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Autore: Triadine    04/01/2013    3 recensioni
Non ho mai creduto veramente nel destino, l’ho sempre considerato come qualcosa di effimero, qualcosa che di certo non sarebbe mai stato a capo della mia vita.
Pensavo che fossi io, con la mia ragione, a disegnare e seguire il percorso da me tracciato, seppur ogni tanto prendendo qualche svolta desiderata o meno, ma alla fine rientravo sempre nel disegno, ma ero un povero illuso a credere che quella fosse la mia strada.
O meglio, lo era, ma non quella immaginata.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai creduto veramente nel destino, l’ho sempre considerato come qualcosa di effimero, qualcosa che di certo non sarebbe mai stato a capo della mia vita.
Pensavo che fossi io, con la mia ragione, a disegnare e seguire il percorso da me tracciato, seppur ogni tanto prendendo qualche svolta desiderata o meno, ma alla fine rientravo sempre nel disegno, ma ero un povero illuso a credere che quella fosse la mia strada.
O meglio, lo era, ma non quella immaginata.

Quando lo capii? E’ difficile dirlo con precisione, ma presumo che possa essere una data attorno al 1945, durante la Seconda.

L’aria, all’interno di quella trincea, sembrava farsi rarefatta sempre di più, anche se essendo a cielo aperto la cosa appariva impossibile, ma l’ansia, il terrore e la puzza nauseante di cadavere rendeva la cosa quasi insopportabile.
O forse quel quasi era solo per chi, come me e come altre Nazioni, era abituato, ma non credo. Chiunque, pur di salvarsi la vita, sarebbe disposto a buttarsi in un mucchio di cadaveri putridi e in decomposizione, macchiandosi del loro sangue, sempre se questo non è seccato, magari qualche cadavere fresco di qualche giovane uomo inesperto.
Giovani uomini, poi, si fanno arruolare credendosi chissà chi, per poi scappare davanti ad un fucile o ad un ghigno, piangendo per la morte di altri soldati e pregando un Dio vietato da quel governo.
Quel caro governo dittatoriale che problemi causò non solo agli altri, ma anche a chi apparteneva ad esso stesso! La razza ariana, quella perfetta, come se io non bastassi, sono Magnifico infondo, no? Quel pazzoide che ha approfittato di un Paese debole economicamente e culturalmente per impadronirsi di ogni singola mente e indurre chi di dovere alla completa follia, al punto di non ritorno, considerando tutto quel dolore, quelle vittime come cosa giusta.
Me ne resi conto troppo tardi, quando il dolore fisico si fece più forte e liberò la mia mente da ogni singola parola detta da quell’uomo. In un certo senso si può dire che ho seguito la filosofia di Francis Bacon, insomma, distruggere ogni ideale passato per arrivare a dedurre tutto con prove concrete dettate dall’oggettività e dalla ragione…
Mi sto dilungando, non era questo il discorso iniziale…
Dicevo che l’aria in quei posti, durante ogni singola guerra, sembrava sempre essere meno, la tensione palpabile così come la paura e ogni qual volta si sentiva una preghiera si arrivava a tirare un colpo col calcio del fucile o della pistola se andava bene… I pianti di quei piccoli ometti non abituati a marciare per ore su strade fangose o sotto la pioggia, a pilotare aerei o a trattenere le urla facendo finta di essere morti quando si veniva beccati da un proiettile nemico, sempre se questo non ti stecchiva per davvero.
Il rumore in sottofondo delle bombe, dei proiettili che fischiavano nell’aria, sopportare le schegge di pietre causate dalle esplosioni o qualsiasi altra scheggia, magari parti di bombe intatte.
La freddezza nel dover abbandonare un soldato quand’esso appoggiava il piede su una mina antiuomo, mica è così facile ed è per questo che ci pensavamo sempre noi più vecchi e abituati ad osservare viscere e sangue, amputazioni e infezioni, attacchi epilettici o crisi d’asma a causa di gas o veleni.
Non si era neppure al sicuro durante i momenti di tranquillità e di pace, in guerra non c’è mai veramente pace perché a restare così, tra la terra e le malattie ci sono anche pidocchi e pulci a causa della scarsa igiene a cui bisognava abituarsi e così si ricercavano e si schiacciavano, oppure li si guardava bruciare.
Ovviamente ci si riteneva fortunati, dopo che si passava a fare la guardia a qualche campo di concentramento e lo ammetto, uccidere quei corpi era divertente, soprattutto quando essi credevano di scappare, li si prendeva, li si metteva a muro e li si bastonava prima d’impiccarli o semplicemente sparargli, anche se ora mi rendo conto di che mostro fossi e di quanta ingiustizia c’era nelle mie azioni.
La cosa peggiore che potesse capitare era quella di essere messi assieme ai propri fratelli, perché ti preoccupavi solo per loro e non di te stesso e viceversa, la cosa portava un tale disagio psicologico che spesso se ne usciva pazzi, sia chi aveva questi problemi e sia i superiori. Mi successe di avere un caso del genere e per farli tacere bruciai ad entrambi la lingua.
Per questo poco volte mi ritrovavo nello stesso reggimento di mio fratello, perché mi sarei preoccupato più per lui che a portare in alto l’onore della mia Nazione, ormai non più esistente.
Così, verso la fine della guerra, mentre gli Alleati distruggevano le nostre terre e ci costringevano a ritirarci, iniziai a capire che lo scopo della mia vita era quello di far diventare la Germania un Paese tra i più forti e capii che ero nato solo per quello, lo scopo da cui tentai tutto il tempo di scappare, seppur senza riuscirci.
Ero più debole di mio fratello, la mia Nazione ormai devastata, eppure continuai ad andare avanti in un atto suicida e alla fine decretarono davvero la mia fine di cui ancora ricordo ogni singola cosa.
Mi vennero a prendere il 25 febbraio del ’47, mi ammanettarono e mi portarono via, dandomi una ginocchiata nello stomaco e facendomi sputare altro sangue che si andò ad aggiungere a quello che già mi colava dall’angolo della bocca a causa della distruzione delle mie terre.
Sono sempre stato un ottimo attore e in quel momento, quando sentii la voce di Germania mi voltai con un ghigno e lo salutai, seppur dentro morivo vedendone le lacrime scorrere sul suo viso.
Il cuore si chiuse in una morsa di dolore, così come lo stomaco, o forse era solo ulcera, quella, avevo solo voglia di girarmi, liberarmi e correre da lui, ma non potevo e non avrei mai più potuto e quando mi portarono via rimasi a sguardo alto e fiero, nonostante una sola lacrima, solitaria, avesse deciso di solcare quella poca pelle che separava le ossa. La fame si faceva sentire e sino all’ultimo diedi tutto al biondo, all’ariano, al vero perfetto di quel tempo che non mi ringraziò mai per questo.
Una volta trascinato via mi gettarono in una stanza, con un solo vetro da dove sapevo mi stessero osservando, ma io non potevo vederli. Sentivo l’angoscia aumentare di secondo in secondo, assieme al terrore, ma non mi sarei mai mostrato debole davanti a quegli occhi ancor più freddi ed insensibili dei miei e così, mentre mi ripiegavo su me stesso, sentendo la pelle, la carne e gli organi tagliarsi a perfezione chirurgica ad ogni firma su un documento, non sentirono mai la mia voce che a fatica trattenevo in gola, a livello delle corde vocali.
Per quanto il dolore fosse lancinante non era nulla in confronto a quello che sentivo dentro di me, non avrei mai più rivisto nessuno, persone, animale o cosa e avrei deluso Fritz.
Non sarei riuscito a mantenere nessuna promessa, che fosse quella di capitanare per sempre la Prussia o quella di tornare a scompigliare i capelli a mio fratello, il mio spirito da cavaliere ne risentì enormemente. Prima di tutto quello io ero un Cavaliere e così ero stato educato e non poter mantenere promesse corrispondeva ad un’enorme offesa personale…
Il fatto che più mi portò a desiderare la morta il più velocemente possibile era la consapevolezza che per tutti, alla fine, non ero nient’altro che un peso, una palla al piede, nient’altro che uno Stato da studiare in un libro. Essere dimenticato da tutti e vederli gioire della mia fine… Non credo di essermi mai sentito così solo…
Quella tortura finì dopo che il mio corpo si divise, dopo che il mio territorio venne preso da altre mani, dopo che il mio sangue da servitore si fosse riversato sul pavimento bianco della stanza.




