Pioveva,
e Rose maledisse ogni istante di
quella dannata mattina di fine novembre che avrebbe successivamente
preso il
nome di "Giorno-in-cui-Rose-divenne-Insegnante-di-Ruolo”.
Maledisse suo
fratello George che, stanco dell’ennesima presa in giro sul
suo essere basso da
parte della sorella, l’aveva mollata nel bel mezzo del
tragitto, costringendola
a fare la restante metà di strada a piedi, sotto i pezzi di
un ombrello ormai
rotto dal vento. E Rose era certa che la giornata non poteva che
peggiorare.
Una
volta arrivata davanti
alla St. James High School, Rose cominciò ad inveire contro
l’apatico bidello
che l’aveva fatta passare dalla scala anti-incendio
perché “l’ingresso era
bagnato”. Una volta giunta al primo piano
dell’edificio, riuscì a trovare
l’ufficio del preside grazie ad un gruppo di studenti che
giocavano con la
campanella, suonandola al ritmo di una canzone natalizia,
benché al Natale mancasse
meno di un mese. Aprì la porta, mostrando il suo sorriso
più convincente agli
occhi del Preside, che l’aveva salutata e invitata a sedersi,
mostrandole poi
il programma che avrebbe dovuto seguire durante il corso
dell’anno con le
classi a lei assegnate, indicandole addirittura il corso extra di
coro.
Uscì
dall’ufficio, cercando
l’aula dove avrebbe tenuto la sua prima lezione di coro e
perdendosi
nell’infinità di scale presenti nella scuola.
Infine, giunse davanti ad una
porta lustrata di rosso e con una bella targhetta dorata con sopra
scritto
“Sala coro”.
Entusiasta
della
presentazione della sala, aveva aperto la porta convintissima di
trovarci
dentro decine di studenti pronti a eseguire le migliori hit degli anni
ottanta,
ma ciò che vide la deluse molto più di quanto
potesse aspettarsi: la stanza era
completamente vuota e buia, con un paio di sedie in legno rovinato e un
vecchio
pianoforte polveroso al centro della stanza. Le poche finestre erano
sporche e
con le serrande abbassate, non sembrava neanche una stanza per il coro,
bensì
una soffitta. Rose sgranò gli occhi verdi, assottigliandoli
poi nel guardare la
porta nuova di zecca paragonata a quell’orrore di camera.
Infuriata per le
condizioni del posto dove avrebbe dovuto lavorare, Rose percorse a
passo di
marcia il corridoio luminoso, attraversandolo con delle falcate
minacciose,
lanciando delle occhiatacce altrettanto intimidatorie a tutti i liceali
che le
si erano presentati davanti, fino a quando non le si parò
davanti l’ultima
persona che avrebbe voluto vedere: suo fratello.
«
Ciao Rose. Ma come mai sei
bagnata? » chiese George, accennando un ghigno derisorio in
direzione della
sorella.
«
George! Come mai sei
stupido? » ribatté acida Rose, rispondendogli
sorridendo e squadrandolo in
tutti i suoi 168 cm di altezza « Ma non mi va di rinfacciarti
il tuo mezzo
passaggio di stamattina, perciò.. Cosa ci fai qui?
»
George
si passò una mano fra
i capelli biondi, assumendo un’espressione vaga, poi sorrise
di colpo e strillò
« Lavoro qui! Non è fantastico? »
A
Rose quasi venne una crisi
di nervi, che preferì rimandare a più tardi.
« Ah davvero? E cosa faresti? »
gli rivolse il suo sorriso più falso del suo repertorio,
sperando che il
fratello se ne accorgesse e se ne andasse, ma in tutta risposta George
scoppiò
in una sonora risata, dichiarando un semplice « Si vede che
non sopporti l’idea
di vedermi qui, lo so. Lavoro in infermeria, quindi a meno che tu non
faccia a
botte con qualche docente dubito che finirai da me. »
Rose,
in tutta risposta,
emise uno sbuffo contrariato mormorando un « Credo che
farò a botte col preside
se non si premurerà di ripulire quella topaia che mi ha
assegnato al più
presto. »
George
le rivolse
un’espressione dubbiosa e carica di punti interrogativi, ma
Rose si era ormai
scocciata del suo fare consolatorio e bonario, perciò lo
liquidò con un freddo
“A dopo, nanetto” e si allontanò furiosa
come prima, dirigendosi verso
l’ufficio del preside, aprendo poi la porta con
un’aria irata.
