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Autore: Fre95xD    07/01/2013    1 recensioni
Quegli scimmioni mi avevano circondata, quattro contro una ragazza non è proprio il massimo... Ma me l'ero cercata. Il primo mi si avvicinò, chiuse la mano e provò a colpirmi, schivai il suo pugno per un soffio, il secondo invece mi colpì forte allo stomaco facendomi boccheggiare. Il terzo e il quarto mi alzarono di peso e mi spinsero a terra.-Ora non parli più, eh?- mi sputò in faccia Azimio. Non sapevo cosa rispondere ero spacciata, quando una specie di rumore attirò la mia attenzione. FF Brittana e RachQuinn.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’aria fresca di settembre mi pizzicò il naso infreddolito, puntato verso il cielo alla ricerca di quella particolare scia di profumo che da due giorni non voleva lasciare in pace le mie narici. La prima volta che la percepii faticai a mantenere il controllo del mio corpo che, come guidato da qualche sconosciuto istinto, iniziò quasi subito a mutare. Fortunatamente riuscii a dominare quell’onda di potere che mi travolse, quel fuoco che bruciava ogni nervo e distruggeva la ragione in pochi attimi. Controllavo la creatura in me da poco tempo, quindi ancora non riuscivo a eliminare del tutto i miei istinti primordiali. Per questo motivo io e il mio branco ci eravamo trasferiti in un posto poco abitato e non molto conosciuto. Il nostro passato era popolato da cadaveri su cadaveri, eravamo, siamo e saremo per sempre assassini; e questo posto, Ohio, così il nostro Alfa lo chiamava, sembrava essere creato apposta per noi. Gli abitanti erano pochi e durante la notte le strade isolate erano l’ideale per sgranchirsi le zampe in lunghe e mozzafiato gare di corsa con i miei fratelli . Diversamente dagli altri clan presenti nel mondo, noi cercavamo di controllare la nostra sete di sangue e carne umana, anche se molti cedevano. Sentire il sangue caldo bagnare la gola e la carne morbida tra i denti affilati era così eccitante e appagante che difficilmente si riusciva a farne a meno. Ma in questo luogo, il richiamo della fame non era l’unico pericolo.
Trascorrevo la mia vita nelle foreste, da quando ero un cucciolo. Sono stata protetta da qualunque pericolo per molti anni, i miei genitori mi hanno insegnato a non uccidere gli umani, anche se quell’istinto era sempre in agguato. Fin da piccola io e mia sorella, Lucy, giocavamo lontane dal mondo civilizzato, non conoscevamo il significato di paura perché non l’avevamo mai provata; ma prima della paura conobbi una sensazione ancora più forte e incontrollabile: Rabbia.
La provai, quella vera, un’unica volta in tutta la mia vita. E quella volta io spezzai delle vite, ma, ancora oggi, non me ne pento. La tragedia successe dieci anni fa. Avevo sette anni ed insieme a mio padre stavo cacciando un esemplare di cervo, era bellissimo, enorme, quindi molto appetibile. Avevamo appena lasciato mamma e Lucy, insieme al branco. In quel periodo vivevamo nella calda Spagna, e le giornate passavano serenamente. Alla mattina mi svegliavo tra le zampe di mia madre con il muso della mia sorellina appoggiato sullo stomaco e nostro padre che ci osservava con amore. Durante il giorno facevamo delle nuotate in un piccolo torrente in mezzo alla foresta e ci divertivamo in compagnia dei piccoli delle altre famiglie.  Alla sera tutto il branco si riuniva per ululare alla luna. Essa era colei che ci aveva creato; noi eravamo i figli della Luna.
Le nostre origini erano molto antiche. Le leggende raccontavano che la Luna si sentiva trascurata dal Sole perché veniva venerato da molti uomini, mentre lei era considerata un brutto presagio, soprattutto quando era piena ed alta nel cielo. Proprio una di quelle notti, un piccolo indigeno, si perse nella fitta foresta. Si racconta che fu bandito dal villaggio a causa dei suoi istinti e della sua rabbia, che lo portò ad uccidere tutta la sua famiglia. La Luna, lo osservava dall’alto del cielo, nascosta dietro una nuvola oscura. Sentiva le sue urla d’aiuto, le preghiere che, l’indigeno,  rivolgeva al dio Sole e chiedeva perdono per aver ascoltato i suoi istinti di rabbia e malvagità. La Luna si sentì ferita, nonostante fosse notte l’indigeno pregava il sole, così gli lanciò una maledizione: sarai costretto a vivere cibandoti del sangue e della carne che hai tolto alla tua famiglia, non riuscirai mai più a controllare i tuoi istinti primordiali, il desiderio di uccidere ti consumerà. Diventerai una belva, senza pietà e senza ragione; loderai per sempre la Luna mostrandole la tua vera forma. Il corpo dell’indigeno mutò in quella notte. Le ossa iniziarono ad allungarsi e a cambiare forma, le unghie diventarono artigli e i capelli coprirono tutto il corpo trasformandosi in una morbida e lucente pelliccia. Il viso scomparve, e si trasformò in un muso. La bocca divenne enorme  e i denti affilati come uncini. Così i Figli della Luna vennero al mondo, di notte lupi e di giorno umani. L’indigeno grazie al suo fiuto tornò al villaggio e lo rase al suolo. La sua forze era enorme, la sua velocità triplicata e tutti i suoi sensi erano amplificati. Con il passare dei secoli i lupi mannari impararono a controllare i loro istinti e la loro mutazione. Molti non tornavano più alla forma umana, altri cercavano di non mutare; ma inutilmente. Il richiamo della Luna e della carne era troppo forte.
