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Autore: Deirbhile    05/01/2013    5 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Di Chiara Torri la gente aveva sempre detto molte cose, ma lei delle opinioni degli altri poco si interessava e la sua indole solitaria la portava a trascurare o evitare anche i consigli delle persone a lei care

Di Chiara Torri la gente aveva sempre detto molte cose, ma lei delle opinioni degli altri poco si interessava e la sua indole solitaria la portava a trascurare o evitare anche i consigli delle persone a lei care. Una cosa però le era sempre rimasta impressa, detta da chissà chi chissà quanti anni prima. I libri che leggeva, spasmodicamente, come se fossero l’ossigeno vero che permetteva la sua sopravvivenza, non erano altro che pallidi spettri dei suoi più intimi desideri. Chiara ricordava con disprezzo quella giornata disastrosa nella quale la psicologa del liceo l’aveva ricevuta, quando sua madre l’aveva costretta con le sue solite maniere persuasive a recarsi da lei per superare gli ultimi avvenimenti, la solitudine a cui non trovava cura e la rabbia che inevitabilmente reprimeva ed esplodeva attraverso reazioni nervose, ma di quel giorno non aveva mai raccontato a nessuno. Ora, mentre se ne stava in camera sua, con in mano la sua copia di “Cime Tempestose”, suo libro preferito dai tempi delle medie, pensò che, in fin dei conti, quella stramba psicologa avesse ragione. I suoi libri, quelle pagine che spesso trattava con più riverenza e rispetto degli esseri umani, non erano altro che la proiezione materiale di ciò di cui aveva bisogno. Cercava, quasi per impulso naturale, avventure mai vissute fra le pagine dei libri, nei personaggi compagni di gioco, amici, l’amore. Maledisse il suo carattere così chiuso e gettò il libro sul letto, in una scarica di rabbia improvvisa. Ultimamente le succedeva di essere più nevrotica del solito, più silenziosa, più malinconica, ma di una malinconia violenta, un sentimento che le opprimeva la gola e le impediva di agire come suo solito. Benedetta, che oramai era a casa da circa una settimana e mezzo, sarebbe partita quella sera stessa, con la scusa di un esame da preparare e di non potersi permettere troppi giorni lontano dall’università. Ci aveva provato a tirare su Chiara che, a parer suo stranamente, era apatica e scontrosa come non lo era mai stata, ma a nulla erano valsi i suoi tentativi di trascinarla fuori casa, un po’ perché la sorellina tirava sempre in ballo la scusa dello studio, un po’ perché per cercare di scoprire cosa le stesse succedendo non voleva inimicarsela. Anche Riccardo l’aveva chiamata, le aveva mandato una marea di messaggini invitandola a farsi una passeggiata con lui, ma Chiara aveva sistematicamente rifiutato tutte le mani tese, orgogliosa come sempre.La mattina si alzava, andava a scuola a piedi, qualche volta incontrava Carmen e si comportava come se nulla fosse successo, e una volta in classe faceva di tutto per non ricambiare i continui sguardi di Roberta che, sebbene la fissasse, non appena suonava la campanella fuggiva in fretta verso l’uscita, quasi senza parlare con Angela o con Vanessa. Senza dubbio se avesse dovuto descrivere il suo umore con una canzone avrebbe scelto, vergognandosi, “ Hoplessly devoted to you” del suo musical preferito, Grease, che tanto si accordava con quell’atmosfera melanconica.

Chiara si sedette a gambe incrociate sul pavimento, finendo di ripassare l’ultimo paragrafo di letteratura latina, in cui era sicura sarebbe stata interrogata il giorno seguente, e strinse i pugni quando, al vibrare del suo telefonino, senza volerlo sperò che fosse Roberta.

- Devi smetterla- si intimò a bassa voce, afferrando  il cellulare e appurando che il mittente era solo Sabrina.

Ti vedo strana in questi giorni, Chià. Non è che c’è qualcosa di cui vuoi parlare a me o a Carmen?” recitava l’sms, ma Chiara replicò in una risposta secca e veloce che no, non c’era nulla che non andava.

