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Autore: Yvaine0    05/01/2013    5 recensioni
Porte che sbattono e conti che non tornano.
"«Harry ha fatto arrabbiare Zayn» disse solo, con un sorriso allegro. Ed era chiaro come il sole che trovava la cosa estremamente divertente.
«E come ha fatto?» Era incredibile. Fare innervosire Zayn non era poi un'impresa così ardua, anzi. Ma una sfuriata del genere non si vedeva da quando... be', da quando a Xfactor non aveva picchiato Louis, probabilmente. E forse, venne in mente a Liam, il divertimento di Louis era dovuto proprio a quello: una volta tanto non era colpa sua."
Zarry. Tonto!Liam.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Zayn Malik
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Challenge accepted!'
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Premettiamo che l'ho scritta di notte e io non sono affatto un tipo notturno - e dopo averlo fatto ho dormito più di quanto io non abbia mai fatto negli ultimi mesi. 
Non ha né capo né coda, ma tonto!Liam mi piace da matti e, sì, una volta tanto posso dire di essermi davvero divertita a scriverla. ^^

Questa storia è opera di fantasia, scritta soltanto per divertimento e non a scopo di lucro. Non si vuole narrare una vicenda realmente accaduta né ipotizzare un possibile comportamento dei personaggi coinvolti in una simile situazione. Non si intende offendere nessuno con quanto scritto. 
 

Stitchie, meglio conosciuta come Merope Molly Lestrange.

 

 

  

(Un GRAZIE speciale a Berta per il bellissimo banner che mi ha regalato :3)

Fossette, sigarette, forse e gelosia.
Porte che sbattono e conti che non tornano.
 
La porta della stanza sbatté con forza e il fragore rimbombò tra le mura di tutta la casa. Poche volte Liam aveva visto Zayn così furioso, poche volte aveva visto la sua rabbia straripare, sfuggire al suo solito, freddo autocontrollo ed esplodere in quel modo.
Solo qualcosa di davvero importante poteva aver fatto ribollire Zayn in quel modo. Non una parola di troppo, non qualche menzogna dei paparazzi, non qualche impegno mancato da Perrie. Doveva essere qualcosa di davvero, davvero grosso. Per questo Liam si alzò dal letto, abbandonando momentaneamente il computer con la pagina di Twitter aperta, e si affacciò dalla porta della sua stanza: «Che succede?» domandò, aggrottando le sopracciglia.
L'unica risposta che ottenne, per qualche istante, fu un silenzio sconcertato, poi Louis sbilanciò la sedia sulle gambe posteriori, fino a che la sua testa non sbucò dalla porta della cucina, entrando nel campo visivo di Liam. «Harry ha fatto arrabbiare Zayn» disse solo, con un sorriso allegro. Ed era chiaro come il sole che trovava la cosa estremamente divertente.
«E come ha fatto?» Era incredibile. Fare innervosire Zayn non era poi un'impresa così ardua, anzi. Ma una sfuriata del genere non si vedeva da quando... be', da quando a Xfactor non aveva picchiato Louis, probabilmente. E forse, venne in mente a Liam, il divertimento di Louis era dovuto proprio a quello: una volta tanto non era colpa sua.
Anziché rispondere, il più grande distolse lo sguardo e lasciò che la sedia ricadesse rumorosamente sulle quattro gambe.
Liam si strinse nelle spalle e si affrettò verso la cucina, dove interrogò con lo sguardo prima Louis e poi... «Ma dov'è Harry?» chiese confuso, non trovandolo.
«È uscito. Era piuttosto... irritato».
«Capisco – Liam si strofinò il palmo della mano contro il mento, con aria di chi effettivamente non ci stava capendo niente. - Andrò a parlargli» decretò, dopo averci riflettuto su per qualche istante. In fondo lui aveva sempre avuto un rapporto particolare con Zayn. Quando c'era qualcosa di importante da discutere, si cercavano sempre l'un l'altro, sapendo che non si sarebbero mai sentiti giudicati, ma ascoltati e compresi.
Louis annuì con noncuranza e prese pigramente a digitare sull'iPhone. Liam intuì che stesse chiedendo a Harry dove fosse diretto o se avesse voglia di parlare dell'accaduto. Sorrise tra sé: erano proprio buoni amici, dopotutto. Un po' strani, un po' irritanti alle volte, ma erano pur sempre una seconda famiglia.
«Se vuoi un buono spunto da cui partire con i tuoi discorsi da bravo genitore, eccone uno: quei due sono due stolti gay repressi».
Le sopracciglia di Liam si inarcarono talmente tanto da rendere la sua espressione una maschera da commedia plautina. E se solo Louis avesse avuto una vaga idea di cosa fosse una commedia plautina, avrebbe riso di gusto, vedendola. «Che cosa stai dicendo?»
L'altro ragazzo rise allegramente, nascondendosi dietro al suo solito sorriso da Peter Pan e alle mezze verità spacciate per scherzi. «È solo uno spunto!» esclamò.
Liam capì subito che non avrebbe ottenuto ulteriori spiegazioni, per cui se ne andò, facendo una breve tappa in cucina.
Bevve un bicchiere d'acqua a piccoli sorsi, per prendere tempo. Voleva lasciare a Zayn il tempo necessario a sbollire la furia omicida che lo aveva spinto a prendersela con la porta, e intanto trovare qualcosa da dire.
Fissava il vuoto e intanto la sua testa lavorava freneticamente. Cosa aveva potuto dirgli Harry di tanto sconvolgente? Erano amici, certo, ma non credeva che il riccio avrebbe mai potuto fare qualcosa che scuotesse tanto Zayn.
Magari, poi, la sua mente stava lavorando troppo. Magari i due avevano solamente avuto una discussione delle solite e la porta gli era semplicemente scivolata di mano e la corrente l'aveva sbattuta. Forse.
Fatto stava che quando Liam ripose il bicchiere vuoto nel lavandino, era ancora più confuso di quando aveva deciso di abbandonare Twitter per informarsi sull'accaduto.
 