«
Buongiorno signor Preside,
so che è il primo giorno in cui lavoro qui, ma vorrei farle
notare che le
condizioni del luogo dove lavoro sono alquanto disastrate. »
sbottò non appena
incontrò lo sguardo perso nel vuoto del Preside, che neanche
dieci minuti prima
le era sembrato molto più vivace e attivo. «
Signorina McGregor, mi dispiace
doverle dire che la classe a lei assegnata è in ottime
condizioni. » ribatté il
Preside, riguardando delle vecchie carte posate sulla scrivania per
riempirla.
« E d’altro canto, la scuola non può
permettersi di bruciare fondi per ripulire
un’aula che con tutta probabilità nessuno
utilizzerà » aggiunse ridendo,
aspettandosi che anche Rose ridesse, ma ciò non avvenne. La donna si
infervorò, lanciandogli
un’occhiataccia assassina ed uscì più
furiosa di prima mormorando a denti stretti
un “Questo lo dice lei”.
Dopo
la sua uscita
melodrammatica pensò di andare a cercare George per
lamentarsi dell’idiozia del
Preside che non era intenzionato a ripulire l’aula di coro,
ma la sua
attenzione venne catturata da due ragazzi che correvano per la scuola
lanciandosi una palla con le.. sembianze del Preside? Si
avvicinò di corsa al
ragazzo biondo, chiedendogli educatamente chi fosse, e lui nascose
spaventato
la caricatura dietro la schiena, rispondendo con un « Sono
Fred Taylor »
.
Rose
spostò la testa e
indicò l’altro, continuando ad indagare su chi
fossero quei due ragazzi.
L’altro le rispose sicuro « Jonathan Lockwood, ma
può chiamarmi Lock »
lanciando un’occhiata di intesa con il compare, che si era
rilassato tenendo le
mani dietro la schiena con la caricatura.
Nella
mente di Rose un’idea
si era ormai chiarita. « Ragazzi! Ma vi pare? Questa
è una scuola nota per le
sue forme di disciplina, per le sue forme di educazione! Non dovete
assolutamente girovagare per il corridoio come Nick-Quasi-Senza-Testa!
Mi
dispiace, ma dovrò portarvi subito dal Preside.. »
strillò la donna, assumendo
un’espressione severa e inscenando così bene la
scena dell’insegnante furiosa
che Fred spalancò la bocca terrorizzato e strillò
« No! La prego, non ci porti
dal Preside. » mentre Lock si sbatteva un palmo della mano
sulla fronte
intimandogli un « Diamine Fred, sii uomo! »
Il
piano di Rose procedeva a
meraviglia. « Naturalmente dovrò far vedere al
Preside il vostro bel lavoro
d’arte, cosicché possa essere appeso per le pareti
dell’ufficio di collocamento
dove presto vi manderò. » sorrise loro la nuova
professoressa, aggiungendo
subito dopo « Ma potrei graziarvi ad una condizione.
» « Certamente! Quale? »
trillò Fred speranzoso, mentre Lock aveva smesso di
ascoltarla da un
pezzo.
«
Vi dovete unire al coro della
scuola.. Una cosetta semplice. » spiegò Rose vaga,
iniziando a credere che
magari avrebbero abboccato, ma Lock si riprese dal suo stato di trance
e
sobbalzò « Ma neanche per scherzo! Preferisco
sbattermi in testa quel pallone
per una cinquantina di volte! »
«
Lockwood, io non ti
obbligo a farlo.. Certo, se vuoi farlo sei libero di sbatterti la palla
in
testa non cinquanta ma cento volte, ma dovete decidere: o il coro o il
Preside.
» insistette lei, facendo vagare lo sguardo da Lock a Fred,
che avevano intenzioni
opposte e dopo una decina di minuti in cui Lock oppose ferma
resistenza, anche
lui cedette. « Perfetto! L’aula di coro
è l’ultima a destra del secondo piano!
Diffondete la notizia anche ai vostri compagni.. E bella caricatura!
