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Autore: Sherazad_93    05/01/2013    0 recensioni
Tre ragazzi, improvvisamente catapultati dall'anno 2008 all'anno 1212.
Una tirannia che devastava il feudo di Pontremoli e un cavaliere che sembra essere dalla loro parte sino alla morte.
Lorenzo, Elena e Mia di chiedevano da mesi il motivo del loro viaggio nel tempo...Poi una profezia..che di li a pochi mesi si sarebbe realizzata, ma per mano di chi?
Sarebbero riusciti a sconfiggere la tirannia? A riportare alla pace e alla prosperità il Castello del Piagnaro e gli abitanti di Pontremoli?
13 e 14 Marzo 1212...la notte della Profezia.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’addestramento
Il giorno seguente, all’alba, circa alla sesta ora, qualcuno bussò.
Si svegliarono, assonnati e intontiti, consapevoli che purtroppo l’incubo non si era concluso; che non era stato tutto un brutto sogno fatto sull’autobus, ma era la realtà nuda e cruda che violenta li aveva nuovamente colpiti.
 
“Avanti”, disse Elena assonnata ma sull’attenti.
 
Dalla porta di affacciò Messer Ivan, vestito esattamente come il giorno precedente; l’elmo pareva pesargli fortemente sul capo.
Nella stanza filtrò una luce rosea che accecò violentemente gli occhi assonnati dei ragazzi.
 
“Dovete alzarvi. Tra poco avverrà la selezione. Pochi minuti e vi porterò qualcosa per mangiare. L’addestramento richiede molte forze e il dispendio della maggior parte delle vostre energie, quindi vedete di non saltare il pasto.”.
 
Detto questo, con un tono così placido da far stupire i giovani, tornò sui proprio passi e chiuse la porta piuttosto violentemente.
Si guardarono stupiti.
 
“A quest’ora ieri ci avrebbe offesi e avrebbe urlato come un pazzo.”, affermò Mia scendendo dal letto e stropicciandosi la faccia.
 
“Allora è una fortuna che mi sia fatta fare del male..”, rispose Elena ridacchiando.
 
“Preferivo tutto meno che questo!”, disse Mia di rimando, ridendo anche lei.
 
“Concordo con Mia.”, affermò Lorenzo sistemandosi i calzoni, sorridendole.
 
Elena lo guardò intontita. Lui continuava a sorriderle e lei ricambiò dolcemente.
Non poteva credere di aver dormito nella stessa stanza con lui. Le sembrava un sogno, una favola nell’incubo.
Si voltò e si passò una mano nei capelli corti, quella ferita.
Le bruciò, ma nel petto avvampò anche una rabbia accecante per quel taglio netto che le era stato inferto ai capelli.
Mia la guardava con un sorriso triste, vedendo la sua espressione tramutarsi improvvisamente.
 
“Non capisco ancora come abbiamo fatto ad addormentarci con questi vestiti sporchi.”, affermò Elena, notando lo sguardo dell’amica e tentando di distrarsi.
 
“Non lo chiedere a me..ero talmente stanca che non me ne sono nemmeno accorta! Altrimenti ci puoi giurare che me lo sarei tolto!”, disse Mia e le fece l’occhiolino.
 
“Ma..magari non avete nemmeno il reggiseno..”.
 
L’affermazione di Lorenzo le fece arrossire entrambe e si misero a ridere.
Lui era più imbarazzato di loro, però le aveva avvertite comunque, onde evitare scene imbarazzanti.
Entrambe si tastarono il seno e scoprirono di non avere il classico reggiseno imbottito, ma comunque qualcosa a coprirlo.
 
“Siamo talmente povere da non avere nemmeno un reggiseno decente!”, rise Mia.
 
Elena rise come una matta, di rimando.
Poi tornarono seri.
 
“Come facciamo a ridere in questa situazione? Siamo davvero forti..”, affermò Elena.
 
“Già..e pensa che tra poco ci troveremo di nuovo davanti a Messer Pietrone..Che potrà fare qualsiasi cosa di noi”, rispose Mia con tono lugubre.
 
