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Autore: Moon9292    09/01/2013    5 recensioni
Una professoressa colpita duramente dalla vita. Un ragazzo che piano piano sta diventando un teppista perchè non ha il coraggio di affrontare i suoi demoni. Un giovane con dubbi sul suo orientamento sessuale. E un altro con problemi economici costretto a sacrificare tutto e tutti, anche chi ama. Ed un'intera classe con le sue difficoltà da sistemare. Tutto da risolvere entro un anno. Perchè? Come mai un solo anno? E chi aiuterà tutti loro? Questa è la storia di chi in un'istante perde tutto, e in quello successivo guadagna qualcosa di prezioso. Perchè la vita non è mai come te l'aspetti, e solo il tempo aiuta a guarire. Il tempo, l'amore, e un bicchiere di caffè...
Spero di avervi incuriosito con questa storia. Lasciate un commentino, anche per farmi sapere com'è...un bacio
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Live and Love...'
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Capitolo 20 - Basta così!


Sistemai per bene la gonna nera, la maglia a collo alto, e le calze aderenti. Quel giorno avrei affrontato qualcosa che credevo di non dover più rivivere. Qualcosa di terribile, massacrante mentalmente e fisicamente, qualcosa che lasciava un segno profondo e indelebile nell’animo umano. Andare ad un funerale era la tortura peggiore che l’uomo poteva aver creato. Non bastava il dolore per aver perso la persona cara, doverla vedere con gli occhi chiusi per sempre e senza più respiro, ma andavamo anche a “festeggiare” questa dipartita con l’atto più ipocrita al mondo. Avevo partecipato in tutto a due funerali nella mia vita, e mai avevo visto più ipocrisia in quei due giorni, che nella mia intera esistenza. Persone che non conoscevi neanche, persone che ti detestavano, prostrate dal dolore per la morte di qualcuno che, fondamentalmente per loro, non era nulla. Solo un essere umano che occupava un posto nel mondo, indistinto, in mezzo a tante altre esistenze. In quei momenti di assurda follia, un piccolo barlume di lucidità mi coglieva, e percepivo una cosa: il mondo era un immenso circo. Clown, esibizionisti, contorsionisti…un ammasso di corpi umani che agivano senza rigore di logica. Certe volte venivo colta da attacchi improvvisi di ridarella. Nei momenti meno opportuni, durante quelle giornate soffocanti, una piccola risata mi scappava nell’assistere a quello spettacolo. Poi queste stesse persone, vedendomi ridere, si voltavano dalla mia parte, guardandomi come se fossi una specie di alieno provenuta da chissà quale angolo dell’universo. Io ero la strana, non loro. Beh, in effetti come dargli torto. Se sei una persona normale in mezzo ad un branco di persone folli, allora la normalità non appartiene più a te, ma a loro. Di conseguenza, la mia sanità mentale veniva giudicata come follia. E a me stava bene, perché non era di loro che dovevo curarmi, ma del mio cuore distrutto per la morte della persona amata. Avevo visto le tombe di mia zia e di mio marito, e quei sarcofaghi erano rimasti nella mia memoria, impressi a fuoco. Ricordavo ogni intarsiatura e ogni piccolo particolare. Non riuscivo a dimenticare nulla. In più mi rendevo conto che, durante il giorno del funerale, ogni cosa rimaneva scolpita nella mia memoria. Ma i giorni a venire, quelli della vera consapevolezza, sfuggivano come vapore al vento. Non ricordavo assolutamente nulla di quei momenti, il vuoto più totale. Come se il mio cervello si fosse spento per un certo periodo di tempo, e poi da solo avesse ripreso il normale funzionamento. Era strano come la mente umana agiva. È durante quei giorni che si soffre di più, che il dolore ti assale e non lascia più vie di fuga. Era come un manto avvolgente, e più provavi a districarti da esso, e più ti si stringeva addosso. Così il dolore prendeva la mia anima e la trascinava nel baratro più profondo. E proprio in quel momento, la mente entrava in gioco spegnendo tutti i ricordi di quei momenti, e lasciandoti solo un forte senso di spossatezza nelle