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Autore: Ryo13    07/01/2013    4 recensioni
Meerith e Dimitri vivono in due dimensioni separate a causa dell'effetto di una magia. Sebbene siano uniti da un Vincolo Sacro, essi appartengono a due popoli diversi: l'una ai Fae, l'altro agli umani. E tuttavia cercano un modo per riconiungersi perché non possono vivere l'uno lontano dall'altro.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Le parti di racconto del presente sono narrate in 3° persona; mentre quelle del passato, in 1°, dal punto di vista di Meerith.

 

13 Febbraio

“Carissima Meerith,
Ho fatto un sogno questa notte. Ricordi quando mi hai portato al lago Beru’hun e ci siamo dissetati alla sua fonte? Mi sono ritrovato in quel luogo magico; tu eri al mio fianco e di nuovo bevevamo l’uno dalle mani dell’altra secondo il rito della tua gente. Mi pareva di avvertire l’odore dei tuoi capelli setosi e la sensazione della tua piccola mano calda che si posava sulla mia, prima di essere legati eternamente nel giuramento sacro. Quando mi sono svegliato mi sono rammaricato di trovarmi in questa mia realtà così grigia, tetra e monotona… la verità è che tutto mi è estraneo senza di te. Mi hai fatto scoprire un mondo che non sapevo esistesse e con te ho imparato anche ad amare. Perché il destino è stato così crudele con noi? Avrei potuto continuare con la mia esistenza insignificante, senza averti conosciuto, e sarei vissuto, se non bene, almeno in maniera migliore di quanto non faccia ora. Mi sento perso, mi sento solo. Mi manchi in un modo che non posso esprime e la sola cosa che mi consola e che posso fare per sentirti vicina, è scriverti attraverso questo libro sperando che le mie parole ti raggiungano lì dove ti trovi.
Perché l’accesso mi è precluso? Perché non posso raggiungerti?
Continuo a cercare delle risposte ma queste tardano ad arrivare. Anche oggi, cercherò di trovare un modo, cercherò di tornare da te. Ti prego, aspettami, amore.

Eternamente tuo,
Dimitri.”
 

 

Meerith rilesse per l’ennesima volta le parole del suo amato.
Le lacrime le rigavano il volto, cadendo tra i lunghi capelli intrecciati di fiori e sulla vecchia pagina gialla del libro delle favole.

Giorno dopo giorno, vi trovava le annotazioni struggenti di Dimitri, intrappolato al di là delle dimensioni.
A lui era dato di scrivere, a lei solo di leggere; e soffriva immensamente a guardare la sua pena senza poterla alleviare, senza potergli trasmettere una parola di conforto: nel suo mondo non aveva trovato nessun oggetto che somigliasse ad una penna come l’aveva descritta Dimitri: da dove proveniva lui, la scrittura predominava ed ogni cosa - importante o meno - veniva fissata nella carta, dove rimaneva per sempre.
A Faerie esistevano da sempre i libri delle favole, eppure il suo popolo non sapeva da dove provenissero: erano tomi che si scrivevano da sé, dai quali si leggevano storie sempre diverse.
La verità universalmente nota era che la scrittura uccideva la magia: per questo nessuno di loro la praticava.
Essa si trovava tutto attorno nel cosmo - dentro ogni essere - e sarebbe inaridita e marcita se resa in altro che non fosse la mutevole voce: il suo era perciò definito "il popolo che sussurra".
Le storie, le leggende, le favole, tutto esisteva affinché fosse in continuo mutamento, perché nel flusso della vita e della fantasia sarebbero continuati a vivere per sempre gli amanti delle storie d’amore, i draghi delle leggende, i boschi dei misteri…
Nulla era fatto per essere sempre uguale a se stesso: per questo la realtà da cui proveniva Dimitri era tanto limitata. Il sogno si presentava nelle vesti fumose che si dissolvono già alle prime ore del mattino, ridestandosi.
Ciò che non aveva mai capito era che quelle due dimensioni si toccassero in maniera così profonda da permettere uno scambio di energie. Era 
accaduto proprio questo parecchi anni prima: Dimitri aveva oltrepassato la barriera dimensionale ed era arrivato, attraverso il suo libro delle favole, a Faerie.

Era così cominciata un’avventura che li avrebbe fatti innamorare.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

