e lei sarebbe rimasta sola, come suo fratello, entrambi in cerca di un pezzo di pane e di un luogo per dormire. Imparava l'alfabeto e le tabelline e tutti i pomeriggi faceva un giro in biblioteca per leggere e trovare nei libri quelle stesse lettere e quegli stessi numeri che aveva imparato; e impararne ancora. C'era una tata, però, quella bionda che parlava sempre un'altra lingua, a cui non piacevano i libri; eppure costringevano lei e Penelope a sopportarsi a vicenda quasi tutti i pomeriggi. La donna non voleva che leggesse, gesticolava e farneticava sul fatto che avrebbe dovuto imparare a cucire e a cucinare, non a leggere. E allora Penelope gridava e piangeva, perchè voleva conoscere tutto del mondo; così la donna la portava in una stanza vuota e buia e lì la lasciava per tutta la notte, privandola della cena. Penelope si affacciava dall'unica finestra che c'era e guardava la luna - aveva letto che si chiamava proprio così, luna. Era una bambina intelligente, lo dicevano tutti, eppure nessuno mai aveva deciso di adottare lei e suo fratello. Penelope cresceva e cominciava a pensare se lo avrebbero fatto mai.

Let him know that you know best 

Cause after all you do know best 

Try to slip past his defense 

Without granting innocence 

Lay down a list of what is wrong 

The things you've told him all along 

And pray to God he hears you 

And pray to God he hears you 

Era appena passato un inverno lungo e gelido, e il tempo aveva deciso di lasciare che la neve si sciogliesse e che le persone cominciassero a sentire il profumo dei fiori che presto ci sarebbero cresciuti attraverso. Le giornate erano un poco più calde, come gli animi della gente; e più giocose, più allegre, come il cielo che a poco a poco stava diventando sempre più azzurro. Oliver e Penelope si chiedevano se si sarebbero rivisti ancora, e si preoccupavano l'uno per l'altro, domandandosi se stavano bene, dovunque fossero in quel momento. Erano passati tre anni. Penelope aveva cominciato le elementari. Aveva conosciuto altre bambine, e si era fatta delle amiche. Aveva otto anni e cominciava a comprendere come l'orologio della vita rintoccava, come la ruota girava, giorno dopo giorno, lentamente, un ciclo continuo incapace di fermarsi. Anche Oliver era cresciuto, ma non la sua speranza. La sua anima era stata ghiacciata dall'inverno e così anche la voglia di ritentare e di voltare pagina, un'altra volta ancora. Si diceva 'ormai il libro di pagine bianche è finito. Solo pagine sporche, lette e rilette come se non esistesse nient'altro al di fuori di esse'. E fu quando tutto gli andò storto che si accorse dove aveva sbagliato. Un malintenzionato gli rubò la chitarra, la signora che lo aveva accolto per ben due settimane lo cacciò di casa accusandolo di averle ucciso il cane, le poche provviste che gli erano rimaste dall'inverno scarseggiarono e si ritrovò a patire la fame. Fu quando cominciò a pensare che il mondo in realtà faceva schifo, che sarebbe sempre voluto rimanere all'orfanotrofio e che suo padre gli aveva raccontato troppe, troppe menzogne che si rese conto che stava semplicemente rigirando il cucchiaio nella stessa tazzina. E che il mondo ancora lo doveva scoprire.