ossa. Solo una volta aveva fallito. E in quel caso mi ero trovata in ospedale. Un bel viaggio dritto nella terapia intensiva per due giorni, e poi in reparto per quasi due settimane. Gran bel lavoro che aveva fatto. E da li le cose poi erano precipitate. Si, decisamente il cervello era qualcosa di assolutamente incomprensibile per me. E quel giorno così nefasto, avrebbe creato sicuramente nuovi giochi per sopportare il dolore della perdita di Vincenzo. Ripensare a quel ragazzo, portava inevitabilmente delle lacrime ai miei occhi. Ma non ne potevo più di piangere. Ero stufa di tutte quelle gocce salate che solcavano il mio viso, marchiandolo a fuoco. Erano due giorni che non facevo altro che disperarmi e soffrire. Due giorni di sofferenze atroci, e non vedevo l’ora di finirla. Marco e Fabio, dopo gli avvenimenti di quel lunedì notte, avevano deciso di posticipare il funerale di Vincenzo il 30 di gennaio. Sembrava quasi come se volessero prendere tempo, come se non fossero ancora pronti a seppellire sotto terra il proprio fratellino. Ed io potevo capirli. Non c’era cosa peggiore che lasciare andare le persone amate. Farlo, porta inevitabilmente a distruggere una parte di se stessi, e nessuno è disposto a soffrire. Tutti, compresa io, preferivamo conservare i nostri cari nelle parti più recondite del cuore. Era come se la persona amata fosse ancora viva, in un certo senso. Che non fosse andata in qualche parte inaccessibile a noi. Come se in un modo o nell’altro, essa facesse ancora parte della nostra vita materiale. Nessuno sopportava il dolore del nulla, e preferiva quello stratagemma autolesionista e falso. Ma alle volte era meglio la menzogna che la nuda e cruda realtà. E Marco e Fabio avevano la mia piena comprensione. Ma non poteva essere rimandato per sempre quel momento. Il momento in cui bisognava separarsi dal proprio caro. Perciò era stato deciso che quel mercoledì mattina, avremmo svolto il funerale di Vincenzo nella chiesa del quartiere. Quando ero entrata in quella zona della città, non avevo notato quell’edificio alto ed imponente. Ma quando Ianto, il giorno precedente, mi aveva mostrato dove fosse la chiesa, ero rimasta sbalordita. Era immensa. Molto alta, e una capienza che avrebbe fatto invidia a qualsiasi cattedrale. L’interno ero sfarzoso come il resto del quartiere, e su tutte le pareti vi erano le vetrate dai colori più belli e luminosi. Sul soffitto, scene di bibbia erano raffigurate con maestria e con precisione. E l’altare, posto su un gradino più alto rispetto ai banchi, sembrava fosse fatto di cristallo tanto era delicato e maestoso. E dietro esso, un’altissima statua in oro raffigurante le figure più importanti della bibbia. Non era di mio particolare gusto quella specie di scultura, ma sicuramente valeva moltissimo e portava prestigio non solo alla chiesa, ma a tutto il quartiere. E quel giorno l’intera scuola avrebbe ammirato quell’imponente edificio. Il preside era stato così gentile da concederci quel giorno e il successivo di festa, per commemorare la dipartita di un caro amico. Sistemai meglio il collo alto, che portava un po’ di prurito, e mi guardai un’ultima volta allo specchio. Ero pronta. Bene, lo show poteva cominciare.
 
Quando entrai nel cortile della chiesa, era piena di persone. La maggior parte di esse, facevano parte della scuola. E la cosa che più mi lasciò sbalordita, fu che tutti gli studenti indossavano la divisa scolastica. Rimasi commossa da quel gesto, perché sapevo che Vincenzo amava moltissimo quella divisa. Un giorno, durante una delle mie visite in ospedale, mi aveva raccontato che indossarla gli dava un senso di appartenenza. Come se non fosse solo, ma circondato da persone di uno stesso immenso gruppo. Era bello vedere come gli individui potessero diventare uniti in un solo attimo. Molto meno sapere in che situazione questa unione si veniva a creare. Girando un po’ lo sguardo, notai che ad un lato del cortile, vicino alla ringhiera, vi era posizionato un gruppo di otto persone che conoscevo bene. Mi incamminai verso di loro.
