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Autore: Setry_USui    22/07/2007    2 recensioni
L'Era Meiji continua imperterrita il suo corso, vive, si rinnova, cresce e cambia...così come coloro che vivono questo periodo. Kenshin e Kaoru hanno un bambino di nome Kenji che cresce sano e nella pace.Ma con un carattere e dei valori che si discostano da quelli del padre. Yahiko, fidanzato con Tsubame, da sostituto è diventato il maestro della scuola Kasshin. Il giovane Kenji ha ormai 15 anni e il suo Genpuku è alle porte...quando scoprirà che la spada di suo padre, la famosa Shinuchi, non potrà mai essere sua...Yahiko Myojin, suo maestro all'apparenza, ma nel suo intimo il suo più acerrimo rivale, posside infatti l'ultima spada del grande Battosai. Kenji accetterà un simile torto? La spada tornerà al casato Himura o passerà a Shinya, il figlio di Yahiko? Una fiction con due protagonisti che nella grande opera del maestro Watsuki trovano spazio sono nel piccolo epilogo. Ora conoscerete la storia di Kenji e Shinya, coloro che vissero nell'era Meiji. Una storia che scoprirà tanti nuovi personaggi e che riporterà alla luce diverse vecchie conoscenze...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Tempi andati e presenti

 

La notte era avanzata, una leggera frescura pacata e tranquilla faceva ondeggiare i petali di ciliegio nell’aria. Un velo sottile di silenzio, solo rotto dallo stormire delle cicale, avvolgeva il tutto...il grande fiume scorreva con una tranquillità tale che pareva dovesse fermarsi da un istante all’altro.

Kenshin fissava le scure acque da sopra il ponte, appoggiato al parapetto di legno. I gomiti piegati che sostenevano il suo volto. Nonostante il suo aspetto avesse sempre ingannato la sua età, ora il suo viso tradiva leggermente gli anni che passavano.

I rossi capelli corti contornavano i suoi lineamenti, sempre dolci e per nulla mascolini. Qualche riga tra le pieghe della pelle aveva contato lo scorrere degli anni, senza però mai deturpare più di tanto il suo aspetto.

Seguendone i contorni con le dita il suo polpastrello sfiorò la guancia sinistra…

Era ancora lì…quel segno indelebile non era scomparso…

Si era assottigliato, cicatrizzato e nascosto bene tra le pieghe del volto…ma non era scomparso. Anche se ormai appariva perfettamente per quello che era: una vecchia ferita di tanti anni fa. Non più un rosso ed evidente monito di sensi di colpa e dolore.

Eppure bruciava…quella sera bruciava.

Da quando Enishi era scomparso in mare dopo l’arresto, giorno dopo giorno quella piaga si era finalmente decisa ad appianarsi…

Kenshin sorrise appena facendo un rapido calcolo…

Già…saranno ormai 15 anni…forse di più…

Un piccolo colpo, appena accennato, alla schiena lo distrasse dai suoi pensieri…si voltò di scatto assottigliando gli occhi. Come un riflesso involontario la destra andò al fianco in cerca della Katana…che non trovò.

Che stupido.

Ora, voltato verso l’interno del ponte un figura scura se ne stava appoggiata sull’altra lato giocherellando con qualcosa tra le mani.

Il volto serio dell’ex-samurai si mutò in un dolce sorriso.

La figura di Yahiko venne alla luce delle strade lanciandogli il borsellino che Kenshin afferrò al volo: “Sei un allocco come allora…” commentò il ragazzo canzonandolo con fierezza ed affetto.

Kenshin ridacchiò imbarazzato: “E tu sei rimasto un piccolo ladruncolo che restituisce la refurtiva.”

Yahiko si concesse un mezzo sorriso divertito.

15 anni…forse di più…

Lo sguardo del ragazzo andò alla mano destra di Kenshin, che era rimasta al fianco,  sospirò appena mettendo mano alla katana che portava in vita.

“Non ce l’hai da quasi dieci anni…e ancora la cerchi quando sei insicuro?!”

Kenshin si limitò a sospirare sorridendo e facendo spallucce.

Preferì lasciar cadere il discorso…

“Yahiko…non ti ho chiesto di venire per rievocare il passato.” Disse poi alzando gli occhi alla luna.

“Beh…anche se potevi scegliere un posto meno significativo…me lo aspettavo!” ammise il ragazzo guardando invece verso il basso. Seguì un breve silenzio…

“Non tornerò in palestra…”

“Lo so.”

“Mi dispiace tanto per Kaoru…”

“So anche questo.”

“Bene. Quindi non cercare di farmi cambiare…”

“Non ti ho chiesto di venire nemmeno per parlare della palestra…”

Yahiko annuì: “E dunque?”