» esclamò
Rose contenta di aver già due studenti per il suo coro, e
scese la prima rampa
di scale andando a vedere se nel corridoio potesse trovare qualche
studentessa
dispersa disponibile ad unirsi al coro.
Passando
davanti ai bagni
non si accorse di un ragazzo e di una ragazza che parlottavano fitto
fitto, e
quando sentì le loro voci tornò indietro.
«
Jack, devi assolutamente
guardare Merlin! È spettacolo, bellissimo! »
esclamò la voce di una ragazzina
evidentemente lanciata in un discorso di cui Rose non capiva il filo
logico «
Pensa a dire meno sciocchezze, Maggie. » rise
l’altro sorridendole e
accingendosi a tornare in classe, quando si voltò vide la
figura di Rose che,
vicino ad una colonna, aveva sentito qualche stralcio di conversazione.
«
Scusate se interrompo la
vostra chiacchierata, ma vorrei proporvi di entrare a far parte del
corso di
canto della scuola.. » propose loro Rose, avvicinandosi e
facendo zigzagare lo
sguardo da uno all’altra, che si erano lanciati uno sguardo
imbarazzato fino a
quando Maggie non aveva preso parola chiedendo timidamente «
Lei sarebbe..? »
«
Un’insegnante venuta a
proporvi un corso. Sareste interessati? » disse, e forse per
l’aria allegra con
cui lo pronunciò o forse per idea in sé, ma
entrambi gli alunni stranamente
annuirono felici dichiarando che si, sarebbero andati a quel corso.
Rose
li salutò sorridente,
tenendo a mente il numero per lei numeroso di studenti disposti
(volontariamente o meno) al partecipare al corso di coro.
Pensò che la sua vena
terroristica utilizzata per tormentare l’infanzia di George
l’aveva sempre
aiutata ad ottenere ciò che voleva, ed era così
anche in quel momento: voleva
dei componenti per il coro? Li aveva trovati.
Magari
aveva estorto ai suoi
nuovi alunni l’obbligo del dover andare al corso, ma andava
bene.
A
questo pensava Rose
mentre, due ore dopo, passava la scopa sbuffando sul pavimento
polveroso
dell’aula a lei assegnata e aspettando l’arrivo dei
liceali. Una decina di
minuti dopo vide la testa bionda di Fred fare capolino dalla porta,
seguita da
quella scura di Lock, e a seguito altre persone da lei reclutate.
«
Mi fa piacere che siate
venuti! » sorrise loro Rose, appoggiando la scopa sul
pianoforte.
«
Non sa con quanta gioia
sono stato trascinato qui. » rispose sarcastico il moro, e
prese posto in una delle
sedie disposte orizzontalmente davanti all’insegnante e
venendo seguito da Fred
che, suo malgrado, ridacchiava di quella situazione. Maggie, Jack e
un’altra
ragazza fecero il loro ingresso nella stanza.
«
Ciao a tutti! » trillò
allegra l’insegnante, sorridendo ai nuovi arrivati.
«Claire
Campbell, piacere. »
« E tu? » fece un cenno con la testa a Maggie, che
nel mentre parlottava vivace
con Jack, e appena si sentì chiamata in causa
arrossì di botto e balbettò il
proprio nome. « M-Margaret Adams.. Ma mi chiamano Maggie.
»
La
donna trovò tenera quella
ragazza timida, quindi decise di forzare un po’ di
più per farla trovare a
proprio agio come quando l’aveva vista da lontano, mentre
parlava con l’amico.
«
Adams eh? Un mio amico si
chiama così.. » rifletté Rose,
assumendo un cipiglio pensoso mentre Maggie
forzava un sorriso e rispondeva « Potrebbe dire che sia mio
fratello, o
qualcosa del genere! »
Anche
gli altri
ridacchiarono, « Parliamo un po’ di.. Musica!
» esclamò Rose, accompagnando le
parole con un gesto delle mani « Che genere ascoltate? Rock,
pop, metal, indie,
rap, jazz? Stupitemi. »
Lock
subito saltò su,
strillando un « I Queen! Rock, si. » che
suscitò una risata generale. Subito
dopo confessò di saper suonare la chitarra, quindi chiese se
poteva provare un
pezzo.
«
Certo, vai pure! » annuì
contenta Rose.
