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Tempi andati e presenti
La notte era avanzata, una
leggera frescura pacata e tranquilla faceva ondeggiare i petali di ciliegio
nell’aria. Un velo sottile di silenzio, solo rotto dallo stormire delle cicale,
avvolgeva il tutto...il grande fiume scorreva con una tranquillità tale che
pareva dovesse fermarsi da un istante all’altro.
Kenshin fissava le scure
acque da sopra il ponte, appoggiato al parapetto di legno. I gomiti piegati che
sostenevano il suo volto. Nonostante il suo aspetto avesse sempre ingannato la
sua età, ora il suo viso tradiva leggermente gli anni che passavano.
I rossi capelli corti
contornavano i suoi lineamenti, sempre dolci e per nulla mascolini. Qualche riga
tra le pieghe della pelle aveva contato lo scorrere degli anni, senza però mai
deturpare più di tanto il suo aspetto.
Seguendone i contorni con
le dita il suo polpastrello sfiorò la guancia
sinistra…
Era ancora lì…quel segno
indelebile non era scomparso…
Si era assottigliato,
cicatrizzato e nascosto bene tra le pieghe del volto…ma non era scomparso. Anche
se ormai appariva perfettamente per quello che era: una vecchia ferita di tanti
anni fa. Non più un rosso ed evidente monito di sensi di colpa e
dolore.
Eppure bruciava…quella sera
bruciava.
Da quando Enishi era
scomparso in mare dopo l’arresto, giorno dopo giorno quella piaga si era
finalmente decisa ad appianarsi…
Kenshin sorrise appena
facendo un rapido calcolo…
Già…saranno ormai 15 anni…forse di
più…
Un piccolo colpo, appena
accennato, alla schiena lo distrasse dai suoi pensieri…si voltò di scatto
assottigliando gli occhi. Come un riflesso involontario la destra andò al fianco
in cerca della Katana…che non trovò.
Che
stupido.
Ora, voltato verso
l’interno del ponte un figura scura se ne stava appoggiata sull’altra lato
giocherellando con qualcosa tra le mani.
Il volto serio
dell’ex-samurai si mutò in un dolce sorriso.
La figura di Yahiko venne
alla luce delle strade lanciandogli il borsellino che Kenshin afferrò al volo:
“Sei un allocco come allora…” commentò il ragazzo canzonandolo con fierezza ed
affetto.
Kenshin ridacchiò
imbarazzato: “E tu sei rimasto un piccolo ladruncolo che restituisce la
refurtiva.”
Yahiko si concesse un mezzo
sorriso divertito.
15 anni…forse di più…
Lo sguardo del ragazzo andò
alla mano destra di Kenshin, che era rimasta al fianco, sospirò appena mettendo mano alla katana
che portava in vita.
“Non ce l’hai da quasi
dieci anni…e ancora la cerchi quando sei
insicuro?!”
Kenshin si limitò a
sospirare sorridendo e facendo spallucce.
Preferì lasciar cadere il
discorso…
“Yahiko…non ti ho chiesto
di venire per rievocare il passato.” Disse poi alzando gli occhi alla
luna.
“Beh…anche se potevi
scegliere un posto meno significativo…me lo aspettavo!” ammise il ragazzo
guardando invece verso il basso. Seguì un breve
silenzio…
“Non tornerò in
palestra…”
“Lo
so.”
“Mi dispiace tanto per
Kaoru…”
“So anche
questo.”
“Bene. Quindi non cercare
di farmi cambiare…”
“Non ti ho chiesto di
venire nemmeno per parlare della palestra…”
Yahiko annuì: “E
dunque?”
“Ti ho chiesto di venire
perché volevo che mi parlassi di Kenji.” Ammise infine Kenshin spostando lo
sguardo sul ragazzo che non seppe trattenere un sorriso sarcastico. E che poteva
aspettarsi da Kenshin d'altronde?
Il ragazzo in questione
camminava assorto per le vie deserte di Tokio, la tenue luce dell’illuminazione
pubblica gli illuminava il cammino…non che guardasse realmente dove stesse
andando in fondo.
Da ieri non era più tornato
a casa. Da quando era stato cacciato dalla palestra aveva solamente continuato a
vagare come un nomade per Tokio. Mangiando ai carretti o sostando per riflettere
al bordo del fiume o al porto.
Eppure non si sentiva per
nulla stanco.
Sua madre era in pena? Suo
padre furioso? (oppure l’inverso!)
Non gliene
importava…
Non poteva vedere né colei
che gli aveva offuscato gli occhi con la scuola Kasshin invece che lasciarlo
dedicare alla scuola Hiten.