<< Professoressa, buongiorno >>, mi salutò Nicola, appena mi vide. Il solito sorriso che mi rivolgeva, quel giorno era appena accennato, ed aveva un retrogusto molto amaro. Gli occhi erano rossi.
Tutti si voltarono nella mia direzione, e salutai ognuno di loro.
<< Salve ragazzi >>
<< Buongiorno prof >>, ricambiò Ianto posizionandomisi di fianco. Era stato un gesto automatico, come se il suo posto fosse li accanto a me. Anche i suoi occhi di ghiaccio erano rossi e umidi.
<< Marco e Fabio? >>, chiesi notando la loro assenza.
<< Sono dentro >>, rispose prontamente Andrea.
<< Sa, devono tenere le relazioni pubbliche >>, commentò sarcastico Roberto.
<< Il padre li sta mettendo in mostra? >>, domandai incredula.
<< Ovvio. Tutti ne approfittano, in situazioni come queste. Per mettere in risalto il dolore della famiglia. Ti fa acquisire prestigio >>, sputò acido Mario.
<< Tesoro calmati, su >>, disse Margherita, con tono pacato. La pancia si vedeva sempre di più.
<< Ciao, Margherita. Come stai? >>, chiesi sfiorando quella zona del suo corpo, dove stava crescendo una vita.
<< Bene, professoressa. Grazie >>, sorrise dolcemente la ragazza.
<< Quando dovremmo cominciare? Voi lo sapete? >>, domandò Carlo con una voce nasale. Anche lui doveva aver pianto molto.
<< Tra mezz’ora. Sapevo che il funerale cominciava alle dieci >>, affermò Ianto guardando l’orologio.
In quel momento un forte singhiozzo risuonò in mezzo a noi. Ci voltammo tutti verso un’unica direzione. Paolo stava piangendo disperatamente. Le sue mani chiuse a pugno, palesavano quanto stesse lottando contro se stesso per calmarsi e dimostrarsi forte. Ma era impossibile riuscirci. In quei momenti il dolore è troppo grande, per riuscire a controllarlo.
<< Scusatemi >>, singhiozzò asciugandosi, con la manica della giacca, le lacrime. << Avevo promesso a me stesso e a Vincenzo che non avrei pianto…ma… non ci riesco >>, e scoppiò in un pianto ancora più forte.
Roberto accorse prontamente. Lo abbracciò forte, cercando di farlo calmare. Paolo incastrò la testa tra il collo e la spalla del fidanzato, e lo strinse a se. Un secondo singhiozzo partì, e voltandomi vidi Nicola piangere copiosamente.
<< Scusate anche me >>, biascicò tra le lacrime. << Non credevo che sarei stato così male. Invece… >>, ma non finì la frase perché i singhiozzi erano troppo forti.
Un braccio passò attorno alle sue spalle, avvolgendolo in una morsa stretta. Mario stava cercando di consolarlo. Ma anche lui piangeva sommessamente. Quindi Margherita lo abbracciava, cercando di infondendogli coraggio e amore.
<< Non credevo che quel piccoletto potesse entrarmi così tanto dentro >>, commentò Mario, stringendosi alla fidanzata.
Carlo e Andrea, si tenevano la mano, silenziosi. Il primo, lentamente, stava abbandonando la sua maschera imperscrutabile, lasciando il posto a quel dolore difficile da contenere. Andrea, invece, guardava in basso. Il suo volto non mostrava nessuna espressione, ma i suoi occhi sempre così freddi e scuri, adesso erano come uno specchio. Riflettevano tutti i sentimenti che il giovane provava dentro. E potevo benissimo leggere la sofferenza che accomunava tutti noi. Improvvisamente sentii qualcosa di caldo e umido rigarmi il volto. Stavo piangendo, senza neanche rendermene conto. Portai una mano al volto. Quando la guardai e la vidi bagnata, mi resi conto che stava capitando di nuovo. L’oscurità mi stava assalendo. Quell’orrendo percorso che avevo già affrontato, stava ricominciando. E stavolta non avevo scappatoie. Cominciai a tremare, per la paura e la disperazione. Non volevo riprecipitare in quel baratro. Non avrei avuto più le forze per uscire. In quel momento, però, una mano mi trattenne. Quando la lucidità riprese spazio nella mia mente, riconobbi la mano di Ianto che mi afferrava saldamente, trascinandomi via dal quel buio pesto. Lo fissai incredula. Non poteva essere vero. Mi aveva salvata. Quella mano mi stava infondendo sicurezza e forza. Ero allibita. Ianto era davvero la mia colonna portante. Potevo sopravvivere solo se lui mi stava accanto. Quando poi tornai completamente lucida, vidi che anche il suo volto era rigato dalle lacrime. Anche lui aveva bisogno di me. Inspirai profondamente, e poi guardai uno a uno i ragazzi di quel gruppo.
