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Autore: Glenda    28/07/2007    1 recensioni
Lethia Ballard fa l'investigatrice virtuale e viene ingaggiata da una potente corporazione per un incarico delicato: trovare e intrappolare uno scissista, ovvero un pericoloso hacker dotato di poteri esp, che riesce a vagare nella rete scindendo la propria mente dal corpo. Ma l'incontro con Kevin Lockport è diverso da come lo immaginava e l'uomo le rivela qualcosa di completamente inaspettato...Dove porteranno le indagini di Lethia? E cosa c'entra in questa faccenda di inganni e potere l'ingenuo ragazzo biondo uscito da un lungo coma, che fa l'antiquario in una bottega che pare fuori dal mondo e dal tempo? Giallo cyberpunk con elementi sovrannaturali. VERSIONE RIVISTA E CORRETTA DELLA FAN FICTION POSTATA LA PRIMA VOLTA NEL 2007.
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 4

 

“Potrebbe trattarsi di una forma di schizofrenia. E’ un disturbo raro in una bambina così piccola, ma i primi test sembrerebbero avallare questa ipotesi”

“Si tratta di un disturbo curabile, vero?”

“Non posso avanzare ipotesi per il momento. Bisogna condurre ancora molte analisi, ma con gli psicofarmaci siamo in grado di risolvere molti problemi, e non è escluso che non con lo sviluppo...”

“E’ MALEDETTA! Mia figlia è maledetta! E’ stata baciata dal diavolo!”

“Non dire idiozie! Il diavolo no esiste!”

“Signora Ballard, si calmi. Non è poi così grave. Vedrà che con un piccolo aiuto farmacologico e una buona terapia...”

“VOI NON CAPITE! Io l’ho visto! L’ho visto entrare: è andato sul suo lettino...si è chinato su di lei! Siamo stati dannati, per sempre!”

“Tesoro, adesso basta!”

“Signor Ballard, accompagni fuori sua moglie, la prego..."

 

Lethia si tirò su a sedere, e i piedi nudi toccarono il freddo pavimento. Un brivido le risalì su per la schiena. Per colpa di quel Lockport, da due giorni aveva un mal di testa insopportabile, che le impediva persino di dormire.

E l’insonnia era sempre portatrice di cattivi pensieri.

La notte non era fatta per la veglia: nella notte si svegliavano i fantasmi, non quelli con cui era abituata a parlare, non quelli che avevano un corpo a cui essere ricondotti: i suoifantasmi, quelli più odiosi, perché non potevano essere riportati da nessuna parte.

Si stropicciò gli occhi, e guardò le lancette fluorescenti dell‘orologio: erano ancora le 4 del mattino e sapeva che non sarebbe più riuscita a prendere sonno. La giacca del Tallieur era appesa alla spalliera, la gonna ripiegata accuratamente, le scarpe abbandonate sotto la scrivania. In quei giorni era nervosa: benché il signor Adrianov fosse rimasto entusiasta dell’esito della sua operazione, che le aveva permesso di ottenere ed analizzare tutti i parametri di Kevin Lockport, per Lethia dover ammettere di essere stata buttata fuori dal sistema in due sole mosse era umiliante.

Inoltre, il dolore non accennava a diminuire.

- Bastardo - sussurrò a mezza voce - Bastardo! Te la farò pagare! -

Quello stronzetto dal sorriso elegante era stato il primo individuo al mondo che era riuscito a sfuggirgli.

Una volta, però.

Non ci sarebbe stata la seconda.

Si alzò in piedi, raccolse i lunghi capelli corvini in una coda, bevve una tazza di caffé e poi tornò a accomodarsi sul divano.

- Ho i tuoi parametri, mio caro - disse, inserendo un piccolo cip all’interno del deck - ed un nuovo programma fatto apposta per te. Non mi troverai più impreparata -

Aveva trascorso l’intera giornata precedente a studiare le informazioni raccolte durante il primo contatto con lo scissista: se lui era stato più abile nel confronto diretto, almeno lei era stata brava nel reperire i dati necessari. Da quel breve incontro era riuscita ad estrarre praticamente tutto ciò che gli serviva per elaborare un sistema di trasferimento fatto su misura per lui, e prendere precauzioni per non essere estromessa da Zeus di nuovo: se voleva sfuggirgli, stavolta, doveva ucciderla.

