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Autore: Betta3x9    05/01/2013    0 recensioni
13. "Credevo fossi morto tre anni fa, alla Cascata della Medusa". Mormora John, in piedi in mezzo al marciapiede di una strada qualsiasi, con persone qualsiasi a pochi passi da loro. "Come hai potuto - " (Come hai potuto farmi questo, Dottore?)
[Wholock]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note: Wholock su Reichenbach. Più o meno. (con un paio di citazioni canoniche. In pratica, è un minestrone)


*
 

Quando John sente il fracasso del Tardis che atterra proprio dietro di sé, smette di respirare.

Non ricorda di aver lasciato la presa, ma le buste del supermercato sono sul marciapiede, con la spesa mezza rovesciata. Qualche barattolo di cibo in scatola sta rotolando verso un tombino e il sugo di pomodoro imbratta l'asfalto. John fissa quel disastro e riesce solo a pensare al suono che sente alle sue spalle; si concentra sul quel meraviglioso rumore senza girarsi. Tiene lo sguardo fisso sulla lattina di birra ammaccata accanto al suo piede sinistro - è paralizzato dal pensiero che se si girasse potrebbe scoprire che non c'è nessun Tardis lì dietro da qualche parte; il dubbio che possa essere tutto nella sua testa lo blocca.

Quando non sente più nulla, si volta, finalmente.

A pochi metri da lui c'è una cabina blu della polizia.
John la guarda e sente che dai suoi piedi immobili sull'asfalto a quelle porte di legno c'è una distanza infinita. Non può percorrerla, non può. Quindi se ne resta lì, con gli occhi spalancati sull'impossibile e un nodo di emozioni che non prova nemmeno a districare.

Poi, il Dottore apre le porte del Tardis ed esce nella luce di un autunno quasi passato, su un qualsiasi marciapiede di Londra dell'anno 2017.

"Tu - " Ringhia John, percorrendo in pochi passi un percorso che un istante prima gli era sembrato interminabile. In un attimo è davanti al Dottore, che non è cambiato nemmeno un po', mentre John ha passato anni a sentirsi stanco e inutile.
Ma ora tutto quello a cui pensa è la figura mai dimenticata del Dottore, col suo cappotto e la sua stupida sciarpa blu - ed è proprio lì.

"John", lo saluta il Dottore, con voce bassa e vibrante.
"Bastardo!", ringhia John, prima di sferrargli un pugno su uno zigomo.

Il Dottore sembra un po' sorpreso, ma non fa in tempo a dire nulla, perché John l'ha afferrato per le falde del cappotto e l'ha attirato in un abbraccio inaspettato per entrambi.

"Tu - " ripete, e la sua voce è spezzata e roca, ma riesce a trattenere le lacrime, "Tu - Maledetto - Credevo - credevo fossi morto. Mi hai detto addio - ", sente la gola andare a fuoco, ma riesce a tirar fuori le parole, con fatica, "Tre anni, Dottore, tre anni - capisci?"

Il Dottore lo guarda, le mani lungo i fianchi come se non fosse sicuro di dover ricambiare l'abbraccio; sta per farlo, ma poi John si allontana e il momento finisce.

"Credevo fossi morto tre anni fa, alla Cascata della Medusa". Mormora John, in piedi in mezzo al marciapiede di una strada qualsiasi, con persone qualsiasi a pochi passi da loro. "Come hai potuto - ". Come hai potuto farmi questo, Dottore? ," Sulla Terra. Mi hai abbandonato sulla Terra e io pensavo fossi morto. Mio, Dio". John seppellisce il volto tra le mani. Non si fida di me, pensa con infinita amarezza.

"Mi dispiace". Mormora il Dottore.
"A te dispiace?". Il tono è rabbioso, "Hai una minima idea di quello che io ho passato? Tre anni bloccato sulla Terra - pensavo fossi morto! E tu - cosa hai fatto? Un bel viaggio? Hai visto qualche pianeta interessante?"
"Per me sono passate solo tre ore, John"
"Cosa-?"
"Tre ore. La Cascata della Medusa è il centro di un varco spazio-temporale"
"Cosa?" Ripete John, allibito.
“E poi devo aver impostato male le coordinate temporali. Anche se più che un mio errore, penso che ci sia qualcosa che non va nel regolatore temporale del Tardis. Non è la prima volta che succede. Dovrò ricontrollare”.