La prima cosa che percepì Liam quando ricevette il permesso di aprire la porta della stanza fu una prepotente puzza di fumo. Zayn era scompostamente seduto in terra con la schiena contro l'armadio, il volto contratto dalla rabbia e una sigaretta in bocca. Un mozzicone giaceva sul pavimento in mezzo alla cenere.
«Ciao» fu il brillante incipit di Liam, che vedendolo così non poteva fare a meno di sentirsi turbato.
Zayn lo degnò appena di uno sguardo e rispose al saluto con un impercettibile cenno del capo.
Il silenzio calò pesante su di loro. Liam continuava a guardarsi attorno, in cerca di qualcosa da dire e contemporaneamente in attesa che fosse l'altro a parlare per primo. Quando però comprese che il pakistano non avrebbe aperto bocca, si costrinse a prendere la parola: «Ti va di parlarne?»
Zayn lo fulminò con lo sguardo. «Non c'è niente da dire» sbottò contrariato, prendendo poi una lunga boccata dalla sigaretta.
Non si era nemmeno curato di aprire la finestra, notò il ragazzo. Niall non ne sarebbe stato felice, al suo ritorno. A proposito, chissà dove si era cacciato... Non era il momento di pensarci. Niall, per lo meno, sapeva badare a se stesso. Forse.
«Zayn, posso sapere cos-»
«Deve andare a fanculo, ecco cosa» lo interruppe bruscamente l'altro, fulminando con lo sguardo la porta di legno. La odiava proprio, eh?
Liam pensò che le criptiche e stizzite uscite di Zayn non lo avrebbero di certo aiutato a capire. D'altra parte, però, forse servivano a lui per sfogarsi. Forse. Non era più certo di niente, quel giorno. Si sentiva così confuso! «Cos'è successo?» ritentò, sperando in una spiegazione un po' più concreta della precedente. O di quella di Louis, che di fatto non c'era stata.
Zayn si strinse nelle spalle e piegò una gamba, per poi posarci su il braccio. Gettò la testa indietro, guardando il soffitto – o forse l'armadio che gli faceva da schienale –, mentre l'altro osservava la cenere cadere dalla sigaretta, fluttuando come neve, direttamente sul pavimento. Non aveva nemmeno preso un portacenere, osservò. Ma forse, se non si era preoccupato di aprire la finestra, la cenere era stato il suo ultimo pensiero.
«Zayn?» lo richiamò, dopo lunghissimi istanti di silenzio.
«Non lo so, Liam».
«Come sarebbe a dire che non lo sai? Sei tu che hai litigato con Harry, Louis ha detto che... be', Louis non ha detto proprio niente a parte questo, a dire il vero» snocciolò in tono concitato e leggermente incredulo, glissando sull'incomprensibile suggerimento da cui partire con il suo discorso.
Vide l'amico lasciar cadere il capo in avanti, alzandolo poi per prendere un'altra boccata dalla sigaretta. «Non lo so, cos'è successo» sussurrò poi, scrollando le spalle con stizza. «Non ci capisco niente» ammise infine.
Liam aggrottò nuovamente le sopracciglia e abbozzò un sorriso. «Non dirlo a me! Siete tutti così criptici, oggi!»
Zayn scrollò il capo e Liam avrebbe scommesso di aver visto un rapido sorrisetto attraversargli il viso. Un sorrisetto tirato, ma pur sempre una sorta di sorriso. Questo significava che la sua presenza stava sortendo il dovuto effetto. «Allora, hai voglia di parlarne o no?» Ed era ovvio che non ne avesse, ma sperava comunque che avrebbe finito per sforzarsi e sfogarsi con lui. Come ogni volta. Perché Zayn era testardo, ma sapeva di potersi fidare del suo migliore amico.
Il silenzio che seguì fu interpretato da Liam come un 'sì', sebbene chiunque lo avrebbe letto in maniera opposta. La sua traduzione non era tanto valorizzata dal classico e lacunoso “chi tace acconsente”, quanto più dalla certezza che, se Zayn avesse voluto mandarlo al diavolo o cacciarlo malamente, lo avrebbe fatto senza troppi problemi. Non si poteva certo dire che Zayn Malik avesse peli sulla lingua; parlava poco, era vero, ma non mandava di certo a dire ciò che pensava.
Ecco perché, dopo un interminabile silenzio denso di attesa – durante il quale il pakistano aveva finito la sua sigaretta e ne aveva accesa una terza –, il ragazzo aveva esordito con uno sbuffo e poi aveva sputato il rospo: «Mi fa incazzare».
Be', quasi.
«Questo l'ho notato» fu l'arguta replica di Liam.
«Ha una faccia da schiaffi che mi fa saltare i nervi. Certe volte ho una voglia di prenderlo a pugni che non so cosa mi trattenga dal farlo. Tanto cos'ho da perdere?»
