Nick: Alice_Nekkina_Pattinson
Titolo: Lei, la mia speranza.
Personaggi: Jasper (Withlock) Hale (protagonista che
racconta), Alice
Cullen.
Personaggi Secondari: Peter, Charlotte e Maria.
Raiting: giallo
Avvertimenti: Sentimentale, triste, drammatico.
Note (facoltative):
Difficoltà: Il primo incontro con Alice.
Beta reader: Lady Aquaria
Questa storia partecipa al contest indetto da Pinzy81 " Uno sguardo al passato ".
(aggiunto il 16 gennaio 2013)
Lei, la mia speranza.
Stavo
andando verso Galveston dopo aver aiutato donne e
bambini, quando venni fermato da tre signore. Naturalmente mi fermai:
non avrei
mai potuto evitare di prestare loro soccorso.
Scesi e andai in contro a quelle tre fanciulle minute,
che sembravano aver perso la strada, sembravano delle donne smarrite,
invece,
non avrei mai creduto che così, avrei segnato la mia morte.
"Maria, è meglio che lo fai tu, io non sono sicura
di riuscire a fermarmi" sentii sussurrare da una delle tre, il sangue
mi
si gelò nelle vene e fui percorso da un brivido lungo la
schiena.
"Spero che tu sopravviva, penso che mi potresti
essere molto utile" disse quella che sembrava il capo gruppo,
fissò il suo
sguardo nei miei, e notai che erano rossi, rosso sangue.
Non ebbi il tempo di capire cosa stava succedendo, che
lei arrivò a un passo da me e dopo un veloce scambio di
sguardi, mi morse.
Sentii quelle che mi sembrarono delle zanne, penetrarmi
nel collo e un dolore acuto, un dolore che faceva male, che bruciava e
poi non
ricordai più nulla, se non solo il bruciore che provai per
quelli che mi
sembrarono anni, e un dolore da fare impazzire.
Non capivo come facevo ancora a percepire e sentire il
bruciore delle fiamme che avvolgevano il mio corpo.
Sentii un rantolo di agonia intorno a me, e capii solo
dopo che ero io che urlavo.
Urlavo, ma nessuno faceva niente per aiutarmi, per
spegnere questo incendio dentro me, perché non era solo
intorno, ma anche
dentro.
Sentii ogni muscolo e ossa attraversati dal dolore e
scariche di bruciore, fin quando non sentii più nulla, se
non il mio cuore
battere come le ali di un uccello e poi un ultimo, sordo battito.
Rimasi immobile per qualche secondo e poi aprii gli
occhi, e vidi solamente una luce soffusa di una candela.
"Ti sei svegliato finalmente" sussurrò una voce
che voleva apparire sensuale, poi comparve nel mio campo visivo la
donna dagli
occhi rossi e dai capelli neri, la donna che mi aveva morso.
Istintivamente mi alzai e senza rendermene conto, mi
ritrovai attaccato alla parete dell'altra parte della stanza, e un
ringhio
gutturale uscì dalla mia gola.
"Ehi ehi, calma, ti spiegheremo ogni cosa, non avere
paura" continuò.
Sentii la gola ardere dal bruciore e dalla sete.
"Che mi avete fatto?" domandai, poi fermandomi
ad ascoltare la mia voce così diversa da prima,
più melodiosa, più sensuale.
"Ti abbiamo ridato la vita, una vita nuova e
migliore, ora sei un essere superiore, sei un vampiro" rispose lei.
Cosa? Un vampiro, ma che stava dicendo?
E poi, cos'erano quelle strane emozioni che percepivo?
Non erano mie, non venivano da me, erano ostili, crudeli,
rispecchiavano la
faccia e i sentimenti che sembravano trasparire da lei.
Com'era possibile?
"Mi-mi sento la gola in fiamme" ansimai.
"E' normale, è la sete,
ma per te abbiamo un bel bocconcino" disse sogghignano
sadicamente.
Mi avvicinò una donna dai capelli scuri, un castano
tendente al nero, era mezza intontita, sentii i miei denti farmi male,
la mia
gola bruciare all'odore del sangue, era quello che il mio corpo stava
desiderando in quel momento, lo bramava.
La guardai sconvolto per un attimo, che cosa stava
facendo, era un essere umano.
