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Autore: justletitbe    05/01/2013    7 recensioni
Inizio il mio diario qui, seduta sulle poltrone scomode di un treno scarlatto, ingombro di gente e sogni. La valigia è ruzzolata giù più volte, con un tonfo assordante: non mi ha aiutata nessuno. Le ho recuperate, viola in viso, e ho ciondolato sino al mio attuale scompartimento. E' vuoto, come me. [...] Poi sollevo lo sguardo, diario. Tornassi indietro, non lo rifarei. Non sta piovendo, eppure io sto già volando.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I. Senza nome.

Inizio il mio diario qui, seduta sulle poltrone scomode di un treno scarlatto, ingombro di gente e sogni.
La valigia è ruzzolata giù più volte, con un tonfo assordante: non mi ha aiutata nessuno. Le ho recuperate, viola in viso, e ho ciondolato sino al mio attuale scompartimento. E' vuoto, come me. Mi piace. Gli sconosciuti, specie gli anziani, tendono a parlare troppo durante il viaggio, e io ci metto sempre troppo a fidarmi delle persone. Di solito, quando inizio a sentirmi a mio agio e a rispondere alle loro domande con interesse, è già ora di andare via.
Il viaggio è lungo, così dicono, ma per quel che mi riguarda, è come se scodinzolasse e ruggisse senza mai muoversi per davvero. Sento che potrei rimanere qui, rannicchiata in quest'angolino emarginato, anche per sempre. Scovo qualche montagna, sotto la coltre di nuvole dense e violacee, e solo sollevando lo sguardo noto il manto bluastro che trapunta il cielo. E' passato più tempo di quanto immaginassi. E' già notte e non c'è più ragione per avere paura, per provare timore. Ora, le cose, possono essere viste non più per quel che sono, ma per quel che voglio che siano. Sciocca e immatura. E' ciò che starai pensando, diario, ma non è così, potrei giurarlo. Il problema è che il mio pessimismo mi coinvolge a tal punto da sopprimere la parte irrazionale che alloggia nel mio animo da adolescente, e dover fingere che non faccia parte di me, dover zittire il suo mormorio con voce più acuta e sicura, reca un gran spreco di energie. Ora, però, possono affiorare senza che io ostacoli il loro percorso. Mi piace essere irrazionale, sognatrice, elemento vivo del vento. Mi abbandono agli istinti, come se avere un corpo non fosse più così necessario, ma di essere selvaggia, diario, proprio non son capace. Goffa e timida, guardo la mia vita con gli occhi degli altri, vivendo così da spettatore e non protagonista.
Un'anziana signora ha trainato il suo carrello cigolante sin qui. Non ho molto denaro con me, solo qualche spicciolo. Ho preso una tisana calda e l'ho salutata. Sembra gentile. Ha la pelle grinzosa, un viso smunto e rugoso; la voce roca e un sorriso materno. Tornando a sedere ho sprecato qualche minuto a immaginare il suo nome. Annabelle si plasmerebbe alla perfezione sul suo volto, ma non so nemmeno se esiste e, forse, dovrei smettere di affibbiare alla gente delle nuove vite, magari le loro non sono poi così male, a loro piacciono. Mia madre dice che è perché scrivo. Farlo è inevitabile, secondo lei, perché è come se ogni persona potesse generare in me la voglia di concepire un altro personaggio. Non so se abbia ragione, ma so per certo che io, Annabelle, la farei vivere in collina, in una casetta di campagna, le darei un marito burbero ma pur sempre innamorato, qualche nipote dalle guance rosee e un cane, Tobias, tanto grande quanto affettuoso. Ma forse sì, dovrei smetterla per davvero.
