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Autore: alida    04/01/2013    4 recensioni
Carlisle si deve confrontare con il Natale, con la sua famiglia e il suo doloroso passato. La storia è arrivata prima la contest "Luci e ombre di Natale". La storia non ha scopo di lucro. I personaggi appartengono a S. Meyer.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aro, Carlisle Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Titolo: Là, dove la neve non ha fretta di cadere

“Ragazzi, fatte attenzione alla vetrata!”.

“Non preoccuparti Esme” risposero all'unisono Emmett e Jasper “non è la prima volta che portiamo un abete dentro casa”.

“Già, è proprio per questo che vi sto avvisando” replicò lei portandosi le mani al viso e socchiudendo gli occhi quando la punta dell'albero sfiorò il lampadario.

Rosalie sbuffò sulle scale. “Vedo che anche quest'anno avete preso l'albero più piccolo della foresta. Possibile che non riusciate mai ad agire con moderazione!”.

I due ragazzi sollevarono l'abete e lo infilarono in un grande vaso pieno di terra che era stato posizionato in soggiorno. Emmett alzò le braccia al cielo per protestare. “Dai, Rose! Non dirmi che non ti piace”.

“Non ho detto questo. Dico solamente che è troppo grande”.

“Gli alberi di Natale non sono mai abbastanza grandi” affermò Jasper togliendosi via di dosso un po' di terra.

“Sono d'accordo. Anche se questo in particolare sembra essere enorme e noi non abbiamo abbastanza decorazioni per abbellirlo” fece notare la madre.

Emmett era incredulo: avevano diverse scatole con palline dorate, verdi, blu, bianche, nastrini stretti, larghi, festoni, punte dorate, luci … cos'altro ci voleva?

In quel momento entrarono Edward e Alice. Il primo a parlare fu Edward che aveva sentito il pensiero di Emmett. “Abbiamo tanti addobbi ma niente di coordinato per un albero così grande”.

Alice cominciò a saltare da una parte all'altra. “Lo sapevo, avevo avuto una visione di noi quattro che facevamo compere per l'albero ma non riuscivo a capirne il motivo. Quest'albero è semplicemente meraviglioso!” e, gettandosi tra le braccia di Jasper, aggiunse “Sei stato tu a sceglierlo?”.

“Sì” rispose velocemente lui.

“Non è vero! L'ho scelto io!” lo contradisse Emmett spingendolo appena con un sorriso largo sulle labbra.

Esme si avvicinò all'albero e gli diede un'occhiata: era proprio bello, la distanza fra i rami era regolare e perciò non ci sarebbero stati agglomerati di palline seguiti da imbarazzanti vuoti. Lei voleva che tutto fosse semplice ma elegante. Si voltò e guardò Edward per capire se avesse sentito i suoi pensieri.

Il figlio fece un sorriso sbilenco. “Non guardarmi, io non andrò a fare compere. Sarà meglio che te la sbrighi con loro quattro”.

“Io non vado da nessuna parte” brontolò Emmett.

In un batter di ciglia Rosalie gli fu accanto. “Tu hai fatto il danno” gli disse indicando l'enorme albero “e tu aiuterai a risolvere il problema”.

“Ben detto, Rose! Andiamo a prepararci, si parte!” strillettò Alice.

In breve i quattro furono pronti e sentite le richieste della madre partirono con il fuoristrada, incrociando Carlisle che rientrava da lavoro.

Il suono dei clacson raggiunse i due ancora in casa. Esme, pensierosa, diede un'altra occhiata all'abete. “Non preccuparti” le sussurrò Edward mettendole una mano sulla spalla “vedrai che gli piacerà”.

Lei allungò il braccio e posò la sua mano su quella del figlio “Sai anche tu che non è vero”.

Edward non replicò. Sentirono i passi di Carlisle sui gradini dell'ingresso, la porta chiudersi con gentilezza e poi altri passi che si interruppero sulla porta del soggiorno.

Carlisle restò immobile sulla soglia con gli occhi puntati sull'albero. Edward lo guardò in viso e cercò di sentirne i pensieri, ma la testa di Carlisle era vuota o forse i suoi pensieri si erano persi. Come un automa guardò di rimando il figlio, poi la moglie, che gli si avvicinò per lasciarli una carezza sulla guancia fredda, aprì la bocca e le uniche parole che riuscì a dire furono: “E' davvero grande, ci vorranno un sacco di addobbi”.

Poi si voltò e andò nel suo ufficio dove il giovane vampiro Carlisle, alle spalle di Aro, Caius e Marcus, lo fissava con occhi compassionevoli dall'antico quadro.

Carlisle posò la borsa di pelle sul pavimento, accanto alla scrivania di mogano e si lasciò cadere sulla poltrona. Il suo sguardo si fece cupo, le labbra gli si arricciarono in una smorfia di dolore. Fisicamente stava bene, e non sarebbe potuto essere diversamente, era un vampiro, niente avrebbe potuto scalfirlo.

Sennonché, forse a dimostrazione del fatto che anche loro potevano avere un'anima, un forte malessere lo colpì in pieno petto laddove solo un cuore puro avrebbe sentito dolore anche una volta smesso di battere.

La sua testa era ancora vuota, eppure pesava. Aveva quasi l'impressione che il mondo intero gli stesse accovacciato sulle spalle impedendogli di sollevare persino le braccia. Era lì, immobile nel tentativo di pietrificare la sua sofferenza per poi poterla frantumare e spargerne le polveri nell'aria, quando qualcuno bussò alla porta facendolo sobbalzare sulla poltrona e inducendolo a inspirare quel tanto di aria che rilasciò con controllata lentezza.

Lui era Carlisle Cullen, aveva fondato una famiglia e ne era responsabile e talvolta, spesso, questo significava tenere per sé le preoccupazioni, le proprie debolezze, i propri demoni e i ricordi dolorosi. Poco importava se accumulava tensioni e disagi, bisognava tenere i fili tesi abbastanza da non far slabbrare le maglie della famiglia e sufficientemente larghi perché nessuno si sentisse in gabbia.

Non c'erano recriminazioni nella sua vita e di sicuro non si sentiva intrappolato, aveva fatto il meglio con ciò che aveva avuto a disposizione e considerava i risultati come i migliori che avrebbe potuto ottenere, ma qualche volta si sentiva come … come un essere umano travolto da una valanga.

Ancora una volta qualcuno bussò alla porta. Costava fatica rispondere a quel tocco, Carlisle se ne rese subito conto; rispondere significava aprire, togliere quel blocco fisico, e spesso circa dieci centimetri, che lo separava dalla sua famiglia, ma significava anche far crollare le sue difese, esporsi nudo a sua moglie e a suo figlio, mostrar loro una parte di sé che era riuscito a tenere ben nascosto, o almeno così pensava.

Aveva paura di raccontare ciò che era stato, ciò che non avrebbe voluto essere ma che gli eventi della vita lo avevano costretto a diventare. Era possibile costringere qualcuno a essere ciò che non voleva? E il pentimento poteva davvero ripulire un'anima sporca? La sua famiglia lo avrebbe perdonato? Probabilmente sì. Lo avrebbe capito? Sicuramente lo avrebbe anche difeso. Ma la realtà qual era? Qual era il confine tra ciò che era sbagliato, e ciò che era inevitabile? Ed esistevano situazioni per le quali non era importante capire se fossero sbagliate o meno?

Era dura, non aveva risposte e quelle che era riuscito a darsi non lo consolavano per niente. Si alzò dalla poltrona, indossò una maschera di tranquillità e si diresse verso la porta, ma nel brevissimo tragitto fece un unico grande errore: guardò i quadri appesi e si ritrovò ad affogare negli occhi rossi di Aro. Contemporaneamente un forte odore di abete proveniente da dietro la porta invase le sue narici e senza rendersene pienamente conto, dopo aver lanciato un urlo straziante, cadde sulle ginocchia boccheggiando per dell'aria di cui non aveva assolutamente bisogno.

Nel quadro appeso poteva vedere un giovane se stesso che lo guardava con compassione, ma che non muoveva un solo dito per aiutarlo. La porta si spalancò e in un secondo appena Esme ed Edward si trovarono accanto a Carlisle.

Esme si rivolse al figlio: “Edward, per favore … cosa c'è che non va?”.

Il ragazzo non seppe dare una risposta. “Non vedo niente, è chiuso in se stesso e sta lottando con tutte le sue forze per non mostrarmi niente”.

Carlisle si portò una mano al naso e con l'altra si tenne lo stomaco come a voler trattenere un conato di vomito. Esme aveva addosso un forte odore di abete che gli impediva di respirare, ma non voleva allontanarla in modo brusco, la amava troppo, era la sua compagna, la donna con la quale manteneva unita la famiglia e mai, in nessun modo le avrebbe manifestato un qualsivoglia rifiuto.

Esme, ignara della situazione, strinse a sé il marito con parole di conforto. “Carlisle, andrà tutto bene. Vedrai che adesso passa”.

Carlisle provò a non respirare ma non riusciva a concentrarsi, tutta la sua energia era indirizzata a tener nascosto il suo passato. Edward si sentiva stravolto, voleva aiutare ma non sapeva come e non sapeva neanche come comunicare con il padre. “Per favore, Carlisle, fammi capire di cosa hai bisogno”.

-E' l'odore dell'abete, non mi fa respirare- pensò tra sé il medico -Edward, non ferirla-.

 

Edward capì subito che non si trattava solo di quello, anche perché i vampiri non avevano bisogno di respirare, ma era sicuro che un piccolo passo in avanti fosse meglio di niente, così disse:“Esme, lascialo andare. Il profumo di abete che hai addosso è troppo pungente”.

“Scusami, tesoro” disse lei rivolgendosi a Carlisle. “Non sapevo ti desse fastidio”. Poi si scambiò un'occhiata con il figlio “Vado a cambiarmi in fretta”.

“Ci troverai qui, non preoccuparti, non lo lascio da solo”.

Come Esme uscì dalla stanza, Carlisle riprese a respirare con più facilità ma, come poteva vedere lo stesso Edward, c'era ancora qualcosa che non andava, che impediva al padre di sollevarsi in piedi, qualcosa che da dentro sembrava volerlo trascinare verso il basso.

Non riusciva a trovare una spiegazione intelligente, degna di suo padre. Tutto sembrava essere collegato a quell'albero. Ogni Natale Carlisle diventava un po' cupo, perdeva un po' di smalto, ma i suoi figli si erano sempre detti che dopo trecento anni probabilmente anche il Natale perdeva il suo fascino.

In realtà gli ultimi cento anni erano andati veloci come un razzo. Lui, Esme, Rose e Emmett erano nati, morti e rinati come vampiri, e tutti da neonati avevano dato qualche problemino. Alice era giunta con Jasper e la vita nella nuova famiglia aveva messo in crisi anche loro. Accanto a tutto ciò c'era stato Carlisle: forte, paziente, comprensivo, costante, determinato, amorevole e compassionevole.

Un uomo la cui vita era cambiata non un poco alla volta ma colpo dopo colpo ad una velocità impressionante.

Sembrava una vita così monotona vista da fuori: Carlisle era nato umano, rinato vampiro, qualche decennio viaggiando per l'Europa, l'arrivo in America e poi la professione di medico, e dopo tanti decenni era ancora medico, e sempre vivendo da vegetariano.

Dietro quella sua scelta così singolare c'era una tale audacia, un tale avvilimento della propria natura, un innalzamento del proprio spirito, una continua autocritica, uno scoprirsi e riscoprirsi per rinascere ogni giorno migliore e degno di se stesso, di suo padre forse, della propria famiglia e in prima e anche ultima analisi degno di un Dio che forse, nonostante tutto, un giorno lo avrebbe amato, ecco dietro quella sua scelta c'era un uomo in costante mutamento, solido sulle proprie radici e convinzioni, ma aperto senza pregiudizio verso tutto ciò che lo circondava.

Un uomo che aveva desiderato avere un po' di compagnia, ma che come guida si era ritrovato comunque a stare da solo sulla cima della montagna dove sembra che il sole riscaldi di meno e la neve abbia fretta di coprire la cima.

E alla base della montagna c'erano loro, la sua famiglia, al sicuro, in un luogo in cui in primavera la neve si scioglie e i prati ritornano verdi. Una famiglia che si era dimenticata, senza cattiveria, di volgere gli occhi in alto e che ora stropicciandosi gli occhi con stupore osservava una valanga di sofferenza scendere a valle.

Edward cinse le braccia attorno alla vita del padre e tentò di sollevarlo. Volendo avrebbe potuto tranquillamente prenderlo di peso, ma desiderava la collaborazione di Carlisle, non voleva vederlo passivo. Tuttavia Carlisle non assecondò Edward e rimase giù, con il capo chino verso il pavimento.

 

“Carlisle, cosa c'è che non va? Noi vogliamo aiutarti, ma tu devi parlarci. Si tratta dell'albero? Lo possiamo portar via”.

Carlisle sollevò lo sguardo verso Edward; suo figlio, il suo primo figlio, che soffriva per lui. Non voleva questo, non lo aveva mai voluto.

-Dannazione! Devo riprendere il controllo, non è giusto-.

“Carlisle, non farlo. Ti prego, non escluderci dalla tua vita”.

“Non posso, Edward. Tu non ti rendi conto di ciò che ho fatto. Se voi conosceste le mie azioni passate … non puoi capire … la verità potrebbe distruggere la nostra famiglia”.

“Amore, no” affermò con decisione Esme rientrando nella stanza e inginocchiandosi accanto al marito “Niente ci potrà mai separare, io starò sempre al tuo fianco e i nostri figli ti ameranno sempre”.

“Non dovete preoccuparvi per me, io so reggere il peso dei miei errori”.

“Nessuno lo mette in dubbio, ma noi vorremo portare questo carico assieme a te, per alleggerirlo così come tu hai alleggerito i nostri quando erano troppo pesanti” rispose Esme.

Carlisle era sicuro di non meritare tutta questa comprensione, ma era anche consapevole che a quel punto né la moglie, né il figlio avrebbero lasciato correre. Per un attimo pensò al resto della famiglia uscita a far compere, li visualizzò nella sua mente mentre sceglievano i festoni e le palline.

E a quel pensiero ebbe un fremito che gli percorse tutto il corpo facendolo tremare vistosamente.

Edward lo tenne stretto. Esme gli rivolse uno sguardo interrogatorio. “A cosa pensa?”.

“Solamente ad un albero decorato con palline”.

“No!” urlò Carlisle guardandosi le mani alla ricerca di qualcosa che non c'era.

“Cosa c'è? Cosa c'è?” continuavano a chiedere Esme ed Edward.

Carlisle sembrava essere assente. Continuava a fissarsi le mani e a ripetere:“Basta, basta. Me ne voglio andare, me ne devo andare”.

Esme ebbe un attimo di stordimento ma ci mise poco a riprendersi e a capire che il marito non si riferiva al presente ma che la sua mente era confinata in qualche parte del suo passato. E difatti Carlisle era tornato indietro nel tempo e ora la sua mente sembrava un nastro al rallentatore che, inconsapevolmente, proiettava un film per uno spettatore d'eccezione: Edward.

La stanza era buia, senza finestre, c'era solo un filo di luce proveniente da una candela che illuminava le pagine di un antico libro, accanto Carlisle riposava a occhi chiusi apparentemente sopraffatto dalla stanchezza. Aro entrò senza bussare. “Mio giovane amico, forse la tua alimentazione non ti offre abbastanza sostanza per lo stile di vita che vuoi condurre. Suvvia, bere una sola persona non ti renderebbe un mostro”.

 

Carlisle si alzò in piedi. “Studiare non mi stanca, stavo solo riflettendo. E comunque mi sono dissetato appena ieri, mi basterà per tutta la settimana”.

Aro sorrise. “E mi è permesso sapere su cosa riflettevi?” domandò allungando la mano.

Il suo gesto, inequivocabile, non fu corrisposto e Carlisle rispose a voce: “Non capisco davvero perché lo si debba fare ...”.

Ti fai troppi problemi; non erano obbligati a unirsi a noi, li abbiamo accolti e loro hanno infranto la legge e per questo moriranno”.

Ma perché in questo modo?”.

La risposta che ricevette lo gelò: “E' un modo per unire l'utile al dilettevole”.

Io non ne capisco né l'utilità, né tanto meno il diletto. Inoltre non esiste nessuna legge che parli di una punizione così disumana!”continuò indicando il libri aperto sul tavolo.

Disumana …” disse ridendo Aro “disumana! Carlisle, noi non siamo umani! E loro farebbero carte false per non esserlo più”.

Ma ...”.

Ma niente!” urlò il capo dei Volturi stringendo i pugni. “Puoi anche decidere di non bere sangue umano se è quello che vuoi, ma non puoi negare che noi non siamo umani” concluse con voce melliflua, sforzandosi di riprendere la calma che lo contraddistingueva.

Carlisle non ribatté, non poteva. Aro era paziente con lui, ma rimaneva un vampiro potente e senza scrupoli. Lui non era costretto a vivere a Volterra e sarebbe potuto andar via in ogni momento. E poi Aro aveva ragione: loro non erano umani e questo nessuno lo avrebbe potuto negare.

Ti aspettiamo in sala” disse l'anziano vampiro “manchi solo tu, non farci aspettare oltre”.

La porta si chiuse e Carlisle crollò a terra. Non voleva raggiungere gli altri, non serviva a niente. Se ne sarebbe stato in disparte mentre lo scempio si compieva davanti a lui. Non avrebbe potuto coprirsi le orecchie, né chiudere gli occhi. Avrebbe potuto solo guardare senza muovere un dito.

A cosa serviva tutto ciò? A divertire Aro e poi? Poi ad avvilire se stesso, a fargli rendere conto di quanto deprecabile fosse l'uomo o il vampiro che parlava bene e razzolava male. Carlisle, il vampiro che dava sempre tanti consigli e poi … poi restava a guardare.

Con un peso sul cuore si alzò in piedi, quella sarebbe stata l'ultima sera a Volterra, comunque andassero le cose la sua decisione era già presa.

Il salone era affollato, c'erano Aro, Marcus e Caius, le consorti e tutta la guardia. Alcuni umani, circa una decina, erano inginocchiati davanti ai troni, sul lato destro della sala era stato posizionato un grandissimo abete.

Carlisle lo guardò con curiosità come Aro aveva previsto. “E' in tuo onore, Carlisle. Dici sempre che dovremo essere più umani. Bene, tra pochi giorni è Natale, perciò un bell'albero è quello che ci vuole” lo sbeffeggiò Aro indicandogli di mettersi, come da abitudine, dietro i troni.

La scena era sempre la stessa: gli umani inginocchiati venivano riconosciuti colpevoli, poi mentre alcuni membri della guardia li tenevano fermi, altri gli strappavano gli occhi. Carlisle li guardava con compassione senza poter far niente mentre le risate dei Volturi e le urla delle vittime si confondevano nella sala.

Al termine Aro si volse verso l'amico e senza dire una parola allungò una mano. Era più forte di lui, voleva conoscere i pensieri degli altri e voleva sapere cosa c'era nella loro mente, non era tanto il desiderio di comprendere quanto l'ebbrezza di poter dire: “Voglio la tua mente e la voglio ora”.

Carlisle allungò la mano, non poteva tirarsi indietro, non più. Nella sua mente, ben definita, c'era la forte volontà di andarsene.

Aro inclinò la testa di lato, quasi gli dispiacesse di perdere il suo strano amico curioso e diverso. Ma Carlisle avrebbe potuto vivere ancora cento anni a Volterra e mai e poi mai sarebbe cambiato. Forse era questa la sua vera natura, pensò il Volturo. Forse Carlisle non si stava opponendo a se stesso ma si stava solo nascondendo a se stesso.

L'anziano vampiro sospirò, lasciò libera la mano che fino a poco prima gli aveva raccontato una verità che prima o poi sapeva si sarebbe avverata e con un perverso senso della vittoria fece entrare un vampiro.

Gli uomini della guardia lo costrinsero a inginocchiarsi, Aro gli si avvicinò e gli diede una diabolica carezza, mentre l'altro chiedeva essere perdonato. “Non ti devi preoccupare, la tua vita è nelle mani di uno  zelante vampiro vegetariano” gli disse indicando Carlisle.

Quest'ultimo si mise sull'attenti come un soldato in battaglia. Era così che si sentiva, come un combattente che non avrebbe perso, avrebbe lottato per quella persona, non era importante se fosse umano o vampiro, era una vita; avrebbe dimostrato a tutti quanto era disposto a fare per essere migliore di quanto era stato fino ad allora.

Dimmi cosa devo fare e lo farò”.

Non ne avevo dubbi. Seguimi” ordinò con calma.

Carlisle gli stette dietro di due passi, Aro lo portò davanti all'albero e dal pavimento raccolse una ciotola piena di occhi ... occhi degli umani che nei giorni precedenti erano stati condannati, ai quali erano stati aggiunti quelli ancora pieni di sangue vivo delle vittime uccise poco prima.

Si voltò da Carlisle e gli porse la ciotola. “Tieni, decora l'albero con queste bellissime palline”.

Carlisle guardò gli occhi con orrore, poi osservò il vampiro a cui avrebbe potuto salvare la vita, tremava, le guardie lo tenevano fermo con difficoltà.

Non sei obbligato. Guarda quel vampiro, sai perché sta tremando?”.

Ha paura”.

Aro batté le mani in una sorta di applauso e rise dell'ingenuità dell'altro. “Non trema per la paura, freme dal desiderio di succhiare via il sangue che ancora rimane in quegli occhi”.

Carlisle era incredulo, non poteva assolutamente essere così, quel vampiro stava per morire e ancora una volta il suo unico pensiero era il sangue.

Vuoi ancora sporcarti le mani per uno come lui?”.

La sua risposta fu immediata: “Vale sempre la pena salvare una vita, anche la vita di un disgraziato ha un valore”. Con un groppo alla gola, senza che nessuno gli impartisse alcun ordine, prese la ciotola dalle mani di Aro e occhio dopo occhio decorò l'albero. Il sangue scendeva sulle sue dita e i volti delle persone a cui quegli occhi erano appartenuti gli comparvero una alla volta. Se avesse potuto, avrebbe pianto.

Terminate le decorazioni si avvicinò al vampiro graziato che immediatamente si lanciò verso le mani insanguinate di Carlisle per leccarle avidamente.

Oh, Signore. Lasciami, te ne prego” gli disse sconvolto dalla bestialità del gesto.

Aro fece un gesto, le guardie allontanarono il vampiro e in un attimo gli strapparono gli occhi.

No! Aro, perchè?” gridò Carlisle sentendosi tradito mentre la vittima portava le mani al viso.

Hai decorato l'albero e gli hai salvato la vita. Questo ti ho offerto e questo ti do, niente di più e niente di meno. E poi, Carlisle … l'albero è grande, servono più decorazioni”. E detto ciò prese le nuove palline e le appese allegramente all'abete.

Edward, che aveva descritto tutto per filo e per segno a Esme, era sconvolto tanto quanto lo era stato il padre quel terribile giorno. Esme prese le mani del marito e se le strinse al petto.

Edward cercò di confortarlo avvicinando il suo viso alla fronte del padre.

Carlisle poco alla volta ritornò presente a se stesso. “Vi prego, non fatelo”.

Esme si fece forte e chiese:“Che cosa non dovremo fare? Non dovremo consolarti?”.

“Io non lo merito. Sono stato a guardare senza fare niente … sono un mostro quanto loro”.

“Non dirlo neanche per scherzo, Carlisle. Tu non sei come loro”.

“Avrei dovuto oppormi”.

“Non potevi, papà. Ti avrebbero ucciso, lo sai anche tu”.

“E allora? Mi stai dicendo che dobbiamo farci guidare dalla paura? Che giustifichi la mia passività?”.

“Sì, papà. Io ti giustifico”.

“No, non farlo. Non lo merito. Quei poveretti gridavano, imploravano per la loro vita, chiedevano aiuto e io non ho fatto niente”.

“Come potrei accusarti quando tu hai perdonato ogni mio errore, ogni vita umana che ho portato via, ogni mia parola di disprezzo ...”.

“Tu eri giovane, avevi bisogno di una guida. Se solo fossi stato più ...”.

Edward non riusciva a credere che Carlisle si stesse dando la colpa per gli errori che lui aveva compiuto. “Ascoltami bene, Carlisle. Io ho sbagliato, non tu. Io avevo una scelta, tu non ne hai avuto. E quando l'hai avuta, hai preferito umiliarti davanti a tutti piuttosto che fare del male a qualcuno”.

La voce di Esme era un sussurro nell'aria: “Guarda le tue mani, amore. Sono pulite, e quando si sono sporcate di sangue è stato sempre nel tentativo di aiutare qualcuno”.

Carlisle singhiozzava.

“Come puoi solo pensare che il tuo passato possa distruggere la nostra famiglia? Noi tutti ti amiamo, tu non hai compiuto nessun gesto di cui ti debba vergognare”.

“Vi ho fatto credere di non aver mai sbagliato ...”.

Edward lo interruppe. “Tutti noi sappiamo che hai vissuto con i Volturi, e conosciamo il loro stile di vita. Possiamo immaginare che sia stato costretto ad assistere a tanto orrore ma mai e poi mai riusciremo a vederti complice di un gesto tanto brutale”.

“Amore mio, è per questo che ogni anno soffri tanto a Natale. Perchè non ti sei confidato prima?”.

Carlisle cercò di ricomporsi, ma ogni volta che sollevava il viso l'odore dell'abete al piano di sotto irrompeva violentemente nelle sue narici sensibili facendogli ingoiare aria inutile. Facendo molta attenzione a non respirare, rispose: “Ai ragazzi piace decorare l'albero, sono così felici a Natale”.

Edward tentò nuovamente di sollevare il padre e questa volta Carlisle lo assecondò, poi lo lasciò tra le braccia dolci ma sicure di Esme e raggiunse il soggiorno dove, senza chiedere il consenso di nessuno, tolse l'abete dal vaso e lo portò via.

Non c'era bisogno di andare lontano, sarebbe bastato lasciarlo abbandonato a qualche centinaio di metri da casa, nel bel mezzo del bosco. Con la sua velocità in un minuto appena rientrò a casa, si fece una doccia e raggiunse i genitori che nel frattempo si erano spostati in soggiorno.

Esme aveva lasciato aperte le finestre per cambiare aria e allo stesso tempo aveva acceso un bastoncino di incenso, Carlisle era seduto nel divano e fissava lo spazio vuoto che poco prima era stato riempito dall'albero. Edward gli si sedette accanto: “E' giusto così. Non ti devi sacrificare per noi, non in questo modo”.

Esme ascoltava in silenzio, sapeva che Edward e Carlisle avevano bisogno di poche parole, ma che di quelle ne avevano tanto bisogno.

“Vi amo così tanto. Ho paura di perdervi perchè mi sembra di aver costruito la mia famiglia su una bugia, sulla mia finta perfezione”.

“Ah, ah!”. Una risata si diffuse nell'aria. “Papà, non starai esagerando? Nessuno di noi ti ha mai creduto davvero perfetto!” affermò ridendo Emmett.

Edward sorrise in direzione del padre, Emmett non sarebbe mai cambiato.

“Dai, alzati vecchietto. Ci serve aiuto” lo provocò Jasper. “Non sarai mai stato un soldato, ma qualche compitino lo puoi svolgere. Tutti pronti! La truppa è rientrata”.

Esme era radiosa. “Cosa vi è successo, se foste umani penserei a un bicchierino di troppo”.

“Alice ha avuto una visione” spiegò Rosalie posando gli occhi sul padre “E abbiamo capito come risolvere la questione del rinomato broncio natalizio di Carlisle”.

Il folletto della famiglia Cullen sfilò un albero sintetico di tre metri da una lunga scatola, i fratelli l'aiutarono ad aprirlo e allargarne i rami. Poi presero delle buste e le passarono alla madre che, dopo averne controllato il contenuto, si avvicinò al marito dicendogli: “Vieni, caro. Questo è compito nostro”.

Carlisle aveva paura di ciò che avrebbe trovato, non voleva confrontarsi con delle palline, non voleva crollare davanti ai figli, voleva che fossero felici e inoltre non gli erano sfuggite le ultime parole di Rosalie.

“Dai, papà, sbrigatevi. Tu e la mamma siete troppo lenti” li apostrofò Edward.

Carlisle guardò dentro e ci trovò le luci e tantissimi festoni, delle palline neanche l'ombra.

Alice gli saltò al collo. “Ho avuto una visione e così ho comprato solo queste cose, senza palline”.

“E cosa hai visto?” chiese piano lui con timore.

“Ho visto che finalmente quest'anno sarà un Natale felice per tutti”.

Carlisle l'abbraccio con delicatezza.

Poi fu un turbine di emozioni per tutti. Le luci, tutte azzurre, furono sistemate per prime, poi fu il turno dei festoni argentati: il contrasto tra i due colori era bellissimo. Esme era al settimo cielo:“Semplice ma molto elegante”.

Carlisle le sorrise, le buste erano ancora piene di vari addobbi per tutto il soggiorno.

“Starete scherzando?” esclamò Emmett “Queste buste non c'erano quando siamo saliti in macchina!”.

“Mi sa che Alice aveva già fatto un po' di shopping, vero?” domandò Edward ridendo.

Il folletto sbuffò: “Non vale, a Natale non si leggono i pensieri degli altri”.

“Perciò esistono vincoli natalizi nella nostra famiglia...” disse Jasper in direzione della sua amata.

Esme intervenne: “Non dite schiocchezze, a Natale si può fare ciò che si vuole. Io ho un vago ricordo di una collana di pop-corn su un albero” sorprendendo tutti e anche se stessa.

 

Gli altri non avevano ricordi della loro vita umana, era un po' triste, l'aria si faceva pesante. Fu allora che Carlisle prese la parola: “Anche io ricordo di un Natale”.

Tutti stettero zitti, sicuri di dover ascoltare il doloroso passato del padre.

Ma la neve che violenta cadde sulla cima della montagna non trovò nessuno lassù, e la valanga che poche ore prima era scivolata ai lati del monte non aveva fatto vittime. Tutta la famiglia era a valle, anche Carlisle, là dove la neve non ha fretta di cadere e leggera si deposita sui cuori di coloro che vi abitano.

“Era il Natale del 1911, quell'anno avevo curato la gamba a una ragazza che era caduta da un albero e mi ritrovai a pregare con tutto me stesso che ricevesse i regali desiderati”.

Emmett cercò di trattenersi, tutti sapevano che Carlisle stava parlando di Esme, Edward lesse i pensieri di Alice che stava avendo una visione e cominciò a ridere in anticipo con la sorella che scuoteva la testa,  Jasper sentì nell'aria che qualcosa stava per accadere.

Emmett non ce la fece e sputò fuori d'un botto: “Ma come sei sdolcinato!”. La gomitata che ricevette nello stomaco da parte di Rose lo fece tossire e fece ridere tutti gli altri.

“Sei sempre il solito!” rilanciò Alice.

“Dai, non mi difende nessuno?” chiese Emmett in direzione dei fratelli che continuavano a ridere.

Esme si accostò a Carlisle, che finalmente sorrideva, e abbracciandolo gli disse: “Ho ricevuto tutto ciò che ho desiderato, ma solo diversi anni dopo”.

Carlisle ricambiò l'abbraccio e guardò l'albero decorato con luci, festoni, amore e gioia e per la prima volta dopo tanto tempo sentì che il Natale era bello anche per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima classificata  al Contest "LUCI ED OMBRE DI NATALE" indetto da perrypotter e Capriccio Biondo (che ringrazio per la velocità con la quale hanno corretto le storie e postato i risultati)

LA’, DOVE LA NEVE NON HA FRETTA DI CADERE (Alida) 58, 10 punti 
• Lessico e grammatica 9,75 
• Stile 9,25 
• Originalità 9,85 
• Caratterizzazione dei personaggi 10 
• Sviluppo della trama 10 
• Gradimento personale 9,25 

Il personaggio di Carlisle è sempre stato paradossalmente ai margini della storia, pur essendo il capostipite dei vampiri “vegetariani”. Questo episodio, in cui al suo personaggio viene data giusta luce, è un esempio di quanta sofferenza possa esserci stata in un animo così gentile in mezzo alla crudeltà inaudita della corte dei Volturi. La trama è stata ben sviluppata, evidenziando l’aspetto di festa, gioioso e luminoso, che dovrebbe avere il Natale, e l’altra sua faccia, l’ombra, l’angoscia che in questo racconto porta a Carlisle. Lo stile è fluido, la struttura è corretta e il personaggio caratterizzato in modo quasi impeccabile. Personalmente mi è piaciuto davvero tanto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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