Nella mente di Liam si fece strada una lunga lista di risposte alla domanda retorica dell'amico, ma proprio perché una parte di lui sapeva che l'altro non si aspettava che lui prendesse parola, riuscì a trattenersi dall'elencare la serie di motivazioni per cui prendere a pugni Harry Styles non fosse affatto una mossa saggia.
«Cosa ti ha detto?»
«Ma chi se ne frega! È solo un moccioso viziato».
«Sì, ma cosa t-» stava domandando nuovamente, quando Zayn lo interruppe di nuovo, tirandosi a sedere con la schiena un po' più dritta, di scatto: «Sai cosa mi fa incazzare? - A Liam sarebbe proprio piaciuto saperlo, ma l'altro non sembrava intenzionato a dargli una risposta degna di quel nome. - Che crede di poter fare tutto quello che vuole. Perché lui è Harry Styles e ha quelle sue cazzo di adorabili fossette e quindi può fare quel diavolo che gli pare! Tanto gli basta sorridere e gli si perdona tutto!», la sua voce suonava sempre più aspra e frustrata frase dopo frase, tanto che Liam faticava a credere a quello che stava succedendo. Più che a credere, in effetti, faticava a capire. Cosa c'entravano le fossette di Harry? E cosa, esattamente, avrebbe dovuto perdonargli?
Zayn aspirò dalla sigaretta, cercando di calmarsi, ma riprese subito a parlare. La sua loquela quel giorno era sorprendente; qualunque cosa fosse successa, doveva averlo turbato davvero molto. «Se ne frega di tutto, non gli importa delle regole, del nostro parere, fa semplicemente tutto quello che gli passa per la testa. Sempre che qualcosa ci passi, in quella sua zucca vuota. Siamo una band, cazzo. Siamo amici, siamo una squadra, una cazzo di famiglia! - abbaiò, fissando con astio la valigia di Niall, ancora abbandonata mezza sfatta ai piedi del letto. - Non può prendere decisioni per conto suo!»
La piega che stava prendendo il discorso allarmò leggermente anche il sempre pacato Liam. Gli balenò in mente un'intervista a Robbie Williams che aveva letto per caso proprio qualche giorno prima, in cui secondo il cantante Harry sarebbe stato il più 'fico' degli One Direction, proprio come a suo tempo egli lo era stato dei Take That. Era inevitabile, a sua detta, che prima o poi quello cool lasciasse il gruppo e seguisse la sua strada. Che Harry avesse deciso di lasciare il gruppo? Prima che potesse interrompere l'insolito monologo di Zayn, però, l'espressione spensierata di Louis prese il posto della faccia da schiaffi – effettivamente quella era una cosa che aveva davvero in comune col loro Hazza – di Robbie Williams e capì che Tommo non sarebbe stato così tranquillo se davvero la sua assurda supposizione fosse stata corretta.
Rinfrancato dal sollievo di quella rivelazione, decise che per quanto fuori dal comune fosse la momentanea logorrea di Zayn, non aveva intenzione di ascoltarlo sparare accuse senza senso se prima non gli avesse spiegato cos'era successo in modo comprensibile. «Zayn! Si può sapere che cosa avete combinato voi due?» lo interruppe bruscamente, un'espressione seria in volto che non lasciò all'altro altra scelta se non rispondere. Prima però, per confermare la propria indipendenza e non ferire il proprio orgoglio, si prese il tempo di prendere altre due o tre boccate di fumo, scegliendo con cura le parole giuste da dire.
La sintetica e lapidaria spiegazione di Zayn, tuttavia, non mise molta chiarezza nella mente di Liam. Anzi, mentre il ragazzo continuava a inveire a mezza voce contro il ricciolino, fumando una sigaretta dopo l'altra e riempiendo la stanza di fumo, l'altro cercava di allineare i pensieri e trovare un filo logico a tutta quella faccenda. Doveva collegare Harry, Zayn, le fossette, il menefreghismo, la sfuriata, la faccia da schiaffi e quel “due stolti gay repressi” sghignazzato da Louis. E i conti non riuscivano proprio a tornare.
Quasi un'ora dopo, nonostante nella sua mente la confusione fosse aumentata anziché diminuita, la finestra era stata aperta, il pavimento ripulito dalla cenere e dai mozziconi di sigaretta, la rabbia sbollita e Liam, sul punto di lasciare Zayn da solo coi suoi pensieri, lo congedò con un pragmatico e maturo «Comunque faresti meglio a parlarne con lui, quando te la sentirai».
 
