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Autore: Yoan Seiyryu    04/01/2013    1 recensioni
[SOSPESA]
Lasciare un segno del proprio passaggio nella vita del mondo, attraverso la ricerca di Grandi Gesta che condurranno i protagonisti a doversi scontrare con una rinnovata realtà fino ad allora estranea: La Magia non ha mai abbandonato questo mondo, c'è chi desidera utilizzarla per assecondare i propri scopi, chi vuole distruggerne ogni traccia affinchè l'Uomo possa vivere serenamente senza il suo influsso.
Airon e Misar, la Luce e l'Ombra, attraverseranno due sentieri diversi che li porteranno alla rinascita dell'uno e alla dispersione dell'altro.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saranno le grandi gesta a cercarmi (Prima Parte)

 


Una spiga di grano tra le labbra, le mani attorcigliate all’umida terra carica del profumo della pioggia. Il vento scivolava tra i capelli densi, dal colore dei rami degli alberi, mentre la luce del mezzodì brillava all’interno di occhi chiari e limpidi. Il respiro calmo e quieto si confondeva con l’aria tranquilla e serena, mentre le gambe accavallate giacevano sopra i bianchi fiori primaverili.
Alle orecchie giungevano grida di festa e risate scoppiettanti, colme di leggerezza ed allegria, sembravano tremendamente lontane, eppure non distavano molto da quel campo verde e rigoglioso.
La spiga tenuta appoggiata alla guancia arrivava a solleticare l’orecchio, muovendosi tra i denti per essere masticata e consumata.
Il cielo quel giorno era privo di nuvole, un avvenimento quasi unico, per coloro che sono abituati a vederlo costellato di nuvole e pioggia.

In lontananza poteva scorgere la Grande Quercia, alla cui ombra si ergeva il Sacro Altare adibito alle festività del villaggio e dove al momento si stava unendo in matrimonio una coppia in là con gli anni, la cui gioventù svanì tempo addietro, ma  sani e robusti come coloro che hanno ancora molto da vivere.
Indistintamente riconosceva il movimento del Sacerdote intento a consacrare la candida fascia di seta posta sulla mano dello sposo prima e su quella della sposa dopo, che aveva tra i capelli spighe di grano dorate a coronarle il capo.

Un villaggio di agricoltori, la cui vita dipendeva dalle coltivazioni proficue che di anno in anno andavano migliorando. La pioggia cadeva quando c’era bisogno e il sole batteva non appena era richiesto. Una terra benedetta dagli Dèi, più di quanto si potesse davvero credere.
Essi sostavano all’interno di un cerchio di pietra da cui non sarebbero potuti uscire se non alla fine della cerimonia, il Sacerdote stava ormai giungendo alla conclusione del rito, appropinquandosi a farsi mostrare le mani libere di entrambi.
Da esse fece uscire gocce di sangue, tagliando delicatamente i palmi con una lama consacrata e raccogliendole al di sopra di una pietra che era posta sull’altare.
Vi incise le iniziali dei due nomi, fondendoli in una nuova ed unica lettera, l’unione di due anime per formare una sola famiglia.
Voltandosi di nuovo verso la coppia sfilò prima la fascia di seta dalle loro mani e vi avvolse all’interno la pietra incisa, donandola dunque alla nuova sposa che avrebbe dovuto custodirla finchè il matrimonio sarebbe durato.

In quel momento, proprio allora, si alzò di scatto sputando a terra la spina di grano per volgere le spalle alla conclusione di quel rito sacro, cacciandosi le mani in tasca e scorticando un pezzo di terreno fangoso con la punta della scarpa.
Difficilmente era preda delle emozioni, piuttosto era in grado di controllarle così come i propri pensieri, ma la rabbia che gli montava in corpo in quel momento superava di gran lunga la sua capacità di equilibrio costante.
Sentiva la gola ardere ed incendiarsi, avrebbe dovuto fare qualcosa, fermare quell’inutile errore che suo padre aveva appena compiuto. Ma era troppo tardi, di certo non avrebbe potuto far nulla.

-Misar!- gridò una voce poco distante dal suo luogo di rifugio, poi ancora una volta –Misar!- ora l’affaticamento sembrava molto più evidente.

Si voltò alla sua sinistra, incontrando la figura del suo amico inerpicante sulla collina.