Lorenzo si limitò a sospirare, timido e ancora imbarazzato per ciò che aveva affermato poco prima.
Improvvisamente, qualcuno spalancò la porta con violenza.
La figura di Messer Ivan si stagliò dinanzi a loro, accompagnata da quella di Messer Iben con uno sguardo tagliente dipinto sul giovane volto.
 
“Ecco la vostra colazione, pezzenti. E vedete di berlo tutto e di essere in forze per dopo. Voglio dei veri uomini non donnicciole..non so se mi sono bene spiegato.”.
 
Aveva parlato con tono severo, Messer Ivan, ma non troppo convinto.
Poco prima di uscire dalla loro stanza guardò intensamente Elena come a farle capire qualcosa.
Lei ricambiò e capì cosa in realtà significava tale sguardo.
 
“Tra mezz’ora vi sarà il ritrovo davanti alla Sala del Trono. Dovete cominciare ad essere autonomi e quindi la raggiungete, compostamente s’intende, da soli. Puntuali o sarete puniti.”.
 
Furono le sue ultime parole. Voltò loro la schiena e la porta si chiuse alle sue spalle.
Il suo tono si era modificato nettamente, e quelle parole dette con cattiveria e disprezzo ferirono gli animi dei ragazzi.
Sapevano esattamente che Messer Ivan non era quello che dimostrava agli altri. Lui era diverso, ma si ostinava a rimanere alla mercé del suo signore.
Da una parte lo comprendevano: un solo minuscolo sgarro e sarebbe finito alla forca. Inoltre, Messer Pietrone si fidava di Messer Ivan più di qualsiasi altro cavaliere.
 
“Che faccia tosta.”, Mia ruppe il silenzio, “prima fa tanto il cavaliere con te e poi si comporta come una feccia.”.
 
“E’ obbligato Mia..”, rispose Elena cauta.
 
“Capisco. Ma allora non ha il coraggio da vero cavaliere per ribellarsi e di dire quello che pensa e mettere quel bastardo in ginocchio!”.
 
Elena la guardò attonita e prima che potesse continuare Mia concluse.
 
“Hai ragione Elena, sono solo arrabbiata e confusa… desidero solo avere qualcuno dalla nostra parte.”.
 
“Per un attimo ero tentato di tirargli addosso la scodella che ci ha consegnato. Poi però mi sono trattenuto.”, disse Lorenzo con un sorriso mesto.
 
Elena si voltò e gli sorrise, triste.
Guardò la sua scodella di metallo, ricca di latte caldo. Prese il lungo cucchiaio e iniziò a berlo.
Lo terminarono tutti e tre, senza lasciarne una goccia.
Non sapendo cosa dovessero realmente farne di quelle ciotole di metallo, le posarono a terra accanto al letto.
 
“Sarà passata mezzora?”, chiese Elena.
 
“E come fai a stabilirlo quaggiù?”, rispose Mia.
 
Elena sbuffò, nervosa.
Aprì la porta e notò che molte persone si erano già radunate nella piazzola sotto le stanze.
Fece cenno agli amici di affacciarsi. Si avviarono tutti e tre, automaticamente, all’unisono, attenti a chiudere la porta della loro stanza.
Si avvicinarono al gruppo e molti iniziarono a squadrarli, inizialmente ostili.
Poi i tre ragazzi abbozzarono un sorriso amichevole che il resto delle genti ricambiò dopo poco.
Erano a gruppi: molti non si conoscevano e ancora non intendevano stringere legami.
Dopo qualche istante la massa prese a muoversi lentamente, verso il proprio inesorabile destino.
Passarono sotto un arco che formava un cunicolo molto breve sulla quale parete sinistra compariva una porta in legno: l’ingresso alle cucine.
Scesero per l’immane scalinata e già da li poterono chiaramente vedere i cavalieri attenderli di fronte alla piccola e maestosa porta chiusa.
Sulle finestrone, le tende rosso sangue era tirate e non lasciavano intravedere nulla.
Elena, a testa bassa, gettò la coda dell’occhio su Messer Ivan e notò che lui stava attentamente controllando ogni singola persona della massa di genti che stavano affluendo davanti alla porta della sala del trono.
Elena, Mia e Lorenzo erano come sempre in fondo a tutti. Non volevo assolutamente farsi vedere da nessuno e si sentivano protetti in quella posizione.
 
