#2. Het&Slash
Vorrei iniziare la mia storia in modo figo, in
un modo che gli annali ricorderanno per la dovizia di particolari, per il
pathos del momento, per l’originalità della scena.
Invece, devo semplicemente dirvi questo: sono
Greta Scacchi e sto per morire. Non che la mia sia una tragica vita o
quant’altro, temo che ci sia persino del comico in quello che potrei
raccontarvi, o forse semplicemente della pazzia. Ma tendo ad allontanare l’idea
di pazzia perché poi mia madre, munita di mestolo, mi porterebbe in un
manicomio — e credo che stia cercando di farlo più o meno
da quando a cinque anni le ho buttato il set di coltelli nel water.
Sono una ragazza totalmente anonima. La gente
di me nota i capelli e solo perché sono rossi, così rossi che Ron Weasley mi fa
un baffo: è ingiusto che non mi abbiano scelto per interpretare Ginny, anche se
devo ammettere che forse poi avrei depistato tutti per scappare con Draco
Malfoy.
La seconda cosa che si nota di me, e questo mi
fa un poco arrabbiare, sono i miei
baffetti. Insomma sì, me li strappo settimanalmente, ma questo non vuol dire
che siano in lenta ricrescita. Solo che rispetto alle mie compagne di classe
non li strappo ogni giorno con una pinzetta, ma aspetto il momento in cui
strappandomeli sia sicura che non rimarranno residui. Ossia quando hanno
raggiunto una lunghezza tale che nemmeno quelli sulle gambe durante gli inverni
freddi, per proteggermi dal gelo di Milano.
Terzo e ultimo motivo, ma non per questo meno
importante, anzi, è mio fratello. Ivan. Un decerebrato mammifero di
ottanta chilogrammi che ha deciso di soffocarmi in questa mattinata, quella che
segna l’inizio della seconda settimana della mia quinta superiore.
È entrato a passo di musica brasiliana muovendo
il bacino — sospetto che lui e mamma il venerdì sera
seguano un corso di Latino Americano, ma dimentico sempre di indagare — e rigorosamente in mutande. Pare che lui nel suo
cervello abbia una sola regola: mostrare il proprio corpo perfetto a tutti,
persino alla povera sorella, che sarei io. Avrei di certo preferito un gatto,
ma mamma e papà prima di me hanno scelto un altro essere umano, e mi domanderò
sempre perché. Insomma sì, è bello, e questo il motivo per cui la gente mi
nota: quelle rare volte in cui si presenta fuori da scuola, persino la ragazza
più improbabile mi rivolge la parola, al che io mi premuro di scappare in un
altro continente.
So come finiscono queste cose.
Ivan punta, Ivan cattura, Ivan libera, Greta
deve sorbirsi l’ennesima fidanzata scaricata in cerca di una motivazione.
Ebbene, se Ivan è un allenatore di Pokemon, di
certo io non sono la loro psicologa. Ho sempre preferito i Digimon.
«Hulk, papà dice cinque minuti e solo cinque
vedrai»,
canta saltando a ritmo di una musica solo nella sua testa, deformandomi la
schiena. So già che qualche vertebra abbandonerà per sempre le righe, fuggendo
nell’intestino. Lo so, Ivan una volta mi ha persino rotto il piede, ma non
voglio parlarne. Mi sono sfogata facendogli cadere il gesso sull’alluce.
«E AD UNA SBERLA TU NON SFUGGIRAI!»
Lo so che è infantile, ma non so come, riesco a
buttare il suo regal sedere sul pavimento e Ivan mi guarda con un sorriso
sghembo.
«Il tuo culo da balena pesa più di me, ora?»
Beh, perché non provarlo?
Mentre mia madre brandisce il mestolo ai piedi
delle scale e mi urla dolcemente di muovere le chiappe, le suddette stanno
sopra la faccia di Ivan, mentre lui cerca di morderle.
Un raro esempio di unione famigliare, il
nostro, e quando mi alzo per scappare in bagno lui si mette in ginocchio.
«Sei bellissimaaaaa!»
roteo gli occhi, mentre il freddo del pavimento mi gela i piedi nudi, e forse
dovrei prendere in seria considerazione l’idea di dormire con i calzini d’ora
in avanti.
