“Nii-san?”
“…Mh?”
“…Posso
dormire con te stanotte?”
Con un
sospiro, il ragazzino di undici anni si voltò verso la porta, battendo ciglio e
scacciando via la stanchezza dagli occhi assonnati. “Sasuke, sei troppo grande per
venirmi a chiedere queste cose.” Ragionò Itachi, velo di esasperazione nella
voce altrimenti atona.
“Chee?”
uggiolò il bambino di sei anni, sgranando gli occhi e stringendo ancor più il
cuscino al petto. “Che significa troppo grande? Dai, Nii-san…” Sasuke spostò il
peso da un piede all’altro, scostando lo sguardo. “…Per favore.”
Il
fratello maggiore sbuffò, ma non sembrò cedere.
“Perché
non chiedi a nostra madre?”
“Perché
papà si arrabbierebbe e poi…”
Stavolta un sospiro, con il
quale Itachi voltò le spalle al fratello minore. L’espressione di Sasuke era
già diventata fin troppo sconsolata e rassegnata, ma ben presto si illuminò nel
vedere il fratello spingersi verso l’orlo del materasso, per fargli spazio. Un
po’ riluttante. “Muoviti, su. E non fare entrare troppa aria fredda quando
sollevi le coperte.”
Sasuke annuì, nonostante fosse
consapevole del fatto che suo fratello, in quella posizione, non lo avrebbe
affatto visto.
Sgattaiolò tra le coperte,
abbracciando il cuscino ed accoccolandosi contro la schiena di Itachi.
Un lieve fruscio, uno stormire,
ed il bambino rabbrividì.
“…Non senti, Nii-san?”
Risposta, impastata. “E’ il
vento, fuori.”
“No, non quello.” Spiegò il
bambino, arrossendo, e lieto che suo fratello non vedesse quel piccolo segnale
di imbarazzo. “… i sussurri. Non li senti?” mordicchiò il labbro, deglutendo, e
serrando gli occhi. Quasi volesse serrar via anche quelle voci, quei sibili che
a volte lo spaventavano talmente tanto da impedirgli di dormire.
“Ah, quelli sono gli spiriti,
Sasuke. Sono innocui, davvero.”
Il bambino deglutì ancora. “…
gli spiriti?” mormorò pateticamente, stringendo il cuscino. “Cioè, i fantasmi?
Tu li senti?”
“… no, non li sento più da
tanto, ormai.” Ammise il fratello, con voce tranquilla. “Sono qui ovunque, nel
Clan. E’ perché gli Uchiha vengono seppelliti all’interno della proprietà,
vicino al fiume. Rimangono qui anche dopo la morte, per vegliare sui loro
discendenti.” Una piccola pausa, durante la quale Itachi si girò sulla schiena
per guardare il soffitto. “… almeno, è quello che mi ha detto Kazumi-babaa.”
“… nonna Kazumi?”
“Si, te la ricordi? Balbettava
sempre.”
“... non proprio.”
“Eri troppo piccolo.”
“Come mai non li senti più,
Nii-san? Neanche io voglio sentirli più.” Mugolò il bambino, broncio adorabile sulla
labbra.
“E’ perché non sono più un
bambino.”
La risposta, donata in poco più
di un sussurro, lasciò Sasuke interdetto. Anche lui portò lo sguardo crucciato
sul soffitto, per un attimo rimuginando su quelle parole. “Ma certo che lo sei.
Tu non sei adulto, Nii-san.” Accusò, risentito.
“Certo che lo sono. Sono un
ninja, io. Sono diventato adulto, ormai.” Logica inoppugnabile.
“Papà è un adulto, non tu.”
Insistette il bambino, riportando l’attenzione sul fratello.
“Ho già ucciso. Non penso più
come un bambino, ormai.” Confessò distrattamente Itachi. Tuttavia, Sasuke notò
con sorpresa che aveva la fronte tanto crucciata quanto la sua. “Penso che i
fantasmi possano parlare solo con chi è ingenuo, come i bambini. La nonna
diceva che è perché i bambini hanno il cuore puro. Per questo non mi parlano
più. Forse sono arrabbiati con me, perché sono diventato un adulto troppo
presto.”
“… oh. Mi dispiace.” Mormorò il
bambino, portando lo sguardo sul cuscino. “Smetteranno di parlarmi, allora,
quando diventerò come te?”
Itachi annuì distrattamente,
rimanendo in silenzio. Sasuke sorrise fra sé e sé, un po’ rincuorato, perché
dopotutto diventare come Itachi era già stato il suo obiettivo. Aveva solo un
motivo in più per raggiungerlo, adesso.