<< Ehi >>, li richiamai. Quando la loro attenzione fu completamente nei miei riguardi, sorrisi debolmente. << Forza, gente. Coraggio! Vincenzo non avrebbe mai voluto tutto questo. Se adesso fosse qui, ci rimprovererebbe come solo lui sapeva fare >>
<< Avrebbe detto: “Ma che cretini di amici che ho” >>, mormorò con un sorriso, Roberto.
<< “Piangere per me? Ma dico, scherzate?! Che cosa vi passa nel cervello?” >>, aggiunse Nicola, asciugandosi le lacrime.
<< “Vi è andata bene che sono nell’Aldilà, altrimenti vi avrei presi a calci nel sedere” >>, continuò Mario, sorridendo divertito.
<< “Se vedo ancora una sola lacrima sulle vostre facce, allora vi conviene prepararvi ad affrontare la mia ira” >>, lo scimmiottò Carlo.
<< “Perché vi perseguiterò anche nei sogni” >>, sussurrò con voce appena udibile Paolo.
<< “E se proprio mi fate arrabbiare, anche nel cesso” >>, disse con voce appena incrinata Andrea.
<< “Non vi libererete tanto facilmente di me” >>, affermò con emozione Ianto.
<< “Perché vi voglio bene. Siete i miei amici. Siete la mia famiglia” >>, conclusi io asciugandomi una lacrima.
Sorridemmo tutti quanti, divertiti per quei pensieri. Appartenevano in tutto a Vincenzo, che minacciava sempre di perseguitarci dopo la morte. Era bello sapere di aver stretto quel legame così profondo e pieno d’affetto. Vincenzo non era più solo, e mai sarebbe scomparso dalle nostre menti.
<< So che non è il momento, ma quel piccoletto mi disse una cosa qualche tempo fa >>, riprese Mario.
A quel punto afferrò una busta ai suoi piedi che avevo notato solo in quel momento. L’aprì e notai una bottiglia di brachetto con dei bicchieri di plastica.
<< Mario, sei venuto qui per ubriacarti? >>, domandò perplesso Margherita.
<< No, che diavolo vai a pensare >>, negò indignato il ragazzo. << Vincenzo mi disse che durante il giorno del suo funerale, avremmo dovuto brindare a lui e alla sua vita eterna. Me lo fece promettere >>.
Sorrisi commossa di quel gesto. Poi il giovane aprì in pochi gesti la bottiglia, evitando che facesse troppo rumore, e versò il contenuto nei bicchieri. Finita quell’operazione, ci fissammo per qualche secondo, poi cominciai alzando il bicchiere in aria.
<< A Vincenzo >>, affermai con decisione.
<< E alla sua vita eterna >>, continuò Ianto.
<< A Vincenzo >>, urlarono tutti i ragazzi in coro.
Qualsiasi fosse stato il posto in cui era andato, sapevo che Vincenzo avrebbe avuto quel saluto.
 
Mi voltai guardando in giro, e notando le persone presenti, in quel posto. Avevo da poco lasciato i ragazzi ancora vicino alla ringhiera, desiderosa di avvicinarmi a Marco e Fabio. Ma mi era impossibile. I due giovani erano assaliti dal branco di clown che avrebbero preso parte a quella cerimonia. Un conato di vomito mi assaltò la gola. Odiavo vedere quelle scene di ipocrisia, perciò decisi di uscire un po’ per prendere aria. Non avrei resistito un secondo di più in quella chiesa. Sulle scale d’entrata, osservavo con fare annoiato quel branco di approfittatori. In quel momento, però, notai una figura nascosta dietro ad una macchina, e che riconobbi subito. Lo avevo visto solo una volta, in ospedale, quel lunedì maledetto che ci aveva portato via Vincenzo. Mi avvicinai, indignata. Il padre dei ragazzi, il signor Boccanera, stava fumando tranquillamente una sigaretta, e nel frattempo corteggiava senza pudore una giovane donna. Mi avvicinai a passo di carica, pronta a dare battaglia.