Ivan continua, ignorando i miei brividi: «Accecato
d‘amore mi stavo a mastur» ma mamma blocca la sua creatività sul nascere,
urlando una minaccia che nemmeno lui sembra gradire.
Ad uno sguardo, corriamo verso il bagno e il
mio sedere riesce a farlo sbattere contro lo stipite.
Afferro spazzolino e spazzola, cercando di
lavarmi i denti e pettinare i capelli, con la seria intenzione di non invertire
le cose come il venerdì precedente.
Ivan entra in bagno e io mi sto chiedendo
perché la mia pelle sia così pallida. Lui ha un fisico mozzafiato — non il mio —
e noto come si guarda allo specchio, cerca persino nei miei occhi
l’approvazione, ma l’unica cosa che faccio è sputare il dentifricio nel
lavandino.
A buon intenditor poche parole, dicevano, e
Ivan sorride.
«Folgorata?»
«Magari, così non dovrei più guardarti!»
«Tu mi ferisci».
«Spero mortalmente», e me ne vado sculettando,
sentendolo ridere. Cosa che non concepisco visto che io ero totalmente seria.
Nelle fan fiction l’incesto può essere una cosa
interessante e assolutamente erotica, soprattutto se si parla di gemelli, ma
nel mondo reale l’idea della lingua di Ivan ficcata nella mia gola mi disgusta
in un tal modo che penso sia la causa per cui i miei adorati pantaloncini non
si chiudono.
Stringo le natiche, sollevo il sedere e ritiro
la pancia: una tartaruga sarebbe fiera di me.
L’asola ed il bottone concupiscono in quel
momento, roba che una lezione di anatomia potrebbe ruotare attorno a questa
magistrale metafora, quando il clacson suona e io ribalto completamente dal
materasso.
Prendo le prime scarpe che trovo — orrore, noto poi! —
e infilo una maglietta di un giallo senape che farà rizzare i capelli di Bianca
quando la vedrà.
Rischio di uccidermi, credo che l’oroscopo
abbia cercato di avvisarmi, ma la sera quando lo danno io mi sto strafogando e
tiro i calci a Ivan, e saltando gli ultimi cinque gradini atterro contro lo
spigolo del tavolo in corridoio, impreco, mamma mi colpisce con il mestole e io
afferro una sacca a terra.
«Ciaomammaoggitornotardinononhoverificheciao!»
Papà mi guarda entrare in macchina con i
capelli arruffati e le guance rosse, mentre il sedile di pelle mi brucia le
cosce nude. Pessima idea quella dei pantaloncini, avrei dovuto saperlo,
maledizione a tutti.
«Siamo in ritardo», fa notare con aria
distaccata, con il solito arricciamento del naso.
È un professore di Diritto e Economia, quindi
per me una persone del tutto detestabile. Tendo completamente ad evitarlo su
qualsiasi contesto scolastico, dai bagni alla palestra.
Imitai il suo arricciamento.
«Hai una rientranza sul paraurti».
Ora le sue sopracciglia sono così in alto che
probabilmente chiunque le avrebbe potute considerare come un’attaccatura
particolare ai capelli.
«La legge è dalla mia parte»,
dice ingranando la marcia, mentre mi accomodo.
Non c’è musica, papà parla del telegiornale e
io penso che quello sarà un lungo ed estenuante anno scolastico.
L’ultimo.
*
In pratica la mattina al cancello di entrata ci
sono essenzialmente due schiere di studenti: i pomiciatori incalliti, di cui
fanno parte Leonardo e la sua ragazza, opportunamente appiccicati ad un muro
sudicio che potrebbe contagiarli di una qualche malattia di cui no, non voglio
sapere nulla, e dall’altra i deficienti, che non si sa come riescono ad essere
arzilli persino alle otto del mattino e con la faccia già pronta ad essere
riempita di sberle.
Inciampo quasi in una lattina per salutare
Giulia, una mia compagna e quindi, imprecando, le mollo un calcio. Alla
lattina, non a Giulia, e colpisco in pieno lo stinco di Cristian.