Indossò il fermaglio e controllò che ogni cosa fosse pronta.

- Oggi, sarà una barzelletta anche trovarti... -

Davanti al suo sguardo comparve l’ordinaria banda di controllo: stavolta non ci sarebbe stato bisogno di seguire i suoi pensieri, ci voleva meno tempo e meno fatica nel lasciare che il computer rintracciasse la sua impronta. Il brusio di sottofondo accompagnava la procedura, ma ci aveva fatto l’abitudine, e quando si concentrava sul lavoro riusciva facilmente ad ignorare i bisbigli dell’utenza della rete, per quanto insistenti potessero essere: un lontano ronzio, come di falene impazzite intorno ad una lampada, e nulla di più.

Bip...bip...

Un led rosso pulsò sulla banda di controllo.

- Kevin Lockport? -

Il programma di ricerca confermò, prima ancora che lei potesse finire di pronunciarne il nome, ma non ebbe tempo di agire che il sistema la avvisò della presenza di un campo d’isolamento che si era di colpo innalzato attorno a lei.

- Scollegati, ed io ti lascio andare -

L’immagine di Kevin si delineò sullo sfondo.

- Non hai le certe in regola per minacciare! Il tempo che ho impiegato a rintracciarti non ti dà alcuna garanzia di sicurezza, a meno che tu non mi bruci il cervello adesso! -

Paradossalmente, sentiva di non provare alcuna paura: la morte non le era mai sembrato quel granché, quantomeno avrebbe potuto constatare di persona che non esistono né diavoli né dei.

- Lo so. E me lo aspettavo. Per questo sono stato costretto ad usare una strategia preventiva -

D'un tratto si accorse che le provocazioni di quell'uomo la eccitavano: non aveva mai trovato un avversario così.

- Se è per questo, anche io mi sono prevenuta -

Lethia si concentrò sul suo potere: con la mente immaginò di sferrare un colpo violento a Kevin Lockport. L'immagine del ragazzo fu come investita da un muro d'aria invisibile.

- Ehi! Mi hai fatto male! - protestò lui

- Peggio per te. Uno pari -

Kevin alzò la testa: aveva begli occhi, penetranti e un po’ tristi.

- Non voglio farti del male. Vattene -

- Non posso accontentarti. Stai cercando di accedere ad un archivio privato del mio cliente. Ho l’ordine di impedirtelo -

- Errore. Sto cercando di dare al tuo cliente quel che si merita. Non ti sei neppure domandata perché ti è stato chiesto di trovarmi? -

- Non sono solita fare domande sul lavoro -

Stava cercando di distrarla, e non doveva permetterglielo: quattro anni di attività le avevano insegnato che quando si lavora con le menti altrui, ogni curiosità doveva essere lasciata da parte. In quel momento, come in tutti i suoi recuperi di coscienza, Kevin Lockport era solo uno spirito disperso in zeus che lei doveva riportare indietro, che lui lo desiderasse o meno. Si concentrò sui programmi e attivò la funzione paralizzante; questa volta avrebbe funzionato, era stata riadattata su misura per lui.

Il ragazzo le rivolse uno sguardo sorpreso, poi lo stupore si trasformò in rabbia.

- Che ti salta in mente? Lasciami andare! lasciami andare, o non ne uscirai viva, Lethia Ballard! -

Sul viso di lei comparve un sorriso di trionfo.

- Oh, vedo che conosci il mio nome! -

- Ma naturale...qua in Zeus sei ospite d’abitudine. Peccato che, nonostante la vita che hai avuto, tu preferisca vendere le tua capacità alle corporazioni anziché contribuire a evitare agli altri di subire le stesse ingiustizie! -

Aveva cambiato ancora espressione: adesso non stava più giocando, né la stava provocando: nella sua voce c’era la chiara intenzione di colpire un punto debole. Che pensava di ottenere?