Doveva continuare la recita. Il fatto che si fosse innamorata di una ragazza, per giunta la più stronza del liceo, a detta loro, e che l’avesse anche baciata da ubriaca per poi negare tutto come una vigliacca ,non era assolutamente nulla.

Più tardi, verso le sette e mezzo, quando già si stava avviando per andare in palestra, ricevette un’altra delle chiamate di Carmen.

- Pronto- sbuffò, afferrando la cornetta. Sapeva che l’amica voleva solo aiutarla, come sempre, ma proprio non ce la faceva a sopportare tutte quelle attenzioni, come se lei fosse quella da tener d’occhio, da aiutare.

- Sono io, come stai?- chiese la voce dall’altro capo del telefono.

- Sto bene-

- L’hai già detto a Sabri, io non ci casco-

- Non ho niente da dirvi-  mormorò sconfitta. Ci aveva pensato a confessare tutto,a togliersi il peso. Poi però si era detta che non era assolutamente il caso, che se già Roberta aveva sospettato qualcosa era già troppo per lei. Non sapeva esattamente come avrebbero potuto reagire le sue amiche.

- E’ che davvero ti vedo strana, Chiara. Sabato e domenica non sei voluta uscire con noi e martedì non hai nemmeno voluto fare un giro al parco. Tu adori il parco. E poi a scuola hai un’aria così triste- spiegò preoccupata Carmen, sperando che Chiara si decidesse a sputare il rospo.

- Sono solo stanca, troppe interrogazioni-

- Non ci credo, te l’ho detto, ma non voglio forzarti. Ti va di cenare da me stasera? Ci guardiamo un film- tentò. Chiara fece un verso di dissenso, mormorando che doveva andare agli allenamenti di kick boxing e che voleva salutare Benedetta.

- Capisco… batti un colpo se ti va di parlarne- disse infine, in tono afflitto. Si salutarono velocemente e Chiara staccò, fiondandosi giù per le scale e uscendo di casa.

L’aria di quel pomeriggio di inizio maggio era fresca e profumata di fiori di pesco e altri frutti, che nei giardini vicini a casa Torri cominciavano a lussureggiare. Il sole, luminoso e tondo come una palla di fuoco, si apprestava a compiere il suo circolo dietro gli Appennini, brune sagome terrose che sfidavano  il cielo con le loro vette arrotondate.

Chiara, camminando sul marciapiede, scalciava di tanto in tanto qualche pigna caduta in strada, con un sonoro fragore, mogia e passiva. Sperava che almeno quella sera sarebbe riuscita a sfogarsi con qualche pugno, perché Giò aveva detto che finalmente avrebbero provato il combattimento corpo a corpo, dopo essersi allenate tutti quei mesi. La sua adrenalina scalpitava a quel pensiero. Già leggermente più allegra, corse dritta negli spogliatoi, sperando di non incrociare nemmeno di striscio Roberta, che a dire il vero in quel periodo stava saltando tutti i turni che avevano in comune. 

Si sfilò velocemente la felpa e la appese ai ganci delle panche, per poi trascinarsi fuori lo spogliatoio, vicino al gruppetto di compagne di corso che si era formato attorno a Giò. Tra di loro, notò la coda di cavallo lunga e scura di Roberta e il suo viso sempre perfetto, accigliato in una smorfia di lieve disappunto.

- Su ragazze, cominciamo col riscaldamento e dopo vi dividerò in coppie per il corpo a corpo- esclamò l’istruttore, con quel suo tono gioviale da poco più che ventenne. Poi si diresse verso Chiara e Roberta che, cercando di ignorarsi a vicenda, furono costrette a girarsi nella sua direzione.

- Voi due, vi metto in coppia… siete le più forti e non voglio rischiare che mandiate in ospedale una di quelle ragazzine- le ammonì, ammiccando a tre ragazzette, probabilmente delle medie, che nell’angolo si rimiravano le unghie smaltate.