“Ti ho chiesto di venire perché volevo che mi parlassi di Kenji.” Ammise infine Kenshin spostando lo sguardo sul ragazzo che non seppe trattenere un sorriso sarcastico. E che poteva aspettarsi da Kenshin d'altronde?

 

Il ragazzo in questione camminava assorto per le vie deserte di Tokio, la tenue luce dell’illuminazione pubblica gli illuminava il cammino…non che guardasse realmente dove stesse andando in fondo.

Da ieri non era più tornato a casa. Da quando era stato cacciato dalla palestra aveva solamente continuato a vagare come un nomade per Tokio. Mangiando ai carretti o sostando per riflettere al bordo del fiume o al porto.

Eppure non si sentiva per nulla stanco.

Sua madre era in pena? Suo padre furioso? (oppure l’inverso!)

Non gliene importava…

Non poteva vedere né colei che gli aveva offuscato gli occhi con la scuola Kasshin invece che lasciarlo dedicare alla scuola Hiten.

Né tanto meno colui che lo aveva privato dell’onore, dell’eredità e della forza che lui tanto anelava.

Il primo rumore a giungergli alle orecchie fu il tiepido ruscello del fiume, quando poi due voci fin troppo conosciute presero a fare sfondo al silenzio notturno.

Alzò lo sguardo…erano lì…

Il suo maestro e suo padre.

Ritti sul ponte parlavano…di cosa?

Kenji si accorse improvvisamente di avere una gran voglia di scoprirlo. Anzi…doveva scoprirlo! Era indispensabile!

Fece il giro largo e si avvicinò cosi alla sponda del fiume, che risalì lentamente e con pazienza per non fare rumore…accostò il ponte dal basso trovandosi quasi sotto di esso.

Trattenne il respiro per udire i dialoghi che si svolgevano sopra di lui.

 

“E così…ha usato la spada per attaccarti.” Sospirò Kenshin con voce stanca.

Yahiko scosse il capo: “Non è questo il problema…l’ha brandita contro i suoi coodiscepoli. Era pronto a colpire…a fare male…e chissà cos’altro se non lo avessi fermato. E…non guardarmi così Kenshin…non esagero.”

L’ex-Samurai annuì gravemente: “sì, lo so.”

“La scuola Kamiya Kasshin…la scuola che fa vivere la gente. La scuola che protegge e sostiene. Forse solo sciocchezze melense, però…non…non potevo vederlo usare gli affondi che gli ho insegnato per colpire i suoi compagni.”

Kenshin sospirò di nuovo. Yahiko si sentì quasi in colpa. Sapeva di dargli un dolore con quelle parole.

“Cosa gli hai detto?”

“Che non gli avrei più insegnato niente…di non rimettere più piede nella palestra. Di Crescere con un’altra scuola se ci teneva.”

Lo sguardo di Kenshin mutò: “Ti chiedo di fare uno sforzo di memoria…torna ai tuoi dieci anni. I primi giorni del tuo addestramento…”

Yahiko lo guardò stupito: “Mi chiedi un grande sforzo! Ma a cosa ti riferisci?”

“La palestra era sempre vuota. Eri l’unico allievo della scuola dopo la truffa di Battosai. L’impostore che si era spacciato per me andando in giro a…”

“Uhm…sì…beh e allora?” domandò il ragazzo meditabondo.

“Gli allievi avevano abbandonato la scuola e rinnegato la spada a causa sua…”

“Dove vuoi arrivare?”

“A quei due ex allievi di Kaoru che un giorno scatenarono una rissa al ristorante e dopo aver provocato dei malviventi si erano rifugiati il palestra.”

Yahiko sospirò di nuovo alzando gli occhi pensieroso, anche se vago e poco dettagliato l’episodio gli riaffiorò alla mente.

“Non vedo nessuna attinenza con…”

Kenshin proseguì: “Avevano usato la spada e le tecniche della scuola per fare del male, sotto l’effetto dell’alcol utilizzarono la scuola Kasshin contro dei disarmati.”

Yahiko annuì: “Riconosco una certa affinità...ma dove vuoi arrivare?”

“Ricordi cosa dicesti a quei due ragazzi?”

Yahiko alzò le braccia: “Ehhhh ora pretendi troppo!” esclamò con falsa esasperazione.

Kenshin sorrise: “Hai ragione…beh te lo dico io: gli dicesti di andare a casa, posare la spada e non riprenderla in mano mai più…di dimenticarsi di essere stati allievi della scuola.”

Yahiko lo guardò con mezzo sguardo: “Che memoria…” ammise pur sapendo dove l’amico voleva andare a parare.

Il volto di Kenshin si illuminò del suo solito dolce sorriso quasi fanciullesco: “Però a Kenji questo non lo hai detto!”

Yahiko sospirò guardando le travi del ponte: “Io ho detto che Kenji non è portato per la scuola Kasshin…non che non lo è per il Kenjutsu…”

Lo sguardo di Kenshin non mutò: “Io invece penso che lui ne abbia bisogno più di quanto immagini!”