- Qui non c'entra la mia vita -

- C'entra eccome. Anche io ho “studiato” i tuoi “parametri” nella giornata di libertà che mi hai concesso. E ho saputo un bel po’ di cose di te. Due a uno, signorina -

Lethia sentì l'ira salirle su dal fondo dello stomaco: da una parte verso di lui, che si permetteva di andare a scavare dove nemmeno lei scavava più da anni, dall’altra verso se stessa, che concedeva ad uno sconosciuto di riuscire così facilmente nell’intento di farle perdere la calma. Quel bastardo doveva aver capito fin troppo bene quanto la concentrazione le fosse indispensabile per agire, e stava portando avanti una sleale azione di disturbo psicologico. Pure, il desiderio di sapere fin dove si fosse spinto fu più forte del buon senso.

- Cosa sai di me? -

Il sorriso di Kevin mostrò un lampo di compiacimento.

- Beh, diverse faccende. Per esempio che da bambina sentivi strane voci, che dicevi di parlare con le macchine, che i tuoi genitori ti hanno presa per pazza e ti hanno spedito in manicomio, e che quando hanno scoperto la natura dei tuoi poteri avrebbero voluto sfruttarti a dovere, ma tu non hai più voluto tornare a casa. Te ne sei andata nei quartieri popolari, hai fatto cosette poco carine, sei finita in galera e....vuoi che vada avanti? -

Lo sguardo di Lethia era furioso: desiderava colpirlo con tutto il cuore per sfogare quella rabbia, desiderava stampare uno schiaffo su quella faccia di bronzo...desiderava ferirlo...

- Questo non è leale! La mia vita privata non ha nulla a che fare con la sfida tra me e te! -

Kevin le puntò gli occhi in faccia: nonostante fosse immobilizzato e indifeso, c’era qualcosa di minaccioso nel suo volto

- Ah, dunque è una sfida leale, la nostra? Bene. E ti sembra forse leale vendere un uomo ad una corporazione senza chiedergli neppure ciò che ha da dire? - la sua voce aveva un timbro vibrante, di cupa lucidità - è forse leale attaccarmi per denaro, ignorando di essere complice di un branco di assassini? E' forse leale cercare di imprigionarmi contro la mia volontà, senza neppure prenderti la briga di denunciarmi alla brain-watch? Dimmi una cosa, il fatto che abbiano ingaggiato un agente privato non ti ha fatto venire neanche un sospetto? Ma no, certo...tu sei quella che “non fa domande sul lavoro”! Beh, se permetti, ficcando il naso nella tua vita privata non ho fatto quel granché...! Per non parlare del fatto che non ho mai cercato di friggerti il cervello...! -

- Ma guarda cosa devo sentire! Un criminale informatico accusa me di agire contro la legge! Se davvero il mio cliente stesse facendo qualcosa di losco, perché non lo hai denunciato, invece di nasconderti nella rete? -.

- Avrei voluto farlo. E lo avrei fatto. Ma non posso-

- Che stai dicendo...? -

- Sto dicendo che non posso. Non posso andare alla polizia...Non ne ho modo -

- Ma davvero? E sentiamo, perché mai? Hai paura di beccarti dieci anni perché non ti sei fatto registrare alla brain watch? -

- No. Questo sarebbe impossibile. Nessuno può rinchiudermi. E nessuno può...toccarmi...o vedermi -

Kevin fece un sorriso strano: gli ricordò il riso di qualche misterioso folletto visto da bambina in chissà che libro di fiabe

- Io non posso fare più niente, fuori di qui. Perché io sono morto, Lethia Ballard -

- Sei...morto? -

Il silenzio calò per un attimo tra loro. Dall’espressione di Kevin, Lethia intuì che se non fosse stato paralizzato dal programma, probabilmente si sarebbe stretto nelle spalle in un gesto di disincantata rassegnazione.

