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Autore: ItsNaike    04/01/2013    1 recensioni
Martedì. Avrebbe potuto essere una giornata qualunque, magari un po’ uggiosa, nebbiosa, ma normale. Ma Antonio Rossi non arrivò mai al marciapiede in fondo alla strada.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Martedì. Avrebbe potuto essere una giornata qualunque, magari un po’ uggiosa, nebbiosa, ma normale. Con questo proposito Antonio Rossi scese le scale del suo condominio, con la cartella sotto braccio e una macchiolina di caffelatte sul colletto della camicia. Avrebbe attaccato il suo turno di lavoro alle otto e trenta. Uscì, richiuse diligentemente il portone, poi si diresse verso le strisce pedonali. Ma Antonio Rossi non arrivò mai alla fine del marciapiede. A dirla tutta non si rese ben conto di quello che accadde, ebbe soltanto l’oscura percezione di un oggetto che planava dall’alto, forse da qualche balcone. Poi un sonoro crash, un dolore secco e il buio. Il buio. Ma non durò. Dopo una manciata di secondi, minuti, o forse giorni, il signor Rossi aprì di nuovo gli occhi.
Era in un luogo che somigliava stranamente alla sala d’attesa del suo dentista, bianco, lindo, con una tappezzeria banale e alcune riviste ammonticchiate negli anfratti. Era anche piuttosto affollato, e il frastuono gli premeva violentemente sulle orecchie. Fece per tapparsele e si accorse di essere coperto di terriccio umido. Tra i capelli brizzolati, poi, qualche geranio ammaccato.
   - Abbiamo un nuovo arrivato, Rossi Antonio. Aspetti il suo turno, prego. – disse la voce pratica e metallica di una segretaria vestita di bianco. Gli consegnò in mano un numeretto su carta, poi si allontanò.
   - Che cosa gli è successo? Lite domestica? – domandò un impiegato in bianco, anche lui, timbrando delle scartoffie.
   - No, un vaso in testa dal quinto piano. Commozione cerebrale. Non deve aver sofferto un gran che, – rispose la segretaria. Il signor Rossi ebbe un sussulto.
   - L’avrei detto un tipo da mattarello.
   - No, quelli da mattarello sono tutta un’altra cosa.
   - Un momento, vorreste dire che io, che io sono… - si intromise, rincorrendo e strattonando l’impiegata.
   - Che lei non è affatto, signor Rossi. Se ne faccia una ragione, tanto indietro non si può tornare. – spiegò lei seccamente. Antonio Rossi rifletté. I maledettissimi gerani della signora Pulci. In vita gli erano sempre piaciuti, ora sentì di amarli molto meno.
   - E’ fortunato, non ha da attendere molto. Oggi è una giornata tranquilla. La faccio ricevere subito dal direttore. Rossi la seguì diligentemente nella stanza attigua, sulla quale brillava una targa d’oro:  Principale Supremo ed Eterno.
   - Eccole l’ultimo arrivato, direttore. – disse la segretaria, poi lo spinse dentro, sbatté la porta alle sue spalle e li lasciò soli. Dietro la scrivania, un uomo né anziano né giovane, né bianco né nero, né alto né basso, scorse rapidamente una lista di nomi.
   - Antonio Rossi, eh? – bofonchiò, - Qui ne ho a bizzeffe…
   - Ma io sono quello nato il ventitré…
   - Lo so! Per chi mi hai preso? Io sono il Supremo! Io so tutto di te. So che non sei stato un buon marito, perché tua moglie ti ha lasciato, e so che hai tre figli, Carolina, Giuseppe e Marco.
   Antonio Rossi alzò le sopracciglia e azzardò timidamente: - Io veramente sono scapolo…
   Il Supremo tentennò, ma si riprese subito: – Devo aver fatto confusione con un omonimo, siete in troppi. Non posso pensare a tutto, io! E’ già tanto che mi ricordi di accendere il Sole ogni giorno…
   - Non vorrei che mi si accollassero i peccati di un altro, tutto qui. – disse Antonio con mitezza.
   - Perché, credi di essere il migliore? Mi spiace dirlo, figlio mio, ma è un peccato di superbia! – fece l’altro, poi scorse il suo modulo e mise una X sulla crocetta corrispondente alla colpa del signor Rossi.
   - Ma pensavo solo… un errore…
   - Dubiti del Supremo? Bestemmia! -, e segnò anche un’altra crocetta, poi alzò lo sguardo e sorrise, - Ma io sono buono, e ti perdono, Antonio Rossi, numero 155364. Dopotutto sei mio figlio, uno dei tanti…
   Stracciò il foglio. Antonio Rossi avvertì un improvviso capogiro, e mentre il modulo diventava polvere nel tritacarte, anche la sua vista si annebbiava. Vide il Supremo sorridere, poi tutto sparì. 
 
 
 
Martedì. Otto del mattino. Antonio Rossi finì di preparare la sua cartella. Avrebbe attaccato al lavoro mezz’ora dopo. Era una mattina come le altre, forse un po’ uggiosa, nebbiosa, ma normale. Era ancora scosso dallo strano sogno che aveva fatto quella notte. Lo ricordava vagamente, ma c’entrava qualcosa una sala d’attesa. Due piani più in alto, al quinto, il gatto della signora Pulci si strusciava tra i gerani.
   - Vai via di lì, Pallino! Una volta o l’altra va a finire che fai cadere il vaso in testa a qualcuno!
 
 
  
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