Dopo
una ventina di minuti
passati a discutere su quale canzone fosse la più adatta da
provare il primo
giorno, alla fine tutti furono coinvolti in “Fat Bottomed
Girls” e neanche si
accorsero dell’ora che passò velocemente.
***
La
pioggia batteva incessantemente
sui vetri della casa di Daniel ormai dalle sette di quella mattina.
George
trovava un miracolo che la porta-finestra che dava sul balcone non
fosse ancora
andata in mille pezzi, lasciando che quel temporale di fine novembre
andasse a
bagnare il tavolo, il pavimento e Daniel stesso, che al momento si
trovava
nell’angolo cottura a preparare gli scones. Si
sistemò meglio sul divano e si
stiracchiò, lanciando un’occhiata alla cucina.
Daniel,
con le mani dentro la
ciotola bianca e blu con le melanzane che gli aveva regalato lui,
lavorava un
impasto di uno strano colore giallognolo e non sembrava essersi accorto
delle
attenzioni dell’altro, ma all'occhio allenato di George non
sfuggì il lieve
sorrisetto che si formò sul volto di Daniel e
l’occhiata fugace che gli rivolse
prima di tornare a occuparsi degli scones.
«Abbiamo
fame!» urlò Dave dalla
poltrona lì accanto.
«Il
popolo vuole gli scones!» si unì
Rachel, agitando la sua bottiglia di birra come se fosse
un’arma letale. Beh,
secondo i casi.
«Che
mangi pane, allora!» replicò
Daniel.
«Pessima
parodia di Maria
Antonietta» commentò Rose, studiandosi una ciocca
di capelli nero-rossi
«dovreste vergognarvi tutti».
«Io
non ho fatto niente!» si difese
Will. George arricciò il naso e non commentò,
troppo impegnato a guardare
Daniel senza farsi scoprire.
«Will
è bello» commentò Rachel,
baciandolo sulla guancia «infatti è il mio
ragazzo».
«E
tu sei ubriaca fradicia» frecciò
lui, con un’aria disgustata palesemente fasulla. Le
passò un braccio intorno
alle spalle e la baciò sulla bocca.
«Vi
prego, contenetevi!» esclamò
George in falsetto.
«Già,
ragazzi, contenetevi!»
commentò Rose, scoccando al fratello un’occhiata
divertita «Proprio di fronte a
George, poi».
«Insensibili».
Dave rincarò la dose.
«Poverino, non scopa da sei mesi e voi vi mettete a limonare
davanti a lui?».
George lo invitò non molto cordialmente ad andare in un
certo posto e scatenò
le risate generali. Daniel ridacchiò sulla teglia e sparse
un po’ di farina sul
piano cottura, mentre Will alzava un sopracciglio e, dopo aver spostato
lo
sguardo da lui a George, si voltò verso Dave.
«Fossi
in te, non ne sarei così
sicuro» gli disse «è troppo tranquillo
per non scopare da sei mesi. Altrimenti
sembrerebbe Rose con il ciclo». Rose fece finta di non averlo
sentito.
«Perché
si ammazza di seghe» rispose
prontamente l’altro.
«Avete
finito di decidere se scopo o
no?» domandò seccato, bevendo anche lui un goccio
di birra. Decise di andarci
piano: se avesse bevuto troppo si sarebbe ridotto come Rachel, Daniel
non gli
avrebbe permesso di tornare a casa perché sarebbe stato
davvero ubriaco e
avrebbe dovuto dormire con lui e i suoi amici in salotto, a portata
d’orecchio,
perciò non avrebbero potuto fare altro che dormire; e
trovarsi a letto con
Daniel senza poterci fare sesso era una cosa estremamente frustrante.
Perfino
il fatto di non potersi
alzare per andare in cucina e abbracciarlo da dietro, alzandosi poi in
punta di
piedi per vedere meglio oltre la sua spalla e parlargli
all’orecchio, lo stava
facendo impazzire. Desiderò ardentemente di trovarsi solo
con lui a fare cose
vietate ai minori, e non circondato dai suoi amici e sua sorella
maggiore che
facevano congetture sulla sua vita sessuale. Ecco, forse era quella la
cosa più
frustrante, il non poter dire che la sua vita sessuale era
più attiva della
loro e tanti cari saluti.
«Secondo
me nasconde qualcosa»
proclamò Rose.