L'orgoglio era stato sempre uno dei più grandi difetti di Zayn. Ecco perché, nonostante trovasse il consiglio di Liam estremamente opportuno, l'idea di uscire dalla sua stanza e andare di sua spontanea volontà a parlare con Harry non gli era nemmeno passata per la testa. Fosse stato per lui, avrebbe semplicemente ripreso a parlargli come se niente fosse una volta deciso di averlo perdonato. Di fatti se quella sera Harry non fosse entrato nella stanza senza nemmeno bussare, probabilmente non si sarebbero rivolti la parola fino al giorno seguente.
«Zayn, dobbiamo parlare» annunciò, facendo il suo ingresso.
Non un 'ciao', non un 'posso?' e tanto meno si era scusato per non aver bussato.
'Dobbiamo parlare' aveva detto. Be', lui non aveva proprio niente da dirgli.
«Che vuoi?» domandò, brusco, senza nemmeno guardarlo in faccia. Rimase com'era, steso supino sul letto col telefono tra le mani. Non era lui l'intruso, d'altra parte.
«Louis dice che... be', che siamo due gay repressi» disse solo, con la sua solita snervante lentezza nel parlare.
Zayn odiava i suoi intercalari, odiava il fatto che parlasse come se fosse circondato da minorati mentali.
Rimase in silenzio, impiegando qualche attimo per allontanare la rabbia e metabolizzare il significato di quella frase. Significato che secondo lui non c'era. «Che parli per lui» sputò, accompagnando quelle parole con una risatina sarcastica.
Doveva essere una delle solite insinuazioni senza senso di Louis, sparate più per suonare divertente e dare fiato alla bocca, che per necessità di esprimere un pensiero.
«Dice che quella di oggi è stata tutta una scenata di gelosia, che non ti importa davvero del fatto che mancherò al suo compleanno».
Zayn scattò a sedere, inspiegabilmente punto sul vivo da quell'insinuazione. «Se a Louis piace tanto psicanalizzare la gente, dovrebbe iscriversi all'università e togliersi dalle palle» sputò allora, innervosendosi.
Se era andato lì per riferirgli ciò che pensava Louis, poteva anche andarsene, perché non gliene fregava proprio nulla.
Guardò Harry per la prima volta da quando era entrato e lo trovò a sorridergli sornione. Qualcuno lo definiva 'il gatto del Cheshire'. Effettivamente in quel momento aveva la stessa aria saccente e dannatamente irritante del gatto evanescente del libro di Carrol. Solo che lo Stregatto non aveva quelle stramaledette fossette ad addolcire il tutto.
«Allora è vero» disse dopo un po', gli occhi verdi – ecco un'altra cosa che il gatto non aveva – che brillavano, accesi di interesse.
Zayn lo fissava con un misto di sfida e rabbia nello sguardo, mentre un campanello d'allarme iniziava a suonare dentro la sua testa. Lo ignorò.
«Cosa?» chiese, seccato.
«Sei geloso».
La sorpresa balenò sul volto imperturbabile del ragazzo dalla pelle scura. Rise brevemente, come se Harry avesse appena fatto una sciocca battuta a doppio senso delle sue. «Non dire sciocchezze».
Ma Harry non fece caso allo scetticismo dell'altro. Si avvicinò al letto e si posizionò in ginocchio di fronte a lui, senza smettere nemmeno per un istante di guardarlo dritto negli occhi, il sorriso sornione stampato indelebilmente sulle sue labbra. «Sei geloso» ripeté, la voce bassa che vibrava di un accenno di entusiasmo.