-Finalmente, non avevo idea di dove ti fossi nascosto- lo rimproverò con lo sguardo carico di ammonizione prima di arrestare il passo di fronte a lui, poggiandogli una mano sulla spalla –ti stavano cercando tutti, perché non sei venuto?-

Misar schiuse appena le labbra, ma invece di rispondere trasse un respiro profondo e le richiuse, gettando lo sguardo altrove.

-Tuo padre non  perdonerà facilmente questa mancanza- tentò di continuare il ragazzo, lasciando la presa sulla sua spalla –davvero, non capisco. Sarebbe stato così difficile piegarti per un momento alla benevolenza di questo matrimonio? Cos’è che ti  spinge ad odiare tanto quella donna?-

-Non provo alcun risentimento verso di lei, Airon. E’ verso mio padre che lo nutro. Calpestare la memoria di mia madre, sposando la di lei sorella, non è già abbastanza  un valido motivo per aver evitato di partecipare a queste nozze?- inchiodò gli occhi azzurri in quelli dell’amico, facendo in modo che lo sguardo penetrasse in modo intenso e impositivo.

Airon sospirò, incrociando le braccia al petto, senza ricevere alcuna influenza dal carico di rammarico che Misar si portava dietro ormai da tempo.

Non conobbe sua madre che per i  primi cinque anni di vita, ella si mise in viaggio per raggiungere il villaggio più vicino e vendere le pelli appena conciate, ma non fece più ritorno.
I briganti, disse suo padre, che non risparmiarono nessuno durante quel giorno. Misar non glielo perdonò mai, il non esser riuscito a difendere la propria moglie come un vero uomo avrebbe dovuto fare. Sarebbe dovuto morire insieme a lei, per tentare di salvarla o almeno per vendicarla. Ma egli non si vendicò, né riuscì a portarla in salvo.

-Tu non puoi capire- si affrettò a rispondere Misar ai pensieri che l’altro non aveva ancora esternato –il valore, l’onestà, la lealtà e il coraggio non si comprano in nessun modo, nessuno può riscattare il proprio passato se esso è di per sé infelice. Credo ormai che i grandi uomini nascano con questi sentimenti, non diventino tali a seconda delle occasioni-.

-Sei eccessivo nei confronti di tuo padre, continui a fargli pesare ciò che accadde anni ed anni or sono. Possibile che in tutti questi anni tu non sia riuscito a perdonarlo?- corrugò le sopracciglia, restituendogli lo stesso sguardo intenso, ma più rincuorante.

-Non credere, Airon, che io non lo abbia rispettato. E’ pur sempre il sangue del mio sangue, non potrei mai infamare la legge degli Avi. Ma devi cercare di capire, non sono soddisfatto di ciò che è e che rappresenta per me. Non posso prenderlo come figura di riferimento, non ha valori integri e tanto meno può considerarsi un uomo integerrimo- chinò la testa verso le increspature del terreno, su quella zolla di erba verde che aveva spodestato poco prima –ma che io sia dannato, ci sono affezionato a quel vecchio-.

Airon sorrise di sottecchi, conducendo una mano al mento e riflettendo per qualche istante.

-Allora non detesti nemmeno tua zia, ti ha cresciuto come un figlio in tutti questi anni- aggiunse per stuzzicare i suoi pensieri nascosti.

Misar rialzò il capo velocemente e poi gli diede le spalle, iniziando a camminare per discendere la collina che divideva il fiume dalla Grande Quercia. Il banchetto nuziale stava per avere inizio e forse avrebbe potuto recuperare a quel piccolo danno di scortesia che aveva compiuto, non presentandosi al rito.
In fondo non era più un bambino, non aveva mai mostrato un animo capriccioso, ma la sua integrità non gli permise mai di essere vagamente flessibile sulle questioni di onore e lealtà.

Airon iniziò a seguirlo, tenendo il più possibile il passo, lasciando che il vento leggero si intrufolasse tra i ricci chiari, aveva ottenuto ciò che desiderava, come sempre ogni volta che aveva il desiderio di far ragionare l’amico.

-Ricordi cosa accadde sulle rive del fiume, anni or sono?- gli domandò d’un tratto, mentre si affaccendavano a discendere con ritmo cadenzato.