Ma poi un attimo dopo, non capii più nulla e mi avventai
sulla gola della povera malcapitata, e trafissi con i miei denti la sua
gola,
fino ad arrivare alla sua giugulare e incominciai a bere quel liquido
caldo che
mia stava dando sollievo, che stava man mano spegnendo la mia sete e il
bruciore
della gola.
Ma non sentivo solo quello in quel momento, sentii dentro
me una strana sensazione di paura e dolore, ma non ero io, ma era come
se lo
fossi, erano emozioni che provenivano dalla ragazza.
Non capivo, il mio cervello non riusciva a capire quello
che stava captando, ma capiva solo il sangue che stava entrando dentro
me.
E
così da quel giorno scoprii che quella donna di nome
Maria, mi aveva trasformato in un vampiro, nel corso del tempo diceva
di
amarmi, e io ci avevo anche creduto.
Ma in realtà, l'unica cosa che voleva da me, era il mio
potere e la mia forza.
Non sono stato altro che una marionetta nelle sue mani.
"Mi
devi aiutare, devo creare un esercito per
mantenere il controllo sulla città e conquistare tutto il
sud! Il sangue deve
essere tutto nostro! Mi hanno minacciato sai? E tu mi aiuterai vero?
Non
permetterai che mi minacciano ancora vero?" mi chiese con voce suadente.
Io ero ammaliato da lei, dal suo modo di fare, sembrava
gentile e sembrava davvero che ci tenesse a me.
Mi aveva fatto fare tante di quelle cose brutte, che mi
vergognavo solo a pensarlo.
Quante vite mi aveva fatto distruggere? Umane o non che
siano?
Quanti umani mi faceva trasformare per poi uccidere a un mese dal
compimento di
un anno come vampiro.
Quanti umani usati come cibo, quante cose atroci avevo
dovuto sentire e percepire con il mio dono.
Quando avevo capito di avere un dono, Maria sembrava
impazzita dalla gioia, impazzita dal sapermi speciale e potermi usare
come
meglio lei credeva.
Ma più il tempo passava, più capivo sempre di
più chi era
e cosa voleva da me in realtà.
Era sola, non aveva nessuno a parte me, anche le due sue
amiche si erano ribellate a noi, e fummo costretti a ucciderle, aveva
solo un
esercito che usava come marionette.
Durante
quegli anni trascorsi con lei, feci amicizia con
uno dei vampiri neonati che avevamo trasformato: Peter.
Era un bravo ragazzo che odiava le battaglie, le guerre,
odiava ogni cosa, voleva solo vivere in pace, dovetti pregarla per
risparmiarlo, e non so come e perché, lei lo
risparmiò.
Forse lo fece per tenermi buono e per non farmi scappare
via.
Ma quando passarono i mesi e dopo una lunga scia di
sangue e morte alle spalle, era arrivato di nuovo il momento di
uccidere il
"vecchio esercito", ogni volta era così, ogni scadere dei
dodici
mesi, non ne potevo più.
La mia coscienza mi stava uccidendo, mi sembrava di
rivedermi le mie vittime davanti certe volte nell'oscurità,
stavo impazzendo e
Peter lo vedeva.
Arrivò il giorno dell'esecuzione, ma qualcosa
andò in
modo diverso.
M'
incamminai verso il fienile, dove avrei dovuto
uccidere tutti i vampiri di circa un anno di esistenza, e avrei dovuto farlo insieme
a Peter.
Mi sentii afferrare per un braccio e tirare indietro.
"Perché tutto questo?" mi chiese in un sussurro.
"Perché l'ha detto lei" risposi semplicemente
io, non sapevo cos'altro dire.
"Non è giusto! Sono ancora bravi, sanno combattere,
sono bravi e non meritano questo" sibilò lui.
"Lo so, ma sono i suoi ordini" continuai.
"Almeno qualcuno, non puoi chiederglielo?" mi
supplicò, all'inizio non capii perché me lo stava
chiedendo e anche sapendo che
non sarebbe cambiato nulla, andai da Maria, e la sua risposta fu chiara.
"No! Dovete ucciderli, o lo farò io stessa! E non
sarò delicata come lo sei tu!" sibilò crudelmente.
Incominciai a vedere sempre di più la vera Maria, era da
tempo che volevo cambiare le cose, ma non sapevo bene come fare, non
sapevo
dove andare e in che modo vivere.