«Sì,
la collezione di PlayBoy sotto
il letto» ribatté Dave, facendo ridere Rachel,
Will e Daniel. George si voltò
appena per lanciargli un’occhiataccia e in cambio quello gli
mostrò la lingua,
continuando a ridacchiare.
«No,
secondo me è passato alla
tecnologia» disse Rachel, studiandosi un’unghia
«l’altra notte ho sentito dei
rumori strani provenire dalla sua stanza. George, per favore, se
proprio non
vuoi togliere l’audio ai porno almeno mettiti gli
auricolari!». Stavolta risero
tutti tranne George.
«Will,
dovreste davvero scopare di
più» disse, pregustando il dolce sapore della
vendetta con un sorrisetto
stampato in faccia «se la tua ragazza non distingue
l’audio di un porno dal
sesso vero, allora c’è qualche
problema!». Si spostò appena in tempo per
evitare il cuscino lanciatogli da Rachel, ricevendo però una
pacca sulla spalla
da Dave che gli fece discretamente male.
«Allora
qualcuno c’è, ne ero
sicuro!» esclamò.
«Ma
se hai passato tutta la sera a
dire che si ammazza di seghe» gli fece notare Daniel mentre
asciugava la ciotola
precedentemente lavata come se non sapesse cosa succedeva nella vita
sessuale
di George o se era vero che non scopava da sei mesi.
Sei giorni,
specificò George mentalmente. Stava per perdersi nel
ricordo della piacevole serata trascorsa solo con Daniel quasi una
settimana
prima quando Rose interruppe il suo flusso di pensieri.
«Ha
ragione Daniel, Dave, non
cambiare bandiera tanto in fretta. E poi il vero problema non
è che Rachel non
distingua l’audio di un porno dal sesso vero, anche
perché questo indica che
non abbia mai visto un porno, ma che George non conosca la differenza
tra fare
sesso e farsi una sega in solitudine davanti agli aggiornamenti
settimanali di
YouPorn» disse soddisfatta, scatenando ancora una volta le
risate di tutti.
George, che ormai aveva rinunciato a fulminare Daniel con lo sguardo (o
a farsi
fantasie erotiche su di lui), guardò contrariato
l’aria tranquilla della
sorella e si chiese distrattamente come mai a lei non facesse nessun
effetto il
fatto che lui potesse o no masturbarsi in piena notte come un
tredicenne
sfortunato, mentre a lui faceva venire gli incubi solo il pensiero che
lei
fosse dotata di genitali con il potenziale per … non
riusciva neanche a
pensarlo. Si scolò metà della sua terza birra
tutta d’un fiato, e al diavolo le
conseguenze.
«A
parte che YouPorn ha
aggiornamenti giornalieri e non settimanali, ben detto,
Rose!» esclamò Dave.
«La
sai lunga su YouPorn, Dave» lo
stuzzicò Will, mentre la sua ragazza scrutava la sua mano
come se non avesse
mai visto niente di simile.
Dave
alzò le spalle. «Che vuoi che
ti dica, a volte il sesso non basta. Certe volte tutto ciò
di cui hai bisogno è
una bella sega in solitudine».
«Questa
la uso per il mio romanzo»
disse Daniel, controllando con il naso arricciato il timer del forno.
Annunciò
che mancava ancora un quarto d’ora.
«Tu
non stai scrivendo un romanzo»
gli ricordò George.
«Un
giorno o l’altro lo farò».
«Scrivilo
su di noi!» esclamò
Rachel. Cinque teste si voltarono a guardarla come se fosse impazzita.
«Ma
sì!» disse, stupita dalla
mancanza di entusiasmo degli amici «Su noi sei».
«Non
è un’idea così malvagia»
disse
Will dopo un attimo di spaesamento generale.
«Lo
dice solo perché altrimenti non
gliela dà» bofonchiò Dave. George fu
l’unico a sentirlo e dovette mordersi la
lingua per non ridere.
«Certamente»
commentò Daniel sarcastico
«I Fantastici Sei: un’alcolizzata, un regista
mancato, un erotomane fissato con
i suoi capelli, un biondino con la sindrome dell’insicurezza
perenne, sua
sorella la figlia dei fiori e la voce narrante di un giornalista
fottutamente
depresso perché non riesce a scrivere il romanzo che
progetta da una vita. Che
delizioso quadretto familiare».