«Vai tu a controllare, Meerith!»
Le ragazze mi si strinsero attorno, pregandomi coi loro occhioni luccicanti. «Noi non ne abbiamo la forza! E se ci siamo riuscite? Cosa faremmo se abbiamo davvero attirato uno di quei… cosi qui da noi?!»
«Non essere sciocca, Stoppa, non sarà accaduto nulla del genere! Come se fosse possibile!», la blandii.
Virel era particolarmente pallida. «M-ma… abbiamo sentito un rumore! T-te lo giuro M-meer, proveniva proprio dal s-santuario!», balbettò la più piccolina del gruppo. Non le erano ancora nemmeno cresciute le ali, e sì che aveva settantasei anni! Avrebbe dovuto metter su le forme già una volta entrata nella sessantina. Anche se era la meno potente di noi, però, era molto dolce col suo viso sottile dai tratti infantili.
«Sarà stato lo scherzo di uno Skull. Lo sapete che a loro piace intrufolarsi nei luoghi sacri e far baccano», dissi.
Gli Skull erano creaturine non più grandi di una mano che si divertivano ad andare in giro a spaventare le fate credulone come Virel.
«Non possono essere stati loro. Karioth, il veggente del tempio, li ha cacciati via poco prima che noi entrassimo a provare il rito!»
«Perché cavolo vi siete messe a provare incantesimi? Non vi è bastato il rimprovero del Guardiano, l’altro giorno?»
Colui di cui parlavamo era un Guardiano del Giardino, addetto alla protezione ed alla vigilanza della nostra terra: faceva da tutore a tutte le giovani iniziate alla Magia di Faerie.
Io e le mie compagne eravamo famose per creare sempre problemi e combinare mille guai. L’ultima volta, dopo l’ennesima bravata, eravamo state minacciate di sospensione del potere a tempo indeterminato se non fossimo riuscire a rimanere buone fino al compimento del ciclo della Luna.
«Meerith, non essere arrabbiata! È che ci ha incuriosite molto la storia del tuo libro delle favole, e volevamo provare a trasportare di qua uno dei suoi personaggi.»
«Ma raccontava la storia di… di un uomo!», esclamai, perdendo la pazienza. 
«Dovreste saperlo che, tra tutte le creature delle dimensioni, gli uomini sono i più difficili da evocare nel nostro mondo. Non hanno abbastanza immaginazione... sono troppo contaminati dalla realtà per abbandonarsi alla magia!»
«I-infatti non pensavamo che avrebbe funzionato davvero», intervenne Ressna.
«Non sappiamo ancora se ha funzionato o meno. Anzi, credo sia più probabile che abbiate fatto un buco nell’acqua.» Quantomeno lo speravo con tutto il cuore.
«Però abbiamo usato il medaglione…» sussurrò timorosamente Virel.
«Cosa avete fatto?!» Le fissai con occhi sbarrati. «Il medaglione… intendete quel medaglione?!»
Annuirono tutte a testa bassa. «Scusaci», mormorò qualcuna.
«Non vi scuso affatto! Non avevate il diritto di usarlo! Quel medaglione mi appartiene.»
Era l’unico ricordo che mi fosse rimasto della mia mamma, una delle fate più potenti cui Faerie avesse mai dato origine: una collana dorata da cui pendeva una pietra di ambra risplendente, magia incastonata in una trama d’oro finissimo.
Purtroppo, lei era scomparsa qualche anno dopo la mia nascita, lasciando dietro di sé solo il libro delle favole e quel medaglione.
Le fate tremarono alle mie parole dure e lacrimarono pure, pentite.
Dal canto mio, non ero disposta a perdonarle troppo facilmente, sapevano benissimo quanto tenessi a quei due ricordi. Eppure avevano deciso di metterli a rischio con un incantesimo che avrebbe potuto distruggere uno dei due oggetti, o anche entrambi.
«Dov'è il medaglione?», chiesi stizzita.
«Dentro, assieme al libro. Quando si è creato quell’ululato siamo scappate, non abbiamo pensato a recuperarli», spiegò Fennie.
«Sarà meglio entrare a dare un’occhiata.» Le fulminai tutte con un’occhiata e le piantai lì, tra i cespugli in fiore all’entrata del tempio, mentre io mi dirigevo al suo interno.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

28 Febbraio

Mia cara Meerith,
ricordo com’era bello guardarti negli occhi mentre sul tuo viso si riflettevano, come lingue di fuoco, i colori dei soli morenti di Faerie. È stato un attimo eterno, in cui ho sentito il mio cuore come fermarsi, quando mi sussurrasti che desideravi essere mia per il resto delle nostre esistenze.
In questa gelida notte, non faccio che bramare il tocco delle tue labbra…
Dove sei Meerith? Dove sei? Ti trovi davvero dentro queste pagine vuote? Oppure tutto ciò che ricordo di noi è solo il frutto del mio delirio?
La solitudine mi soffoca. Ho bisogno di te.

Dimitri.

 

Sono qui, Dimitri! Non arrenderti, non lo fare! Non ti fare inghiottire dalla logica freddezza del tuo mondo umano! Io sono qui, esisto!
Posso toccare con le mie dita le fine filigrana di cui è composta la carta in cui ogni sera riversi il tuo inchiostro.
Sono reale come il giorno in cui ti ho incontrato e ti ho toccato per la prima volta. Anche allora pensavi che non fosse possibile, credevi di essere diventato matto… Ma cos’è poi l’amore se non il più dolce dei deliri?
Pensi davvero che poca cosa come la sottile linea che divide il mio mondo dal tuo - il sonno dalla veglia - possa cancellare per sempre ciò che ci ha unito così profondamente?
Anche io sono alla ricerca di un modo per raggiungerti.
Aspettami!