Where did I go wrong?, I lost a friend 

Somewhere along in the bitterness 

And I would have stayed up with you all night 

Had I known how to save a life 

Era un posto meraviglioso. Si era messo a camminare a lungo per trovarlo, ma ne era sicuro, esisteva. Lo aveva immaginato quella notte che aveva passato al freddo, sotto la pioggia, coperto solo dal proprio cappotto, con lo stomaco mai sazio. E allora si era deciso a mettersi in cammino ancora una volta, questa volta davvero, senza fermarsi e con una meta precisa, anche se non sapeva ancora dove essa fosse. Camminando lentamente lo aveva trovato, quasi per sbaglio. E ora lo osservava come si osserva un bambino nascere o un fiore sbocciare. Il cielo non era mai stato così azzurro, o almeno Oliver non ricordava di averlo mai visto così radioso e incoraggiante. Il sentiero si snodava per il paese deserto come un serpente dall'animo buono e i colori vivaci. Era bello trovarsi lì, era bello davvero. Tutto ciò che osservava gli donava allegria, e perchè no, anche un poco di speranza e di coraggio. Gli alberi e l'erba formavano un tutt'uno con gli animali e il senso di pace che trasmettevano. Non vi era nessuno, ma trovò una casetta piena di attrezzi per il cucito - e roba da mangiare - e si mise subito al lavoro per imparare. Cominciò immediatamente a esplorare il posto. Ci vollero mesi prima che riuscisse a creare ciò che aveva in mente ma alla fine fu quasi soddisfatto del risultato. Aveva sacrificato una pecora, o almeno la sua folta chioma morbida, per fabbricarli. I guanti erano bellissimi: bianchi, morbidi e di lana vera. Ne avrebbe fatti ancora, e ancora, e alla fine sarebbe tornato in città per guadagnare i soldi che spettavano a lui e a sua sorella. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, Oliver ci sarebbe riuscito. 

Penelope aspettava, e aspettava ancora. Eppure suo fratello non arrivava. Il tempo passava, lei cresceva e le tate la assistevano sempre meno. Persino la signorina bionda Durher - era tedesca, lo aveva capito quando a scuola parlarono della prima guerra mondiale - non le badava più. Presto l'avrebbero cacciata dall'orfanotrofio, se lo sentiva, e non sapeva se ce l'avrebbe fatta là fuori. Oliver sì, lui sì che ce l'avrebbe fatta, continuava a ripetersi. Ma il tempo passava in fretta, i giorni, i mesi, gli anni si susseguivano come secondi rintoccati dall'orologio a cucù della sala da pranzo. Era troppo veloce, il tempo. Non gli piaceva essere battuto, e Penelope lo sapeva bene.

Aveva dieci anni quando Oliver tornò. Era adulto, ormai, ma Penelope lo riconobbe appena lo intravide tra la folla del mercato del martedì. Lui l'aveva abbracciata così forte da toglierle il fiato, le aveva detto 'ho un regalo per te' e le aveva infilato i soffici guanti caldi. Penelope gli aveva chiesto se li avrebbe venduti e Oliver le aveva risposto 'certo, tantissimi. Saremo ricchi.' Ma quando andarono in città per venderli, tutto si susseguì velocemente sotto gli occhi della bambina in un uragano troppo violento di emozioni e fatti, estranei alla sua realtà quotidiana. Oliver ne aveva creati tantissimi, di guanti, infinite scorte e Penelope si cominciò a chiedere dove avesse trovato tutta quella lana. Non fece in tempo a pensarlo che Oliver divenne davvero ricco, i suoi guanti erano i più venduti della città e chi non ne aveva era considerato qualcuno da isolare e dimenticare. Penelope non voleva questo. E, ne era sicura, nemmeno Oliver lo voleva. Eppure la fama era brutta, e sapeva toccare punti dell'anima che non si credeva nemmeno di possedere. Come l'avarizia. Oliver diventò avaro, ed egoista. Così Penelope scappò, lontano da lui e da i suoi soldi. Perchè quello non era suo fratello. La ricchezza lo aveva trasformato in un mostro.