Rassicurato, lasciò che gli occhi
si chiudessero, lentamente, catturati dall’abbraccio del sonno.
Non sentì il mormorio soffuso
del fratello, che seguì qualche minuto dopo.
“… solo che… se ne sente un po’
la nostalgia, quando se ne vanno.”
Their Will.
(on his shoulder)
E’ l’infanzia che va via con loro.
Gi spiriti della casa erano stranamente silenziosi, quella
sera.
Notandolo, il bambino sollevò lo sguardo dal foglio di
carta coperto di esercizi dell’Accademia, arricciando il naso.
Le sopracciglia scure, delineate, crucciate sulla fronte pallida.
Lasciò vagare qualche attimo lo sguardo scuro sul
soffitto, sulle travi di legno, sui muri. Sul letto sfatto, poco lontano dalla
scrivania dove sedeva. Le sue labbra di piegarono appena verso il basso, ombra
di un broncio infantile.
Non gli piacevano, i sussurri dei fantasmi.
Era stanco di sentirli.
Lo avevano spaventato troppo, da piccolo.
Troppe volte lo avevano costretto a restar sveglio tutta
la notte, finchè non trovava il coraggio di alzarsi in punta di piedi ed andare
a chiedere ad Itachi se…
… interruppe lì il pensiero, groppo in gola e rifiuto
categorico di piangere.
Si ripeté più volte che, adesso, non aveva più bisogno di
lui per dormire. Nonostante gli spiriti.
Era diventato più coraggioso.
[Gli piaceva pensarlo, davvero, nonostante si rifugiasse
ancora sotto il letto dopo quell’incubo particolarmente vivido, con
l’ingenua sicurezza che nascosto lì sotto Itachi non avrebbe mai, maimaimai
potuto trovarlo, e pregando chiunque fosse lì ad ascoltarlo – dio o chi per lui
- di salvargli la vita, perché davvero, davvero, non voleva morire lì,
affatto.]
“… siete qui?” mormorò, e la sua voce suonò troppo
rumorosa ed incerta nel silenzio della casa.
Fruscio, fuori, vicino alla finestra. Chiuse il quaderno,
promettendosi di finir più tardi i compiti di teoria, e saltò giù dalla sedia.
Naso e mento puntato all’insù. Aveva nove anni adesso, Sasuke Uchiha.
A quell’età, suo fratello era già diventato adulto. Lui, invece, era ancora un
bambino.
Per un attimo, un attimo solo, si detestò.
Poi pensò di poter rivolgere il suo odio ad un bersaglio
sicuramente più costruttivo.
Si chiese scusa con rammarico, e con indulgenza si perdonò.
Attraversando la casa vuota – ed ogni passo riecheggiava –
arrivò fino alla porta. Lì si infilò distrattamente i sandali, lasciando vagare
lo sguardo scuro fra il corridoio e l’esterno.
Su quel ventaglio degli Uchiha, incrinato, dipinto sul muro.
“Siete qui?” domandò, ancora, questa volta con un fil di
voce. Per paura che anche adesso la sua voce suonasse troppo flebile. Troppo
giovane. Troppo poco usata.
La strada deserta non rispose, solo il fruscio del vento.
L’aria di luglio era calda ed afosa, ed il vento non era altro che una brezza
troppo calda. Una goccia di sudore gli scivolò lungo la schiena, mentre
imperterrito proseguiva fra le case abbandonate, su per quell’unica strada
lungo la quale era stato costruito il Clan – lungo la quale, una volta, il Clan
aveva vissuto.
Lungo la quale, una volta, quel vento portava con sé
l’odore dei biscotti al cioccolato di zia Uruchi.
Ed i pomeriggi passati a casa degli zii, a cercar di
rubare la razione di dolci di Itachi – che, se per qualche strano motivo si
trovava ad essere di buon umore, qualche volta lo lasciava vincere. E Sasuke si
cullava nell’orgoglio di essere riuscito a superare, almeno in una cosa, il suo
Nii-san.
Era stato così ingenuo, un tempo.
Alla fine della strada, a chiuderla, c’era il Tempio di
Nakano: sacro al Clan, di cui custodiva i segreti.
Al fruscio del vento si unì il fruscio del fiume Nakano – in cui era morto
Shisui-niisan. Lo scorrere del flusso era lento e pigro, il letto del fiume
ridotto a causa della cappa di afa.
Lo sguardo di Sasuke si fermò, per un attimo, sulla
corrente. “Siete qui?”