- Che palle- borbottò sotto voce Chiara, posizionandosi per il riscaldamento e cominciando a piegarsi sulle gambe. Roberta, in silenzio, l’affiancò, eseguendo, senza degnarla di uno sguardo, tutti gli esercizi preparatori. Quando ebbero finito, senza che si fossero guardate nemmeno per sbaglio, Giò cominciò a disporre le coppie al centro del ring. Chiara e Roberta, con in volto la migliore espressione di sfida, si misero l’una di fronte all’altra, infilandosi provocatoriamente i guantoni.

- Ci andrò piano con te-  la sbeffeggiò la riccia, allacciandosi un guantone rosso. Chiara, che di fronte alle sfide perdeva ogni insicurezza, le rivolse un sorrisetto sornione.

- Tranquilla, non ce ne sarà bisogno-

Quel piccolo teatrino fu interrotto dal vocione dell’istruttore che richiamava il silenzio e mostrava, in coppia con una di quelle ragazzine pateticamente innamorate di lui, che per la troppa vicinanza sembrava stesse per svenire, un paio di mosse da ripetere dopo di lui.

- Ricapitoliamo quello che abbiamo imparato in questi mesi e poi verificheremo con un piccolo incontro… che ovviamente sarà puramente dimostrativo, non voglio che vi picchiate come è successo al gruppo del sabato- le avvisò, per poi sfiorare la guancia della compagna con un gancio destro solo accennato. Chiara fece lo stesso con Roberta, portando una mano ai lati della sua testa, a sfiorarle quasi la coda di cavallo. La riccia la guardava con un’aria totalmente assente. Quando Giò mostrò una mossa analoga, questa volta con la gamba destra, Roberta lo imitò, ma a metà del calcio, nei quali in effetti non era proprio ferrata, si sbilanciò all’indietro e, per evitare che cadesse, Chiara le afferrò la caviglia, facendosela cadere addosso. Finirono lungo distese sulla superficie morbida del ring, con le guance accaldate che si sfioravano e le gambe intrecciate. Chiara fece appena in tempo a sentire il delicato respiro di Roberta sul collo esposto e rabbrividire, che quella si era già alzata con uno scatto agile per tornare ai posti di partenza.

- Ti conviene davvero andarci piano-  le mormorò la rossa con voce roca, lanciandole uno sguardo deliberatamente malizioso. Più che un combattimento corpo a corpo la loro sembrava una vera e propria danza di corteggiamento.

Roberta replicò con uno sbuffo irritato, scostandosi i capelli dal collo, ora decisamente arrossato,  e riprendendo ad imitare le mosse dell’istruttore.

- Perfetto, siete state brave! Ora chi vuole cominciare col primo incontro?- domandò allegro e, senza esitare nemmeno un secondo, Roberta e Chiara si fecero avanti, guardandosi agguerrite e battendosi i guantoni, come se non avessero aspettato altro che affrontarsi in modo diretto.

- Oh, accidenti… voi due, dovevo immaginarlo. Andateci piano, vi prego. Ricordate che dovete indossare il paradenti e parastinchi anche se si tratta di poin fighting e che non dovete per nessun motivo al mondo mettere K.O. l’altra - esalò preoccupato Giò, passandosi una mano sul viso e sperando che nessuna delle due uccidesse l’altra. La tensione nell’aria era palpabile e tutte le allieve erano scese dal ring, per aspettare il loro turno e nel frattempo godersi lo spettacolo di quelle due leonesse nell’arena. L’istruttore fischiò e diede inizio al match.