As he begins to raise his voice 

You lower yours and grant him one last choice 

Drive until you lose the road 

Or break with the ones you've followed 

He will do one of two things 

He will admit to everything 

Or he'll say he's just not the same 

And you'll begin to wonder why you came 

Non sapeva nemmeno lei perchè lo aveva fatto, era certa che non sarebbe riuscita a sopravvivere da sola. Eppure quando si rifugiò in un vicolo cieco, lontana da tutto e al sicuro, cominciò a piangere non per ciò che aveva fatto ma per ciò che sarebbe successo. Che ne era stato di suo fratello? Non si sarebbe nemmeno accorto della sua assenza, o se l'avesse fatto, non gliene sarebbe importato. I singhiozzi non si calmarono al pensiero che ora non l'avrebbe più rivisto, che ora era al sicuro. E ora?, lei che avrebbe fatto? Si sarebbe raggomitolata su sé stessa in eterno, finchè non sarebbe gelata lì e qualcuno l'avrebbe trovata con ancora le lacrime fresche sul volto? No, non avrebbe più pianto. Ma ogni volta si dicesse 'sarò forte', le lacrime le offuscavano la vista e il respiro le veniva meno, finchè non si addormentò, la gola secca e la testa piena di pensieri che non se ne sarebbero mai andati. Il giorno dopo Penelope si svegliò che era già pomeriggio. Qualcuno le stava pizzicando delicatamente i capelli, come chiedendosi se ciò che stava toccando era vero o no. La bambina si ritrasse, sul punto di gridare. < Calmati - disse il ragazzino con un sorriso ingenuo - non voglio farti male. Cosa ci fai qui? >. Penelope lo osservò in silenzio per diversi istanti. < Chi sei? > Si sorprese della vivacità con cui lo disse. Il ragazzino, più o meno dodici anni, si passò una mano tra i capelli biondi e li spettinò fugacemente, mentre osservava la parete di muro alle spalle della bambina. < Solo qualcuno che va in giro in cerca di francobolli usati e pastelli per disegnare sulle mura del municipio... non è che per caso ne hai uno? >; < Di cosa? >. Lui rise come se Penelope avesse sparato una battuta irresistibilmente divertente. < Sai che ti dico? Che mi sei simpatica. - le porse una mano in un gesto galante. - Alzati, su. Andiamo a fare un giro. >. Penelope osservò il palmo pallido della mano dello sconosciuto come se avesse paura che potesse aggredirla. Per un istante, uno solo, però le venne voglia di stringerlo forte e aggrapparsi ad esso. < Un giro? Io... non posso. > Fece per alzarsi e sentì le gambe e la schiena di una pesantezza unica. Il fresco delle giornate di marzo si faceva sentire durante la notte. < Avanti. - il ragazzino sorrise candidamente, come a dirle 'andrà tutto bene' e non qualcosa di minaccioso. Penelope pensò che i suoi occhi azzurri erano molto belli e non tradivano nessuna emozione. Eppure, titubante, indietreggiò per andarsene. - Sarà divertente. Mi chiamo Kentin. Ma chiamami Ken. >; < Davvero... devo andare. >; < Ti ho visto piangere ieri sera. Qualunque cosa sia, va dimenticata. Il mondo è pieno di cose nuove da scoprire e conoscere. Dimentica il passato. Come ho fatto io. > continuava a sorridere, quel sorriso innocente e puro, e le offrì nuovamente la mano. Penelope non capiva veramente cosa significasse quel 'dimentica il passato', ma comprese che doveva essere stato proprio il passato la causa del 'come ho fatto io'. Ken aveva sofferto, forse anche lui era stato abbandonato dalla sua famiglia, o forse qualcos'altro. Pensò che le mancanze un po' si assomigliano tutte. Guardò il nuovo amico negli occhi e gli strinse la mano.