“Questa mattina,Messer Pietrone, sceglierà chi andrà a far parte delle sue possenti e forti truppe. Il resto, sarà scartato e adibito ai lavori all’interno del castello. Le regole sono rimaste esattamente quelle che ieri vi ho dettato. Spero di non doverle ripetere.”.
 
Come al solito, aveva parlato Messer Ivan. Pronunciò l’ultima frase quasi con disprezzo.
Esattamente come il giorno precedente, sollevò l’asta di legno posta li a tenere la porta saldamente chiusa. Sembrava la stanza di un prigioniero, non quella del signore del castello.
 
-Probabilmente la tengono chiusa per non far intravedere colui che vi è all’interno..-, pensò Elena con un moto di ribrezzo nelle viscere.
 
Spalancò la porta con forza e fece affluire tutti all’interno della stanzetta.
Questa volta Elena stette molto attenta a mantenere lo sguardo fisso al pavimento.
Dopo poco tempo il collo cominciò a far male.
Quando la vide, il tiranno ghignò feroce. Le osservò attentamente la mano fasciata; nei punti in qui vi era la ferita, il tessuto ruvido era divenuto rosso.
Messer Iben chiuse la porta, che in realtà si accostò in quanto l’asta di legno era stata poggiata a terra, mentre Messer Ivan si dispose davanti al tiranno.
 
“Mio signore, ecco le vostre genti.”.
 
“Ti ringrazio Messer Ivan.”, disse spostando nuovamente gli occhi su Elena.
Si diresse esattamente verso di lei e le si fermò davanti.
Le membra della ragazza cominciarono a tremare. Iniziò a sudare freddo.
 
“Eccola, la feccia. Ti ho già riservato il trattamento che toccherà alle donne che entreranno a far parte delle mie truppe, quindi dovresti essere consapevole che sei già arruolata.”.
 
Ne era sempre stata consapevole. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarne, nella speranza che quel gesto fosse solo uno stupido dispetto, un capriccio del signore del castello.
Adesso la verità le era arrivata come una frustata sul petto e lo faceva ribollire di una rabbia scottante.
Strinse i pugni e sentì un dolore pungente pervaderle il braccio legato alla mano ferita.
Disciolse subito le mani. Si era fatta male da sola e le lacrime le saltarono violente agli occhi.
Il tiranno le prese la mano e se la portò quasi al viso.
 
“Noto che stai meglio. Non voglio sentire che ti sei lamentata durante l’addestramento. Devi combattere egregiamente.”
 
Lasciò ricadere la mano che andò a sbattere violentemente contro il corpo stesso di Elena. Ciò le provocò un dolore lancinante. Incurvò il volto in una smorfia di dolore che, fortunatamente, Messer  Pietrone non vide, spostatosi di fronte a Mia che era impallidita a vista d’occhio. Pareva un fantasma.
 
“Anche tu. Si, anche tu entrerai a far parte delle mie truppe!”.
 
Sguainò la spada, le prese i capelli e le inferse un taglio netto e precisissimo che creò una caschetto esattamente uguale a quello dell’amica.
Mia non si mosse; subì l’affronto con una forza tale da non lasciar trasparire alcuna emozione. Non pianse, non mostrò rabbia. Il nulla.
 
“Perfetto. Sei in carne, spero sarai degna di restare nelle mie truppe e di combattere. Non fare come la feccia della tua compagna, non ti conviene.”, rise crudele.
 
Mia alzò lo sguardo. Bruciava di ira e odio. Aveva nuovamente offeso l’amica e non poteva sopportarlo.
Il tiranno si era già spostato presso Lorenzo e non la vide, nascosta anche dai suoi nuovi capelli corti.
Messer Iben la vide e le si parò davanti.
 
“Abbassa la testa.”, le sibilò.
 
Lei lo guardò, furiosa come non mai e poi si sentì costretta ad abbassare il capo; lo sguardo del giovane cavaliere le bruciava scottante sulla pelle.
Tornò al suo posto, mentre il tiranno non notò nulla, spostatosi qualche persone più in la.
La selezione crudele avvenne.
Le uniche donne a far parte delle truppe furono Elena e Mia. Le altre furono adibite alle pulizie, alle cucine e ad altri lavori, in quanto notevolmente emaciate dalla carestia che nella città divorava vittime, affamata.
Il destino giunse sulle spalla di Elena e Mia come un macigno.
 