Subito Chiara si fece avanti, sfiorando il viso dell’avversaria con un pugno in volo, che le fece aggiudicare il primo punto. Roberta, coi guantoni a difenderle il viso, deviò per un soffio un calcio al corpo di Chiara e, scansandosi con una grande leggiadria, le assestò, sempre imprimendo poca forza come da regolamento, un montante, prontamente incassato dall’altra e anzi replicato con un ben meno leggero diretto. La riccia gemette per il dolore, ma, vedendo che Giò non si era accorto della mossa evidentemente contro regolamento, sogghignò, preparandosi a rispondere. Le due, sempre guardandosi come se volessero distruggersi ( o sedursi?) a vicenda,cercarono di  colpirsi con una serie di ganci di gran intensità, mancandosi per poco e, dopo che Chiara ebbe guadagnato altri due punti con un calcio semi circolare, Roberta la colpì a viso scoperto con uno dei suoi temibili diretti.

Senza che potesse accorgersene, Chiara era già caduta distesa sul ring con uno zigomo tumefatto, mentre Giò segnava con un sonoro fischio la fine dell’incontro.

- Ma si può sapere che vi prende!? Non è un full contact!- sbraitò, correndo subito in soccorso della rossa che, rantolando, si tolse il paradenti e abbandonò la testa dolorante all’indietro. Roberta, che si era tolta i guantoni non appena si era accorta di aver fatto male all’avversaria, abbandonò la sua tipica espressione di sfida per una sinceramente dispiaciuta, inginocchiandosi al suo capezzale.

- Scusa, scusa, scusa, non volevo farti male- mormorò, atterrita dal viso cereo di Chiara. Giò le intimò arrabbiato di scortarla all’infermeria della palestra e disinfettarle il taglio, così Roberta, circondandosi le spalle con un braccio di Chiara, scese dal ring.

La rossa, che nel frattempo aveva seguito intontita gli avvenimenti, poco conscia di quello che stava accadendo, si abbandonò totalmente sul busto di Roberta, che doveva essere parecchio forte perché la trascinò fino al lettino della piccola stanza dell’infermeria senza battere ciglio. La adagiò con delicatezza, togliendole i parastinchi e controllando il suo battito cardiaco.

- Ma non dovrebbero avere un medico o un infermiere in questo posto?- domandò Chiara, con la sua solita ironia. La riccia scosse la testa scocciata, mormorandole che lei aveva passato così tempo in quella palestra da essere quasi un’esperta. Le passò una mano sulla fronte e le scostò un ciuffo di capelli fulvi fuggito alla coda di cavallo.

- E’ solo un’escoriazione, te la disinfetto… non volevo colpirti così forte, non so cosa mi sia preso- le disse, ora con più imbarazzo, poiché evidentemente si era accorta di essere sola con lei, per la prima volta dopo ciò che era successo alla sua festa.  Anche Chiara era terribilmente imbarazzata ora che Roberta le tamponava la gota con delicatezza, seduta proprio vicino a lei e con metà corpo che la sfiorava. Chiuse per un attimo gli occhi e, nonostante il taglio bruciasse ancora un po’, si lasciò andare alla tranquillità che le trasmettevano i tocchi della riccia, che sembrava armeggiare con la garza come se il suo viso fosse fatto di cristallo.

- Fa male?- le domandò, quando Chiara si lasciò sfuggire un piccolo sospiro ad una fitta più intensa delle altre. Quella scosse la testa, abbandonando la testa sul lettino. Non appena ebbe finito di disinfettarle la ferita, Roberta le spalmò una pomata lenente, quasi accarezzandola.

-E’ solo un graffietto- sminuì la rossa, sentendo che se non avesse parlato, il cuore le si sarebbe fermato in gola. Roberta la guardò scettica.

- Ma se è uscito persino un po’ di sangue- osservò, dispiaciuta.

- Ci vuole ben altro per piegare Chiara Torri. Te l’ho già detto, no? Sono una tipa tosta, io- ridacchiò, alzando lievemente il collo, senza accorgersi che l’altra si era fatta più vicina per applicarle un cerotto. Tossicchiò, constatando che i loro nasi quasi si sfioravano.

- Va tutto bene, posso alzarmi- dichiarò, per uscire al più presto da quella situazione ambigua. Ma Roberta fece di no con la mano, impedendole di spostarsi.

- No, ferma, non ti muovere- le intimò, con una voce tremante.