Né tanto meno colui che lo
aveva privato dell’onore, dell’eredità e della forza che lui tanto
anelava.
Il primo rumore a
giungergli alle orecchie fu il tiepido ruscello del fiume, quando poi due voci
fin troppo conosciute presero a fare sfondo al silenzio
notturno.
Alzò lo sguardo…erano
lì…
Il suo maestro e suo
padre.
Ritti sul ponte
parlavano…di cosa?
Kenji si accorse
improvvisamente di avere una gran voglia di scoprirlo. Anzi…doveva scoprirlo!
Era indispensabile!
Fece il giro largo e si
avvicinò cosi alla sponda del fiume, che risalì lentamente e con pazienza per
non fare rumore…accostò il ponte dal basso trovandosi quasi sotto di esso.
Trattenne il respiro per
udire i dialoghi che si svolgevano sopra di lui.
“E così…ha usato la spada
per attaccarti.” Sospirò Kenshin con voce stanca.
Yahiko scosse il capo: “Non
è questo il problema…l’ha brandita contro i suoi coodiscepoli. Era pronto a
colpire…a fare male…e chissà cos’altro se non lo avessi fermato. E…non guardarmi
così Kenshin…non esagero.”
L’ex-Samurai annuì
gravemente: “sì, lo so.”
“La scuola Kamiya
Kasshin…la scuola che fa vivere la gente. La scuola che protegge e sostiene.
Forse solo sciocchezze melense, però…non…non potevo vederlo usare gli affondi
che gli ho insegnato per colpire i suoi compagni.”
Kenshin sospirò di nuovo.
Yahiko si sentì quasi in colpa. Sapeva di dargli un dolore con quelle
parole.
“Cosa gli hai
detto?”
“Che non gli avrei più
insegnato niente…di non rimettere più piede nella palestra. Di Crescere con
un’altra scuola se ci teneva.”
Lo sguardo di Kenshin mutò:
“Ti chiedo di fare uno sforzo di memoria…torna ai tuoi dieci anni. I primi
giorni del tuo addestramento…”
Yahiko lo guardò stupito:
“Mi chiedi un grande sforzo! Ma a cosa ti
riferisci?”
“La palestra era sempre
vuota. Eri l’unico allievo della scuola dopo la truffa di Battosai. L’impostore
che si era spacciato per me andando in giro a…”
“Uhm…sì…beh e allora?”
domandò il ragazzo meditabondo.
“Gli allievi avevano
abbandonato la scuola e rinnegato la spada a causa
sua…”
“Dove vuoi
arrivare?”
“A quei due ex allievi di
Kaoru che un giorno scatenarono una rissa al ristorante e dopo aver provocato
dei malviventi si erano rifugiati il palestra.”
Yahiko sospirò di nuovo
alzando gli occhi pensieroso, anche se vago e poco dettagliato l’episodio gli
riaffiorò alla mente.
“Non vedo nessuna attinenza
con…”
Kenshin proseguì: “Avevano
usato la spada e le tecniche della scuola per fare del male, sotto l’effetto
dell’alcol utilizzarono la scuola Kasshin contro dei
disarmati.”
Yahiko annuì: “Riconosco
una certa affinità...ma dove vuoi arrivare?”
“Ricordi cosa dicesti a
quei due ragazzi?”
Yahiko alzò le braccia:
“Ehhhh ora pretendi troppo!” esclamò con falsa
esasperazione.
Kenshin sorrise: “Hai
ragione…beh te lo dico io: gli dicesti di andare a casa, posare la spada e non
riprenderla in mano mai più…di dimenticarsi di essere stati allievi della
scuola.”
Yahiko lo guardò con mezzo
sguardo: “Che memoria…” ammise pur sapendo dove l’amico voleva andare a
parare.
Il volto di Kenshin si
illuminò del suo solito dolce sorriso quasi fanciullesco: “Però a Kenji questo
non lo hai detto!”
Yahiko sospirò guardando le
travi del ponte: “Io ho detto che Kenji non è portato per la scuola Kasshin…non
che non lo è per il Kenjutsu…”
Lo sguardo di Kenshin non
mutò: “Io invece penso che lui ne abbia bisogno più di quanto
immagini!”
Yahiko lo guardò quasi con
malizia ma non rispose.
“Torna in palestra ad
insegnargli…”
“E chi vi dice che io lo
voglia ancora come maestro?”
La voce alta di Kenji
interruppe bruscamente il dialogo.
Entrambi si voltarono verso
l’imboccatura destra del ponte.