Per un attimo, fu sicuro che avrebbe visto la sagoma
sfocata di suo padre voltare lo sguardo su di lui, poco più in là sulla
banchina in legno. Non lo vide, naturalmente.
Tuttavia, quei sussurri familiari, ancora incomprensibili,
attraversarono l’aria. Inconsistenti.
Erano lì.
Vicino al tempio.
Lo sguardo del ragazzino si posò prima sulle scalinate in
legno, poi sul piccolo ed intimo cimitero che riposava lì di fianco. Per un
attimo, si sentì in colpa. Perché era davvero tanto tempo che non andava a
trovarli, lì – così abituato e sentirli ovunque, non ne aveva trovato il motivo
– e probabilmente loro si erano offesi.
Allo stesso modo con cui si erano arrabbiati con Itachi,
si sarebbero arrabbiati anche con lui?
Si detestò, si odiò, si maledisse per questo. Solo per un
attimo.
Poi pensò di poter rivolgere il suo odio ad un bersaglio
sicuramente più costruttivo.
Si chiese scusa con rammarico, e con indulgenza si perdonò.
“Scusatemi.” Mormorò ad eco di quei pensieri, rivolto a
quei mormorii indiscreti che lo circondavano. Non riusciva a distinguere le
voci, quella sera. Dovevano essere veramente arrabbiati.
Con qualche passo incerto si portò all’interno del piccolo
memoriale, che due anni prima si era rivelato essere troppo piccolo per
accogliere nel suo abbraccio tutti i corpi esanimi degli Uchiha. No, i corpi
non riposavano lì. Solo le pietre, solo i nomi, diligenti, ed i volti associati
a quei nomi venivano forniti solo dalla memoria. Si vedeva, che non erano stati
altri Uchiha a seppellire quelli morti nel massacro.
Non era un lavoro né meticoloso né glorioso, come sicuramente un Uchiha
l’avrebbe fatto.
Ma Sasuke era stato troppo piccolo, per poterli
seppellire. Per un attimo, il ragazzino si domandò se fossero arrabbiati anche
per quello. Il sussurro divenne più gentile, ed il frusciare del vento meno
caldo e più confortevole.
“Scusatemi.” Ripeté, a quei nomi incisi nella pietra, lo
stesso tono che usava da bambino per scusarsi di aver rotto qualcosa o di aver macchiato
ancora una volta i vestiti nuovi con il ricamo del simbolo del Clan. “Non
accadrà mai più. Non vi ho dimenticati, davvero.”
Il frusciare del vento mormorò un assenso, un coro di
sussurri rassicurati.
Avrebbe voluto sorridere per loro, Sasuke, ma non ne trovò
affatto la forza.
“Perché siete ancora qui? Perché vi tormentate così?”
mormorò, più a se stesso che a loro, sfiorando appena con l’indice la
superficie levigata della pietra tombale. Mikoto Uchiha, diceva
diligente la pietra. Ma i fiori posati accanto a quella pietra erano ormai
secchi ed orridi, tristi e desolanti. Risalivano a tre mesi prima, quei fiori.
“Non mi ero dimenticato di voi.” Non era una menzogna, in
quanto era tecnicamente impossibile riuscire a dimenticare.
[Ogni tanto, quando era nascosto sotto il letto, pregava
di riuscire a farcela comunque.]
Andare al cimitero, solitamente, gli faceva venire la
nausea. Sapeva che sua madre era stata a conoscenza dell’effetto che i cimiteri
avevano su di lui, e che probabilmente Mikoto aveva rassicurato gli altri
fantasmi su questo punto.
Ma i fantasmi, si sa, tengono stretto fin troppo risentimento.
Si aggrappano al risentimento, lo assimilano, lo fomentano, e vivono grazie a
quello.
“… mi mancate.” Mormorò, stanco, il ragazzino.
Un altro mormorio, più flebile e non unisono. Per quanto
ne sentisse la mancanza, quei sussurri senza capo né coda gli facevano solo
male. Erano fantasmi del passato, ma la ferita era ancora troppo fresca.
Come quand’era piccolo, sperò che un giorno lo lasciassero in pace.
Non c’erano la mamma, il papà, la zia, la nonna, lo zio, i nonni e la cugina
Mariko con le due figliolette di tre anni, lì. C’era solo un’unica grande
entità, che aleggiava grave nell’atmosfera del Clan abbandonato.
Era la volontà del Clan, quella, la volontà uniforme delle anime di tutti gli
Uchiha che avevano dovuto abbandonare il mondo.
