Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Ryo13    04/01/2013    4 recensioni
Storia della follia a cui può spingere l'amore, narrata nella forma di un racconto. Adam e Amelia non possono vivere l'uno senza l'altro, ma questo li spingerà ad intraprendere un cammino oscuro, che rompe i limiti della vita, della morte, della morale.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ecco il nuovo capitolo come regalino per il nuovo anno!! <3<3<3
*ps.: spero che non sia troppo triste per l'inizio del 2013 ùwù*

Capitolo05_zpse6d1d959

 

Marcus, che pure aveva annunciato ad Amelia la sua intenzione di denunciarla alla compagnia, tenne per sé ciò che aveva scoperto e rimase a riflettere sul da farsi. Aveva sempre ammirato Amelia, nonostante fosse così giovane, per il suo essere brillante e anche perché in lei vedeva la speranza di dare una spinta in avanti al progresso robotico. Si era inoltre trattenuto dal fare rapporto per il semplice motivo che non sapeva che fine avrebbe fatto Adam: il presidente Milton era stato contrario a portare a termine il progetto che la compagnia, sotto la guida di Amelia, aveva cominciato, poiché non avrebbe potuto sopportare – diceva – la vista di un essere che serbasse in sé ciò che era appartenuto al caro nipote.
Tutti avevano rispettato la volontà dell’anziano parente e lasciato da parte i dati forniti dall’esperienza di Adam. Ma poi Amelia era andata contro quella volontà espressa e aveva continuato a mandare avanti le ricerche da sola… ottenendo un ottimo risultato per altro. Ora l’Adam robot era unico nel suo genere. Era il primo androide mai creato, parlante e semovente, nulla a che vedere con i tentativi limitati che erano stati fatti fino ad allora.
E se il presidente avesse deciso di terminarlo? Nonostante sarebbe stato chiaro ai più l’importanza che rivestiva Adam, adesso, per la scienza, non era comunque da escludere la possibilità che l’anziano signore agisse sotto la spinta del sentimento e della sofferenza, rifiutando di farsi influenzare da motivi più pratici.
Tuttavia il cuore di Marcus non si dava pace perché trovava sbagliato il fatto che Adam rimanesse con Amelia: il problema non era solamente che Adam apparteneva ufficialmente alla INC, quanto piuttosto il dolore che ella si autoinfliggeva inconsciamente.
Non aveva avuto la forza di abbandonare il ricordo del vero Adam e di mandare avanti la sua vita, pensando ad altre possibilità: no, lei era rimasta intrappolata, congelata nel passato e non sapeva come uscirne. Tanto più ora che c’era questa nuova fittizia ombra che incombeva su di lei, ricordandole costantemente il passato e ciò che aveva perso.
Per quanto si fosse sforzata, infatti, non avrebbe potuto ignorare molto a lungo i limiti che aveva un essere inumano: Adam, per quanto fosse un prodigio della tecnologia moderna, era ben lungi dall’essere capace di sentimento e di calore umano; un calore, almeno, che fosse sentito e non il risultato di una serie di input decodificati da un sistema come risposta a un stimolo ricevuto.
Nel tentativo di avere di nuovo l’uomo amato con sé, come se non bastasse, Amelia non aveva fornito particolari dati della memoria al robot, cosicché egli serbasse solo il ricordo esclusivo di un’unica persona e non riconoscesse tutti gli altri. Sebbene ella avesse agito per paura che le venisse in qualche modo sottratto, non si poteva dire che, così agendo, non avesse menomato persino l’ultimo ricordo che fosse rimasto di lui.
Invero era una situazione molto triste e penosa e Marcus non sapeva cosa fare. Si propose di provare a parlare con Amelia un’altra volta e cercare di farla ragionare. Tuttavia sentiva in fondo all’animo che ogni tentativo sarebbe stato inutile. Amelia era persa per sempre nella trappola che si era costruita da sola.


Adam era intento a osservare Amelia cucinare.
«Omelette con riso!», aveva detto, «Il tuo piatto preferito.» In realtà, che fosse il suo piatto preferito non si spiegava perché ogni cosa che mangiava – sebbene ne riconoscesse il particolate sapore dolce, amaro o saltato – finiva giù, in fondo alla gola, allo stesso modo. Poteva dire, da ciò che gustava, cosa stesse mangiando ma non faceva davvero una gran differenza qualunque cosa mettesse in bocca. Tuttavia, aveva imparato a imitare l’espressione estatica che si supponeva dovesse assumere quando mangiava “i suoi piatti preferiti”.
Quella giornata, Amelia appariva particolarmente di buon umore. Canticchiava persino, mentre rigirava l’involtino nella padella.
«Adam, sei felice?» chiese di punto in bianco.
«Certo che sono felice, Amelia! Lo sono sempre quando sono con te.»
«Quindi ti senti triste quando non ci sono?»
Sapeva che “triste” era uno degli aggettivi che si applicavano alla voce “assenza di Amelia”, quindi rispose: «Sì, sono triste.»
«Cosa significa per te la tristezza, Adam?»
Adam si avvicinò a guardarla dritto negli occhi. Le prese una mano tra le sue e sussurrò: «Tristezza è quando tu non sei con me. Perché mi fai questa domanda?»
«Voglio sapere cosa pensi.»
«Penso solo a te. Tutto il tempo. Lo sai.»
«Sì... lo so.»
Amelia abbassò lo sguardo e fissò le loro mani intrecciate. Poi lo guardò con un’espressione incerta.
«Non mi avevi mai preso la mano in questo modo, Adam. È un gesto carino.»
“Carino” era una parola che gli avrebbe fatto archiviare quel gesto tra i preferiti di Amelia. E lo avrebbe riproposto in altre occasioni perché aveva avuto successo.
Assimilando informazioni dai documentari e dai film, Adam aveva messo insieme degli schemi che aveva raggruppato assieme e che erano sostanzialmente “in prova”. Sperimentandone di volta in volta qualcuno, avrebbe deciso se inserirli in un comportamento da tenere o non tenere, a seconda delle situazioni.
Amelia ovviamente sapeva tutto questo, sapeva benissimo come funzionava Adam e come imparava a imitare nuovi comportamenti, al di là dei ricordi che lei stessa gli aveva fornito. Eppure era talmente ferita e fragile che preferiva cullarsi nell’illusione che quello davanti a lei fosse il vero Adam, un essere umano dotato di spontaneità e iniziativa. Quindi non fece ulteriori domande sul gesto che aveva definito “carino”, ma si godette per un momento la sensazione di essere di nuovo amata.
Si sedettero al tavolo della cucina, dopo aver predisposto i piatti. Adam cominciò a mangiare complimentandosi per la bravura culinaria di Amelia. Masticava con un ritmo sempre uguale, che non subiva mai alcun mutamento, se non quando beveva di tanto in tanto. Il cibo masticato veniva spinto in gola solo quando esso aveva assunto una consistenza poltigliosa e rimaneva per qualche tempo in un serbatoio isolato, all’altezza dell’addome, che Adam riconosceva come “stomaco”. Tuttavia non poteva essere assimilato, dunque veniva espulso successivamente così com’era.
Poteva benissimo fare a meno di mangiare: non sarebbe cambiato nulla. Eppure continuava a portare avanti quel pro-forma a beneficio di Amelia a cui piaceva mangiare in compagnia. Ovviamente, tutto questo serviva a mantenere la perenne illusione di “vita” di Adam.