- Che c’è?-

- Scusami- sussurrò a bassa voce e, senza darle il tempo di replicare, poggiò le labbra sulla sua guancia, proprio sul cerotto, strofinando il naso contro la sua fronte con una dolcezza disarmante. Chiara sentì il cuore partirle impazzito a quel gesto e rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva per la sorpresa. Roberta le scostò di nuovo quel ciuffo ribelle dietro le orecchie e,con un ultimo sguardo, che a chiunque fosse passato di lì sarebbe sembrato totalmente estatico, le sfiorò la mano e uscì dall’infermeria.

Dopo due minuti buoni passati a fissare il vuoto con un sorriso ebete in volto, Chiara scese con un balzo dal lettino, sentendosi improvvisamente più viva e piena di energia dei giorni precedenti. Dopo che le altre tre coppie ebbero completato il loro match, tutti alquanto ridicoli e poco avvincenti a confronto di quello di Chiara e Roberta a dir il vero, Giò le salutò e le lasciò tornare agli spogliatoi, non senza lanciare prima uno sguardo di disapprovazione nei confronti della riccia. Infilatasi allegramente la felpa e scioltasi i capelli rossi, Chiara non ebbe il tempo di allacciarsi bene le scarpe da ginnastica che Roberta era già scappata in un turbine di ricci scuri. Si chiese come mai la evitasse per poi avere quei contatti ravvicinati con lei, ma questo non la turbò più di tanto, in fondo anche lei aveva paura a parlarle e,  scappando in quel modo, Roberta non faceva altro che evitare imbarazzanti conversazioni anche a lei. Uscì fischiettando dalla palestra e notò con un sorrisone che Benedetta era venuta a prenderla con la sua Fiesta color magenta.

- Hey- la salutò con allegria, salendo in macchina e allacciandosi la cintura.

- Hey- replicò Benedetta, mettendo in moto l’auto, non senza notare l’umore decisamente più sollevato della sorellina.

Chiara prese a canticchiare una canzone che stava ascoltando con le auricolari.

- Come mai così di buon umore?- le chiese la bionda, guidando verso casa.

- Non lo so- bofonchiò Chiara, senza riuscire a trattenere un sorriso.

- Indovina chi ho visto uscire dalla palestra… quella tua amica, Roberta- insinuò Benedetta e Chiara per un attimo pensò che sua sorella avesse capito tutto. 

- Assomiglia molto al fratello… è identica. Tutti e due bellissimi-

- Pff, si bellissimi- tossicchiò la rossa, con le guance rosse come mele mature. Decise di cambiare argomento prima che il terreno diventasse troppo rischioso.

- Allora, parti stasera?- le chiese.

- Si, dopo cena, non ci vuole molto per arrivare a Perugia quando non c’è traffico, lo sai- rispose Benedetta, parcheggiando la macchina di fronte alla loro villetta. Scesero e la sorella maggiore sembrò accorgersi del cerottino che copriva la guancia destra di Chiara.

- Ti sei fatta male in palestra? Fa’ vedere-

- No tranquilla, mi hanno medicato bene- sorrise di sottecchi, entrando in casa.

Quella sera, dopo che ebbero cenato tutti e quattro insieme, evento eccezionale che accadeva solo nei brevi soggiorni di Benedetta, Chiara aiutò la sorella a caricare i bagagli in macchina, chiacchierando del più e del meno, con la stradina dolcemente cullata da una profumata brezza di metà primavera.

- Allora ci sentiamo, ti chiamo domani, sorellina-  le disse, scompigliandole i capelli rossi e dandole un veloce bacio sulla guancia non ferita. Margaret le raggiunse, stringendo la figlia maggiore e dandole un affettuoso bacio sui capelli, mormorandole di guidare piano e fermarsi almeno una volta in una stazione di servizio per un caffé. Matteo, che fino ad allora aveva osservato la moglie e le figlie scambiarsi sguardi e parole gentili, si unì anch’egli al quadretto, stringendo Benedetta fra le sue braccia.