“La selezione è stata fatta miei cari cavalieri, gli uomini sono tutti arruolati, le donne..”, guardò Elena e Mia e rise maligno, “potete vederlo voi. Forza, assegnateli alle vostre proprie fazioni a vostro piacimento. Ciò di cui faranno parte non mi interessa minimamente. La cosa fondamentale è che sappiano combattere..sono stato chiaro!?”.
 
“Si, mio signore.”, affermarono all’unisono.
 
“Bene, mi ritiro. Ci ritroveremo domani mattina, solita ora, qui. Mi farete il rapporto dell’addestramento, in modo estremamente dettagliato. Chi non è in grado sarà spedito e pulire le stalle dei miei draghi. Poi vedrò cosa farne.”.
 
L’ansia aleggiò tra i presenti. Adesso il loro destino era ancora più sospeso.
Elena porto istintivamente lo sguardo alla mano e ricordò le parole di Davide.
Già, era proprio un bel guaio. La ferita le avrebbe sicuramente fatto male e i cavalieri lo avrebbero riportato. Sperò, istintivamente, di essere assegnata alla fazione di Messer Ivan, la Fanteria.. Magari lui la avrebbe capita.
Messer Pietrone uscì e chiuse violentemente la porta.
Un esatto istante dopo, Messer Ivan le si parò davanti.
 
“Lei fa parte della mia fazione.”.
 
Messer Iben rimase interdetto sulla tempestiva scelta di Messer Ivan, poi comprese e gli rivolse uno sguardo cauto.
Elena lo guardava esterrefatta. Lui la fissava duro e serio.
 
“Io prendo la donna accanto.”.
 
A Elena, parve come se una lancia le trafisse il petto da parte a parte, provocandole un dolore tale da sembrare che stesse per morire. Avrebbe preferito fare parte delle truppe del crudele Messer Iben piuttosto che stare lontana dall’amica.
Si voltò verso di lei che già la stava guardando pallida.
Mia si sentì mancare. L’aria parve mancarle, si sentiva un tappo nella gola.
Aveva gli occhi inespressivi e si sentiva le braccia e le gambe pesanti.
Lorenzo fu accolto nella Fanteria, assieme ad Elena, e così ad ognuno fu affidato il proprio posto.
In ordine, un ragazzo faceva parte della Fanteria,l’altro della Cavalleria.
 
“La Cavalleria, la mia fazione, spesso la addestra anche Messer Pietrone. Quindi è sotto il vigile controllo di entrambi. Fate un buon addestramento oggi. Probabilmente già domani mattina sarete sotto il suo controllo.”, disse serio e nervoso.
Lui non pareva stare dalla parte di Messer Ivan, ovvero contro il tiranno come aveva scoperto Elena, ma comunque le parve da parte sua una comprensione innata rispetto all’atteggiamento di Messer Ivan. Era riuscita a percepirlo solo tramite lo sguardo.
 
Dopo tali parole del compagno, Messer Ivan si diresse all’esterno della stanza e tornò con qualche divisa.
Una la gettò ai piedi di Elena e via via agli altri. Lo stesso fece Messere Iben, non appena l’altro cavaliere ebbe finito.
Messer Ivan sussurrò qualcosa all’orecchio di Messer Iben e lui annuì.
 
“Donne”, disse a Elena e Mia, “seguitemi.”.
 
Le portò in un’altra stanza, molto vicina alla sala del trono, sotto l’arco da cui erano giunti il giorno prima.
 
“Voi vi cambierete qui.”.Le guardò, poi tornò indietro.
 
La porta era già spalancata, in quanto il cavaliere l’aveva aperta per prendere le divise.
Entrarono. La stanza era ricca di armi appese al muro e indumenti da cavalieri. Armature, cotte di maglia, stivali.
Alcune spade, appese al muro, erano talmente grandi da fare paura.
Regnava, centrale, uno spadone a due mani; sicuramente del tiranno utilizzato durante le battaglie.
Sul fondo della stanza, sulla parete, era appeso un abito femminile, lunghissimo dal color prugna e decorato.
Elena ne rimase incantata. Portava un ventaglio dritto sulle spalle. Sulla lunga gonna si apriva uno spacco di tessuto dorato e sul seno ricadevano due semicerchi di perle.
Era favoloso ed incantevole. Un vestito di quelli che si sentivano descrivere solamente nelle favole.
Alla sinistra di esso, sempre appeso al muro, un piccolo armadietto quadrangolare con la sportello di vetro.
A regnarvi dentro, splendide, due corone. Una pareva adatta ad un uomo, l’altra ad una donna.
 