Zayn lo fissò intensamente, deciso a dimostrargli che si sbagliava. Non distolse lo sguardo, lo resse stoicamente, con convinzione: «Perché dovrei?».
Harry si strinse nelle spalle. «Perché quest'anno vado in vacanza con Taylor e non sarò qui per il compleanno di Louis».
«E non ti pare – sillabò con voce ferma e controllata, in modo volutamente lento, per assicurarsi che l'altro capisse bene. Chissà se avrebbe capito quanto era irritante quel modo di fare, una buona volta. - che questo sia un problema suo? A me cosa importa?»
La risata calda del riccio fece tremare il letto e lasciò Zayn con un palmo di naso. Si sentiva preso in giro e non riusciva a capire perché. «Appunto!» esclamò Harry compiaciuto, cercando di ricomporsi. «Appunto» ripeté, rivolgendogli un sorriso dolce. Un sorriso di quelli che si riservano ad un bambino stupido che ha appena detto la sciocchezza del secolo. Quel moto di ilarità aveva indispettito il maggiore più di quanto non avrebbe dovuto. Se per un attimo gli era sembrato di avere il coltello dalla parte del manico, le risa di Harry l'avevano confuso e irritato.
«Senti, vattene» sibilò. Non gli importava più di sentire cosa avesse da dire, voleva essere lasciato in pace, coi suoi pensieri e il suo cellulare. Doveva scrivere a Perrie, ecco cosa doveva fare. Si sarebbero dovuti sentire quel pomeriggio, ma lui era stato troppo impegnato a inveire contro quel moccioso con le fossette e aveva finito per dimenticarsene. Ora doveva scusarsi con lei, farsi perdonare e trovare un momento adatto per rimediare alla propria mancanza. Lei probabilmente non se l'era nemmeno presa, ma Zayn voleva fare le cose per bene. A dirla tutta il fatto che non gli avesse telefonato su tutte le furie chiedendo spiegazioni un po' lo indispettiva. Lui l'avrebbe fatto. Lui non sopportava l'idea che la persona di cui era innamorato si dimenticasse di lui, preferisse fare qualcos'altro piuttosto che sentire la sua voce o passare del tempo con lui.
«Allora perché te la sei presa tanto, Zayn?» insistette Harry con un tono denso di sottintesi e quella maledetta aria maliziosa. Aveva di nuovo voglia di spaccargli il naso. «Senti, ma che cazzo vuoi?» sbottò, infastidito. Si trattenne a stento dal spingerlo giù dal letto. Si guardò attorno, cercando di non perdere le staffe. E improvvisamente gli venne in mente ciò che l'altro stava insinuando, capì dove voleva andare a parare. «Vuoi sentirti dire che sono geloso? - riprese, la voce ridotta ad un sussurro basso e rabbioso. – Che non sopporto l'idea di saperti con Taylor anziché qui con me per le feste? Che il fatto che mancherai al compleanno del tuo migliore amico è solo una maledetta scusa per mascherare la mia gelosia? Be', sei totalmente fuori strada, Harold. Il tuo ego sta crescendo a dismisura, è evidente, e ti conviene cercare di abbassare la cresta prima che te la abbassi io. Solo perché Louis è troppo gentile per dirtelo, non significa che a lui non dispiaccia la tua assenza. O forse è così impegnato a psicanalizzarmi che non si è ancora reso conto del fatto che tu non sarai qui alla sua festa, non lo so e non è un problema mio. Ma hai mai pensato che per lui sia importante averti al suo fianco quel giorno? Smettila di pensare solo a te stesso, una buona volta. Le tue azioni hanno delle conseguenze».