La figura del ragazzo si
presentò a loro mentre avanzava verso i due.
Kenji volse uno sguardo
sprezzante a Yahiko: “E così hai abbandonato la
palestra!”
Kenshin afferrò per una
spalla il figlio: “Portagli rispetto che gli devi Kenji!” esclamò con sguardo
sottile.
Ma il ragazzo si scostò
dalla presa: “E che rispetto gli devo? Non mi ha insegnato nulla. Non mi ha
mostrato nulla. Non l’ho mai visto combattere. Per me non è
nessuno…”
Yahiko lo guardò con
espressione indifferente ma carica di significato…quando il pesante dialogo
venne bruscamente interrotto dal passaggio di una carrozza che sfrecciò a pochi
centimetri da loro sulle assi del ponte facendole
tremare.
Fu un miracolo se non
vennero travolti.
Un uomo in uniforme
all’interno di essa si sporse leggermente quando ne scorse le vaghe figure e con
voce tonante intimò il cocchiere di fermarsi.
Si affacciò dal finestrino
urlando: “Signor Himura! Signor Myojin! E’ il cielo che vi manda!” Esclamò
affrettandosi a scendere dalla carrozza per avvicinarsi a
loro.
“Addirittura…ma quanto fai
il melodrammatico…” una voce strafottente e annoiata lo seguì e un uomo dalla
singolare stazza, ma soprattutto pettinatura, scese dalla carrozza a sua
volta.
“Kenshin…Yahiko e il
giovane Kenji! Ci si rivede!”
Cho li salutò con un lieve
sorriso facendo un cenno al capo con la mano
sinistra.
Infatti portava la destra
appesa al collo e fasciata fino al gomito.
Kenshin lo squadrò da capo
a piedi: “Ma cosa è successo?” domandò, vista la strana
situazione.
“Un po’ di subbuglio in
città…”
Il signor Kosaburo scosse
il capo con fermezza: “No! Non si tratta della solita routine! Ieri alla
periferia, nella caserma secondaria, hanno fatto irruzione quattro bestioni
dalla forza spaventosa!”
Kenshin osservò il
poliziotto seriamente: “Hanno quindi sbaragliato la polizia locale, Signor
Kosaburo?” ma c’era anche da dire che da quando Saito si era ritirato dal ruolo
di vice brigadiere (5 anni prima) la polizia non vantasse una grande forza
militare, in quell’era di pace poi.
Il poliziotto annuì
seriamente: “Nemmeno il signor Cho è riuscito a
fermarli.”
Yahiko fece uno sguardo
scettico: “Shinichi…questo non significa assolutamente niente!” esclamò con fare
sfottente.
“Ehy! Cosa vorresti dire?”
esclamò interdetto una delle Ex dieci spade.
Kenji rimase in silenzio,
visto che non veniva interpellato. Si chiedeva solo come mai Yahiko osasse
chiamare il brigadiere per nome.
Kenshin lasciò morire il
dialogo…effettivamente c’erano cosa più importanti da
considerare.
“Signor Kosaburo,
continui!”
“Ah! Ehm…sì! Dicevo che
sono in quattro, hanno una mole e una forza spaventosa…e dicono di chiamarsi
Sushin!”
Kenshin e Yahiko
sussultarono all’unisono e si scambiarono un preoccupato sguardo di
intesa.
Kenji li guardò entrambi
alternando lo sguardo tra i due: “Cosa? Cosa significa? Chi sono?” domandò
impaziente. Ma non gli venne data una risposta.
Kenshin si volse verso di
lui: “Kenji! Torna a casa! Noi torneremo il prima possibile!” esclamò con tono
d’urgenza.
Nello stesso istante Yahiko
si volse verso il brigadiere: “Shinichi dove sono ora?” domandò preoccupato e
ansioso.
“No! Non se ne parla
nemmeno! Io vengo con voi!” protestò Kenji con
determinazione.
“Kenshin! Muoviti!” Yahiko
si era già messo a correre verso la direzioni indicatagli e non avrebbe tardato
molto a sparire dalla vista.
L’ex samurai rimase incerto
qualche attimo, tra lo sguardo deciso del figlio e la fretta di correre
via.
Indi si voltò scattando a
sua volta per ammonire Kenji ad alta voce mentre di allontanava: “Torna a casa
da tua madre!”
In pochi istanti i due
sparirono nella notte.
Il brigadiere e Cho li
osservarono allontanarsi mentre Kenji stringeva i
pugni.
Perdonami padre. Ma non ci penso
nemmeno!
Un ultimo rumore di passi
di legno si dissolse sul ponte dirigendosi al centro della
città.