- Mi raccomando, sta’ attenta in autostrada e chiamaci quando arrivi, piccola- le raccomandò, per poi tornare dall’altro lato della strada.

- Vi chiamo appena sono lì, buonanotte mamma, vi voglio bene- sussurrò Benedetta a sua madre, che quasi piangeva dalla commozione. Separarsi per loro era sempre difficile. Chiara le si avvicinò di nuovo timidamente, reclamando un altro abbraccio, che Benedetta concesse con un sorriso dei suoi.

- Mantieni la promessa che mi hai fatto e non metterti nei guai, capito? Chiamami quando vuoi e se hai qualcosa di cui parlare,parlamene senza alcuna riserva. Lo sai che ti voglio bene - le disse, dandole una piccola pacca sulla schiena.

- Si, lo so, ti voglio bene anche io, Ben. Buon viaggio- le disse e, quasi con le lacrime agli occhi, raggiunse i suoi sul marciapiede opposto. Benedetta salì in macchina e partì, segnando con un colpo di clacson la sua partenza.

La luna, pallida e fioca quella sera, come unica testimone dell’accaduto, accompagnò la famigliola in casa e cullò coi suoi raggi lattei i loro pensieri malinconici.

 

                                                                                                                 ***

Il mattino seguente, dopo una notte passata a fissare il soffitto, Chiara si alzò, avvertendo un grande senso di vuoto nel vedere che il letto di fianco al suo era tornato nella stanza degli ospiti e che Benedetta non era lì ad augurarle una buona giornata col suo sorriso contagioso. Nonostante questo, mentre si pettinava i capelli e li arricciava, compiaciuta di aver imparato bene dalla sorella, si disse che quella giornata in fondo non poteva essere peggio delle altre, avrebbe perso un bel voto in letteratura latina, visto che aveva studiato Cicerone con un’accortezza più maniacale del solito, nella speranza di buttar fuori dalla sua mente tutti i pensieri riguardanti Roberta, e sarebbe tornata a casa un po’ più sollevata.

Una volta in cucina, vedendo che sua madre era già in ospedale, si fece una spremuta d’arancia e afferrò uno dei muffin che aveva cucinato insieme a lei la sera prima. Consumò la colazione velocemente e corse in strada, ansiosa di sentire fra i suoi capelli la delicata aria di maggio.

Non incontrò Carmen quella mattina, ma vide Riccardo che, evidentemente aspettando lei, se ne stava seduto su un muretto poco più in là, coi suoi occhiali da sole che Chiara aveva sempre definito troppo vintage. Prese un bel respiro, preparandosi ad affrontarlo, e si avvicinò.

- Ciao- la salutò lui, in tono neutro.

- Ciao, Riky- rispose Chiara, con gli occhi bassi. Aveva l’impressione che lui fosse arrabbiato per il modo in cui era sparita.

- Allora, va tutto bene o vuoi continuare ad ignorarmi?-

- Io, scusa… sono successe troppe cose tutte insieme e sai che io non sono brava a gestire i rapporti e… non sapevo come dirtelo, come…- farfugliò Chiara, nel tentativo di scusarsi.

- A cosa ti riferisci, scusa?-

- Al fatto che i rapporti fra di noi, beh… devi ammettere che si erano fatti strani, ambigui-

Riccardo la squadrò con sospetto da dietro gli occhiali. Sembrava avesse perduto quella giovialità che tanto piaceva a Chiara.

- Te ne sei accorta allora-

- Già-

- Eppure sei sparita-

- Senti, io… voglio che noi rimaniamo amici. Mi dispiace, ma fra di noi non può esserci nulla di più e non voglio rovinare il bel rapporto che abbiamo sempre avuto in questi anni-

- Bel rapporto? Chiara io sono sempre stato innamorato di te! E tu cieca, non te ne sei mai accorta! Sei sparita in quel modo e io ho cercato di farmene una ragione… ma sai una cosa? Non posso. Da quando Monica mi ha mollato tu sei la mia sola e unica speranza, non te ne rendi conto? Non posso lasciarti andare così facilmente- disse tutto d’un fiato, facendosi rosso per lo sforzo. In quello, lui e Chiara erano molto simili. Tendevano a nascondere troppo a lungo cose troppo grandi, per poi scoppiare come bombe ad orologeria.