Quando la serie di accuse si interruppe, nella stanza cadde il silenzio. Harry sostenne lo sguardo fermo dell'altro senza battere ciglio, l'aria divertita di poco prima soppiantata da un'espressione che Zayn non riuscì a decifrare, il sorriso irriverente momentaneamente scomparso. Rimasero a fissarsi a lungo, senza dire né fare nulla; occhi negli occhi, senza interrompete il contatto visivo.
Zayn non aveva mai perso una battaglia di sguardi. Sapeva che i suoi occhi parlavano molto più di quanto non sapesse fare lui e si facevano capire molto meglio di qualunque sua parola, erano il suo asso nella manica. Di quelli di Harry, tuttavia, non si poteva dire lo stesso. Quelle finestre verdi si affacciavano sull'anima criptica e inafferrabile del ragazzo, tanto incomprensibili quanto qualunque cosa da lui fatta. Ecco perché ben presto, pur non abbandonando la sua aria sicura di sé, Zayn iniziò a vacillare, dimenticando la sua rabbia e chiedendosi piuttosto cosa diavolo stesse passando nella testa di quel ragazzo – le sue insinuazioni erano state recepite, aveva capito di aver sbagliato, stava cercando le parole giuste per rispondere a tono o si era semplicemente incantato? Odiava non riuscire a capirlo.
«Hai idea di quanto tu sia sexy quando ti arrabbi?»
Zayn sgranò gli occhi, sorpreso da quelle parole. Chiunque al posto suo si sarebbe illuso di aver capito male, ma il sorriso sornione che era tornato sul volto di Harry – con tanto di maledette fossette – non lasciava spazio ai dubbi: aveva sentito benissimo.
Stava cercando di sostenere la propria teoria, si disse. Stava cercando di dimostrare che fossero davvero attratti l'uno dall'altro, che fossero davvero gay repressi, che avesse davvero fatto una scenata di gelosia in piena regola. Ma non era così, no. Si ricompose subito dallo stupore iniziale e si limitò a sorridere sornione a sua volta: «Io sono sempre sexy» lo contraddisse, stando al gioco.
Harry arrossì appena e annuì, «Puoi giurarci» confermò. Quando il più piccolo iniziò ad avvicinarsi lentamente, Zayn fu tentato di ritrarsi o ridergli in faccia, ma no, non lo avrebbe fatto. Era troppo orgoglioso per scappare, per dimostrargli di avere paura di quella prova del nove. Zayn era certo che il risultato sarebbe stato negativo. Harry voleva baciarlo? Lui ci sarebbe stato. E poi gli avrebbe assicurato di non aver provato niente, mandando a quel paese tutte le sue stupide insinuazioni sulla gelosia, su...
Le labbra si Harry erano sulle sue. Si muovevano lente e incerte e...
Un secondo dopo Zayn non ricordava più a cosa stava pensando. Due secondi dopo lo stesso Zayn aveva approfondito il bacio, infiltrando una mano tra i ricci disordinati di Harry. Tre secondi dopo, sempre Zayn si era spinto su Harry, intrappolandolo tra sé e il materasso e facendo aderire i loro corpi.
 