“Elena! Elena riprenditi!”, l’urlo di Mia la fece tornare alla realtà.
 
Ancora però pensava a quel vestito, quella meraviglia in mezzo a tutte le armi che chissà quante vite avevano portato via. Pareva la luce in mezzo alla distruzione, la salvezza.
 
“Mia. Mia..”.
 
“Ti rendi conto che ci hanno divise!?”.
 
Le amiche si strinsero forte, disperate. Non potevano sopravvivere lontane.
 
“Senti Ele, facciamo così..restiamo calme, tanto la sera ci vedremo, giusto?”.
 
“Spero vivamente di si Mia..lo spero davvero..”.
 
Tra le mani avevano le divise che i cavalieri avevano consegnato loro.
I loro capelli corti le rendevano quasi irriconoscibili.
La divisa di Elena era composta da una cotta di maglia che doveva essere posta sotto una casacca di lana marrone scura.
Un’altra casacca di pelle dal color marrone chiaro,puntellata di bottoni tondi e massicci in ferro, era l’ultimo strato di abiti da indossare. Portava sul petto, cucito, uno scudo in pelle marrone scura con disegnata una Croce bianca.
Sulla vita doveva essere legata stretta una cintura di cuoio. Un paio di calzamaglia grigie le dovevano coprire le gambe.
Ai piedi un paio di stivali di cuoio che erano di qualche numero più grande.
L’elmo era del tutto identico a quello di Messer Ivan, tranne per il grande ventaglio d’argento: loro lo avevano molto piccolo e poco visibile.
Mia, invece, possedeva la stessa cotta di maglia provvista di cappuccio, stesse calzamaglia e stivali.
L’unica cosa che le distingueva era la casacca.
Mia ne aveva una unica di lana, composta da grandi rettangoli colorati in verde e rosso. L’elmo era identico a quello di Elena, se non per un pennacchio nero che stava sul centro. Si spogliarono dei vestiti sporchi.
Si ritrovarono nude, se non per i mutandoni immensi che arrivavano loro fin sopra le ginocchia  e una fascia a sostituire il loro solito reggiseno.
 
“Non pensavo di avere una fascia di tessuto sul seno sinceramente..”, affermò schifata e nervosissima Mia.
 
“Non solo, tu mi devi spiegare come mi posso mettere le calzamaglia con questi mutandoni !”.
 
Furono costrette a sopportare tutte quelle angherie. I mutandoni , la fascia.. ma quello che le rendeva loro nervose e che pesava più di qualsiasi altra cosa era la divisa differente.
Il loro diverso colore sottolineava che tra poco si sarebbero dovute separare, chissà per quanto.
In quella situazione non si sarebbero nemmeno più potute vedere.
Si misero il tutto indosso, senza nemmeno guardarsi.
Quando finirono si guardarono innervosite e impacciate.
Scoppiarono in una risata fragorosa. Si sentivano ridicole e assolutamente fuoriposto.
 
“Sei davvero bella conciata così Ele..ahah!!”.
 
“Parli tu Mia!?”.
 
Risero, ma dopo poco le loro risate si spensero. Si ricordarono di essere nella realtà, che nulla di tutto quello era un gioco. Essa ripiombò violenta su di loro, dando uno schiaffo pauroso ai loro cuori.
 
“Che forza abbiamo per riuscire a ridere in un momento come questo..?”, chiese Mia.
 
Elena la guardò spaventata. Poi qualcuno bussò.
 
“Siete pronte!? Non possiamo aspettare i vostri comodi!”, Iben.
 
Elena corse incontro a Mia e la strinse fine a toglierle il respiro.
 
“Non posso starti lontana..”, sussurrò Elena in lacrime al suo orecchio.
 
“Nemmeno io Ele, nemmeno io..”.
 