Dopo il massacro, era diventato tutto tremendamente
più rumoroso, lì, di notte.
“… perché siete
ancora qui?” ripeté, ancora una volta rifiutandosi categoricamente di piangere.
Non poteva, davanti a tutto il Clan. Sarebbe stata una
vergogna, un disonore. Gli Uchiha non piangono.
[Nemmeno i bambini?]
Sussurri su sussurri si accavallarono a quella domanda,
concitati, impetuosi come un fiume in piena.
Non possiamo riposare, non così…
…ragazzino, pensi che sia possibile…
…qui è così freddo, nii-chan, io e la mamma…
… non è
divertente per niente…
… so che è difficile, Sasuke…
… la mia
anima è inquieta, non posso lasciarmi tutto alle spalle, non posso…
… a cosa è arrivato, il Clan…
…sangue
che sparge il suo stesso sangue, l’apoteosi della…
… porterai avanti la nostra vendetta, Sasuke-chan …?
… per il
Clan, per questo Clan che è stato…
… per le mie figlie la cui vita è stata strappata troppo
presto, troppo…
… per mia
moglie, per lei che…
… per il bambino che portavo in grembo, ti prego…
… per
lei, Sasuke-kun,per tua madre che piange sempre, è…
… per me, Sasuke?
… per tuo
padre, un uomo così forte e…
… per noi che non meritavamo affatto di morire…
… per mio
fratello, che aveva dato la vita per il Clan…
… per Shisui-niisan, tradito a quel modo, così…
per il papà che mi portava sulle spalle e la zia che mi insegnava a suonare il flauto, e la nonna che mi dava sempre le fragole e per il figlio di Kohaku che ci regalava sempre le trottole e si arrabbiava se le usavamo come armi per lanciarcele addosso e per la zia che faceva sempre i biscotti ed erano i biscotti più buoni di tutta Konoha e per la mamma che mi ha sempre dato tutto e lo zio che mi sgridava sempre ma mi voleva bene e la nostra mamma che diceva che eravamo bravi bambini e tuo padre che era sempre burbero ma alla fine ci aiutava sempre e mi insegnava tante cose e per mio marito e mio figlio che sono morti cercando di salvarmi ti prego
… ci
vendicherai, Sasuke? Ci vendicherai, vero?
Abbiamo
troppi rimpianti, non riusciamo ad andare avanti.
Non ci
dimenticherai vero? Non ci dimenticherai, vero?
Tistavidimenticandodinoinonèvero?
N o
n è
v e r o ?
è vero
è vero
è vero!
Non puoi farlo,
non puoi, non puoi!
Non ci
dimenticare! Non ci dimenticare!
Ci vendicherai, vero?
Non ci…
Le voci di quegli spiriti, partite distinte in una miscela
di preghiere infantili e pretese anziane ed autoritarie, si unirono in un'unica
supplica, un sussurro che si levò a coprire il fruscio del fiume.
E Sasuke, ormai, non si preoccupava più di trattenere le
lacrime.
Scosse il capo, ardentemente, stringendo il pugno su quella lapide liscia e
troppo fredda.
“Non mi ero dimenticato di voi!” protestò, con poca
convinzione, ed ancora una volta si detestò per come patetica risultò la sua
voce.
Poi pensò di poter rivolgere il suo odio ad un bersaglio
sicuramente più costruttivo.
Si chiese scusa con rammarico, e con indulgenza si perdonò.
“Non vi dimenticherò.” Solo un sussurro, una promessa che
non aveva affatto bisogno di pronunciare ad alta voce.
Ma lo fece comunque.
Il frusciare del vento si calmò appena, e quasi ad imitarlo i sussurri cominciarono a tranquillizzarsi, lentamente, dissolvendosi nella brezza calda. Poteva sentire il suo stesso respiro, troppo ansioso, troppo irregolare. Strinse le labbra, perché doveva essere più forte. Più forte di così.
Più forte di questo bambino fottutamente patetico che
detestava con tutto il cuore che non voleva più essere più piùpiùpiù mai
più
ancora una volta pensò di poter rivolgere il suo odio ad
un bersaglio sicuramente più costruttivo.
Si chiese scusa con rammarico, e con indulgenza si perdonò.
Per l’ennesima volta.
Lasciando sfuggire il respiro che non si era accorto di
star trattenendo, si lasciò cadere sulle ginocchia. Emotivamente esausto,
accarezzò la lapide di sua madre. Promettendosi di portare nuovi fiori, il
giorno dopo – anche se l’azione implicava il dover andare dritto nella tana di
quella Yamanaka, e l’idea lo deprimeva un poco. Il groppo il gola era tornato,
ed il cuore stretto nella morsa lo aveva seguito, diligente. Insieme alla
vivida sensazione che le lacrime avrebbero cominciato a scendere non appena
avesse battuto ciglio.