Oh, salve! Erano… Anni che non scrivevo più qualcosa e… boh, mi è venuta l’ispirazione e puff!
Dunque, principalmente l’ho scritta come… ringraziamento ecco.
Rod: Insomma, mi sopporti sempre e sei la mia compagna preferita di angst e ti preoccupi per me e delle mie ginocchia <3 Insomma, siamo entrambe sfigate, no? E poi scrivi da Dio, davvero e… e non lo so! Sono felice quando parlo con te!
Liza: Oh Gott! Cosa devo dire x°°°? Tra te e l’altra vi assorbite ogni mia sega mentale via telefono! Anche quando sparo cazzate su cazzate! Insomma, anche se l’ultima volta mi hai fatto morire quando sei rimasta a parlare mezz’ora di aghi!
Yoghi: <3 Te e la tizia sopra che mi sopportate anche per telefono! Che pazienza!! Insomma, credo che prima o poi mi coppinerete in qualche maniera!
Artie: Ohohohohoho, la mia compagna di scleri per chat! Asijzosdgzdrhs!!!! <3
Giada: Svalvolaaaaata!! <3 Ovvio che è anche per te, inzomma!! <3
Lulù: Eheheheh, così hai un motivo in più per odiarmi <3
E tutti voi altri: grazie per la lettura è OVVIAMENTE anche per voi!!

La vostra ex Rod ora passata a Gil.
  
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