Si separarono.
 
“Ci vedremo stasera..?”.
 
Mia osservò intensamente lo sguardo spaventato dell’amica.
 
“Lo spero davvero.”.
 
“Avanti!!”.
 
L’urlo del cavaliere squarciò i loro cuori.
 
“Pronte!”, urlò Elena.
 
Messer Iben spalancò la porta.
 
“Finalmente…”, sibilò cattivo.
 
Le ragazze uscirono molto velocemente. Le file delle due fazioni erano già pronte.
Mia fu costretta ad accostarsi ad un uomo che neanche conosceva mentre Elena si ritrovò sola, in fondo alla fila.
 
“Voi, uomini della Fanteria, mi seguirete sino alla piazza sotto le vostre camere! La Cavalleria, di Messer Iben, si protrarrà qua sino all’ora stabilita! Verso l’ora sedicesima tornerete tutti alle vostre stanze!”.
 
Mia ed Elena si guardarono disperate un’ultima volta. Poi Messer Ivan si mosse, in testa alla fila, e la Fanteria lo seguì. Aveva già consegnato le spade a tutti e lo fece anche con Elena, per ultima.
Percorsero la solita strada e giunsero alla piazzola sotto le stanze. Ognuno aveva un compagno, anche Lorenzo che era a metà fila si trovava al fianco di un altro ragazzo.
 
“Disponetevi a coppie, l’uno di fronte all’altro!”,ordinò il Cavaliere.
 
Elena rimase nel mezzo, mentre tutti si erano disposti come aveva detto Messer Ivan.
 
“C’è nessuno che è rimasto senza compagno!?”.
 
Quando si voltò verso il centro la vide e sgranò gli occhi.
 
“Bene, tu combatterai con me!”, fu costretto a dire.
 
Avanzò verso la ragazza e le si mise davanti. Non disse niente su come combattere. Non istruì nessuno, li lasciò fare.
 
“Avanti, combattete!!!!, urlò.
 
Gli altri si affrettarono e un rumore metallico potente cominciò ad aleggiare nell’aria. Un’orchestra elegante, stava suonando con strumenti composti da metallo; questo pareva a Elena che nel frattempo si era pietrificata. Lo guardava negli occhi imbambolata, senza respirare, senza battere ciglio o muovere dito. Quel verde smeraldo dei suoi occhi la abbindolava e spaventava.
Aveva la spada stretta tra le mani , in posizione di attacco. Era infinitamente piccola e minuta rispetto al possente cavaliere. Era troppo bassa per poter affrontare un uomo di quella portata.
 
“Avanti..”, le disse quasi con dolcezza,ma serio, “non avere paura..”.
 
Lei non si mosse. Sudava freddo, non si aspettava una simile situazione.
Continuava a guardalo negli occhi, il respiro mozzato e un lancinante groppo in gola che le impediva di respirare a fondo e di calmarsi. Continuava a tenere la spada in posizione d’attacco.
 
“Coraggio..”, le sussurrò il cavaliere, cercando di non farsi assolutamente sentire dagli altri.
 
Elena prese forza, gli si buttò addosso, come un lupo si avventa sulla preda.
Maneggiò la spada con una mano soltanto, inesperta. Formò due piccolissimi e deboli fendenti laterali che Messer Ivan parò.
Il cavaliere combatteva, ma sembrava facesse finta, sembrava giocasse.
Elena si sentiva presa in giro, ma in cuor suo provava un estrema gratitudine per il ragazzo; del resto un confronto serio l’avrebbe uccisa.
Ad un tratto, Messer Ivan compose un fendente laterale troppo ampio e colpì il braccio sinistro di Mia. Per fortuna aveva indosso la cotta di maglia.
Le si avvicinò e le prese il braccio.
 
“Perdonami! Ti ho fatto male?”, le chiese preoccupato.
 
“No, non è successo niente..”, sussurrò Elena imbarazzata, guardando altrove.
 
Gli altri ragazzi parevano a loro agio. Le spade volteggiavano eleganti come ballerine e lei era l’unica dannatamente impacciata alla quale era toccato combattere contro il cavaliere più fidato del castello.
 
“In guardia.”, affermò lui serio per farla tornare attenta.
 