“Mi dispiace.”
I sussurri ormai erano diventati ancora una volta
incomprensibili, un bisbigliare nel sottofondo che diventava sempre più lieve.
“Vi vendicherò, davvero.” Una piccola pausa, seguita da parole infrante
dall’incrinarsi della voce. “Vi vendicherò tutti.”
Sempre più lieve, mentre il suo respiro diventava sempre
più affannato, sempre più carico di quell’odio che doveva trovare un bersaglio adatto, perché non
riusciva più a sopportare di detestarsi in quella maniera così vigorosa e
testarda ed estenuante e così strenua e patetica, così…
“Lo ucciderò per voi.” E non si preoccupò di dirlo con le
lacrime agli occhi, in un singhiozzo esausto.
Una voce, fiera e paterna, si levò dal mormorio. Chiara e
scandita. Grazie, Sasuke.
E poi, il silenzio. I sussurri erano del tutto scomparsi.
Fu un cambiamento improvviso e l’assenza di quel perenne
mormorio per un attimo lo indusse a pensar d’aver perso l’udito. Tuttavia, il
fiume scorreva ancora. Il vento frusciava ancora.
Cercando di calmare il battito del cuore ed il respiro,
Sasuke sollevò lo sguardo al cielo coperto, mormorando un incerto “…Siete
ancora qui?” che non ebbe risposta. Deglutì due volte, prima di trovar la
presenza di spirito di alzarsi. Con l’udito teso a cogliere ogni minimo
respiro, ogni minimo rumore, si avviò verso quella che era rimasta casa sua.
Lungo la strada dove un tempo si sentiva l’odore di biscotti.
Per tutto il tragitto, ci fu solo il vento a fargli
compagnia.
“Come mai non li senti più,
Nii-san? Neanche io voglio sentirli più.”
“E’
perché non sono più un bambino.”
Nel letto, rimase a lungo sveglio ad osservare il soffitto.
Attese, a lungo, di sentirli tornare. Ma non tornarono.
Non tornarono affatto.
Chiuse gli occhi, stringendo le labbra e cercando di
ignorare del tutto quel senso di vuoto che imperterrito seguitava a stringergli
il cuore e lo stomaco in una morsa di ferro. Rimise in gabbia le lacrime,
deglutendo più volte e cercando di calmare il respiro, che si ostinava a venir
fuori in singhiozzi. Ancora una volta.
“Possono
parlare solo con chi è ingenuo come i bambini, perché i bambini hanno il cuore
puro.”
“… se ne sente un po’ la nostalgia, quando se ne vanno.”
mormorò, nascondendo il viso nel cuscino.
[Quando quella notte si svegliò, terrorizzato da
quell’incubo ricorrente, non si permise di cercar riparo sotto il letto.
Rimase lì, tremante, a stringersi nell’abbraccio delle
coperte.
La volontà del Clan Uchiha doveva essere portata avanti:
ormai non aveva più tempo per essere un bambino.]
Their Will (on his shoulder) : END.
A/N: non è il massimo. Mi son ricordata che oggi è il
compleanno di Sasuke e, visto che è momentaneamente il mio personaggio
preferitissimo, dovevo regalargli qualcosa. Me ne son ricordata alle sette, con
conversazione MSN. Me banana. Volevo provare qualcosa di diverso, ecco. In
qualche modo, questa Fanfic è stata inspirata da Shaman King °_° Lo stavo
rivedendo in giapponese, e mi è rimasta appiccicata la convinzione di Yoh secondo
la quale solo le persone buone possono vedere i fantasmi. Diciamo che è stata
la scintilla che ha fatto nascere la fic. ^^
Il Will del titolo può essere inteso sia come testamento
che volontà, penso. Io avevo in mente volontà, ma testamento ci sta bene
uguale. Si sente un po’ di nostalgia, quando l’infanzia va via. [Per il fatto del letto... ho un cuginetto che si ostina a nascondersi sotto il letto quando ha paura. Sopratutto durante i temporali ò_ò Ho provato a persuaderlo dicendo che sotto il letto c'è l'uomo nero... ma non mi crede -_-" Eppure a babbo natale ci crede! Sigh. Non ci sono più i bambini di una volta.]
Ahn, Buon Compleanno Sasuke-kun! (L)