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

Entrai nel santuario il quale era immerso nel buio. Quei luoghi santi, in cui si concentrava la magia in maniera maggiore, erano sempre immersi nelle più fitte tenebre affinché venissero celati i segreti di cui erano pregni.
Solitamente Karioth si occupava di lasciare un fuoco fatuo ad illuminare l’ambiente per permettere ai fedeli di andare a contemplare, in quiete, i misteri. Questa volta, tuttavia, non si scorgeva nessun bagliore, nemmeno il più tenue: si era dovuto spegnere in conseguenza del forte vento che era stato prodotto dall’incantesimo delle ragazze. Ciò mi turbò: ci voleva davvero una magia potente per soverchiare quella del veggente, ma nonostante questa considerazione continuai ad avanzare.
Stanca della cecità che mi impediva di trovare gli oggetti che cercavo, diffusi un po’ di glamour dal mio corpo: la mia stessa pelle amanò luce.
Il rumore di un gemito strozzato mi paralizzò sul posto.
«C-chi c’è?», gridò una voce roca da qualche punto dietro le mie spalle.
Mi voltai per individuare chi avesse parlato. In penombra, al di là di una colonna, si scorgeva la sagoma di un uomo seduto sul pavimento.
«Rispondetemi, demonio! Cos'è che emana quella luce?!» domandò di nuovo, questa volta in maniera più ferma. Si mise persino in ginocchio.
«Sono un’allieva del tempio. Tu cosa sei, creatura?»
Che non fosse Fae era ben chiaro, poiché tra noi ci riconoscevamo percependo la natura della magia da noi emanata; di certo non eravamo soliti appellarci coi nomi dei diavoli, creature infime e pusillanimi.
«Cosa vuoi dire con “cosa sono”, perdio?! Non lo vedi da te? Sono un uomo!» Si mise in piedi ma traballava. Sembrava non avere abbastanza forza per reggersi sulle proprie gambe.
«Come sei entrato qui? L’accesso dovrebbe esserti vietato.»
«Vietato, dici? Beh… in ogni caso non ho proprio idea di cosa sia successo! Stavo sfogliando un vecchio libro… nella libreria all’angolo della strada. Ci entro raramente in quel posto fatiscente, Ray non sa tenerlo ordinato né tantomeno pulito! È un vero peccato perché ha oggetti davvero interessanti… ma cosa sto dicendo, signore iddio? Sto proprio sproloquiando. Però cavolo che botta... ma dove sono finito? Che luogo è questo? L’ultima cosa che ricordo è di essermi trovato a sfogliare un vecchio tomo impolverato che… diavolo, aveva le pagine bianche! Mi chiedevo perché un simile volume venisse tenuto in mezzo agli altri, era chiaramente difettoso. Un libro senza storia dentro… davvero mai vista una cosa simile!»
Smise di parlare all’improvviso, come se gli fosse sovvenuto con ritardo il proposito di far silenzio. Tutte le sue chiacchiere avevano avuto poco senso per me, ma almeno sembrava non essere ferito.
«Mi sto avvicinando», l’avvertii cautamente.
Quando fui abbastanza vicina da illuminare col mio chiarore le sue fattezze, ebbi un tuffo al cuore: era molto più alto di quanto fosse sembrato mezzo nascosto dalla colonna. A guardarlo bene sembrava un vero e proprio colosso, simile ad un albero ben piantato. La sua figura era molto diversa da quella eterea ed allungata di noi Fae: era più robusta, spessa e possente. Potevo quasi percepire l’imponenza dei grossi muscoli nascosti sotto gli strani abiti che indossava.
Anche lui, vedendomi, si sorprese.
«Perdio! Ma siete voi ad emanare luce! Com’è possibile? Sto forse sognando? Sì, deve essere un sogno, altrimenti temo di aver perso il nume della ragione. Oh… forse è stata la botta alla testa!» esclamò massaggiandosi il punto che gli doleva.
«Sei un vero umano…» sussurrai a mia volta, sentendomi più rapita dalla curiosità che egli mi suscitava, piuttosto che spaventata dalla fama della sua razza. Tutti conoscevano l’efferatezza e la cattiveria di cui erano capaci gli uomini, alcune delle creature più giovani di tutte le dimensioni. Trovarsi al cospetto di un esemplare della loro razza avrebbe dovuto non solo mettermi in allarme, ma farmi fuggire volando il più lontano possibile.
«Allora ci sono riuscite sul serio... l’incantesimo ha funzionato!», esclamai, comprendendo ciò che era successo. «Ma il libro… ed il medaglione! Dove sono finiti?»
L’umano mi fissò sconcertato. Mi osservò mentre andavo in giro in cerca degli oggetti magici. Di loro, nessuna traccia.
Quando mi accasciai sconsolata su un gradino di marmo, si fece avanti e mi disse: «Sei piuttosto curiosa come sogno. Non capisco perché la mia mente elabori un’immagine ed una situazione così improbabili… che significherà tutto ciò?»
Sbuffai frustrata. «Non stai sognando.»
«Ah, no? E dove mi trovo?», chiese scettico.
«Sei a Faerie, tra il popolo delle fate.»
Mi fissò in silenzio per un lungo attimo.
«Dopotutto era come dicevo: sto proprio sognando.»

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

10 Marzo

Cara Meerith,

oggi ho consultato l’ennesima chiaroveggente. Un altro buco nell’acqua. Quelle che ho incontrato prima o erano ciarlatane oppure parlavano per enigmi. Anche questa, oggi, mi ha detto delle cose strane, che non ho compreso. Temo di farmi fuorviare dal mio intento e di cader preda di un inganno. Del resto, chi crederebbe alla mia storia? Mi sento solo perché non ho nessuno con cui confidarmi, solo questo vecchio libro! Ma un libro non mi da calore, e nemmeno risposte! Cosa devo fare?
La vecchia strega è stata capace solo di dirmi: “Serve la Melc’lock che convoglia la forza”.
Ma da queste parole che devo desumere? Io non so nemmeno cosa sia una Melc’lock!
Quando gli ho detto così quella mi ha risposto: “Non importa, non si trova qua.” E come se niente fosse mi ha fatto cenno di ritirarmi. A nulla sono valse le mie pretese di spiegazione.
Dopotutto deve essersi inventata tutto… ecco com’è andata. Ha visto la disperazione del mio volto e ha pensato che mi sarei bevuto qualsiasi cosa.
Però domani, per sicurezza, andrò in biblioteca a fare una ricerca, magari trovo qualcosa di utile… sempre meglio che stare con le mani in mano.

Sempre tuo,
Dimitri.
 