«Vorrei
puntualizzare che se io sono
un erotomane, allora lo sei anche tu. E i miei capelli sono
bellissimi» replicò
Dave.
«Io
non sono un’alcolizzata, è che
reggo poco gli alcolici!» protestò Rachel agitando
la bottiglia vuota.
«Ti
sembra che predichi pace e amore
per tutto il regno?» domandò Rose «E ci
sei andato troppo leggero con mio
fratello».
Ci
fu un breve istante in cui
George, che stava lentamente diventando cosciente dell’alcool
che gli circolava
nelle vene, pensò che Daniel avrebbe mandato al diavolo la
copertura dicendo
“Perché stiamo insieme da due anni”, poi
si sarebbe seduto sul bracciolo destro
del divano e l’avrebbe baciato tra gli applausi, le
congratulazioni e sua
sorella che dava loro la sua benedizione a nome di suo padre.
Durò solo un
attimo, poi George ricordò a se stesso che non era una
ragazzina alla prima
cotta e che avrebbe dovuto darci un taglio con quei pensieri
sdolcinati,
concentrandosi su qualcosa come quello che avrebbero combinato se i
loro amici
non fossero stati lì. E poi, Daniel non era il tipo che
avrebbe fatto una cosa
così volutamente romantica. La sua idea di romanticismo
consisteva in un
pompino a lume di candela, dopotutto.
Come
da copione, Daniel non lo
coinvolse in una scena da commedia romantica americana. Si sedette sul
bracciolo e, pizzicandogli una guancia come facevano le mogli degli
amici di
suo padre quando era piccolo, disse con tono da vecchietta adorante:
«Perché,
tu avresti il coraggio di essere cattiva con questo faccino
qui?». Rose piegò
la testa come per guardarlo meglio e poi disse:
«Sì, ce l’avrei».
«Confermo,
ce l’ha sempre avuto»
disse George dopo essersi staccato la mano di Daniel dalla guancia. Si
sentiva
il corpo più pesante del solito e la testa sembrava essere
diventata
praticamente di piombo, segno evidente che l’idea di bere tre
birre a stomaco
vuoto non era stata poi così geniale, dopotutto.
Sollevò il braccio destro e si
accorse che in realtà era leggero come una piuma.
Ridacchiò e rimettendolo giù
sfiorò inavvertitamente il fianco di Daniel, che lo
guardò con un sopracciglio
inarcato.
Nel
frattempo notò che nel divano
alla sinistra di quello dov’era seduto lui Rachel sembrava
profondamente interessata
a una matita viola appoggiata sul tavolino. Come mai Daniel aveva una
matita
viola? Forse era di sua sorella, ragionò. Se la
immaginò a fare i compiti di
matematica su quel tavolino, la matita viola tra le labbra
così simili a quelle
di suo fratello. Le labbra di Daniel occuparono tutti i suoi pensieri e
si
trovò di nuovo a maledire in ordine sparso gli scones, i
suoi amici, la birra a
stomaco vuoto e le matite viola. Che poi, non vedeva perché
le matite dovessero
essere viola. Che senso aveva avere una matita viola? Non era uguale
all’averla
nera o gialla? Tanto scriveva sempre in grigio. Si grattò la
testa e si accorse
che stava passando dall’essere leggermente brillo ad avere
sonno. Sbadigliò.
«Gli
scones sono pronti» borbottò
Daniel al trillo del forno. George avvertì un improvviso
freddo al fianco
destro e seppe che l’altro si era alzato a estrarre la teglia
con dentro la
loro seconda cena.
«Tra
poco dovrebbero essere
abbastanza freddi» comunicò dalla cucina. George
sprofondò sul divano, lottando
per restare sveglio.
«Dai,
portali qui e mangiamoli
caldi, muoio di fame!» piagnucolò Rose.
«No,
gli scones si mangiano freddi».
«Veramente
si mangiano caldi».
«I
miei si mangiano freddi».
«Daniel,
guarda che me li vengo a
prendere».
«Fallo
e non mangerai mai più i miei
scones».