Così Elena lo guardò e caricò di nuovo. Ripresero a combattere e rimase affascinata dai movimenti del cavaliere. Combatteva con un’eleganza naturale, come se fosse nato con la spada; come se le sue capacità gli scorressero nel sangue sin dal suo primo respiro.
Il suo mantello volteggiava per aria, seguendo i suoi movimenti.
Ad un tratto Elena pensò di essere finita in una favola, in una di quelle in cui è presente quel cavaliere dall’immane mantello che va a salvare la principessa.
Ma qui non vi era nessuna dama, ma solo un uomo spietato e senza cuore che comandava tutti, anche Messer Ivan.
Un urlo squarciò l’orchestra di metallo.
Messer Ivan si voltò di scatto, interrompendo il loro combattimento.
Si voltarono tutti e videro un ragazzo piegato in due, molto vicino a Lorenzo che guardava Mia disperato.
Lei cercò di sorridergli e lui ricambiò preoccupato.
Ivan si era indirizzato velocemente dal ragazzo ferito e gli aveva messo una mano sulla spalla.
 
“Nessuno vi ha detto di fermarvi! Continuate a combattere! Tu, vai a combattere con la ragazza in fondo!”.
 
Indicò il ragazzo che, per sbaglio, aveva ferito il suo compagno.
Elena si sentiva ancora più in imbarazzo. Avrebbe dovuto mostrare la sua incapacità anche ad un altro. Sperò che la spada non fosse l’unica arma che avrebbero imparato ad utilizzare. Magari era in grado di maneggiare adeguatamente un altro strumento. Era sempre rimasta affascinata dall’arco con le frecce, ma chissà se le avrebbero insegnato anche quello.
Presero a combattere, Elena che cercava di dare tutta se stessa.
Questa volta lo sentì, potente e agghiacciante. Il dolore le pervase il braccio, fino a farlo informicolire. Una piccola scossa sembrava essersi impossessata del suo braccio destro.
Lo strinse con foga, con la mano sana e lasciò cadere la spada a terra.
Sospirò ed emise un verso. Raccolse la spada e si sistemò.
 
“Tutto apposto?”, le chiese il ragazzo vagamente preoccupato.
 
“Si, grazie..”.
 
“Sei sicura di voler tornare a combattere? Perché non lo dici al cavaliere?”.
 
A mia prese il panico.
 
“Nono, davvero, posso combattere!”, cercò di rassicurarlo.
 
“Come vuoi.”.
 
Era riuscita a rassicurare il ragazzo, ma non se stessa. Sentiva la ferita pulsare, come animata da un cuore proprio. Vide la benda scurirsi di rosso e capì che era nei guai. Un lampo le trapassò lo stomaco e combatté  male.
Alla fine dell’addestramento, si sentiva ridicola e imbarazzata. Avrebbe voluto sprofondare sotto terra piuttosto che subire quella stupida umiliazione.
Lorenzo, al contrario, pareva essersi mescolato a proprio agio nella lotta. Lo vedeva far volteggiare la spada con movimenti casuali che, per sua fortuna, spesso andavano a fondo e facevano prendere senso alla sua battaglia.
Era preciso e veloce, riusciva a confondere bene il nemico e si sentiva sicuro.
Non era imbarazzato, non era impacciato.
Elena lo invidiò, nel profondo del cuore e per un istante desiderò di essere in coppia con lui.
Il ragazzo ferito venne portato nella sua stanza da Messer Ivan e il nuovo compagno di Elena lo fissò con il volto dal quale traspariva un senso di colpa lampante.
 
“E’ mio fratello, mi dispiace avergli fatto del male..Non è niente di che, una botta allo stomaco, appena finirà l’addestramento gli starò vicino.”.
 
Elena gli sorrise imbarazzata, non sapendo che dire.
Tornò a pensare a quell’abbigliamento ridicolo dal quale si sentiva profondamente estranea. Poi il suo pensiero corse a Mia. Si chiese cosa stesse facendo, se a lei stava andando tutto bene o se si sentiva come lei. Le mancava terribilmente e avrebbe preferito combattere con lei, anche se non lo avrebbero fatto bene in quanto non si sarebbero mai fatte del male.
Poi pensò. Pensò, al fatto che di fronte al cavaliere non aveva provato nessun dolore, troppo intenta ad osservarlo e a pensare di non fare brutta figura proprio davanti a lui che avrebbe dovuto riportare tutto al tiranno. Ripensò ai suoi occhi e tornò a combattere.
 