Quando la fata lesse ciò che Dimitri aveva scritto, un campanello d’allarme le suonò nella testa. Possibile che fosse così semplice da non averci pensato prima? Eppure la risposta era chiara! La vecchia veggente umana, a quanto pareva, aveva fatto menzione di una Melc’lock nei suoi discorsi!
“Melc’lock” era un termine Fae che indicava un’antica magia che poteva riversarsi su un qualsiasi oggetto o anche un essere vivente: era la magia del legame che si formava tra l’oggetto o l’essere invocato e l’oggetto o l’essere che invocava. Ed in effetti, quando si metteva in atto un incantesimo come quello del richiamo, che avevano eseguito le ragazze nel santuario, uno degli effetti collaterali di tale magia era proprio la formazione di due Melc’lock: uno per l’invocato, l’altro per l’invocante.
Meerith si diede della sciocca per non aver capito tutto prima, eppure si caricò di nuova energia al pensiero che, finalmente, aveva trovato una spiegazione agli eventi; e conoscendo quella, forse avrebbe potuto trovare una soluzione al suo problema.
Ripercosse ancora una volta i suoi ricordi. L'improvvisa sparizione di Dimitri poteva facilmente essere spiegata supponendo che il libro delle favole fosse diventato il Melc’lock per l’umano; avrebbe spiegato perché non l'avesse più trovato al tempio dopo l'evocazione. Se fosse stato così, ad un certo punto Dimitri doveva esserne entrato in contatto e, toccandolo, aveva fatto ritorno alla sua dimensione.
“La particolarità dei Melc’lock” – pensò la fata – “è che a volte, quando sono appena stati creati, spariscono perché deve passare un certo tempo affinché gli oggetti ritrovino nuovamente una forma fisica, dopo che la magia ne ha mutato la sostanza.”
Il ragionamento la portò presto a porsi la domanda fondamentale: qual era, dunque, il Melc’lock per gli invocanti? La risposta arrivò con la medesima rapidità: doveva trattarsi del medaglione, anch’esso sparito come il libro quello stesso giorno.
Si sollevò dalla pietra dove era stata seduta a lungo a scrutare tra le pagine: a questo punto, doveva darsi da fare per trovare il medaglione.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

«Non riesco a credere che tutto questo sia reale!», esclamò Dimitri, guardandosi attorno nel Giardino fatato.
Tutto attorno a noi gli alberi e le piante fiorivano rigogliose, splendenti. L’aria era pregna della consueta atmosfera di Faerie: soffusa di magia, incantata. La luce si diffondeva in tiepidi raggi che venivano catturati e trattenuti dalla natura circostante, così che ogni cosa apparisse come illuminata dall’interno e circondata da un alone chiaro. Dimitri era stato restio a lasciarsi convincere a dare un’occhiata in giro; ancora di più lo era stato a fargli comprendere che non stesse sognando.
«Se non sto sognando allora sono fottuto» disse dopo che ebbi molto insistito in quel senso. «Significa che ho perso la testa. Devo essere diventato matto.»
Mentre continuava con i suoi discorsi un po’ insensati – ero ormai giunta a capire che il parlar tanto era una sua tipica reazione alla tensione ed all’incertezza –, le fate lì intorno cercavano di nascondersi tra le fronde e spiavano di nascosto il nuovo ospite. Quando avevano visto che era umano, erano fuggite tutte in un baleno cercando riparo dove credevano di non essere raggiunte. Dimitri aveva osservato la scena senza capire che era proprio lui l'oggetto di tanto terrore.
«Ti ho detto che è reale, Dimitri! Non fartelo ripetere un’altra volta, mi stai stancando.»
Quando sbottai a quel modo, percepii la tensione di quanti ci spiavano: tutti si aspettavano che l’omone mi afferrasse per i capelli, o peggio, per le ali, e mi strattonasse esigendo il rispetto dovutogli. Così non fece, naturalmente, e ciò parve rilassarli.
«Ragazze, avvicinatevi!» dissi alle mie compagne che erano fuggite spaventate. «Venite a conoscere il frutto delle vostre fatiche!»
Dapprima nessuna ebbe il coraggio di farsi avanti. Poi, pian piano, ci raggiunsero nello spiazzo. Alcune tenevano la testa bassa, intimorite; altre lanciavano lunghe occhiate curiose. Quando appurarono che Dimitri le stava solo fissando e che non aveva intenzioni moleste, fecero un altro passetto in avanti.
«Ti presento coloro che ti hanno invocato dal tuo mondo», annunciai, «Ressna, Fennie, Virel e Stoppa. Loro sono le altre allieve del tempio.»
Dimitri allargò le labbra in un sorriso accogliente ed allungò in avanti una mano. Tutte fecero un balzo all’indietro, lanciando gridolini. La mano rimase sospesa nello spazio vuoto.
«Ehm… che ho fatto di male?» domandò.
«Che stai facendo con quella mano?» gli chiesi studiandolo curiosa.
«Ah, beh… volevo presentarmi. Da voi non si usa stringere le mani?»
«Non direi. Come si fa?»
Sorridendo, mi porse di nuovo la mano. «Devi prenderla e stringerla con la tua, è semplice.»
Dopo un attimo di esitazione, seguì le sue istruzioni.
«No! Non lo fare, Meerith! È pericoloso!» mi avvertirono le altre allarmate. «E se ti facesse del male?»
Dimitri rispose tranquillizzandole. «Non ho intenzione di farle nulla, credetemi. E poi che me ne verrebbe ad aggredirla?»
«Gli uomini non hanno bisogno di un pretesto per aggredirsi l’un l’altro. Perché dovrebbe essere diverso con un Fae?» disse Ressna. «Conosciamo molto bene le vostre storie, umano. Alcune sono oltremodo raccapriccianti.»
Dimitri corrugò la fronte. «Non so che dire. In effetti la nostra storia è costellata da orrori, non lo nego. Ma non tutti siamo malvagi. Sappiamo anche essere gentili ed amare, sapete?»
«Tsk! Amare, dici... Nemmeno sapete cosa significhi per un Fae questa parola! Non vi conviene usarla con tanta leggerezza.»
Dimitri era ancora più confuso. «C’è un significato alternativo a quello che conosco?»
Lo soppesai. «In Faerie dire di amare una fata equivale a dichiarare di volere legare la sua vita all’altro per sempre.»
«Anche per gli uomini è così», disse.
«Questo non è vero: voi smettete di amare con la stessa facilità con cui vi innamorate. Si sentono storie di amanti abbandonati, maltrattati, uccisi… noi Fae non saremmo capaci di commettere simili crimini nei confronti di colui al quale abbiamo dichiarato il nostro amare. Una volta pronunciati i voti, sono per sempre. Non c’è ritorno.»
«Niente divorzio, allora?» ridacchiò questi. «Sembra più una trappola senza via d’uscita.»
«Se di una “trappola” si tratta, come la definisci tu, stai pur certo che nessuno vorrebbe evaderne. L’amore è un dono raro e prezioso qui da noi.»
Dimitri mi osservò serio. Poi scrollò le spalle e tornò a sorridere. «Non ha senso discutere delle nostre divergenze culturali. Però possiamo apprendere l’uno la cultura dell’altro, per il tempo che starò qui… o fino a quando non mi sveglierò, si intende. Eh eh.»
Tese ancora una volta la mano verso di me. «Ti va di imparare come ci si saluta nel mondo degli uomini?» mi sfidò.
Feci cenno col capo e mi feci avanti. Presi la sua mano nella mia: era tanto piccola, al confronto, che riuscivo a coprirne solo metà. Gli strinsi il pollice e l’indice delicatamente.
«Così come va?» chiesi incerta.
«Uhm… non male come inizio», approvò, «anche se di solito ci tocchiamo palmo a palmo.»
Fece scivolare la sua mano, posizionandola in maniera differente, a circondare tutta quella mia. Sentivo come un fuoco piacevole il calore della sua pelle amalgamarsi al mio ed intensificarsi. Una scossa ci percosse entrambi, ci tendemmo, per poi sospirare estasiati.
«Uao, questo… questo… non credevo che fosse possibile» mormorò Dimitri.
«C-cosa?» ebbi la forza di chiedergli.
«Provare qualcosa di così forte toccando per la prima volta qualcuno di sconosciuto. Pensavo che fosse una cosa che potesse accadere solo nei libri.»
«I libri delle favole di Faerie raccontano storie vere, di solito.»
Rimanemmo ancora un po’ in contatto, come se non volessimo lasciarci andare. Quando tornammo in noi, sciogliemmo la stretta a poco a poco, quasi con rammarico.
«Beh, direi che fin qui ci siamo» disse poi l’uomo. «Ora dovresti insegnarmi qualche cosa tu. Insegnami qualcosa su Faerie.»
Trascorsero così i successivi giorni: ognuno alla scoperta del mondo dell’altro.