George
perse il resto del battibecco
perché impegnato ad auto convincersi di non avere sonno, ma
intuì che Daniel
doveva essere riuscito a convincere Rose, perché lei non si
alzò e lui tornò a
sedersi, stavolta non sul bracciolo ma tra questo e George, che
appoggiò la
testa sulla sua spalla e
chiuse
gli occhi, lasciandosi
cullare dal suo respiro regolare. Inaspettatamente Daniel non
protestò, anzi,
appoggiò la testa sopra la sua e lo strinse a sé
con il braccio sinistro.
Nessuno sembrò notarlo, e George si sentì libero
di formulare pensieri talmente
sdolcinati che se fosse stato perfettamente sobrio gli avrebbero fatto
venire
il diabete. Si accoccolò contro il petto di Daniel quando
lui lo strinse di più
e lasciò la sua mente libera di vagare.
Era
perfettamente sicuro di aver
appena chiuso gli occhi quando qualcuno poggiò non molto
delicatamente il
vassoio degli scones sul tavolo. Emise un mugugno di protesta e
affondò il naso
nell’incavo del collo di Daniel. Dopo quella che gli parve
una manciata di
secondi aprì di gli occhi e scoprì di essere
steso supino sul letto e che
Daniel stava cercando di togliergli i pantaloni. Sollevò il
bacino per aiutarlo
e si sporse verso di lui per baciarlo, ma fu ricacciato giù.
La situazione
aveva dell’incredibile.
«A
cuccia, Georgie che corre felice
sul prato, di là ci sono ancora gli altri»
mormorò infilandogli il pigiama.
George lo ignorò e provò di nuovo a baciarlo, ma
Daniel girò la faccia di lato,
così si ritrovò a baciargli la guancia ricoperta
dalla barba nera. Fece una
smorfia.
«Dai,
George, così non aiuti. Cerca
di collaborare. Non possiamo mica scopare mentre ci sono loro
nell’altra
stanza, anche se in effetti l’idea mi alletta
parecchio».
«Non
mi sembra che scopare in
pubblico sia mai stato un problema per te, infatti»
biascicò George a mezzo
millimetro dalla sua guancia. I suoi pantaloni furono sollevati e la
sua felpa
tirata su, pronta per essere tolta.
«Non
dire idiozie. E smettila di
attentare al mio autocontrollo o giuro che ti violento»
aggiunse quando George
iniziò a baciargli il collo.
«Fallo».
«Magari
dopo». La sua felpa fu
sfilata e la maglia del pigiama ne prese rapidamente il posto,
costringendo
George a interrompere quello che stava facendo. Daniel
riuscì a farlo stendere
delicatamente sul letto e lo coprì con il piumone di Harry
Potter.
«Sei
cattivo» bofonchiò George
guardandolo male. Persino nella penombra riuscì a scorgere
il sorrisetto del
suo ragazzo.
«E
tu hai un alito che ubriaca
quanto una brocca di chupito. Ora stai buono o lo dico ad Abel e
Arthur».
George socchiuse gli occhi e sorrise.
«La
mia mamma adottiva non mi vuole
bene perché sono figlia di un deportato.
Consolami». Si accorse che Daniel si
era avvicinato solo quando avvertì il suo respiro sulla
guancia.
«Se
quando torno ti trovo ancora
sveglio ti faccio urlare per tutta la notte»
mormorò con voce roca. Posò le
labbra sulla mandibola di George e gli lasciò una scia di
baci roventi fino a
raggiungere la bocca, dove si soffermò per un po’,
soffocando un gemito
nascente di George.
«Se
vuoi convincermi a violentarti,
sappi che ci stai riuscendo». Gli lasciò un ultimo
bacio sulle labbra e uscì
dalla stanza. George non fece in tempo a protestare che si
addormentò.
La
sveglia suonò alle sette e mezzo,
riempiendo la stanza delle note di She’s Electric degli
Oasis. George, con gli
occhi chiusi a causa di un mal di testa tremendo, scagliò la
mano destra verso
il comodino per spegnere quel fracasso infernale, decidendo di far
retrocedere
la canzone nella sua Top Ten. Non trovò il cellulare.