Una lunga serie di secondi – o più concretamente minuti – dopo, fu Harry il primo ad allontanarsi di qualche centimetro. Ridacchiò, insinuante, a poca distanza dalle labbra dell'altro, che dal canto suo non gli lasciò il tempo di dire nulla: mise rapidamente le cose in chiaro («Questo non cambia le cose: io non sono affatto geloso», mentì, il fiato corto), per poi riprendere da dove Harry aveva interrotto la loro prova del nove.
Solo che Harry non aveva avuto pensato a nessuna prova del nove, a nessun metodo per provarne la gelosia, nemmeno per un istante, quando aveva deciso di baciare Zayn.
Harry Styles era solito fare le cose solo perché ne aveva voglia, solo perché gli veniva in mente di farle. E in quel momento aveva la netta sensazione che da lì in poi avrebbe avuto voglia di baciarlo mooolto spesso.
 
Poi la porta della stanza si aprì di colpo, facendo scoppiare la bolla di sapone in cui Harry e Zayn si erano inconsapevolmente rinchiusi. Le loro teste si voltarono contemporaneamente, di scatto, verso l'entrata, gli occhi sgranati, la bocca dischiusa e il respiro accelerato.
Niall Horan li guardava con la mascella calata e, prima che a uno dei due venisse in mente qualunque cosa da dire per giustificarsi, l'irlandese era scoppiato a ridere a pieni polmoni. «Stolti gay repressi, hai detto? Repressi, Louis? Stolti magari, ma repressi non mi pare proprio!»
 
Udendo il grido di Niall attraverso la porta socchiusa della sua stanza, Liam smise per un attimo di battere le dita sulla tastiera del computer e rimase a fissare il vuoto.
Ancora con quella storia? Ma che avevano tutti quel giorno? Era sempre più confuso.
  
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