Ritornai da Peter e gli diedi la risposta, lo vidi
irrigidirsi e stringere i pugni, percepii paura provenire dal suo corpo
e
ansia, ma non capii il motivo.
Lo capii dopo, quando davanti a me arrivò una vampira
minuta e dai capelli castani, che mi guardava ignara del suo destino, a
quel
punto Peter le urlò di correre via.
"Va via! Scappa Charlotte!" urlò.
Fu una questione di secondi, sul suo viso comparve uno
sguardo di confusione, guardò lui e aggrottando la fronte
guardò me, poi come
se avesse avvertito tutto, con la paura sul voltò si
girò e scattò via verso
l'uscita, seguita da Peter.
Avrei potuto fermali se avessi voluto, ma non volevo.
Non potevo fare questo al mio unico amico, compresi che
l'amava e la voleva proteggere, ecco il perché di quel
discorso.
Con Maria m'inventai che erano scappati e che non ero
riuscito a prenderli, ma che non c'era di che preoccuparsi.
Più il tempo passava, più io peggioravo.
Incominciai a essere depresso, mi odiavo, mi odiavo a
morte per tutto quello che facevo, per come mi comportavo.
E andavo avanti come se fossi un burattino, come se fossi
un giocattolo, non sapevo quello che facevo, cosa succedeva intorno a
me.
Dopo qualche mese me ne andai, mi allontanai da lei e da
tutto quello che la circondava.
"Non puoi andartene, non puoi lasciarmi" sibilò
lei furiosa ad un centimetro dalla mia faccia.
"Non ne posso più, non ce la faccio più! Maria!
Senti, o mi lasci andare in modo tranquillo o, dovremo batterci" era
l'unico modo, glielo leggevo negli occhi che lo voleva, ma alla fine si
arrese
e mi lasciò andare.
"Io ti amo però" disse ancora, mi girai un
attimo e le risposi "Non mi hai mai amato, Maria, e lo sappiamo tutti e
due. Fai un favore a te stessa, lasciami in pace e pensa a vivere,
invece di
continuare a fare guerre" detto quello, mi girai e incominciai a
correre,
e non mi voltai mai indietro.
Trovai Peter e Charlotte e mi accolsero con felicità,
anche se all'inizio lei non era molto felice, ma con il tempo mi
accettò.
Con loro le cose furono belle all'inizio, tranquille.
Non erano persone che volevano la guerra, no, loro
volevano solo vivere la loro vita in pace e il loro amore, l'unico
difetto che
anche loro ovviamente bevevano sangue umano, come me d'altronde.
Ma io non ce la facevo più ad andare avanti così,
ed ogni
giorno che passava stavo sempre peggio.
Tutte quelle emozioni, sconcerto, paura, terrore, dolore,
consapevolezza di quello che stava succedendo, suppliche, mi stavano
lacerando
all'interno, l'anima, mi rodevano dentro come se qualcuno mi bruciasse
dall'interno e mi etichettava come mostro.
Volevo solamente far smettere tutto, volevo smettere di
esistere, non potevo continuare ad andare avanti ad uccidere innocenti.
Stavamo
camminando per le vie più buie e oscure della
città, in cerca delle nostre prede.
Prede, già solo il fatto di chiamare un' essere umano preda,
mi faceva rivoltare lo stomaco.
Non ce la facevo più, andavo avanti così da
troppo,
troppo tempo, ma questa era l'unico modo di vivere, mi era stato
insegnato così
da quella maledetta di Maria.
Lei che mi aveva trovato e trasformato per farmi
diventare la sua marionetta, perché questo ero nelle sue
mani, nient'altro, ci
è stato un tempo che avevo creduto di amarla.
Ma non era amore, era follia.
Mi costringeva a uccidere miei simili, a combattere, a
spargere sangue tra gli umani, ma io non volevo, io sentivo ogni cosa,
sentivo
tutto quello che provano, ogni sentimento, emozione.
Ero un mostro, e non ce la facevo più.
Sentii una mano sulla mia spalla, quando mi bloccai.
"Jasper, c'è qualcosa che non va?" mi chiese
Peter.