La tisana è buona. Con la mano sinistra reggo la tazza e con la destra sfoglio le pagine del mio libro. L'ho letto un milione di volte, ma dubito che importi davvero. Le cose vecchie mi piacciono sempre più di quelle nuove, non ci sono mai sorprese, sai già cosa aspettarti. Chiudo il libro e riprendo a scriverti. Immagino sia maleducazione, lasciarti lì, da solo, senza finire la conversazione. Una goccia di tisana è schizzata via senza il mio consenso; s'irradia imperfettamente lungo il bianco della tua prima pagina. Spero non bruci abbastanza da ustionarti, o lasciarti segni distinti e ben visibili, ma non posso negare che mi faccia piacere. Se il fato ha preso questa decisione, significa che tu sia importante, l'inizio di un vero viaggio. Chi non reca macchie, segni, in fin dei conti, non ha mai lottato per davvero, e lottare è necessario. Il mio pensiero corre alle guerre, inevitabilmente, e mi sento allora in dovere di dire che il mio concetto di lottare è ben distante da quello condiviso dal resto del mondo. Loro non lottano, diario, loro distruggono, ed è diverso.
Un uomo calvo e panciuto mi ha appena chiesto l'ora. Rispondere chi non mi sa leggere mi mette a disagio, ma non avevo via di scampo. Non ho con me l'orologio, mi sono scusata e gli ho suggerito di chiedere a qualcun altro. Ha raggiunto la donna dello scompartimento a fianco; ha dei figli, e la sua scelta mi sembra più che giusta. Le madri sanno che ora è, è un dato di fatto. Le madri sanno sempre tutto. Sono magiche. Voglio diventarlo anche io. Non ora, però.
Quando guardo fuori dai finestrini, è ancora più buio di prima. Il cielo è ormai indistinguibile, non riesco più a delinearne i lineamenti, ma spero che piova. Non mi sento sazia, senza pioggia, diario. E' come se lo scrosciare della pioggia potesse risanare le mie ferite. Come se tutto s'interrompesse, si dividesse dal Mondo. Se piove, posso spiegare le ali e librarmi in volo, senza che i raggi mi ramifichino al suolo, schiava del loro volere. Brutta la cosa, la forza di gravità.
Durante una curva, le ruote del treno cigolano contro le rotaie. Mi tappo le orecchie e mormoro qualcosa di poco conto. Odio quel suono, è come se graffiasse il vetro con le unghie. E' come se urlasse, lacerato, e non posso starlo a sentire. Sarebbe come sentire i miei gridolii acuti. Non è più lecito, soffrire. 
Riprendo a scriverti solo dopo qualche minuto e dieci battiti. Mi chiedo dove tu nasconda il tuo cuore, diario, perché non posso credere che tu non ne possegga uno. Tutti lo hanno, usarlo, poi, è una decisione personale. Il tuo è diafano, ma immagino che tu voglia usarlo. Lo farai quando avrò già dimenticato questa conversazione; non è così, forse? Allo scoccare della mezzanotte, potrò notare il tuo petto vibrare e animarsi, innamorato. Spero che tu mi lasci fare, quando cercherò di fermarti. L'amore uccide, diario. Non fidarti del suo canto da sirena.
Annabelle è tornata. Ho dovuto sollevare il muso, per riconoscere il chignon di capelli argentati e lo scialle verde, ho sollevato la mano e l'ho salutata con un cenno, ma non mi ha notata. A volte, diario, mi capita di chiedermi se io esista per davvero. Come se fossi un miraggio, nata dalla follia della mia mente, aspetto di risvegliarmi e poter finalmente tornare a casa. Ma, in fin dei conti, chi non esiste, dov'è che vive? Dove, diario, se il nulla è già occupato dal genere umano e dalla sua oceanica ignoranza?
Anche tu sei un'umana, dirai, e allora sì, sono ignorante pur'io, se è questo ciò che vuoi dire.
«E' libero?» tossisce qualcuno. 

Non sollevo lo sguardo. Strizzo gli occhi, dispiaciuta, e il terpore del mio rifugio si dilegua con un battito di ciglia. E' tutto fuggito via. Senza fiato.
«Sì, si sieda pure» potrei forse dire altrimenti, diario?
Quel qualcuno sorride. Ha una risata leggiarda, come quella di un bambino. 
«Io mi chiamo...» esita un poco. Percepisco le molle della poltrocina di fronte abbassarsi, lievemente. «Mi chiamo Senza Nome»
Mi dico che è un gran bel nome, Senza Nome. Sorrido anche io, avvicinando gli occhiali tondi al naso. Grugnisco e me ne vergogno di già, rossa in viso. Poi sollevo lo sguardo, diario. Tornassi indietro, non lo rifarei. 
Non sta piovendo, eppure io sto già volando.



 

 

  
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