Aprì gli occhi e vide
tutto giallo. Dopo un attimo di smarrimento iniziale capì di
avere un foglio
appiccicato alla fronte. Lo staccò e la stanza in penombra
gli si manifestò
davanti. Di Daniel, nessuna traccia. Localizzò il suo
cellulare sul comò di
fronte al letto, accanto a un bicchiere d’acqua e
un’aspirina. Una fitta
particolarmente forte alla testa lo fece imprecare e giurare di non
toccare mai
più alcolici. Sì, fino alla prossima volta.
Con
il foglio e l’aspirina in mano
si avviò in cucina, dove trovò una ricca
colazione ad attenderlo. Si sedette
sulla sedia che dava le spalle alla porta d’ingresso e,
servendosi di uova e
pancetta, iniziò a leggere il messaggio di Daniel.
Buongiorno
Georgie! Sono le sette e mezzo e scommetto quello che ti
pare che tu hai un mal di testa pazzesco! La giornata sembra non poter
andare
peggio, ma pensa che mentre scrivo sono le sette meno qualche minuto e
sta
piovendo a dirotto, perciò, quando tra cinque minuti
uscirò di casa per andare
in redazione a finire l’articolo più palloso della
storia, starò imprecando in
turco contro l’Inghilterra e il suo tempo di merda. Per la
cronaca, ieri sera
mi hai lasciato da solo a subire mezz’ora di ciance di Rose
su quel maledetto
coro, e un intero quarto d’ora consisteva in lodi sperticate
su mia sorella che
canta come un angelo e blablabla. Perciò la pagherai.
Stasera
dirò ai ragazzi che devo finire l’articolo, che in
realtà
finirò stamattina, e che non posso uscire, così
possiamo vederci e tu puoi
fermarti a dormire qui. E per dormire non intendo dormire.
Ti
ho svegliato mezz’ora prima nel caso volessi farti una sega
pensando a me, visto che ieri ti ho praticamente mandato in bianco
nonostante
le tue avances particolarmente sfacciate. Hai visto che bravo? Ora
smetto di
scrivere perché il foglio sta finendo e non ho voglia di
rimpicciolire la
grafia ancora di più, inoltre sono in ritardo con la mia
scaletta. Guarda il
lato positivo di questa giornata di merda e prepara le caramelle alla
menta,
perché stanotte urlerai fino a perdere la voce.
Daniel
P.S.
La tua macchina è di sotto.
P.P.S.
Attento ai piccioni e alle Prugne Dirigibili.
George
finì di leggere con un
sorrisetto e, inghiottita l’aspirina, sparecchiò,
appuntandosi mentalmente di
distruggere il foglio (Maggie l’avrebbe sfottuto a vita, se
l’avesse visto), e
controllò l’orario: le otto e un quarto.
Spostò lo sguardo verso la finestra,
dove minuscole goccioline di pioggia si accumulavano sul vetro che era
miracolosamente scampato al temporale della sera precedente.
Guarda
il lato positivo:Rose si bagnerà anche stamattina.
Si vestì rapidamente e si rese
conto che sarebbe dovuto essere a scuola più di
mezz’ora dopo. Che fare nel
frattempo?
Lanciò
un’occhiataccia al foglio
appoggiato sul tavolo (si sarebbe dovuto ricordare di toglierlo, onde
evitare
conversazioni imbarazzanti) e si diresse in bagno a farsi una doccia particolarmente
lunga,
maledicendo Daniel, i suoi messaggi e la sua incredibile
capacità di mandarlo
su di giri con uno stupido pezzo di carta giallo.
Cari lettori e lettrici che siete arrivati fin qui, innanzitutto benvenuti. Le Shenny vi danno una calorosa stretta di mano (niente di più, per carità, sono anaffettive) e si dichiarano strafelici di avervi qui. Sono estasiate, incantate e tutto un immenso elenco di aggettivi che trovate comunque nel dizionario dei sinonimi e che perciò non vi forniscono.
Dicevamo? Ah, già. Beh, grazie per essere arrivati fin qui. È la nostra prima long originale e speriamo che sia all’altezza delle vostre aspettative, altrimenti le mettiamo i tacchi.
E
dopo questo bel monologo colmo di paroloni utili solo per riempire lo
spazio con delle frasi intelligenti che avremmo dovuto inserire nel
capitolo, vi offriamo cerbiatti tanti
biscotti.
Al prossimo aggiornamento!
Shenny
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l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni!
Farai
felici un mucchio di scrittori!