Come dimenticare. Lo stesso sole alto si ergeva quel giorno su un cielo limpido e pulito, la primavera era ormai entrata da diversi giorni e l’alternanza di pioggia e belle giornate iniziava a diventare faticosa da sopportare. Eppure i più ritrovarono la solarità dedita dagli abitanti del villaggio, abbandonando i panni pesanti dell’inverno e le pellicce morbide conservate nelle proprie case.
La riva del fiumiciattolo era sempre frequentata dalle donne che andavano a riempire i vasi d’acqua o dai bambini che erano soliti giocare ai Cavalieri e ai Maghi delle Terre del Sud, terre incontaminate e libere. Spesso erano anche eccezionali pescatori, quando decidevano di usare le tecniche giuste anziché rincorrere le prede a mani nude, che di volta in volta fuggivano sguazzando nell’acqua e facendoli ricadere, con poca gioia delle madri che tutte le sere dovevano recuperare il danno compiuto e prevenire i possibili raffreddori.
Quel giorno si decise che era venuto il momento di esercitarsi con le spade di legno costruite appositamente dal padre di uno dei giovani bambini, i quali prontamente accorsero all’evento di divertimento non appena furono tutti informati.
Airon non amava destreggiarsi con le armi, un tempo aveva desiderato diventare Cavaliere del Re, ma come tutti i suoi sogni lo abbandonò ben presto, non appena comprese che avrebbe dovuto impiegare tempo e dedizione, fin troppo per i suoi gusti. Imparare tutto e subito, questo era il suo intento.
Un tempo amò l’arco, la caccia, il viaggio ideale. Era in grado di amare tutto, ma di non portare mai niente alla fine.
Eppure desiderava liberarsi dagli impegni paterni, costretto a rimanersene nella fucina di suo padre ad imparare l’arte del maneggiare il ferro ed il fuoco. Aspirazione che ovviamente, non faceva per lui.
Giunto in prossimità del fiume iniziò ad osservare il primo duello che si era acceso tra un suo compagno di giochi ed un altro ragazzino, lo conosceva molto bene, una volta lo costrinse a farsi consegnare uno scoiattolo che era riuscito a catturare con fatica nei pressi del Verdebosco.
Carico di sentimenti contrastanti, quando vide una prima scorrettezza compiuta proprio da quello stesso, decise di sfidarlo a duello, proprio per rinvangare il diritto di difendere i più deboli.
Per quanto la sua intelligenza e furbizia gli permettessero di agire in modo cauto e scaltro, non era all’altezza di un nemico simile e nonostante tentasse di rialzarsi continuamente, arrivando anche ad insultarlo, non riuscì ad avere la meglio. Passarono alle mani, quando Airon gettò la spada di legno a terra, nel tentativo di trovare un modo per vincere lo stesso sull’arroganza e la prepotenza dell’altro, ma non riuscì a venirne fuori.
Ricevette così tanti colpi in viso che per poco la vista non si annebbiò del tutto, mentre il sangue scorreva dalla bocca e il naso. Poiché nessuno si era deciso ad intervenire, credette di esser perduto, sapeva che non se la sarebbe cavata solo con qualche livido o tumefazione.
Se non fosse stato per Misar, probabilmente sarebbe svenuto ed il suo onore infranto, più di quanto già non fosse.
Eccolo dunque, colui che divenne l’inseparabile compagno d’avventure, venirgli in aiuto brandendo le mani intorno al cappuccio dell’ostinato nemico insaziabile di dolore, spingendolo via con foga.
Imbracciarono le armi e si sfidarono, finchè Misar non riuscì a sconfiggerlo che per sfinimento.


-Certo che me ne ricordo, eri totalmente atterrito- sghignazzò con un gran senso liberatorio, tirandogli un pugno sulla spalla.

Airon rimase di stucco e per un istante si fermò sui suoi passi, senza nascondere un’espressione contrariata a quell’ironia sulla sua antica sorte di guerriero sconfitto.
Non si conoscevano nemmeno a quei tempi, Airon lo vedeva sempre camminare nei pressi del Verdebosco per conto proprio, in solitaria, come se fosse disturbato dall’agitarsi delle tante voci del villaggio.
Fu sempre incuriosito da quella figura così lontana dal mondo, integra e sicura di sé, a cui invidiava le facoltà intellettive e l’onestà leale che traspariva da ogni poro della sua pelle.