- Mi dispiace-

Ed era vero. Chiara soffriva quanto lui  in quel momento, vedendolo così sconsolato e disorientato, mentre si dirigevano lentamente verso i rispettivi licei.

- Io non mi aspettavo sarebbe finita in questo modo- mormorò, in un ringhio. Erano arrivati sul piazzale al bivio in cui si sarebbero separati e a Chiara sembrava che quel crocevia non fosse altro che la proiezione fisica di ciò che stava accadendo nelle loro teste.

- Nemmeno io- ammise lei, rimirandosi le scarpe. Tutt’attorno gli studenti sciamavano come api sui fiori, con magliette colorate e berretti, voci allegre che si disperdevano nell’aria in attesa delle tanto agognate vacanze estive. Rimasero a guardarsi, con un intensità tale da dimenticare cosa ci fosse attorno a loro. Non erano dei semplici amici, loro due. Erano due anime affini che si erano trovate e avevano condiviso esperienze, si erano sostenute, avevano sconfitto ogn’una i propri demoni personali insieme. Era come se due compagni d’armi stessero per terminare il loro mandato. Nello sguardo di Riccardo c’era tutto: il desiderio di starle accanto, di proteggerla e la sofferenza di non poterlo fare se non da amico. Chiara, con un’ultima occhiata triste, mormorò di nuovo scusa, lo abbracciò velocemente e si diresse senza guardarsi indietro all’ingresso dell’istituto.

Per tutta la mattinata il pensiero di ciò che era appena accaduto gravò sull’umore di Chiara, ma un barlume di speranza le si era acceso in petto, quando aveva notato che lo sguardo dell’amico, deciso e arrendevole allo stesso tempo, era esattamente uguale a quelli che Roberta le lanciava durante l’arco delle lezioni. Finalmente, dopo aver preso un meritato otto in latino, con tanto di pacca sulla spalla da Ivan, la rossa si unì alla carovana di compagni che spingevano per uscire in corridoio e da lì verso la libertà del cielo di maggio, ma, notando che Roberta stava finendo di sistemare la sua roba in un mormorio rabbioso, in uno dei suoi soliti scatti di adrenalina salutò gli amici, con la scusa di aver scordato un libro, e la raggiunse.

- Non devi andare dal tuo ragazzo, uh?-

Roberta, piegata sulle ginocchia per raccogliere le penne che erano cadute dal suo astuccio, le parlò con un tono acido e graffiante. Chiara non era più abituata a sentirla parlare così.

- Io non ce l’ho il ragazzo- rispose, chinandosi anche lei per aiutarla. La riccia la guardò, come a dire “è inutile che continui a mentire”.

- Eravate proprio un quadretto adorabile stamattina-

Chiara notò che le era caduto anche un blocchetto per appunti, lo stesso che aveva notato in gita a Vienna, e si allungò per afferrarlo.

- Cos’è?- domandò, ma senza aspettare risposta, lo aprì, trovandoci fogli pieni degli stessi schizzi che aveva notato nella sua camera. Roberta ringhiò, cercando di prenderlo, ma Chiara fu più veloce e si allontanò, con ancora i disegni in pugno.

- Dammeli subito- abbaiò Roberta, con gli occhi quasi fuori dalle orbite. Chiara notò che erano lievemente arrossati, come se avesse pianto.

-Sono molto belli-

- Non importa, a nessuno importa- replicò l’altra, ficcando il blocchetto nello zaino e tirando su col naso.

- Stai piangendo?- chiese, ma era palese che gli occhi di Roberta fossero pieni di lacrime, cristalline e pure come gocce di rugiada.

- LASCIAMI STARE!- urlò, cercando di divincolarsi alla sua presa e scappare fuori dalla classe.