<< Signor Boccanera >>, lo richiamai con voce furente.
La giovane in questione, appena mi vide, si defilò velocemente, arrossendo imbarazzata. Invece l’uomo mi guardò furente. Avevo interrotto il suo gioco, e questo era imperdonabile.
<< Si? >>, domandò con voce annoiata.
<< Sa chi sono io? >>, chiesi cercando di trattenermi.
<< Dovrei? >>, rispose questi alzando un sopracciglio.
<< Certo. Sono la professoressa dei suoi figli >>, mi morsi l’interno della guancia. Adesso avrei insegnato ad una classe di 19 ragazzi, invece che 20.
<< Ah. Buongiorno >>, salutò il signor Boccanera, con tranquillità.
<< Vorrei farle una domanda >>, cominciai sempre più scioccata e arrabbiata.
<< Prego >>
<< Ma lei è davvero così ignobile come persona, o sta cercando di reprimere la sua parte sofferente? >>, esclamai con furia.
<< Credo di non aver capito bene la domanda >>, rispose perplesso l’uomo.
<< Si rende conto che ha appena perso un figlio. Che Vincenzo è morto! >>, una fitta di dolore partì all’altezza dello stomaco. << Lei è qui ad amoreggiare e a scherzare con una donna, quando dovrebbe essere vicino agli altri suoi due figli >>
<< Mi rendo conto di essere al funerale di mio figlio, professoressa. Non sono ancora rincitrullito >>, affermò con calma il signor Boccanera.
<< Come? >>, domandai allibita.
<< So dove mi trovo >>, confermò questi.
<< E non prova nulla? Dolore? Dispiacere? Niente? >>, continuai sempre più esterrefatta.
<< Lasci che le dica una cosa, professoressa >>, cominciò l’uomo, avvicinandosi a me. << Quello che mi interessa davvero, sono i soldi e le donne >>, una mano viscida mi sfiorò la guancia, con fare provocante. << Di quei tre bastardi, non mi è mai interessato nulla. Per me, possono morire, scappare, fare qualsiasi cosa. Non mi interessa, e non è una cosa che mi tocca. Sono qui solo per tenere le apparenze, e per fare vita sociale. Così otterrò vari piccioni con una fava >>, e sul suo volto si allargò un sorriso disgustoso. << Fama, soldi, potere, e donne. Anzi, se vuole fare un giro, sarò ben disposto ad accontentarla >>, mormorò malizioso.
Capii all’istante il doppio senso di quella frase, ma la mia mente era ancora sconvolta per le parole appena sentite. Quell’uomo non provava dolore, ne altri sentimenti, per la dipartita di Vincenzo. Era un meschino essere che pensava solo al sesso e al denaro, e questo mi disgustava profondamente. Sentii nuovamente un conato di vomito, più forte di tutti quelli provati in quel giorno. Non credevo che un simile essere umano potesse esistere, e speravo di avere la fortuna di non incontrarlo mai. Ma dopotutto, non ero famosa per essere la persona dalla buona stella. Lo guardai minacciosa, intimandogli con lo sguardo di allontanarsi. E il messaggio fu recepito bene, perché vidi il signor Boccanera fare qualche passo indietro.
<< Lei è una persona ripugnante. Mi fa schifo. E deve solo provare ad avvicinarsi nuovamente a me, o a Marco e Fabio, ed io le farò rimpiangere anche di essere nato >>, a quel punto mi avvicinai io, incutendogli timore. << Quel coso schifoso che si ritrova in mezzo alle gambe, gli giuro, che se lo troverà a penzolare fuori dal balcone, se osa anche solo farmi sentire la sua puzza repellente. Sono stata abbastanza chiara, o vuole un esempio? >>.