< Da dove vieni? > le chiese Ken sottintendendo la domanda 'cosa ti è successo per scappare?'. Stavano camminando lentamente per la piazza, verso una meta che a Penelope era sconosciuta. < Dall'orfanotrofio Della Rosa Rossa. - aveva sentito che una volta la signorina Durher lo aveva chiamato così e automaticamente il suo cervello aveva memorizzato l'immagine di una rosa, rossa perchè macchiata di qualcosa di rosso e colante da un petalo. Decise di raccontare tutto, perchè non sarebbe riuscita a tenere quel 'segreto' per sè per troppo tempo. - Hai mai visto qualcuno che vendeva guanti bianchi qui in città? >; < No. Avrei dovuto? > per un istante Penelope si chiese quanto avesse corso la sera precedente da allontanarsi completamente dalla propria realtà. < No. E' solo che mio fratello ora li fa vendere dappertutto. Si chiama Oliver e io gli volevo bene. Però i soldi lo hanno trasformato completamente... hai presente quando qualcuno ti dice 'non ti riconosce nemmeno tua madre'? E' diventato un po' così... irriconoscibile. Cattivo e irriconoscibile. > fu contenta di aver avuto l'occasione di dimostrare la propria cultura con parole come irriconoscibile, ma appena pronunciò la parola cattivo le venne un dolore intenso alla gola, come se essa non volesse più sentire parole del genere. Aveva appena insultato suo fratello. Gli voleva ancora bene? Ken era rimasto in silenzio e annuiva leggermente con il capo. < Capisco. Anche la mia famiglia mi ha tradito. Sono scappati lasciandomi da solo in casa con dei ladri. E' già tanto che sia ancora vivo, questo lo so. Ma se avessero aspettato almeno qualche istante io avrei spento la televisione e sarei sceso in punta di piedi dalle scale... > nella sua voce correva rapido il ricordo e parallelo il dolore che doveva aver provato da piccolo. < Fidati, forse è meglio che ti abbiano abbandonato. Preferiresti stare con una famiglia che non ti vuole? > Ken fece per pensarci su, poi voltò la testa verso di lei. < Sei in gamba. Non ci avevo mai pensato. - si fermò davanti ad un tendone del circo. - Entriamo. >. Dentro era tutto buio e gigantesco. Penelope strinse la mano di Ken per non perdersi nel buio finchè non sentì le dita che le facevano male e allentò la presa. All'improvviso le luci si accesero e i due ragazzini si ritrovarono al centro di un piccolo stadio circolare. Ken notò il suo disorientamento e le disse che non c'era da preoccuparsi, che erano a casa. Penelope si guardò attorno: era quella la sua casa? Presto fece conoscenza con gli altri membri della 'famiglia' di Ken: i giocolieri, gli equilibristi, le ballerine, gli elefanti, le scimmiette, il mangiafuoco e persino due gnometti sloveni dall'aria buffa e simpatica. Dissero che lei poteva rimanere lì finchè voleva e che doveva sentirsi a casa, perchè loro erano una grande famiglia di persone che una vera famiglia non avevano.  Penelope decise di restare, e per diversi giorni fu sfamata e aiutata da ballerine e giocolieri, e fece anche amicizia con uno dei leoni. Scoprì che i mangiafuoco la affascinavano tanto e che Ken aveva un talento innato per l'addestramento delle foche. Trascorse una settimana imparando tanto dal circo e dalle persone che le stavano accanto. Poi un giorno Ken le chiese di accompagnarlo a fare una passeggiata e lei accettò. La portò oltre il Ponte di Ghiaccio e le cascate, attraverso il bosco e infine nella valle delle pecore. Lì si fermarono a mangiare, ma Ken non sembrava per niente tranquillo. Si guardava attorno come in cerca di qualcosa misteriosamente sparito. Penelope si chiese come mai la valle delle pecore si chiamasse così se di pecore non vi era l'ombra.

Camminarono ancora fino alle montagne, finchè non giunsero a valle. Ken le aveva parlato per tutto il viaggio di un luogo meraviglioso dove la pace guidava le correnti d'acqua e le brezze del vento e dove tutti gli animali vivevano in libertà senza recinzioni nè guardiani. Quando percorsero l'ultimo sentiero prima di quel luogo straordinario si cominciò a sentire subito un'aria tutt'altro che allegra e pacifica. Scoprirono che di quel posto non vi era rimasto più nulla. Nulla. Solo terra bruciata e tronchi di alberi spezzati. Nient'altro. Niente animali, niente piante, niente fiori, niente cielo azzurro. Fu terribile. Ken impazzì, e solo quando si calmò spiegò a Penelope che tutto ciò era opera dell'essere umano. I pezzi combaciarono solo quando Ken le disse che la prima cosa che quella persona crudele aveva fatto fuori era stata la lana.

Quella notte, acucciata nel suo sacco a pelo, Penelope non riuscì a dormire. Si girò e rigirò, finchè non si alzò e andò fuori dal tendone. L'aria fredda della sera le suggerì che c'era un'unica cosa da fare rimasta. E così la ragazzina la fece. Tornò indietro per tutto il tragitto che aveva percorso quella sera piangendo, cercando di ricordare gli arbusti dei sentieri e le palazzine dei villaggi. Si perse diverse volte e per un giorno intero non mangiò, ma giunse al suo vecchio orfanotrofio all'alba del giorno seguente. Distrutta, affamata e infreddolita, ma ce l'aveva fatta. Si sforzò di fare gli ultimi passi verso la nuova casa di Oliver - che aveva acquistato appena ne aveva avuto il denaro - e bussò alla porta. Si ritrovò suo fratello di fronte, in tutta la sua altezza e robustezza. Non aveva paura. Non poteva farle niente di peggio di ciò che le aveva già fatto. Lo guardò con sguardo severo mentre lui cercava di capire se era davvero sua sorella quella che aveva davanti. Indossava vestiti da cerimonia bianchi, i suoi guanti e un mantello nero, con tanto di cappotto e cappello. Non sembrava più nemmeno lui. < P... Penelope? >