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04 Aprile

Mia adorata Meerith,
Dopo avere trovato degli scritti in cui si faceva menzione di questa “Melc’lock” mi sono impegnato più che mai nell’ardua ricerca di maggiori fonti di informazioni. Tutto quello che sono riuscito a racimolare sono solo vaghi accenni provenienti da vecchie storie e leggende, il più delle quali sono state per secoli tramandate oralmente. Tutto ciò che riguarda il popolo delle Fate, nel mio mondo, non è considerato altro che leggenda e non ho modo di trovare ciò che mi serve. Da quello che ho capito dai reperti che ho letto, però, ciò che mi serve sarebbe un qualche tipo di chiave che mi permetta di aprire il passaggio tra i nostri due mondi. Eppure una volta la Melc’lock è descritta come un oggettino piccolo e leggero, delicato, altre volte come qualcosa di voluminoso e difficile da trasportare. Come fare allora a trovarlo ammettendo che esista e sia proprio ciò che mi serve? L’unica cosa che possiedo del tuo mondo è questo libro, quello dentro al quale sono stato risucchiato all’inizio della mia avventura. Il vecchio libro polveroso, privo di storia, nella libreria dell’angolo! Può davvero questo oggetto riportarmi da te? Eppure non ha mai dato segno di fare altro che assorbire il mio inchiostro e mandarlo alla deriva chissà dove… Quando vi scrissi per la prima volta e notai che le parole ne venivano assorbite fino a scomparire nella carta, ho capito che era l’unico modo per comunicare con te. Ho atteso una risposta di qualche tipo che non è mai arrivata… e poi ho ricordato che a Faerie non esiste l’inchiostro. Mi è venuto in mente ciò che mi dicesti molto tempo fa a proposito dei 
libri delle favole.
Io non so se sia proprio tu, mia cara, a stare leggendo queste parole, ma se non è così prego che chiunque lo faccia ti trovi e mi riporti da te!

Devotamente tuo,
Dimitri.
 