 
 
Mia guardò con sfida il proprio compagno. Caricò il colpo e lo assalì come una fiera. Lui si trovò spiazzato dinanzi a tanta sicurezza e forza. Tirava colpi a caso, imprecisi, ma talmente forti e animati da arrivare a fondo.
La spada del giovane volò via e mia si sentì atterrita dal suo sguardo spaventato.
Capì di stare sfogando il proprio nervoso su di lui e di incentrare tutta la sua rabbia in quel combattimento. Si scusò.
 
“Mi dispiace, starò più attenta, promesso”, si sforzò di sorridergli.
 
Lui ricambiò, senza fiato e impaurito.
 
“Grazie..Non sono pratico di queste cose..infatti credo che andrò a spalare le stalle dei draghi di Messer Pietrone.”.
 
Il ragazzo abbassò lo sguardo, arreso.
 
“Non devi pensarla così. Se continuerai a credere in questo, davvero finirai li dentro! E non ti conviene in questa situazione. Serve solo raccogliere un po’ di energia e forza ed essere sicuri di ciò che si fa. Io non ho mai preso in mano una spada vera, te lo posso giurare! Eppure sono riuscita a dare un senso alle mie mosse, ai miei affondi, e ti ho spiazzato. Sii più sicuro di te e meno timido, vedrai, la tua spada farà parte di te come fosse il prolungamento di un tuo braccio!”.
 
Gli trasmise forza.
 
“Grazie..ma..come fai ad essere così forte?”, chiese lui esterrefatto.
 
“Sono abituata a doverlo essere e trasmettere forza è diventato il mio compito. Sono stressata e innervosita da tutto questo quanto e forse più di te per svariate cause ma non mi faccio abbattere. E sai perché? Mi dispiace dirtelo, ma mantenere un atteggiamento di questo genere è l’unico modo per andare avanti qui dentro.”.
 
“Mi hai convinto..”, un sorriso sghembo si disegnò sul volto del ragazzo.
 
“Allora alza quella spada di terra e combatti! Combatti per te! Combatti per sopravvivere!”.
 
Lui raccolse la spada e caricò. Questa volta i suoi colpi erano più efficaci e sicuri. Nei suoi occhi, Mia lesse una nuova forza e fu soddisfatta di ciò che aveva scatenato nel ragazzo.
Un lampo di soddisfazione le attraversò gli occhi.
Intanto, Messer Iben, da lontano la osservava. Si chiedeva come potesse essere così forte una donna in battaglia. Non ne aveva mai vista una e questa ragazza lo stupì.
Non le aveva detto nulla, non le aveva insegnato nulla, eppure maneggiava la spada con forza. Certo, i suoi movimenti andavano perfezionati, ma sapeva già fare gli affondi da sola.
Si ricordò con quale disprezzo le aveva consegnato la spada poco prima che iniziassero a combattere e rise. Aveva sottovalutato quella ragazzina. Adesso, invece, era soddisfatto.
Intanto Mia continuava a combattere e si sentiva una vera guerriera, un leone.
Non era mai stata così carica e soddisfatta di dimostrare tutto il suo potenziale.
Adesso l’avrebbero premiata per questo. Fu felice di essere così, e per la prima volta riuscì a lodarsi interamente a essere fiera di ciò che era.
Il combattimento dopo qualche ora terminò e pensò ad Elena.
Chissà cosa faceva. Era preoccupata del suo atteggiamento. Sapeva bene che Elena si scoraggiava facilmente. Sperò che il suo compagno l’avesse trattata bene e l’avesse fatta sentire a suo agio, altrimenti sarebbe stata spacciata.
Avrebbe voluto essere lì con lei, ad infonderle la forza che aveva inculcato in quel ragazzo. Un senso di impotenza la pervase.
Ma poi capì. Capì che forse era meglio così, che stavolta Elena avrebbe imparato a farsi forza da sola.
Sorrise e l’entusiasmo che le prese pensando all’amica le colpì il cuore.
 
  
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