Scossi la testa, "No, va tutto bene" risposi
poi chiudendo tutti gli altri sensi e lasciando andare soltanto
l'olfatto,
restai fermo, immobile, sentii tutti gli odori attorno a me, mi
concentrai
sull'odore di sangue umano che man mano si avvicinava all'angolo
dov'eravamo
noi, mi sarebbe bastato allungare la mano per afferrare la mia vittima.
Così feci quando passò affianco a noi, avvolto
dall'oscurità, allungai il braccio e afferrai per la gola il
povero mal
capitato e lo scaraventai contro il muro di fronte a me, e senza dargli
il
tempo di capire cosa stesse succedendo, di reagire, affondai i miei
denti nella
sua giugulare e incominciai a bere a lunghe sorsate.
Sentii il caldo liquido scivolare lungo le mie pareti,
era caldo, buono, piacevole e placava la mia sete e alleviava la gola
secca.
Ma mente una parte del mio cervello e del mio corpo,
accoglieva con grande felicità quell'elisir, l'altra parte,
sentiva quello che
l'umano sotto la mia stretta provava, paura, dolore e consapevolezza
che per
lui era finita.
Mi bloccai di colpo, sempre più disgustato da me stesso,
allentai la presa dal suo corpo e lasciai andare la sua gola, ormai era
morto,
infatti scivolò giù come fosse piuma.
Mostro. Mostro. Mostro.
Sei solo uno schifosissimo mostro.
Quella consapevolezza continuava a bruciarmi nella testa,
me l'afferrai e urlai scivolando giù.
Non potevo andare avanti così, no, dovevo trovare un
modo, si, avrei smesso di nutrirmi, avrei fatto qualsiasi cosa, non
potevo
andare avanti così.
Sentii delle mani sulla mia schiena e le voci dei miei
due amici.
"Jasper, che succede? Cos'hai?" mi chiese
dolcemente Charlotte.
"Non posso andare avanti così, non ci riesco"
dissi senza alzare lo sguardo, ogni giorno che passava peggiorava
sempre di più
questo senso di colpa, ero depresso, stavo male.
"E' per il sangue vero?" mi chiese Peter.
"Non devi sentirti così, è la nostra natura,
è
normale" continuò.
"No, non è normale!" sbottai io "Uccidiamo
degli innocenti per placare la nostra sete! Io non posso andare avanti
così".
Passarono i giorni e niente migliorò, anzi,
peggiorò
sempre di più.
Facevo fatica ad andare in giro, ancora di più da quando
decisi di non nutrirmi più, dovevo allontanarmi da loro, ma
non per loro, loro
erano brave persone a modo loro, per loro era normale, non erano
cattivi, non
potevano farne a meno.
Ma io, dovevo andare via.
Così un giorno decisi di andarmene via e così li
salutai.
"Sei sicuro Jasper?" disse Peter.
"Si amico, mi dispiace" risposi con rammarico io.
"Tranquillo, è una tua decisione, solo mi mancherai"
continuò.
"Ci mancherai" disse Charlotte.
"Anche voi mi mancherete"
"Vieni a trovarci ogni tanto, noi siamo sempre qui
per te, noi siamo sempre amici"
"Certo" e lo avvicinai a me per abbracciarlo e
dandoci delle pacche sulle spalle, ci salutammo, salutai anche
Charlotte e poi
mi incamminai per la mia strada.
Incominciai
a vagare per le strade, camminavo e pensavo.
Non sapevo cosa avrei fatto da quel momento in poi, né
dove sarei andato.
I giorni passavano e la mia gola bruciava, la testa mi
scoppiava, ero avvolto da umani, solo umani con le loro emozioni
contrastanti ed
io dovevo lottare contro me stesso per non nutrirmi.
Il mio corpo ne aveva bisogno, lo bramava, era una
tortura continua per me stesso, ma la mia coscienza era quella che mi
devastava
di più.
Tutte quelle vite, tutti quei delitti, ma chi ero
diventato? Mi stavo perdendo, io, io volevo essere il Jasper che ero da
ragazzo, non questo, non un mostro da cui le persone dovevano scappare.
Vagavo per le strade e senza accorgermene ero arrivato a
Philadelphia, il cielo era scuro e coperto da una coltre di nubi,
presto si
sarebbe scatenato l'inferno.
Fiutai una scia di umani a pochi passi da me, mi fermai e
bloccai ogni mio muscolo, trattenni il respiro.
Sangue.
Mostro.
Sangue.
Mostro.