«Il medaglione non è stato ancora trovato. Se, come pensi, è diventato una Melc’lock allora dovrebbe già aver fatto la sua comparsa, nello stesso luogo del libro. Non sai dove sia stato rinvenuto questo?» domandò Karioth, il veggente, presso cui Meerith era andata a cercar consiglio.
«Ho capito solo ora che il libro era diventato una delle chiavi magiche dell’incantesimo. Non avevo mai compreso prima perché Dimitri fosse tornato nel suo mondo così all’improvviso. Ma del resto, le ragazze non avevano saputo dirmi di preciso che incantesimo avessero usato; hanno solo riferito che è stata la magia stessa a suggerirlo loro: così alcune parole sono andate naturalmente perse nelle memoria. Ho provato a richiamarlo indietro, con un altro incantesimo, ma non ha mai funzionato. Se dobbiamo supporre che Dimitri abbia trovato il libro nello stesso luogo dove l'ho rinvenuto io, allora sappi che non c'era nessun medaglione lì attorno perché ho cercato. Ero così contenta di averlo riavuto indietro... pensavo che anche il medaglione potesse essere tornato allo stesso modo. Ma l'aver poi scoperto che Dimitri era scomparso ha offuscato la mia gioia. È stato anche peggio quando ho capito che era lui a scrivere su di esso, dall'altra parte delle dimensioni.»
«È naturale che tu non abbia potuto richiamarlo con un’invocazione. In base a ciò che sappiamo, si deve supporre che egli sia ormai irrimediabilmente legato a te e a Faerie. Non si può pretendere di unire ulteriormente ciò che è già stato unito.»
«Ma noi non siamo uniti affatto! Lui si trova dall’altro lato del libro, nel mondo umano! Ed io sono intrappolata qua, nel nostro mondo!»
«Sai che per la magia questo è irrilevante. Non bastano le dimensioni a frapporsi per chiamare nullo il Vincolo Sacro.» Si zittì un momento e poi decretò. «Devi provare a tornare nel luogo dove è apparso il libro, e da lì riprendi le ricerche del medaglione. Non posso fare altro per aiutarti.»
«Ma se il medaglione è stato usato dalle mie compagne… non dovrebbe manifestarsi a loro? Non dovrebbero essere loro a trovarlo?»
Karioth scosse la testa. «Sia il medaglione che il libro ti appartenevano. Sai quanto sia antica e potente la mite magia del semplice possesso: sebbene siano state loro le artefici dell’incantesimo, sono i tuoi oggetti magici ad avere attirato nel nostro mondo il mortale, creando un ponte di collegamento. È come se fossi stata tu ad invocarlo. Il medaglione si mostrerà a te sola.»
«Ho capito, veggente. Non mi rimane che cercare. Grazie del tuo consiglio.» Meerith si inchinò ed lasciò l’Anticamera del Giardino alla sua quiete.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