- No, aspetta, tu ora mi dici cosa c’è. Ti ho fatto qualcosa? Ieri sembrava andare… tutto bene-

- C’è che sono stufa di essere la seconda scelta di tutti-

Chiara la guardò senza capire, poi si avvicinò che darle un bacio sulla guancia, proprio lì dove era caduta la prima lacrima. L’altra la guardò, insicura e quasi tremante. Non l’aveva mai vista così esposta, nemmeno quella volta a Vienna o alla sua festa. Aveva pianto si, ma si era sempre nascosta dietro la sua maschera spavalda e sicura, quella di Roberta Della Corte, ricca figlia dell’avvocato più pagato del paese, perfetta e piena di se. Ora invece, rifletté Chiara, sembrava spaurita, come quei leoni in cattività, nei cui ruggiti feroci si potevano scorgere pianti di disperazione.

- Tu non sei la mia seconda scelta, Roberta-  disse la rossa, seria in volto. Quella le si avvicinò con uno scatto.

- Ah, no? Ci siamo baciate alla mia festa e mi hai deliberatamente ignorata tutto questo tempo. Mi hai lasciato lì, ubriaca e sola, dopo aver praticamente abbattuto ogni mio schermo di protezione, indifesa- ruggì quasi, premendole addosso col suo corpo e spingendola ad indietreggiare fino ad un banco.

- I-io non avevo idea che tu te lo ricordassi-

- Come potevo dimenticarlo?- domando Roberta retoricamente, afferrandole il polso.

- Nemmeno io l’ho fatto-

- E poi mi alzo una mattina e ti vedo lì a flirtare con quel biondino, quell’idiota che ti sta appiccicato addosso da anni… dimmi, tu come ti sentiresti?-

- N-non bene- balbettò Chiara, vedendola di nuovo così sicura e agguerrita, con quegli occhi che sembravano volerla divorare viva.

- Non bene, esatto. E aggiungici il fatto che quel bacio lo aspettavo da anni e avrai capito perché sto piangendo- questa volta parlò più con un tono di voce più basso, quasi roco per lo sforzo.

- Oh-

- Te lo leggo in faccia, sai che lo farò… quindi questa volta vedi di non dimenticarlo- sussurrò Roberta al suo orecchio, calmando la sua furia, per poi baciarglielo delicatamente e spostarsi lentamente verso le sue labbra. Chiara trattenne il respiro, sentendo il sangue scorrerle veloce ovunque Roberta la baciasse sul viso e le mani tremare come se fosse in preda al delirio. E in effetti, in preda al delirio lo era, perché non appena le loro labbra si toccarono sentì un rombo al petto, come se si squarciasse e ne uscisse tutta la sua essenza, come se quelle labbra altro non fossero che le chiavi per liberarla dalla sua prigione. Si muovevano piano, e a discapito dell’intensità delle loro parole, quello fu un bacio molto più dolce e pieno di sentimenti che non quello che si erano scambiate da ubriache. Chiara le portò le mani ai lati del suo viso, stringendole, per poi allungare le sue sul suo collo. Ora che le loro menti erano libere dall’effetto nebuloso dell’alcol, tutto sembrava amplificato e più reale, il profumo di pesca di Roberta e le sue mani lisce e piccole, i capelli di Chiara, morbidi e setosi al tocco, il rumore degli insetti che ronzavano attorno agli alberi di fronte all’istituto, il fresco della bella stagione.

Quando si staccarono, delicatamente , come se con uno schiocco avessero potuto rovinare l’atmosfera, erano passati più di cinque minuti.

- Quindi sei gelosa- ridacchiò Chiara, quasi con il fiatone per l’emozione. Roberta fece le spallucce, intrecciando una mano con la sua.

- Io, gelosa? Ma che…- dichiarò, ma un sorrisetto la tradì. Si abbracciarono e quel momento fu anche più intenso del loro bacio, perché stava a significare protezione, rifugio, compagnia per chi, fino ad allora, era sempre stata solo.

 

  
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