< Non mi hai nemmeno cercata, non è così? >

< Io... cosa? Non dire sciocchezze! >

< Io lo so. Non mi hai nemmeno cercata. Non vedevi l'ora che mi togliessi di mezzo. >

< Come puoi solo pensarlo?! >

< Non lo penso, ne sono certa. E poi... e poi hai distrutto un'intera valle di pace! Hai bruciato tutto! Hai lasciato che tutto accadesse! >

< Penelope, io non so di cosa diavolo tu stia parlando. > il tono di voce di Oliver si fece più duro. Penelope lo stava accusando. E le accuse gli facevano male. < Tu non mi vuoi davvero bene. - Penelope avrebbe tanto voluto piangere, ma non voleva mostrarsi più debole di quanto già non fosse. - Mi hai abbandonata. Non sei più tornato tu. Cinque anni, solo cinque anni e sei cambiato così tanto. Non credevo che potessi riuscirci... non tu. Tu sei sempre stato buono. >

< Ma io sono buono! - gridò il fratello stringendo i pugni. Perchè gli stava dando del cattivo? Lui stava facendo tutto questo anche per lei. - Ti ricordo che senza di me saresti ancora all'orfanotrofio! >

< Allora io preferirei stare all'orfanotrofio con la signorina Durher - Penelope non riuscì più a trattenere le lacrime che le punzecchiavano i lati degli occhi e le affievolivano la voce, rendendola ancora più vulnerabile e insicura. Guardò Oliver negli occhi, negli stessi occhi che pochi anni prima le avevano promesso che sarebbero tornati, e non se ne sarebbero andati mai più. Invece quegli occhi non erano tornati. Penelope si domandò se lo avrebbero fatto mai. - piuttosto che con te! >. Oliver sentì lo stomaco accartocciarsi come un foglio di carta e le gambe perdere la forza di tenerlo in piedi. Cercò di mantenere un'espressione dura in volto per non mostrarle la propria debolezza in quel momento. Tutto ciò lo stava facendo impazzire, gli girava vorticosamente la testa e se non si fosse seduto immediatamente avrebbe probabilmente perso i sensi. Tuttavia la sua instabilità si manifestò attraverso la rabbia. Se n'era accorto anche lui, negli ultimi giorni non faceva che cambiare umore da un momento all'altro e ciò non gli piaceva perchè la rabbia prendeva quasi sempre il sopravvento. E la rabbia era cattiva, voleva comandare e chiunque si fosse opposto avrebbe perso di fronte alla sua potenza. Penelope approfittò del suo silenzio per acquisire coraggio. < Avevamo fatto un patto! Ti ricordi almeno di questo? O la tua parte malvagia ha risucchiato via tutto dalla tua memoria? >. La rabbia in quel momento volle fare irruzione nuovamente nelle emozioni di Oliver, come se non le avesse già rovinate a sufficienza. Comandò le sue mani come fosse un burattino e le guidò fino al viso della sorella, che pochi anni prima avevano accarezzato dolcemente. Lo costrinse a darle uno schiaffo, con una forza che solo la rabbia sapeva donare. La potenza fece cadere a terra la bambina, che alzò il capo toccandosi la guancia pallida e bagnata di lacrime. Oliver non fece in tempo a realizzare ciò che aveva appena fatto che Penelope si alzò e, spaventata da ciò che era successo, corse via. Ciò che lo colpì fu il respiro irregolare e inquietante della bambina. Il petto stretto che si alzava e si abbassava in un misto di dolore e paura. Aveva paura di lui. Oliver abbassò lo sguardo e si guardò le mani, ricoperte dai guanti bianchi che in città erano considerati oggetto sacro. La vista di quei guanti era così insopportabile che gli venne la nausea. Li sfilò dalle dita, entrò in casa e li gettò sul fuoco del caminetto. Li guardò ardere mentre si prendeva la testa fra le mani e si domandava perchè l'aveva fatto.