Mi trovavo sulle rive del lago Beru’hun. Io e Dimitri avevamo appena finito di scorrazzare per la campagna ed ora ci riposavamo sull’erba, dissetandoci dell’acqua della sua fonte.
Rideva ancora dello scherzo che avevamo fatto ad uno dei folletti nei pressi della collina.
«Ah ah ah… vivere qua è come tornare bambini», disse.
«Che vuoi dire?»
Noi, a Faerie, nascevamo dalla condensa della magia originata da un atto d’amore di quelli che definivamo i nostri “genitori”. Era come se il profondo desiderio d’amore di una coppia creasse una scintilla che plasmava una vita: ogni essere del nostro popolo, infatti, era frutto di buoni sentimenti ed era prezioso. Da noi non esisteva qualcosa di così orribile come la violenza o lo stupro. Di queste cose avevo avuto modo di leggere nei libri delle favole, e di apprendere dai racconti del mio popolo sulle altre creature, ma anche Dimitri ne aveva fatto cenno, parlandomi del suo mondo.
In ogni caso, nessuno rimaneva a lungo un “bambino” perché avevamo delle vite davvero longeve e tendevamo a dimenticare i primi anni di vita.
«L’innocenza che c’è qua…», spiegò, «è così pura e vera… ed intensa… che è come respirare un po’ di quell’aria che si respirava da bambini, quando tutto era nuovo. Mi pare di vedere le cose con occhi diversi, con sentimenti più… vivi. Non so davvero come spiegarti ciò che provo ma mi pare di vivere un’eterna primavera.»
«Faerie è l’incarnazione della Primavera: è il vento caldo che soffia nel tuo mondo quando finisce il gelido inverno. È la bellezza di un sogno che vi sfugge nelle prime ore di veglia, lasciandosi dietro solo la dolce sensazione di essere stato.»
«Non avresti potuto descriverlo meglio.»
Dopo un po’ però, aggiunse: «Ma anche voi soffrite ogni tanto, non è vero? Anche voi conoscete la perdita…»
Riflettei sulle sue parole. «È vero. Ma credo che non esista un luogo che conosca solamente la felicità. Perché cos’è la felicità senza il suo opposto? Può la vita esistere se non si conosce la morte? Noi siamo un popolo più antico e più saggio, per questo abbiamo saputo far tesoro dei momenti preziosi che ci vengono concessi. Tuttavia anche noi proviamo sofferenza…»
«Parlami di tua madre», mi pregò, sfiorandomi una mano adagiata sull’erba vicino alla sua.
Sorrisi un po’ tristemente al suo ricordo.
«Era una bellissima Fata, una delle più potenti del nostro mondo. Ma un giorno conobbe mio padre, di cui, purtroppo, non so nulla se non che non era Fae, e si innamorò di lui. Si legarono assieme attraverso il Vincolo Sacro e, pochi anni dopo la mia nascita, scomparvero senza lasciare traccia. Di loro mi rimase solo il libro delle favole ed il medaglione di mia madre… ma ora ho perduto anche quelli.»
«Hai già accennato a quel libro ma… confesso di non aver prestato molta attenzione» si scusò. «Ero ancora convinto che tutto ciò fosse il frutto della mia mente.»
«I libri della favole sono rari e si tramandano di fata in fata. Sono composti da pagine bianche in cui ogni tanto viene narrata una storia. Si scrivono da soli, però. Il nostro popolo racconta che di questi tomi esistano dei gemelli nelle diverse dimensioni e che noi possiamo leggere le storie che vengono scritte dalle altre creature che li possiedono, poiché i Fae rappresentano la pura magia e le nostre tradizioni sono solo orali; a noi non è dato l’uso dell’inchiostro: ci contaminerebbe, avvelenando l’essenza della nostra magia.»
«Capisco. Quindi… è probabile che il libro che ho visto in quella libreria fosse il gemello del tuo? È per questo che sono arrivato qui? Attraverso di esso?»
«Credo di sì…» risposi. «Anche se non ne sono certa, sicuramente non sarebbe successo nulla se le altre allieve del tempio non avessero pasticciato con gli incantesimi. Il loro intento era di richiamare qualche personaggio delle storie del libro ma hanno finito col coinvolgere te che ti trovavi, in quel momento, nelle sue immediate vicinanze.»
«Mi servirebbe quello se volessi tornare indietro?»
Scrollai le spalle. «Forse. Non ne sono sicura. In ogni caso è scomparso e non so che fine abbia fatto. Forse è andato distrutto assieme al medaglione durante l’incantesimo? Non saprei proprio dire…»
«Ci tenevi molto», constatò. Mi sollevò il mento, toccandomi con dita carezzevoli una guancia. Negli occhi mi splendeva il luccicore di lacrime trattenute.
«Erano gli unici ricordi che avevo di loro…» dissi, lasciando che capisse da solo ciò che dovevano significare per me. «Mi mancano… erano le uniche cose che mi legavano ancora a loro.»
«Capisco. Mi dispiace.» Mi asciugò una lacrima sfuggita alle altre. «Meerith, io…»
Lo fissai negli occhi. «Sì?»
«Credo di essermi innamorato di te.»
Sgranai gli occhi, la bocca semiaperta nell’incredulità. «P-parli sul serio?»
Accennò col capo. «Non vorrei vederti triste. Se potessi… se potessi troverei quegli oggetti per te. Per il tuo sorriso.»
Lo guardai dolcemente. «Grazie, Dimitri. Non sai quanto significhino le tue parole per me.»
«Allora dimmelo», insistette.
«M-ma, io… non credo che noi…»
«Pensi che non sia degno? Credi che non possa amare con lo stesso grado in intensità di voi Fae?»
«No, non è questo…»
«E allora cosa? Parlami.»
«Temo che col tempo i tuoi sentimenti possano affievolirsi. Tu sei un mortale: non capisci a fondo cosa significhi stringere un Vincolo Sacro con una di noi.»
«Mi hai già detto che questa cerimonia vincola due individui eternamente e che la morte di uno significa quella dell’altro; così come la vita di uno è quella dell’altro. Questo vuol dire che condividerei con te la tua immortalità.»
«Proprio così, Dimitri. Non si tratta dello spazio di una vita umana, lo capisci? Ma del trascorrere dei secoli immoti, del tempo che non passa mai.»
«Se è con te, Meerith, so che posso farlo. Non mi sento in trappola quando ti stringo tra le braccia. Agogno in ogni momento ad un tuo bacio, ad un tuo tocco. Non sai cosa mi scatena dentro il suono della tua voce che chiama il mio nome o il desiderio di possesso che mi divora perché voglio reclamarti come mia. Anche con tutto il peso del desiderio che mi lacera l’animo, sento che potrei essere il più felice degli uomini se mi venisse anche solo concesso di starti accanto e di parlare con te, pur senza mai stringerti.»
«Oh, Dimitri…» sussurrai con la voce spezzata. «Le tue parole mi fanno paura.»
«Senza rischio non ci può essere gioia o soddisfazione. Non posso più trattenere tutto questo dentro di me. Sento che è giusto dirti ciò che provo anche se tu non ricambiassi e dovessi respingermi.»
«Non sono in grado di respingerti, Dimitri… non quando provo anche io gli stessi sentimenti. I Fae non possono sfuggire al loro destino, non ne abbiamo la forza… ma voi uomini sì: voi plasmate la vostra vita con la vitalità che è data dal tempo limitato che avere a disposizione.»
«Allora non provare a farlo. Non respingermi! Lascia che sia il tempo a convincerti che i miei sentimenti non sono passeggeri.»
Parlava con foga, con l’emozione che deriva da un sentimento profondo. Mi aveva afferrato le braccia e mi tratteneva come a farmi vedere la necessità di non negare ciò che ormai ci univa.
«Non ti respingo, Dimitri. Non ho intenzione di farlo.» Gli posai la mano sul torace e sentii i battiti frenetici del suo cuore. Gli massaggiai il petto. «Se è davvero ciò che desideri, ti affiderò me stessa e la mia vita, condividerò la mia immortalità e mi legherò a te nel giuramento più sacro del mio popolo.»
Sorrise teneramente. «Così sia», sussurrò.
Mi adagiò pian piano sull’erba e si stese al mio fianco. Poi avvicinò il suo volto al mio per darmi un bacio ardente e delicato. In quel bacio si fusero le nostre essenze, le nostre intenzioni, proprio come avvenne poco più tardi, quando bevemmo dalla fonte magica legandoci a formare un solo essere sempiternamente.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫

07 Aprile

Meerith,
da giorni mi vorticava in testa il ricordo della storia del libro e del medaglione… Stanotte mi sei apparsa in sogno ed ho ripercorso il momento in cui me ne parlavi… mi sono svegliato piuttosto inquieto e non riesco a non pensare che ci sia qualcosa che mi sfugge.
Ma cosa? Fin ora mi sono sempre concentrato su questo libro perché ho attraversato le dimensioni solo quando l’ho toccato: sia la prima volta, quando poi ti ho incontrata, sia l’ultima, quando ho fatto ritorno. Ma se il punto non fosse solo questo? In fondo era scomparso anche il medaglione, o sbaglio? E se servisse quello per riaprire il canale? Se servisse il medaglione unitamente al libro per poterti riabbracciare? Ma come cercarlo, e soprattutto dove?! Faerie a me è preclusa… forse solo tu lo puoi trovare!
Spero con tutto il cuore che le mie parole ti raggiungano!