Sangue.
Mostro.
No! Dovevo continuare a camminare, ad andare avanti,
perso tra i miei mille pensieri e dolori, non mi accorsi della bufera
di neve
che si era scatenata, potevo avanzare come niente fosse, ma la gente si
sarebbe
insospettita, così disperato e da solo decisi di entrare
nella locanda che vidi
a poca distanza da me.
Mi scrollai di dosso la neve che si era attaccata ai miei
capelli, quando venni colpito dall'odore del sangue di tutti gli umani
presenti, tutti insieme, sentii la gola ardere come fosse lava, cercai
di
trattenere il respiro, quando venni investito da un altro odore, un
odore
simile al mio, un vampiro.
Avanzai di qualche passo e cercai di percepire da che
direzione veniva, intanto con lo sguardo osservai ogni minimo
particolare, fino
a vedere una ragazza minuta seduta al bancone del bar.
Sembrava più piccola di quello che in realtà
fosse, era
minuta, capelli corvini a folletto e un sorriso che mi travolse, nel
momento
stesso che si girò nella mia direzione.
I nostri occhi s' incrociarono, erano di una strana
sfumatura dorata, dorati in rossi, eppure era una vampira, ne percepivo
l'odore.
Mi sorrideva come se mi stesse aspettando, come se fossi
la persona più importante per lei, come se fosse li, solo
per me.
Si alzò, e a passo di danza e con molta grazia, si
avvicinò a me, pensai volesse attaccarmi e d'istinto mi misi
in posizione
d'attacco, ma man mano che annullava la distanza tra noi, percepivo
solo
serenità nel suo animo.
Man mano che si avanzava, la osservavo ancora di più,
aveva un viso delicato, quasi angelico, incorniciato da corti capelli
corvini, arruffati
in un modo che sembrava davvero un folletto, e poi c'erano i suoi
occhi, occhi
dolci e gentili, e per finire il suo sorriso, rassicurante, allegro, e
bellissimo, un sorriso capace di illuminare la stanza intorno a noi.
"Ehi, mi hai fatto aspettare parecchio" mi
sussurrò sorridendo, mi parlò come se ci
conoscessimo da sempre, eppure io
quella graziosa ragazza non l'avevo mai vista in vita mia.
"Mi dispiace signorina" risposi prendendole la
mano che lei mi offriva, rimanemmo incatenati uno negli occhi
dell'altro non so
per quanto tempo, quando le avevo preso la mano, avevo sentito
qualcosa, una
specie di connessione, una scarica elettrica, come se lei fosse la mia
salvezza, quando le avevo preso la mano, avevo preso la speranza.
Dopo appena un secondo mi ripresi e le baciai la mano,
lei sorrise ancora, mi accorsi che avrei fatto qualunque cosa per
vederla
sorridere ancora.
"Andiamo fuori, ti va?" mi chiese la donna
senza nome, io annuii e la seguii fuori, senza curarmi degli sguardi
altrui,
che cosa me ne importava se accanto a me, avevo un angelo?
"Io sono Alice" mi disse.
"Io sono…"
"…Jasper" finì di dire lei, mi voltai a
guardarla confuso, come faceva a sapere il mio nome?
"L'ho visto" rispose lei, come se avesse letto
i miei pensieri.
"Hai visto cosa?" chiesi, ci fermammo in un bosco lontano dalla
locanda.
"Io so chi sei, perché ti ho visto nelle mie
visioni, sapevo che presto ti avrei incontrato nel mio cammino e che
noi ci
saremmo legati, tu sei il mio futuro Jasper" disse semplicemente lei,
aveva
una voce cristallina, melodiosa, era piacevole ascoltarla.
Poi aveva un sorriso davvero unico, mi aveva incantato,
ammaliato in un secondo.
"Chi sei?" chiesi.
"Un vampiro come te"
"No, chi sei tu?"
"Non lo so" ammise tristemente "Non
ricordo nulla del mio passato, quando mi sono svegliata, mi sei
comparso tu
nella mia mente e sapevo di doverti trovare, sapevo che avevi bisogno
di me,
che dovevo salvarti, come tu devi salvare me" concluse guardandomi.
La osservai a lungo e senza pensarci, le accarezzai il
viso, non so perché lo feci, in fondo la conoscevo da
quanto? Qualche ora?