Il signor Boccanera mi guardò allibito, poi senza aspettare neanche un secondo, si allontanò a passo spedito verso l’interno della chiesa. Non mi voltai per guardarlo, perché tremavo ancora dalla rabbia. Ero furente con quell’essere abietto che si spacciava per padre. Odiavo le persone come lui. Mi facevano sul serio schifo. Calde lacrime di frustrazione cominciarono a scendere.
<< Mi creda, se le dico che piangere per un essere come quello, è un atto inutile >>, disse una voce calma alle mie spalle.
Mi voltai velocemente, colta di sorpresa. Davanti ai miei occhi, vi era un uomo alto, sulla cinquantina, brizzolato. Mi trovai a fissare il preside, nel suo completo in giacca e cravatta nero. I suoi occhi, solitamente sempre brillanti e luminosi, ma con una piccola nota stonata, adesso palesavano la loro sofferenza.
<< Preside >>, sussurrai ancora piangendo.
<< So che è difficile da accettare la loro esistenza, ma purtroppo il mondo è pieno di persone come il signor Boccanera. Avevo tanto sperato che non assistesse a quella scena, professoressa >>, continuò l’uomo con dispiacere.
<< Non deve rammaricarsi, preside. Non è colpa sua, se ho avuto a che fare con quell’uomo >>, affermai con forza.
<< Lo so. Ma comunque sono molto dispiaciuto che questo incontro sia avvenuto. Mi scuso profondamente >>, e inchinò leggermente il capo.
<< Ma che fa? Non deve mica scusarsi lei >>, dichiarai presa alla sprovvista.
<< Invece devo. È mio dovere, come uomo, porgerle le mie più sentite scuse per l’offesa arrecatele. Se fosse in mio potere, avrei già provveduto a sbarazzarmi di quel signore >>, dichiarò il preside alzando lo sguardo.
Capii che non l’avrei spuntata in quella situazione. Ne andava del suo orgoglio maschile. E io di certo non lo avrei privato di quella sua riconciliazione con se stesso. Perciò, sorrisi dolcemente, riconoscendo che il preside era forse la persona più nobile che avessi mai incontrato.
<< Va bene, preside. Accetto le sue scuse, e la prego, non si preoccupi per me. Io me la so cavare da sola >>, affermai con affetto.
<< Oh, lo so bene che lei è una persona dotata di grande tenacia e forza. E che non ha bisogno della protezione di nessuno. Ma so anche che, una giovane donna, nonostante tutto, va sempre protetta. A dispetto del suo carattere >>, dichiarò con solennità l’uomo.
<< Lei parla sempre come un gentiluomo dell’ottocento >>, constatai divertita.
<< Grazie. Per me è una gioia udire queste sue parole. Ma dai suoi bellissimi occhi, noto una profonda oscurità >>, disse l’uomo con una tranquillità disarmante. Anche quelle sue parole mi lasciarono allibita.
<< Oscurità? >>, domandai perplessa.
<< Si, esatto. Come se qualcosa nel suo corpo, la stesse divorando. Vorrei poterle essere d’aiuto, ma temo che non posso fare nulla >>, continuò il preside sempre con la sua solita flemma.
<< Davvero io non capisco >>, e invece capivo, eccome, ciò a cui si riferiva. E questo mi spaventava.
<< Spero che riesca ad affrontare i suoi demoni interiori, professoressa. Lei è una bellissima persona, e sarebbe un vero peccato perderla >>, esclamò l’uomo sorridendomi tristemente.
Dal canto mio non risposi, troppo scioccata da quelle parole. Il preside Martino, conosceva il mio passato. E aveva anche capito da cosa stavo scappando. Me lo leggeva dentro. E solo una cosa mi fu chiara in quel momento. Io e quell’uomo condividevamo un passato molto simile.
 
Entrai nuovamente nella chiesa. Mancavano dieci minuti all’inizio della cerimonia. Stavo cercando un posto dove accomodarmi, quando vidi due cose. La prima, era Ianto che attirava la mia attenzione indicandomi un posto accanto al suo. La seconda, era vedere due figure nascondersi dietro ad una parete laterale della chiesa. Le riconobbi immediatamente. Dissi sottovoce a Ianto che lo avrei raggiunto subito, e mi incamminai verso la parete. Appena arrivai, sentii due voci parlare piano.