Con immenso amore,
Dimitri.
 

Meerith rivisitò tutti i luoghi dove era stata con Dimitri: ogni bosco, ogni montagna, ogni collina, ogni pianura, ogni anfratto… tornò persino sulle rive del lago e lo esplorò minuziosamente ma non trovò ciò che cercava.
Ormai andava in giro senza sosta, portandosi appresso solo il libro delle favole dalle cui parole, scritte dall’amato, traeva forza.
Fu mentre sostava all’ombra di un’alta quercia che lesse il nuovo messaggio che Dimitri le aveva scritto.

 

13 Maggio

Mia dolce ed adorata Meerith,

mi sento pieno di sconforto e di tristezza. Penso continuamente al tempo che abbiamo passato assieme ed il peso della tua assenza mi devasta e mi schiaccia. Un agghiacciante timore mi tormenta ormai da un po’ di tempo: e se non fosse destino ricongiungerci? Se vivessimo eternamente in questa perenne attesa? Quando la mia mente accarezza questa terribile ipotesi mi sento morire dentro e mi par quasi di impazzire. Non vederti, non sentirti ma bramarti con tale costanza… è qualcosa che mi consuma e mi condanna; soffro ancora di più al pensiero che anche tu stia soffrendo al pari di me.
Non avrei mai dovuto desiderare di cercare questo libro! Mi maledico ogni volta che ci penso! Ma mi eri così cara che non volevo altro che renderti felice. Dopo esserci legati nel Vincolo, ho desiderato intensamente di ritrovate i monili perduti per te. Il mio solo intento era di portarteli in dono per dimostrarti il mio amore… ma così facendo ho rovinato l’unica cosa davvero buona che avevamo.
Quando ho chiesto a Faerie di portarmi da loro, facendo voto di affidamento, sono stato esaudito... gli oggetti sono comparsi al mio cospetto! Sembrava tutto normale ma nell’esatto istante in cui ho sfiorato il libro, sono stato catapultato indietro nel mondo umano e non ho potuto più fare ritorno. Forse sono stato punito per avere usato impunemente la magia del tuo mondo, o forse questo era solo il prezzo che andava pagato per il loro ritrovamento ed io lo ignoravo… ma se era davvero un prezzo, ebbene, lo giudico troppo alto! L’amore non era la cosa più preziosa del tuo mondo? Perché è stato sacrificato in pegno ad una magia?
Ma come al solito mi perdo nei ragionamenti che rendono ancora più amaro il mio cuore… probabilmente non saprò mai cosa è effettivamente successo.
La mia mente rincorre prepotentemente le ombre.
Ti ho amata così tanto, Meerith… continuo ad amarti così tanto che mi fa male.
Ti prego, trova un modo per tornare da me!

Il tuo Dimitri.
 

Meerith piangeva sommessamente leggendo quelle parole vergate con tanto strazio e frustrazione. Sentiva i suoi sentimenti come propri, la pena di lui come la sua. Avrebbe voluto consolarlo, stringerlo, confortarlo… ma tutto quello che poteva fare era leggere e condividere il suo tormento.
Strinse tra le mani il libro, poi abbassò di nuovo gli occhi e rilesse, come faceva sempre, il paragrafo.
Parlava di un prezzo da pagare: forse era proprio così, ma cosa poteva fare? Senza il medaglione non poteva nulla.
Le lacrime le annebbiarono la vista e allora si decise a tentare il tutto e per tutto: se Dimitri aveva fatto un voto di affidamento a Faerie affinché ritrovasse per lui gli oggetti, poteva farlo anche lei e pagare qualunque prezzo che le sarebbe stato imposto.
Chiuse gli occhi, si lasciò andare ed espresse all’universo la sua richiesta. Poi attese che questa venisse esaudita.
Un leggero vento si levò, le fronde dei rami scricchiolarono al suo passaggio, gli animali si fecero silenziosi nel bosco, poi uno schiocco accompagnato dal calore come di una scintilla e la sensazione di qualcosa che si muoveva, che mutava.
Quando risollevò le palpebre, sull’erba dinanzi a lei vi era adagiato il medaglione con la pietra d’ambra.
Meerith lo fissò per alcuni secondi, timorosa che si trattasse solo di una visione. Poi, timidamente, allungò una mano per toccarlo. Lo afferrò.
«Ti prego portami da lui» sussurrò.
Il vento tornò forte, tanto da creare un vortice attorno. Meerith non ebbe paura ma si lasciò trasportare, fiduciosa che l’amore l’avrebbe condotta a destinazione. In un attimo sparì, lasciando vuoto il posto che prima occupava.

 

Tra il popolo delle fate, nessuno seppe mai che fine avesse fatto Meerith. Molti credettero che la storia della madre si fosse ripetuta, dal momento che, dietro di sé, la fata non aveva lasciato altro se non il medaglione d'ambra ed il libro delle favole che le erano stati tramandati.

A noi lettori umani, tuttavia, è dato di sapere che Meerith raggiunse veramente Dimitri, la cui gioia fu senza pari. E sebbene sia il libro che il medaglione sparirono per sempre, lasciandoli intrappolati nel mondo umano, essi vissero felici, godendo eternamente del loro amore.

 

◦●• F i n e •●◦






 

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