Ecco. Lui fa parte della massa di deficienti, e
mentre interrompe il suo ballo della scimmia, si volta con un sorriso
smagliante a guardarmi.
Dio, che ansia.
«Scacco matto, Scacchi»,
allude ammiccante, venendomi incontro con già indosso i pantaloncini per
Educazione Fisica.
Ha i riccioli scompigliati ed il naso rosso,
metà delle ragazzine lì attorno lo guardano ridacchiando, e io mi chiedo perché
certa gente non esista solo nelle fan fiction. Andiamo, è Cristian! Quello che
è riuscito a consegnare in bianco un tema di Italiano perché “è contro la mia
etica morale parlare della fame del mondo”. Per forza, la sua etica morale
spaziava dalle proprie mutande a quelle delle ragazze. Probabilmente nella
nostra classe aveva sfilato più mutandine lui di Chuck Bass.
«Le pensi di notte queste battute?»
Il suo sorriso si amplifica, ho bisogno di un
paio di occhiali da sole, non lo sopporto. Forse con un pugno potrei rompergli
qualche dente e spezzare la sua fama. Non che lo odi, per carità, siamo in
classe insieme dal primo anno dell’asilo, ma pare quasi che questo lo porti a
prendere una certa confidenza non richiesta con me. E il mio sedere.
«Ogni tanto ti penso la notte, sì, se sai cosa
intendo».
Ammicca di nuovo e io, se fossi una ragazza
degna del ruolo di ‘protagonista’, dovrei arrossire e fingermi indignata.
Davvero, dovrei, ma sto ridendo.
«Imbecille».
«Anche io sono pazzo di te, baby».
E scappo, prima che possa anche solo pensare di
toccarmi il sedere nuovamente: una volta nella vita basta e avanza.
La palestra è deserta. Okay, effettivamente è
così piccola che solamente un’aula può fare lezione lì dentro, quindi è
praticamente impossibile non notare una cascata di capelli biondi, una
gonnellina a fiori e le gambe più bianche che chiunque possa avere.
«Prì?»
Lei mi fa cenno di tacere con la mano, senza
nemmeno guardarmi. Inarco un sopracciglio, curiosa, e mi allungo sopra la sua
spalla per vedere Simone e Matteo parlare animatamente nell’atrio della
palestra.
Singhiozzo. «Non slashare».
«Sta zitta, filo-het traditrice!»
C’è da dire una cosa su di lei: è la mia
migliore amica, ma è fuori come un balcone. La prima volta che sono entrata in
camera sua mi ha fatto capire che per lei, al mondo, non esiste altro che lo
slash — o yaoi, che dir si voglia. Credo di non aver
mai visto tanti poster come nella sua stanza, né tante fan fiction sulla sua
pagina EFP con avvertimenti ‘slash e yaoi’.
Il punto è che sarebbe persino una persona
normale se non fosse che è un tantino fissata: credo che nella sua agenda
personale abbia stilato una serie di coppie sui nostri compagni di classe,
completamente slash, e che ora una delle sue coppie preferite si stia
realizzando sotto i nostri stessi occhi.
«Simone gli ha sfiorato un braccio, non pensi
che sia ora di smetterla di nascondere la sua omosessualità?»
domanda seccata come non mai, arricciando il naso. La sua frase suona molto
come ‘Io ti ho mai rotto le scatole quando Soul e Maka si sono presi per mano?
No’.
Lei sta cercando di corrompermi per passare
definitivamente al lato oscuro della fede. Non che ci riesca, credo ancora che
i personaggi maschili di qualsiasi shounen abbiano bisogno di una patata in cui
sfogare la propria frustrazione, ma Priscilla non è né sarà mai d’accordo con
me.
«Noi nasconderemmo la sua omosessualità? Semmai
è lui, visto che si è mangiato più patate di Rocco!»
dico indignata, visto che l’anno prima lui e Cristian avevano scommesso su chi
della loro classe sarebbe riuscito a portarsi a letto più ragazze, Simone aveva
vinto su tutta la linea, senza nemmeno scompigliarsi i capelli.
«E ovviamente ha capito che la carota è più
salutare», ribatte Priscilla serafica, gettando un’occhiata ai
due.
Simone stava sfiorando nuovamente il braccio di
Matteo, ma a dire la verità pareva che lo stesse quasi minacciando. Forse
Matteo gli aveva rubato la ragazza?
Mentre Priscilla squittisce con un topo, la
prima campanella suona, e io tiro un sospiro di sollievo.
«Baciatevi, baciatevi, baciateviiii!»
«Andiamo, cretina».
«Non puoi farmi questo!»
«Tu hai rovinato la scena madre»,
dice Priscilla imbufalita nei suoi calzoncini lilla e magliettina bianca. È
così carina che Cristian le passa accanto senza staccarle gli occhi di dosso,
facendo roteare i miei.
Lo colpisco alla faccia con la palla, e lui mi
guarda comunque con un sorriso. È un idiota, non c’è nulla da fare, un completo
pezzo di idiota!
«Non essere gelosa, Greta, sai che il mio cuore
e il mio pene sono tutti per te!»
«Dio ce ne scampi!» Gemo disgustata, mentre una
mano si appoggia sulla mia testa.
Gianluca mi sorride comprensivo, e io sbatto le
palpebre perplessa.
Questo sarebbe il momento che tutti stanno
aspettando.
Batticuore. Avevo bisogno del batticuore. Dove
diavolo era il batticuore? E le gambe molli? E il respiro pesante? E i peli che
si rizzavano? E gli ormoni sballati?!
Dove diavolo era tutto il mio repertorio da
ragazza innamorata? Mi sarebbero bastati anche gli occhi a cuoricino.
«Sai che non si molesta una ragazza?»
Non arrossisco nemmeno in questo caso,
maledizione.
«Greta è la mia fidanzata dall‘asilo!»
«Per carità, sarei la ragazza più cornuta della
storia!»
Gianluca ride e fingo che la pancia si sia
arrotolata per il suo sorriso, più che per la fame, mentre Cristian mette il
broncio.
«Sono solo deviazioni di percorso, mentre cerco
la ritta via per le tue mutande».
«Ciò che ho in mezzo alle gambe deve stare
lontano da qualsiasi cosa tu abbia di ritto, maniaco».
E mentre anche Priscilla ride, consigliando a
Cristian di parlarne con Simone di queste sue fissazioni sessuali, Gianluca mi
picchietta sulla spalla.
«La tua amica Bianca mi ha chiesto di riferirti
che il tuo culo in calzoncini è la fine del mondo, darling» cinguetta sul finale e io
assottiglio gli occhi, mollandogli un pugno.
Lo vedo ridere di nuovo e probabilmente
dovrebbero davvero tremarmi le gambe, ma qualcun altro mi afferra per il collo
e mi tira con sé, mentre Gianluca si gira e riceve direttamente in faccia una
palla lanciata da Cristian, ma non ho il tempo di vederlo imprecare perché
Priscilla mi guarda con gli occhi assottigliati.
E io conosco bene questo sguardo, lo fa sempre
quando faccio una cosa imperdonabile, come nascondere i biscotti mentre
riguardiamo Titanic.
«Qualsiasi altra persona non l‘avrebbe notato,
ma io sì», sibila e io deglutisco in modo tanto rumoroso che
Jennifer alza lo sguardo curiosa, per poi riportarlo alla schiena di Simone,
che sta mostrando un graffio — non voglio sapere dovuto a
cosa — a Marco.
«Gianluca e Cristian non sono gay»,
dico prima di rendermene conto e Priscilla sbatte i grandi occhioni azzurri.
Oh, probabilmente una protagonista sana e
fedele a tal ruolo dovrebbe fare un gesto simile, di tanto in tanto, in modo da
sciogliere i cuori di ogni uomo.
O forse no, in fondo non tutte sono Priscilla.
«Sai di cosa parlo e certo che non sono gay,
probabilmente sono gli unici nella nostra classe ad aver avuto un orgasmo con
una ragazza!» Squittisce indignata, lanciando una languida occhiata
a Cristian e, subito dopo, a Gianluca.
«Li stai mangiando con gli occhi».
Priscilla sbatte di nuovo le ciglia. «Ti
mostro quello che dovresti fare, visto che mi pare chiaro che tu sia
interessata a fare qualcosa con il nostro manzo».
«Simone?»
«Gianluca».
«COME CAZZO LO SAI?»
Io non sono una persona volgare. Cioè, qualche
volta, ma tendenzialmente impreco solamente quando la gente non mi può sentire.
O se lo sono, è esclusivamente con Bianca, ma perché lei è dall’imprecazione
contagiosa. C’è chi ha la risata, lei ha le bestemmie: ad ognuno la sua.
Comunque Priscilla mi fa paura. Mi aveva fatto
paura quando per caso aveva scoperto il finale della mia fan fiction, ma ora si
tratta di aver fatto gli occhi da triglia a qualcuno, senza che me ne sia
accorta. E lei invece sì.
«No, non hai fatto gli occhi da triglia».
«Stra cazzo, leggi nel pensiero?»
Priscilla rotea gli occhi, sono di un azzurro
così scuro e particolare che lo trovo ingiusto. I miei sono di un azzurro
comune, forse un po’ spento, e dire che
le rosse una volta erano considerate delle rare bellezze.
«No, ma siamo amiche da praticamente una vita e
so che hai in mente qualcosa», spiega pacatamente, incurvando le labbra in
un sorriso, «e riguarda il nostro manzo».
«Il nostro manzo non era Simone?»
«Greta», dice con aria scocciata. Sbatto le ciglia,
forse dovrei allenarmi allo specchio, potrei diventare una femme fatale.
«Ho un blocco dello scrittore e volevo provare a
cercare qualche idea».
«Basandoti sulle ex di Gianluca?»
Non era una brutta idea, ma non sarebbe stata
realistica.
«In realtà pensavo di provarci con lui».
Priscilla sta per dire qualcosa, ma una palla
colpisce me e mi manda distesa a terra, con la maglietta sollevata e le risate
dei miei compagni nelle orecchie.
Non ho bisogno di vedere il colpevole, lo
conosco già.
«DONATIIIIIIIIIIIIIII!»
Sento la risata di Cristian, prima di prendere
la palla e corrergli dietro.
«Spiegami», dice Priscilla sedendosi garbatamene sulle
gambe di Marco, che fa spallucce e continua a mangiare il proprio panino con
nonchalance, dedicando qualche occhiata all’aula piena di pazzi che copiano i
compiti di Economia.
Prima di iniziare, sollevo il mio quaderno e
Cristian l’afferra al volo, mandandomi un bacio volante e facendomi
assottigliare gli occhi.
«Non ho dimenticato la palla»,
assicuro, «me la pagherai».
Lui ammicca, storco il naso e sussurra un «Sei
un tesoro» così sincero che mi tranquillizzo.
Stupido Cristian e stupide moine fasulle.
«E spiegami anche questo»,
dice Priscilla, ma poi, sbattendo le ciglia, nega con il capo. «No,
questo è meglio che te lo spieghi io».
Sospiro. È complicato e Marco tende l’orecchio
curioso, mentre Giulia cammina come veleggiando per la classe, ingiustamente
bellissima.
«Non mi sono presa una cotta per Gianluca»,
chiarisco subito, «ma penso che potrebbe piacermi».
«Oh, tesoro tu…»
«Fammi finire», interrompo Priscilla mentre
Marco non finge più nemmeno il nulla e si volta a guardarmi, cercando di capire
dove porti tutta la storia. «Ho pensato di poter vivere una storia d‘amore
come le protagoniste delle fan fiction, ho stilato una lista di cose da fare e
cercherò di conquistarlo».
Priscilla sbatte le palpebre, Marco inarca le
sopracciglia e io sento il cuore accelerare i battiti. Non per l’emozione, ma
perché so che la mia cosiddetta migliore amica potrebbe uccidermi.
«Fammi capire», esordisce prendendo un
respiro. «Tu vuoi vivere una storia d‘amore con Gianluca perché
così poi potrai riportarla su carta?»
«Word», specifico piccata.
«Potrebbe anche essere la pietra, non è questo
il punto», guarda Marco in cerca d’aiuto, ma lui scrolla le
spalle. «Sei sicura di volerlo?»
Sospiro e sembra che non sappia fare altro,
perché no, non ne sono sicura. Non sono sicura di nulla, ma voglio scrivere
qualcosa di sentito, qualcosa che non possa deludere, qualcosa che faccia sì
che si parli di me. Anche solo per una settimana, non voglio rimanere chiusa
nel mio stupido guscio di autrice mediocre.
«Voglio provarci».
Priscilla annuisce. «Allora
ho un‘altra domanda. Anzi, due».
«Spara».
«Io fossi in te avrei scelto di scrivere di
Simone e Matteo, avrebbero sicuramente riscosso più successo»,
esordisce quasi offesa, mentre Simone poco più in là sta giusto parlando con
un’avvenente biondina che farebbe girare la faccia di qualsiasi uomo.
«Prì».
«E comunque, tu non puoi provarci con Gianluca».
«Perché, ti piace?» domando annoiata, appoggiando
la testa al banco, mentre qualcuno mi chiama e io lo ignoro completamente. Che
si prendano pure i miei compiti, io voglio morire sola nella mia mediocrità.
«Perché non piace a te».
Sbuffo. «Mi piacerà».
Marco, in quel momento, caccia una risatina divertita
e io lo guardo curiosa. È il mio migliore amico da quando avevamo tre anni, si
era addirittura picchiato con Cristian quando alle elementari mi aveva rubato
il mio primo bacio facendomi piangere.
«Non può piacerti uno come Gianluca, Greta»,
dice senza nemmeno preoccuparsi di abbassare la voce, ma nessuno ci guarda.
Sbatto nuovamente la fronte sul banco.
«E perché?»
«Perché lui piace a tutte le altre»,
spiega come se fosse ovvio.
«Appunto, non dovrebbe essere così difficile,
allora».
Priscilla allarga le braccia, mentre Marco
appoggia il mento sul mio banco, a pochi centimetri da me.
No, prima che ve lo domandiate, il mio cuore è
rimasto perfettamente immobile. O meglio, ha un battito del tutto regolare. Non
mi innamorerò del mio migliore amico come il più scadente dei cliché.
«Tu non sei come tutte le altre»,
dice con un sorriso, dandomi un buffetto sulla punta del naso.
Nemmeno questa volta sussulto. Forse è un
problema personale, forse non sono portata per amare qualcuno.
«E questo che vorrebbe dire? Nemmeno le altre
sono uguali tra loro!»
Priscilla ora ridacchia e, prima che la campana
suoni, mi scompiglia i capelli.
Credo di star arrossendo dalla rabbia, ma non è
un bello spettacolo visto il colore dei miei capelli.
«Essendo una scrittrice dovresti capirlo da sola
quello che Marco cerca di dirti», continua pacata. «L‘amore
non si comanda, viene da sé».
Non trovo nulla da ribattere, perché ogni
singola fan fiction non ha mai ignorato quella regola ferrea. È un po’ come ‘l’amore
arriva quando meno te l’aspetti’, il problema è che io non ho tutto questo
tempo.
Voglio provarci, a costo di sembrare una
cretina.
«Un po‘ com’ è successo tra Simone e Matteo»,
continua imperterrita Priscilla, prima di guardarmi. «E
poi a te piace un altro».
Sono io a roteare gli occhi, ora.
«E chi, Marco?»
«Non sarò di certo io a dirtelo».
Odio tutti. Come ficwriter ho il diritto di
possedere sviluppati istinti omicidi. Anche verso le migliori amiche con il
battito di ciglia che fa tremolare le proprie credenze sessuali.
«Senti», esordisce poco dopo, «non
è che io devo trasformarmi nell‘amica rivale, vero? Perché a me non piace
proprio il tuo amore».
«Gianluca?»
Eccolo, solito battito di ciglia. «Sei
dura, allora».
Anche Marco ride.
N/a: sono passata alla prima persona per la
narrazione per puro capriccio personale. In realtà credo che così la
protagonista si capisca di più, anche se i suoi pensieri non sono esattamente
molto coerenti. (L)
Qui sono stati introdotti praticamente i
personaggi principali, eccetto un paio che arriveranno solo nei prossimi
capitoli - se mai ce ne saranno, conoscendomi.
Spero che abbiate apprezzato, grazie a tutti. Vi lascio con Greta. (_ _)