-Non temere, nessuno si ricorda più di quell’avvenimento. Tranne forse tua madre, si preoccupò così tanto la sera che ti riportai da lei- continuò a ridere, di un riso così leggero che empì il cuore di Airon, comprendendo sempre di più il motivo per cui strinsero un legame d’amicizia così forte.

-Sono giorni che ci penso…- cambiò discorso, mentre prendevano la strada del ponticello di legno che scricchiolava sotto i loro stivali –credo che partirò tra non molto, appena giungerà l’estate. Vedi, ho bisogno di più che una vita trascorsa a conciare le pelli, a cacciare nei boschi, a vivere rinchiuso in una gabbia senza aver mai esplorato il mondo, aver visto ciò che non tutti riescono a vedere in una vita sola. Realizzare me stesso attraverso grandi azioni, ma la strada degli eroi non inizia dal proprio luogo di nascita, bensì dal viaggio che decidono di intraprendere-.

Airon ebbe timore di continuare ad ascoltare quelle parole così fuori dal mondo, fuori dalla portata dei suoi pensieri e si fece avanti per poter superare i passi dell’amico, iniziando a camminare all’indietro per poterlo guardare negli occhi.

-Che assurdità! Gli eroi non dimenticano il luogo dal quale provengono, poiché spesso combattono con esso o per esso. Perché non trovare qui la risposta anziché altrove?- sembrava così deludente come domanda che quasi si vergognò di averla posta.

-Ho bisogno di  altro, Airon, di qualcosa che mi rinfocoli l’animo. Non è un’avventura che desidero, non voglio diventare un Cavaliere o prostrarmi al volere di un Re in cui non credo. Io voglio ardentemente lasciare un’impronta della mia esistenza in questo mondo, voglio che si ricordino tutti di Misar di Nivehill, delle gesta che compì durante la sua breve ma intensa vita-.

Gli occhi azzurri brillarono di una luce nuova, come se avessero preso fuoco da un’energia sottile e rigenerante. Airon ebbe quasi timore di continuare ad udire parole simili, era a conoscenza delle ambizioni di lui, ma non poteva credere che un giorno avrebbe tentato di realizzarle.
Discese a stento il ponticello, ma riuscì a rimanere in equilibrio nonostante i passi affrettati e ciechi sul manto erboso e ancora umido. Le grida festose iniziarono a diventare più vicine, si erano trasferiti tutti al di là della Grande Quercia per iniziare il banchetto nuziale a cui tutti presero parte durante quel giorno.
Un matrimonio era la fine della vita precedente e l’inizio di un’altra, rappresentava morte e rinascita al tempo stesso.

-E che tipo di gesta vorresti compiere?- la curiosità ormai iniziava a farsi strada, doveva almeno capire che idee avesse per la testa.

-Ancora non lo so, appena mi si presenterà l’occasione fuggirò da qui, vedrai che saranno le grandi gesta a cercarmi- sorrise apertamente, scostando indietro i capelli che gli finirono sulle guance.
L’argomento cadde inesorabilmente, non appena furono costretti a riunirsi al banchetto, Airon dovette lasciare che Misar portasse le sue scuse agli sposi e il tempo dei discorsi leggeri si sarebbe dovuto attendere ancora.

Abbandonare tutto per lasciare il segno del proprio passaggio, era davvero la cosa giusta da fare? Airon continuò a porsi tale domanda durante tutto il pranzo, il timore di perdere un amico era ben più forte della volontà di seguirlo.

Misar aveva sempre avuto timore di rimanere imbrigliato e incatenato a Nivehill per sempre. Non aveva mai avuto intenzione di prendere moglie, badare ad una famiglia. Non che non ne sarebbe stato in grado, ma l’idea di rinunciare alla propria libertà lo spingeva a scegliere la via più facile: fuggire dai doveri di un uomo maturo e cercare la gloria di sé.

Airon, al contrario, non desiderava altro che un caldo focolare davanti al quale si sarebbe potuto sedere ogni sera, in attesa dei conforti di una moglie e circondato dalle risate della propria prole.
Fu in quel momento che incontrò gli occhi verdi di Ryanne e solo allora comprese quanto il desiderio fosse reale, ancora più che cercare se stesso altrove, se non lì dove avrebbe voluto ritrovarsi.

   
 
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