Yahiko lo guardò quasi con malizia ma non rispose.

“Torna in palestra ad insegnargli…”

“E chi vi dice che io lo voglia ancora come maestro?”

La voce alta di Kenji interruppe bruscamente il dialogo.

Entrambi si voltarono verso l’imboccatura destra del ponte.

La figura del ragazzo si presentò a loro mentre avanzava verso i due.

Kenji volse uno sguardo sprezzante a Yahiko: “E così hai abbandonato la palestra!”

Kenshin afferrò per una spalla il figlio: “Portagli rispetto che gli devi Kenji!” esclamò con sguardo sottile.

Ma il ragazzo si scostò dalla presa: “E che rispetto gli devo? Non mi ha insegnato nulla. Non mi ha mostrato nulla. Non l’ho mai visto combattere. Per me non è nessuno…”

Yahiko lo guardò con espressione indifferente ma carica di significato…quando il pesante dialogo venne bruscamente interrotto dal passaggio di una carrozza che sfrecciò a pochi centimetri da loro sulle assi del ponte facendole tremare.

Fu un miracolo se non vennero travolti.

Un uomo in uniforme all’interno di essa si sporse leggermente quando ne scorse le vaghe figure e con voce tonante intimò il cocchiere di fermarsi.

Si affacciò dal finestrino urlando: “Signor Himura! Signor Myojin! E’ il cielo che vi manda!” Esclamò affrettandosi a scendere dalla carrozza per avvicinarsi a loro.

“Addirittura…ma quanto fai il melodrammatico…” una voce strafottente e annoiata lo seguì e un uomo dalla singolare stazza, ma soprattutto pettinatura, scese dalla carrozza a sua volta.

“Kenshin…Yahiko e il giovane Kenji! Ci si rivede!”

Cho li salutò con un lieve sorriso facendo un cenno al capo con la mano sinistra.

Infatti portava la destra appesa al collo e fasciata fino al gomito.

Kenshin lo squadrò da capo a piedi: “Ma cosa è successo?” domandò, vista la strana situazione.

“Un po’ di subbuglio in città…”

Il signor Kosaburo scosse il capo con fermezza: “No! Non si tratta della solita routine! Ieri alla periferia, nella caserma secondaria, hanno fatto irruzione quattro bestioni dalla forza spaventosa!”

Kenshin osservò il poliziotto seriamente: “Hanno quindi sbaragliato la polizia locale, Signor Kosaburo?” ma c’era anche da dire che da quando Saito si era ritirato dal ruolo di vice brigadiere (5 anni prima) la polizia non vantasse una grande forza militare, in quell’era di pace poi.

Il poliziotto annuì seriamente: “Nemmeno il signor Cho è riuscito a fermarli.”

Yahiko fece uno sguardo scettico: “Shinichi…questo non significa assolutamente niente!” esclamò con fare sfottente.

“Ehy! Cosa vorresti dire?” esclamò interdetto una delle Ex dieci spade.

Kenji rimase in silenzio, visto che non veniva interpellato. Si chiedeva solo come mai Yahiko osasse chiamare il brigadiere per nome.

Kenshin lasciò morire il dialogo…effettivamente c’erano cosa più importanti da considerare.

“Signor Kosaburo, continui!”

“Ah! Ehm…sì! Dicevo che sono in quattro, hanno una mole e una forza spaventosa…e dicono di chiamarsi Sushin!”

Kenshin e Yahiko sussultarono all’unisono e si scambiarono un preoccupato sguardo di intesa.

Kenji li guardò entrambi alternando lo sguardo tra i due: “Cosa? Cosa significa? Chi sono?” domandò impaziente. Ma non gli venne data una risposta.

Kenshin si volse verso di lui: “Kenji! Torna a casa! Noi torneremo il prima possibile!” esclamò con tono d’urgenza.

Nello stesso istante Yahiko si volse verso il brigadiere: “Shinichi dove sono ora?” domandò preoccupato e ansioso.

“No! Non se ne parla nemmeno! Io vengo con voi!” protestò Kenji con determinazione.

“Kenshin! Muoviti!” Yahiko si era già messo a correre verso la direzioni indicatagli e non avrebbe tardato molto a sparire dalla vista.

L’ex samurai rimase incerto qualche attimo, tra lo sguardo deciso del figlio e la fretta di correre via.

Indi si voltò scattando a sua volta per ammonire Kenji ad alta voce mentre di allontanava: “Torna a casa da tua madre!”

In pochi istanti i due sparirono nella notte.

Il brigadiere e Cho li osservarono allontanarsi mentre Kenji stringeva i pugni.

Perdonami padre. Ma non ci penso nemmeno!

Un ultimo rumore di passi di legno si dissolse sul ponte dirigendosi al centro della città.

 

  
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