Per tutta la notte il mio branco raccontava queste storie. Io sapevo tornare ancora alla forma umana, anche se preferivo di gran lunga essere lupo.
Le giornate di caccia  mi piacevano un sacco; a turni portavamo il cibo ai nostri simili e quel giorno toccava alla mia famiglia. Mio padre mi portò con sé per la prima volta, dicendomi che ormai ero grande e quindi dovevo imparare a cacciare. All’inizio ci accontentavamo di conigli, tassi, scoiattoli, animali di piccola taglia; ma presto il desiderio di sangue aumentò e passammo alle prede più grandi. Ero affianco a mio padre, con il suo manto nero e lucente, quegl’occhi gialli, profondi ma pieni d’amore. Aveva le orecchie tese nel tentativo di captare la corsa del cervo. Io avevo sempre ammirato mio padre, era un licantropo degno di questo nome, non aveva mai ucciso esseri umani nonostante la sua forza straordinaria. Trattava tutti con rispetto e non si fermava davanti a nulla. Era severo, ma giusto. All’improvviso si girò verso di me e mi fece segno di accucciarmi e fare silenzio. Mi nascosi dietro un cespuglio e con il naso basso lo osservai mentre entrava in azione.
Spinse con le zampe posteriori,tutti i suoi muscoli si tesero e con un balzo raggiunse la creatura che ignara di tutto si stava abbeverando da un piccolo ruscello. Mio padre gli atterrò sopra e con una zampata molto forte lo buttò a terra. Il cervo fissò i suoi occhi marroni in quelli affamati del lupo nero che senza indugi aprì le fauci e addentò il morbido collo dell’animale spegnendo così la sua vita. Dentro di me sentivo crescere la fame, e il desiderio mi mangiare, a quella visione, mio padre lo percepì. Trascinò il corpo inerme del povero animale, vicino a me, che con occhi lucidi di ammirazione, fissavo. Appena fu abbastanza vicino addentai la carne e li sentì il mio stomaco ringraziarmi. Erano giorni che non mangiavo molto, perché gli animali erano sempre di piccola taglia e quello non era un vero e proprio pasto. Peccato che mi dovetti fermare, dopotutto il cibo non era solo per noi due ma anche per la nostra famiglia. Così, dopo aver assopito la mia sete per un po’, aiutai mio padre a riportare il cervo al nostro rifugio. Il ritorno fu più veloce dell’andata, io avevo in bocca le zampe, mentre mio padre teneva il resto del cervo tra le fauci. Camminavamo l’uno di fianco all’altra,  lui mi guardava con uno sguardo di sufficienza, dall’alto al basso.
Mi aveva sempre guardata così… ho sempre saputo di essere considerata la pecora nera della famiglia; il motivo era semplice; ero considerata stupida, perché avevo un’idea del mondo diversa da quella che avevano gli altri. Io non riuscivo a vedere il lato cattivo ne nei lupi ne negli umani, molte cose non le capivo, o forse le capivo ma in maniera diversa; e questo mio difetto non era mai stato perdonato da mio padre. Per lui essere ignoranti era il peccato più grande, i lupi dovevano essere creature intelligenti e a maggior ragione i licantropi. Preferiva infatti Lucy che era sempre attenta e sveglia, al contrario di me, impacciata e con i riflessi lenti. L’unica cosa che avevo era forza bruta e velocità. In forma umana ero forte come mio padre e quindi in forma di lupo nessuno mi poteva fermare. Questo era l’unico lato che mio padre amava di me. Io lo sapevo, l’avevo capito, ma lui comunque tentava di amarmi come amava Lucy. Perciò nonostante tutto volevo bene a mio padre. Per fortuna, mia sorella mi stava sempre vicino e nonostante fosse più piccola di me mi proteggeva e mi insegnava un sacco di cose. Anche mamma, cercava di capirmi e sostenermi ma con molte difficoltà.
Ero immersa ancora nei miei pensieri, quando un ringhio mi bloccò di colpo. Alzai lo sguardo verso quello di mio padre, e mi accorsi che il verso proveniva da  lui. Era arrabbiato e spaventato. Gli occhi gialli erano puntati sulla nostra caverna, la nostra casa, erano sbarrati e sconvolti, mi voltai verso la sua direzione e vidi la scena più orribile di tutta la mia vita. Una frase mi disse mio padre, prima di ululare come non aveva mai fatto, -Brittany, lascia il cervo a terra, fai silenzio e seguimi Dobbiamo spargere molto sangue-.
 

Rieccomi, scusate dell’assenza, ma queste vacanze sono state un po’ movimentate…  zii, parenti, cene, regali *.* ecc.. Insomma questo è il capitolo, punto di vista della nostra Brittany, cosa avranno mai visto lei e suo padre?
Lasciate qualche recensione, esprimete quello che pensate sulla storia Jringrazio chi segue, ricorda, mette tra i preferiti ecc.. Vi faccio gli auguri di Natale e Capodanno in ritardo :* Ora con l’inizio della scuola, non so quando aggiornerò ma cercherò di fare il prima possibile se la storia piace ad almeno un po’ di gente. Vi ringrazio ancora. Vostra Fre <3
  
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