John ascolta la voce del Dottore cercare di giustificare i suoi tre anni di sofferenza con un semplice malfunzionamento del Tardis.
“Pensavo fossero passate solo tre ore, John”. Quello che vorrebbe dire è solo: mi dispiace.

John non riesce a decidere se può e se vuole perdonarlo, quindi non dice nulla.
E' arrabbiato, confuso, ma, soprattutto, felice. Non è sicuro di volerlo essere, in quel momento.

Il Dottore sembra più umano che mai.
"Verrai?" Chiede esistante, come se per la prima volta non fosse sicuro della risposta.

John guarda il Tardis - pensa alla straordinaria sensazione di avere tutto il tempo e lo spazio a portata di mano, pensa agli ultimi tre anni passati tra la clinica e il suo appartamento minuscolo - pensa alla spesa il martedì e il venerdì, al turno di notte, alla gamba che fa male anche se non dovrebbe. Pensa al Dottore.
E capisce di aver sempre saputo la risposta a quella domanda.

"Verrò" dice, "ma non significa che ti abbia perdonato, però", aggiunge, caparbio.
"C'è un caso da otto che ci aspetta". Annuncia il Dottore, con il tono di chi stia porgendo il regalo perfetto per scusarsi.
"Ottimo. Di cosa si tratta?". John, senza degnare di uno sguardo la spesa sparsa sul marciapiedi, supera il Dottore e sfiora le porte del Tardis.
"Oh, sono stato contattato da Churchill. Di nuovo. Ci aspetta il classico enigma della stanza chiusa. A Downing Street".
"Ma non sei tu che dici sempre che negli enigmi delle stanze chiuse le stanze non sono mai chiuse?"
"Sì, ma in questo caso l'aspetto interessante è la vittima: è un siluriano"
"Cosa?!"


John, ora, è nel Tardis; sente di essere a casa come mai prima di allora.
Non se n'è ancora accorto, ma la gamba non gli fa più male.
Ci vorrà del tempo prima che riesca a perdonare il Dottore, ma sa che lo farà, alla fine - perché  è quello che fa sempre - quello che ha sempre fatto-  e quasi non riesce a ricordare una vita che non fosse spesa a perdonare continuamente il Dottore.

Il rumore del Tardis è il più bel suono dell'universo, pensa.
 













Alla fine, il caso da otto si rivelò un po' più deludente del previsto, a detta del Dottore, visto che, dopotutto, la vittima non era davvero un siluriano, ma un semplice essere umano sottoposto al processo di riscrittura del DNA.
Il Dottore riuscì a risolvere il mistero in mezz'ora scarsa, calcolando la velocità con cui il prezzemolo era penetrato nel burro mezzo sciolto dal caldo che si trovava sul vassoio della colazione di Winston Churchill, appoggiata sulla scrivania accanto alla vittima.
(Sempre grazie al burro fuso, dedusse anche che il primo ministro inglese fosse, in realtà, un impostore siluriano. Rintrovarono il vero Churchill ad un paio di galassie di distanza, un po' spaesato, ma in salute).







Quando John chiude le porte del Tardis sull'anno 1946, si ferma pigramente ad osservere il Dottore destreggiarsi tra le leve e i pulsanti della consolle lucida.
Vorrebbe andare a farsi una doccia e cambiarsi, ma non ha voglia di perderlo di vista, almeno per quel giorno.

Sul suo volto campeggia in grosso livido, risultato del bentornato di John (non che John si senta veramente in colpa per quello).
Quasi il Dottore gli avesse letto nei pensieri, si sfiora lo zigomo colpito.

"Novecento anni di spazio e di tempo e non ero mai stato preso a pugni da nessuno", mormora.
 Più che infastidito o dolorante sembra vagamente incuriosito dall'esperienza.

"Allora devi aver sempre viaggiato da solo", borbotta John, divertito.

Il Dottore, per un attimo, lo guarda in modo strano - come se stesse prendendo una decisione. Poi, con un tono leggero, chiede:
"Ti ho mai parlato di Victor Trevor?"


*




   
 
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