- Esatto. Sono morto. Un sicario della Omega mi ha aggredito a casa mia, e mi ha piazzato una pallottola in testa. Non ho idea di che fina abbia fatto il mio cadavere, ma sicuramente lo hanno nascosto bene. Di soldi per insabbiare ogni sospetto ne hanno a sufficienza -

Le sopracciglia di Lethia si aggrottarono, ma verso l’interno: la naturalezza con cui quell’uomo parlava del suo presunto decesso aveva dell’inverosimile. Ma ammesso che non stesse mentendo - e non aveva ragioni di farlo - si trovava di fronte ad un fenomeno davvero interessante. La curiosità prese la precendenza anche sul lavoro.

- Ma...se sei fisicamente morto, come fai a trovarti qui? -

- Perché sono riuscito a effettuare la separazione nel momento stesso in cui mi sono reso conto di quel che stava succedendo. Un attimo prima che quella pallottola penetrasse nella mia fronte, io ero già qui. Non ricordo di aver percepito neppure il dolore. Sono molto bravo, no? -

Era bravo, sì. Era meravigliosamente bravo. Se fosse rimasta a ascoltarlo ancora, ne sarebbe stata incantata, e forse anche questo faceva parte della strategia di quell'uomo geniale e affascinante.

- Pazienza. Non importa se non c'è più un corpo a cui riportarti. La omega mi ha ordinato di scaricarti su un supporto -

Lethia attivò il programma di trasferimento che le era costato un giorno di lavoro: il supporto SK era già stato accuratamente predisposto nel suo deck.

- Maledizione, ma non ti interessa neanche un po’? - esclamò Kevin - Non vuoi nemmeno che ti spieghi? Non vuoi sapere perché faccio questo? Non vuoi sapere perché vogliono toglermi di mezzo? Non voui sapere cosa c'è in quegli archivi? -

- No, non voglio saperlo. E' una questione di professionalità -

- Non è AFFATTO una questione di professionalità! E’ una questione di COSCIENZA! C'è di mezzo un crimine, e se tu mi consegni a loro, ne permetterai altri...! -

La voce del ragazzo apparve sfalsata rispetto al movimento delle sue labbra. L’icona di lui non era più tanto nitida: il processo di trasferimento era avviato, in pochi minuti la mente di Kevin Lockport sarebbe stata intrappolata sul supporto SK e il suo lavoro sarebbe finito.

- ...Aspetta almeno un momento! Lascia che ti parli...! Tu non sai cosa stanno facendo...Tu...tu mi devi ...! Ti prego, Lethia! Ti prego...! -

- Io sono quella che “non si fa domande sul lavoro”...lo hai detto anche tu. Mi dispiace -

Silenzio. Lo sguardo del giovane la fissò, sbiadito.

- Va bene. Allora non mi lasci scelta. Addio -

Fu l’ultima cosa che Lethia riuscì a udire, prima che un ronzio assordante le penetrasse le orecchie. Sentì un calore violento esploderle negli occhi: i comandi del menù impazzirono, la sua percezione di zeus si dissolse, fu come se ogni suo singolo impulso, ogni sua percezione, perdessero per un momento la forza di restare insieme, e se ne andassero per conto proprio, bruciati da quel fuoco improvviso attizzato dentro di lei...o...fuori di lei...

- Lockport! - gridò - Kevin Lockport, cazzo, che diavolo fai!? -

Ogni segnale di lui era scomparso, il processo di trasferimento, interrotto.

- Sei pazzo? Vuoi ammazzarti o cosa? Lockport, maledizione! Vuoi distruggere la tua stessa mente?-

Nessuna risposta. Lentamente i comandi del menù principale tornarono visibili, Lethia recuperò il controllo della connessione a zeus, ma dell’impronta di Kevin Lockport non c’era traccia.

Con calma, riemerse dal sistema, e riaprì gli occhi sul suo divano.

Il supporto SK si era letteralmente fuso.

  
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