<< Forza, Fabio. Ce la possiamo fare >>, affermò con forza Marco. Ma nella sua voce, sentivo una nota molto triste e provata.
<< No, non ce la faccio. Basta, me ne voglio andare a casa >>, singhiozzò tra le lacrime Fabio.
Quella voce mi fece stringere il cuore. Era orribile ciò che stava accadendo a quei due ragazzi. Non ci pensai neanche due volte, e mi sporsi. Quando mi videro, sospirarono di sollievo.
<< Ciao >>, li salutai dolcemente.
<< Buongiorno professoressa >>, ricambiò il salutò Marco.
Fabio invece, provò ad abbozzare un sorriso, ma non gli venne un granché. Mi avvicinai velocemente al ragazzo e lo abbracciai forte. Il fratello di mezzo, appena sentite le mie braccia stringerlo, scoppiò in un pianto disperato.
<< Shh, va tutto bene. Ci sono io con te >>, sussurrai tra i suoi capelli.
<< Professoressa >>, mormorò disperato Fabio.
Marco, invece, era silenzioso e guardava la scena commosso.
<< Lo so. Fa male. Fa male da impazzire >>, continuai, cominciando a dondolare col corpo. << So che senti il tuo cuore farsi in tanti pezzettini. Quasi come se la tua vita fosse risucchiata via, e a te restassero solo cocci vuoti e dolorosi >>, mi staccai lentamente dal corpo di Fabio e lo costrinsi a guardarmi. I suoi occhi grigi, disperati e umidi, mi fissavano speranzosi. Voleva che alleviassi in qualsiasi modo il suo dolore. << Ma una persona un giorno mi disse, che il cuore umano non si spezza mai. Che è la cosa più forte che abbiamo. E aveva ragione. Lui batte ancora qui, e continuerà a battere sempre. E presto il suo battere non farà più male. Starai meglio, e riuscirai a vivere nuovamente la tua vita >>
<< No. Non è vero. Non tornerà mai più come prima. Farà sempre male >>, negò con forza Fabio, piangendo sempre di più. << La prego, lo spenga. Spenga questo dolore, la supplico. Non ce la faccio più >>.
Quelle parole, spezzate da forti singhiozzi, dette con voce nasale e soffocate dalle lacrime, mi crearono un dolore lancinante al petto. Non credevo che delle semplici lettere messe insieme per creare una frase, potessero far soffrire in quel modo.
<< La supplico lo porti via. Io non voglio più pensare a niente, non voglio più stare male. Scacci via dal mio cuore Vincenzo, per favore. Altrimenti morirò anche io >>, lacrime copiose segnavano quel viso, in piccole righe. Righe cariche di disperazione e sofferenza.
<< Fabio >>, sussurrò Marco tra le lacrime.
Con forza, violentandomi, presi il controllo delle mie emozioni, e le addormentai, cosicché avrei potuto aiutare Fabio. Presi il suo volto dolcemente tra le mie mani, e cominciai a cancellare quelle strisce umide dalle sue guance. Poi sorrisi tristemente.
<< Non posso. È una cosa che non posso fare. Mi dispiace. So che fa male, ma dovrai conviverci per sempre >>, mormorai.
<< Perché? Perché? Perché? >>, domandò come una litania il ragazzo.
<< Perché la vita è imprevedibile >>, risposi asciugando le nuove lacrime e guardando con forza il giovane. << Perché accadono cose impensabili, che non puoi controllare. Puoi solo subire, e convivere con le conseguenze >>, cominciai a piangere nuovamente, avvertendo il pizzicore delle mie emozioni tormentarmi il cuore. Si stavano svegliando. << Perché le persone muoiono, e tu non puoi farci niente. Puoi solo accettare che se ne vadano via, e conservare nel cuore il loro ricordo. E un giorno, quando sarai abbastanza pronto, potrai guardarti alle spalle, e vederle li, che ti osservano e ti accompagnano nel tuo lungo cammino. Per sempre >>.
Fabio mi guardò sorpreso e quasi ammirato per quelle parole. