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Autore: AriiiC_    04/01/2013    10 recensioni
Finnick Odair aveva quattordici anni, un bel visetto e tanta paura.
Voleva solo tornare nel suo Distretto Quattro sano e salvo.
Non uccidere.
Finnick avrebbe voluto solo un altro giorno per giocare con Tess nella grande villa sul mare degli Odair. Avrebbe speso un po' del tempo per un'ultima nuotata o una notte sulla spiaggia. Avrebbe costruito una rete e portato a casa la cena come faceva di solito. Avrebbe solo voluto che uno di quegli armadi in prima fila gridasse "Mi offro volontario!", come ogni anno. Ma nessuno lo fece, e Finnick rimase in piedi su quel palco, calcolando quante probabilità avesse di tornare.
Poi, Finnick pianse.
Perchè Finnick era solo un bambino che aveva paura.
[Dal secondo capitolo]
Finnick non aveva scampo, non più.
Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
Finnick li voleva condannare.
Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Chapter ten:
 Pterodactyl.

 
 
 
 














Passarono pochi minuti – giusto il tempo per rincorrersi un po’ – e Junior si alzò. Il suo primo sbadiglio fece svegliare anche Marilyn, che imprecò sostenendo che “era troppo presto”. Certo, non era tardi, ma in arena non è mai troppo presto. Finnick e Kae erano stesi nel Corno d’Oro, mano nella mano, sorridenti come mai erano stati negli ultimi tre giorni e mezzo.
 « Dove sono gli idioti che dovrebbero fare la guardia? » chiese Alliyah, stiracchiandosi vistosamente dopo che una gomitata della bionda l’aveva svegliata.
 « Potrei chiederti la stessa cosa… » le fece eco il Rosso, una luce sadica negli occhi neri.
 La piccola albina ebbe un lieve fremito, il tempo di un attimo. Abbastanza, però, perché il Figlio del Mare lo percepisse. Le fece segno con un dito sulla bocca di fare silenzio. Poi fece capolino fuori dalla Bocca della Cornucopia, guardando beffardo i tre favoriti vicino alle scorte. Quando fischiò, e i loro occhi si rivolsero verso di lui, le loro espressioni erano un qualcosa di impagabile; avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle immortalare per sempre e riguardarle ogni volta che ne avesse avuto voglia.
 « Siamo qui. – annunciò poi. – Abbiamo pensato che si vedesse meglio se arrivava qualcuno, dall’alto. » La ragazza si tirò su senza essere chiamata in causa, ma sapeva ch’era il suo momento – se lo sentiva, in un certo senso. Finnick le sorrise, intervallando di nuovo le dita alle sue. Il contatto lo fece rabbrividire un po’, dalle dita dei piedi fino alle radici dei capelli. Non gli capitava spesso – anzi, era la prima volta che si sentiva in quel modo – ma era una delle sensazioni più belle che avesse mai sentito.
 « Junior, qualcosa non va? » domandò Kae, con quella sua voce naturalmente dolce, ora diventata odiosa e sarcastica.
 Finnick capì perché le voleva bene: era per quella sua capacità di avere ciò che voleva, quando lo voleva e come lo voleva.
 « Niente di che, Kae cara. – rispose, palesemente seccato. – Solo che penso ci servirà qualche provvista, dato che la ragazza qui accanto ha intenzione di finirle… » indicò poi Alliyah che, sentendosi chiamata in causa, smise di strafogare l’ultimo pacchetto di carne essiccata, per guardarli in modo innocente con la faccia ancora sporca e le mani ancora piene.
 « Allora a caccia! » esclamò l’albina. Il quattordicenne fece un paio di acrobazie per uscire dalla bocca del Corno. Scivolò una volta o due, rischiando di slogarsi una caviglia o un ginocchio. Quando arrivò alle pendici  della luccicante scultura, porse la mano alla sedicenne, che la accolse con un sorriso e scese accanto a lui. Ci fu un secondo di esitazione in cui – Finnick ci avrebbe giurato – tutti gli occhi lì intorno erano fissi su di loro. Poi la ragazza si sporse in avanti e lo baciò. Non fu come il primo, delicato e disperato: fu semplicemente un leggero e lieve contatto tra le loro labbra, che portò le guance di lui ad arrossire. Non voleva lo sapessero. Per lo meno, non esattamente in quel modo.
 Soprattutto a causa del violento e ben assestato pugno sulla mascella che gli arrivò poi. La velocità del diciottenne lo aveva sconvolto. Ma, in fondo, che si sarebbe mai dovuto aspettare da uno che ha preso 11 alle Sessioni Private? Sentì un sapore dolciastro, e si chiese se fosse un residuo di cibo mai mangiato o il sapore del suo stesso sangue. Le gambe cedettero e finì a terra, il viso rivolto verso il cielo. O meglio, verso il volto di Junior che lo sovrastava, pronto a colpirlo di nuovo.
 E ancora.
 E ancora.
 Se solo Kae non si fosse messa in mezzo e non lo avesse fermato. « Secondo me è meglio se iniziamo ad andare, non pensi, Jun? » disse, tenendolo per un braccio e allontanandolo dal ragazzo ancora sul prato. Gli alberi non c’erano più da quando Zeph li aveva bruciati, prima di morire, perciò erano una preda facile, per di più in bella vista. Lasciò il Favorito attraversare il canale da solo per tornare indietro a prendere una spada e una lancia e lanciando un’occhiata rapida al quattordicenne – sotto lo sguardo vigile del compagno.
 Quando erano ormai lontani, Marilyn si accovacciò accanto a Finnick e gli parlò. « Come ti senti? – chiese. – Anche i miei fratelli a volte si sentivano così quando mio padre li picchiava. Posso passarti qualcosa. » concluse poi, alludendo all’unico tubetto di pomata che avevano trovato il primo giorno.
 « Andiamo, ce la può fare. Non lo vedi che è tutto muscoli? » sbraitò Alliyah. Non ne era sicuro, ma avrebbe potuto giurare di aver sentito una punta di gelosia nella sua voce.
 « Sto bene. – la rassicurò, vedendo nei suoi occhi che era sinceramente preoccupata. – Ora mi alzo e andiamo a caccia. »
 Si iniziò a tirare su piano, facendo leva sui gomiti. Non ci volle molto a mettersi seduto, ma si accorse che la faccia gli faceva molto più male di quanto pensasse. Si sentiva stordito, come se tutto fosse ovattato. Quando portò le dita a sfiorare la fonte del dolore, si accorse – con suo grande orrore  – che aveva già iniziato a gonfiarsi.
 « Spero per te che la tua amica riesca a calmarlo. – disse la sua compagna di Distretto, tendendogli la mano. Lui vi si aggrappò saldamente, facendo leva su di lei per alzarsi sulle gambe. Le ginocchia parvero cedere, ma la spalla di Alliyah lo sorresse bene senza fargli sbattere il setto nasale sul prato. – Altrimenti, – aggiunse – è la volta buona che se ne frega della tua utilità e t’ammazza. » I suoi occhi azzurri erano spalancati, ma continuavano ad essere piccoli e per niente femminei. Eppure avevano dentro una luce di solidarietà mista a pena. Era vero: Caden era suo fratello, il suo mentore. Si sarebbe tagliato la gola piuttosto che lasciare morire la sua adorata sorellina minore.
 « Ce la farà, ce la farà. » rispose provando a scansarsi da lei per un paio di passi, con l’unico e solo risultato di doversi aggrappare alla sua clavicola ancora più saldamente, per non cadere.
 « Però, deve essere stato bello forte se t’ha intaccato addirittura uno dei nervi che va al cervello! » rise Marilyn, apparentemente inconsapevole che non c’è nessun nervo che controlli le gambe nella mascella e che tutti i nervi portano al cervello. Non seppe bene come, si ritrovò con una ragazza a desta e una a sinistra, una armata di lancia e una di arco, mentre lui era completamente disarmato. Attraversare lo stretto canale non fu molto facile, contando che il ragazzo aveva ancora i muscoli indolenziti. Uscendo dall’acqua con la tuta attaccata alla pelle più di quanto non fosse già normalmente, si guardò intorno davvero dopo la morte di Calypso: quel salice che la notte prima era parso semplicemente un albero come un altro, ora era l’unica pianta alta nell’arco di centinaia di metri, o forse anche kilometri. C’era ancora il piccolo rivolo di sangue che il cuoricino della dodicenne aveva lasciato scappare a macchiare l’erba. Non sapeva se la causa di quello che avvenne fosse la sua morte ancora fresca nella sua memoria – sicuramente il fatto che fosse una sua vittima influiva più di quanto avrebbe dovuto –, ma sentì un senso di nausea invaderlo e un’acidità innaturale in fondo alla gola. Rivedeva il suo corpicino steso a terra, inerme, già rassegnato mentre cercava negli occhi di Finnick un po’ di speranza. Speranza che lui gli aveva dato. E solo ora si accorgeva di quanto schifo davvero si facesse. Avrebbe potuto semplicemente colpirla, senza parlarle. E invece era come se fosse ancora in piedi, lì, con il buco della lama in mezzo al petto. Le sue labbra si muovevano in modo impercettibile, in modo che solo il Figlio del Mare percepisse le sue parole: « Conoscevi il mio nome. Allora, perché m’hai uccisa? »
 « Odair, sei davvero sicuro di riuscire a camminare? » domandò un’altra volta Alliyah, forse preoccupata, forse seccata perché – in quel preciso momento – il ragazzino risultava un peso morto alle ragazze che dovevano procurare del cibo.
 « Senti, non dipendo da te. Se cado, comunque, sarò io a farmi male. » rispose in malo modo, allontanandosi.
 « Appunto: – s’intromise la ragazza del Distretto 2, forse allegra, forse sarcastica. – ci servi tutto intero. »
 Finnick pensò che il rapporto tra quelle due fosse proprio strano: alle volte sembravano amiche per la pelle, di quelle che si conoscono in Accademia e fanno di tutto per vincere i giochi in anni consecutivi, sposarsi altri vincitori e costruire una vita come la loro per i loro figli. Altre, invece, parevano solo degli animali pronti a scannarsi da un secondo all’altro, senza pensare troppo al resto del mondo.
 Un silenzio imbarazzante calò, mentre si muovevano cauti alla ricerca di qualche animale o di un tributo da uccidere. Il naso della Compagna di Finnick continuava a muoversi su e giù come quelli dei segugi quando seguono una pista olfattiva. La sua “amica”, invece, sembrava tranquilla, e semplicemente osservava il cielo. Non erano carichi di lame, ma erano al sicuro – anche senza contare che giravano comunque intorno alla Cornucopia, quindi avrebbero potuto lanciarsi in acqua e raggiungere le scorte.
 Il Figlio del Mare ricordava: il sorriso di Tess, il viso stravolto di Laut, la rabbia negli occhi di Christopher prima che lo colpisse. Il mare, che cullava la barca. Il sole che batteva sul suo viso mentre la rete era in acqua. Uno spruzzo fresco a bagnargli il collo e farlo rabbrividire.
 « Che rumore è? » chiede una delle due – il ragazzo non controllò quale. I suoi occhi scrutarono il cielo cristallino, senza capire di cosa stesse parlando. Aguzzò le orecchie, cercando il suono incriminato. Tutto si fermò. La calma divenne un qualcosa di quasi ultraterreno, anche innaturale. Era come nei film, quando sta per succedere qualcosa di sconvolgente e di spaventoso.
 Infatti, accadde: dall’alto crollò ai loro piedi un corpo. Nel momento stesso in cui toccò terra, rimbombò il colpo di cannone. Il viso era quello di una tributa adulta, forse diciottenne, dai biondi capelli legati. Le orbite spalancate, insanguinate ma prive di occhi fecero rabbrividire i tre ragazzi. La calzamaglia scura era strappata in diversi punti, lungo tutto il corpo. Le mancavano diverse dita, e – cosa peggiore – aveva un buco all’altezza del petto, dove mancava il cuore. Si capiva dalle vene che ancora fuoriuscivano, senza che niente pompasse il sangue al loro interno. Le gambe e le braccia erano in posizione innaturale, tanto che parecchie formavano angoli ottusi o erano proprio al contrario. Parecchie ossa dovevano essersi rotte a causa dell’impatto.
 « Porca troia, la sua testa è… » fu la voce di Alliyah a parlare. Il ragazzo pensava si riferisse alla mancanza di bulbi oculari. Dovette passare un paio di minuti ad osservare attentamente quello scempio per capire: il posto dove ci sarebbe dovuto essere il seno era piatto, anzi mostrava due scapole sporgenti il doppio del normale. Si chiese come avesse fatto a non accorgersi di quel particolare prima, ma c’erano fin troppe cose di cui non avrebbe voluto accorgersi. Una in più, una in meno. Il capo era completamente girato sul collo. Diverse chiazze rosse macchiavano la chioma chiara. La sua bocca era distrutta, prima di lingua, ma spalancata come a voler avvertire qualcuno che non avrebbe mai conosciuto.
 Giusto il tempo di chiedersi chi avesse fatto quello scempio, e il colpevole si fece vedere: planò rapido su di loro, provando a graffiarli. I riflessi dei ragazzi si mostrarono più pronti del previsto, così che crollassero a terra più o meno illesi.
 Il predatore tornò all’attacco, e solo ora Finnick lo vide bene: corpo più grande di quello di un leone, grosse ali palmate, pelle squamata di un verde che ricordava vagamente il vomito. Aveva le zampe come quelle delle papere, ma con artigli più affilati di quelli delle aquile. Il cranio era grosso come una palla da bowling, con piccoli occhi neri e un lungo becco – più che becco: muso, ma simile a quelli dei delfini – foderato di denti appuntiti che fecero rizzare i capelli in capo al ragazzo. Gli ricordava un’immagine che aveva visto nei libri di storia, un qualcosa di antico e non certo positivo. Le loro iridi si scontrarono, prima che la bestia emettesse uno strano suono e iniziasse a volare in cerchio, prima di planare. Non sapeva perché ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
 Solo quando Marilyn lo tirò su, lui distolse lo sguardo e iniziò a correre.
 Aveva un unico pensiero in testa ma, quando provò a domandare, le parole gli morirono sulle labbra.
 Cosa diamine ci faceva uno pterodattilo nell’arena?





























 Adolf's corner.

 Oh, mio Dio! Non ci credo, ma ce l'ho fatta!
 Lol, che arena faiga :3
 Comunque, temo che il prossimo non arriverà prima del 20 gennaio.
 So che è molto, ma a causa della scuola non scriverò molto. Inoltre è un momento importante e voglio che venga reso al meglio.
 Cioè, stop. Non so che altro dire.
 Vi amo tutti♥
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥
  
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