Where did I go wrong?, I lost a friend 

Somewhere along in the bitterness 

And I would have stayed up with you all night 

Had I known how to save a life 

Penelope non si allontanò. Dopo aver svoltato la via aspettò qualche istante, si calmò e si convinse a tornare indietro. I suoi occhi castani fecero il giro della piazza e incrociarono la figura del fratello che rincasava, come se niente fosse successo. Egli non chiuse nemmeno la porta, lasciò che uno spiraglio di luce rimanesse vivo e permettesse alla bambina di osservare qualcosa di candido ardere nelle fiamme del fuoco e consumarsi lentamente. Per minuti interi le sue emozioni non riuscirono a farle formulare un pensiero completo, a farle realizzare ciò che era successo. O forse era proprio la mente di Penelope che non voleva saperlo, che lo impediva. Si accontentava di osservare in quel passivo silenzio la piazza e la porta che conduceva a quel regno di ricchezza che sarebbe dovuto essere la sua casa.

Where did I go wrong?, I lost a friend 

Somewhere along in the bitterness 

And I would have stayed up with you all night 

Had I known how to save a life 

Penelope si sfilò il cappotto e lo poggiò sulla credenza all'ingresso, proprio accanto alla mensola con le foto di famiglia, foto scattate per il piacere di immortalare la loro meravigliosa famiglia e la sintonia che circolava come brezza nei loro animi. Come tutte le volte che rincasava dal lavoro, osservò quelle foto e vi sorrise, perchè le regalavano la forza di andare avanti. < Tesoro, - gridò alla stanza accanto. - sono a casa >. Dalla cucina si udì una voce maschile coperta dai gridolini di due bambini. Penelope aprì la porta del salotto e salutò i due figlioli: la bambina con i capelli neri e gli occhi azzurri e il biondino dagli occhi castani. < Dov'è papà? > chiese loro dolcemente. La bimba chiuse il libro che stava leggendo e le indicò la cucina con un movimento della mano. Il fratellino invece non si degnò nemmeno di osservarla, ma a Penelope andava bene lo stesso perchè sapeva che era concentrato nel suo disegno. In cucina il marito le sorrise. < Siamo occupati tutti, vedo. > disse scherzosamente Penelope dando un bacio a Ken. Lui ridacchiò e sollevò il coperchio dalla pentola sul fuoco. Una nuvola di vapore lo avvisò che era pronto. < Com'è andata al lavoro? > le chiese. < Niente di nuovo. Però una cliente, una ragazza, mi ha domandato una cosa piuttosto insolita. >. Ken corrugò le sopracciglia bionde e attese che proseguisse. < Cosa? > domandò, riempiendo i piatti del pranzo. Penelope distolse lo sguardo e lo perse fuori dalla finestra, dove la neve stava cominciando a scendere e a posarsi sui rami degli alberi di quel paradiso terrestre. Ricordava quando Ken glielo aveva presentato, a quei tempi altro non era che una nuvola di fumo e di sofferenza, per le piante e gli animali che si erano allontanati per cercare da mangiare. Ma con il passare del tempo, grazie alle loro cure, era tornato rigoglioso e splendido come Ken lo ricordava. Vivere in quel posto era la miglior cosa che le potesse capitare. < So che sembra stupido, ma mi sono stupita che mi abbia chiesto come mai uno dei miei dipinti ritraeva una colomba tra le fiamme e un altro una colomba che si librava nell'aria. Di solito i clienti non fanno osservazioni sui miei soggetti >. Rimasero in silenzio mentre il marito cominciava ad apparecchiare la tavola. < Le hai risposto? >; < No. In realtà, non ricordo nemmeno quando questa visione si fece strada nella mia mente. Dovevo essere molto piccola e spaventata. >. In quell'istante qualcosa nella sua memoria si fece vivo come un fulmine a ciel sereno e Penelope si disse che se suo fratello non se ne fosse andato, avrebbe tanto voluto che fosse lì con lei a osservare che in realtà non aveva rovinato tutto e che lei gli voleva ancora bene. 

How to save a life

 

 

 

Avvertenza: questa storia ha tratto ispirazione dal film Lorax: il guardiano della foresta. Grazie per la lettura anche se non credo che nessuno abbia il tempo - e la voglia - di arrivare fino in fondo al racconto. Ma grazie lo stesso per aver aperto la pagina. La canzone è How to Save a Life dei The Fray.
               LizTheStrange

  
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