Si sedettero sul divano a guardare un film. Adam cingeva Amelia che poggiava il capo sulla sua spalla. Una leggera copertina li copriva entrambi.
Il film scorse tutto in un profondo silenzio: il silenzio non dava mai fastidio ad Adam come a volte succedeva agli esseri umani quando si creavano situazioni imbarazzanti oppure l’aria si appesantiva di tensione. Lui non percepiva la “tensione” a meno che non si traducesse direttamente con un irrigidimento corporeo. Così non poté notare che quella sera l’atteggiamento di Amelia, seppur apparentemente sempre lo stesso, fosse sostanzialmente differente.
«Facciamo l’amore.» proruppe Amelia quando si arrivò ai titoli di coda.
Senza fare domande o chiedersi nulla, Adam cominciò ad accarezzare il corpo della ragazza così come sapeva andava fatto. Accarezzò piano piano le spalle, poi scese a massaggiare le braccia; le sollevò la maglietta e infilò dentro le mani mentre cominciava a baciarla leggermente sul capo e poi sul collo.
«Dimmi ciò che senti, Adam. Dimmi cosa provi quando mi tocchi.»
«Quando ti tocco sto bene.» rispose Adam.
«Ti piace?»
«Tu mi piaci.»
La spogliò in pochi minuti e anche lui fu nudo sopra di lei, in appoggio sui gomiti. «Hai un corpo meraviglioso.» la lodò.
Amelia sorrise leggermente.
«Cosa senti quando mi tocchi, Adam?»
«Sei calda.» rispondeva quello. «Hai la pelle liscia e sei morbida.»
«Questo è ciò che percepisci col tatto. Cosa senti qui dentro, Adam?» con l’esile dito gli sfiorò il petto, proprio nel centro.
«Qui dentro?» ripeté come se la domanda fosse troppo difficile. La risposta che gli venne immediata fu “il meccanismo di pulsione del sangue” – qualcosa che lui riconosceva anche come “cuore” – eppure, in tutto quel tempo, aveva imparato che ad Amelia non piaceva che si facesse riferimento alle parti anatomiche del suo corpo quando erano in “intimità”.
Gli venne in aiuto un ricordo che vedeva Amelia dirgli a proposito del suo cuore “È pieno di sentimenti per te, Adam.” E vedeva sorridersi pienamente, mettendo in mostra tutti i denti e chiudere per un momento gli occhi, inspirando¹.
Allora creò un collegamento tra quel ricordo e lo schema comportamentale che doveva assumere: il quesito chiedeva cosa sentiva dentro il cuore, quali sentimenti ci fossero.
«Non sento niente.» rispose candidamente, e sorrise proprio come mostrava il ricordo di Adam.
«Esatto…» sussurrò Amelia sorridendo appena, con labbra tremanti, mentre una lacrima scendeva silenziosa sulla rotondità del viso. «Esatto, non senti niente.»
Le voci ‘lacrime’ e ‘sorriso’, combinate assieme, indicavano una ‘commozione’, così Adam non capì quanto avesse ferito la sua creatrice. Mantenne il suo sorriso spensierato.
«Tu sorridi, Angelo della Morte. E io finalmente comprendo.»

Quella notte Amelia si addormentò nel suo letto, abbracciata al suo Adam. Si addormentò proprio come faceva tutte le sere: chiudendo gli occhi, perdendo coscienza… eppure il giorno dopo non si destò, e così accadde anche quello successivo, senza che Adam capisse perché.


_______________

¹Il ricordo cui fa riferimento è uno di quelli che appartengono al vero Adam, l’essere umano. È un ricordo che non appartiene veramente al robot, poiché non l’ha registrato dalla sua esperienza, ma che egli ritiene “proprio” perché vi vede riflesso “se stesso”.
Nota: Non è stato detto chiaramente ma Amelia si è suicidata ingoiando del sonnifero.

 

[Continua...]

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Ryo13