Eppure c'era qualcosa in lei, parlammo a lungo, non so
cosa di preciso successe quella sera, so solo che quella ragazza dal
nome
Alice, mi aveva legato a se in qualche modo, da quella sera non la
lasciai più.
M'insegnò che c'era un altro modo di vivere, sangue
animale, che potevo essere la persona migliore e buona che volevo
essere, che
presto avremmo avuto una famiglia, l'aveva visto.
Il tempo man mano passava e noi eravamo sempre più
legati.
Era facile starle accanto, volerle bene, con lei parlai
di tutto, parlai del mio passato da umano, della mia famiglia, di
quello che
volevo fare o quello che mi piaceva.
Poi le raccontai del terribile giorno che incontrai Maria
e tutto quello che successe dopo, il mio dolore nel vedere cosa ero
diventato
per mano sua, il mio desiderio di cambiare, di essere migliore, di
essere di
nuovo il ragazzo che ero da umano.
E lei mi ascoltò e mi rassicurò, anzi, mi promise
che da
quel giorno in poi tutto sarebbe cambiato, che non sarei più
stato quello di un
tempo, che sarei stato il vero Jasper dentro di me, quello buono
nell'animo.
E le credetti, man mano che i giorni trascorrevano, mi
accorsi che mi stavo innamorando di lei, che mi piaceva ogni cosa che
faceva o
diceva, la sua allegria, la sua pazzia, il suo pazzo amore per lo
shopping!
Diversamente da altri ragazzi, mi piaceva starle dietro anche in quelle
occasioni, erano cose nuove, diverse, umane.
Cosa da ragazzi comuni, giorno per giorno il sentimento
cresceva, fino ad arrivare al primo bacio.
Me
lo ricordo ancora, come se fosse adesso, eravamo in
riva al mare e la luna rifletteva sull'acqua, creando tante piccole
luci nelle
onde, era stupendo.
Alice era appoggiata a me e parlava, parlava, fino a
quando i nostri occhi si incrociarono, dorati in dorati questa volta,
la stessa
tonalità.
Io avvicinai piano una mia mano fino ad accarezzarle il
viso, con il pollice continuavo ad accarezzarla, mentre man mano le
nostre
bocche si avvicinavano inesorabilmente.
Sentivo i nostri fiati mischiarsi, le nostre labbra
sempre più vicine, mentre una sua mano era tra i miei
capelli e poi le nostre
labbra si unirono in una cosa sola.
Fu un bacio dolce, delicato, pieno d'amore, un amore che
entrambi provavamo, un amore mai provato prima in vita mia.
Quello che c'era tra me e Maria, non era niente, solo
sesso e sangue, mentre quello che c'era tra me e Alice, era amore puro,
sincero, un sentimento che mi dava protezione, forza, che mi faceva
sentire
finalmente importante per qualcuno, per lei, la mia Alice.
Due
anni dopo raggiungemmo la famiglia che lei aveva
visto nella visione, io all'inizio ero restio, avevo paura che ci
attaccassero
senza motivo, ma lei mi rassicurò.
Ci accolsero con gentilezza e un sorriso amorevole alla
vista di due giovani ragazzi innamorati e vegetariani,
che cercavano solo una famiglia con cui stare, con cui condividere
l'eternità,
una famiglia in cui essere amati.
Lei aveva già perso così tanto, era giusto che
fossimo
li, l'avrei seguita ovunque avesse voluto andare, sempre, per sempre.
Così
iniziò la mia vita con mia moglie, da una locanda
dispersa nel nulla, quando entrambi avevamo bisogno di essere salvati,
alzai lo
sguardo e la vidi sistemare i nuovi acquisti fatti poche ore prima,
sorrisi e
avvicinandomi l'abbracciai stretta a me.
"Ehi, amore" sussurrò solo.
"Ehi" risposi solamente, baciandola con amore e
passione, l'avrei amata sempre, lei era la mia vita, la mia aria, il
mio tutto.
Spero
vi sia piaciuta, il mio intento era di raccontare
molto del passato di Jasper e di far capire come la sua vita prima
fosse buia,
vuota, orribile, per colpa di Maria (naturalmente mi riferisco da
quando è
diventato vampiro), ma come sia migliorata con l'arrivo di Alice nella
sua
vita.
CiaooooooooooooooooooooooooooooooXD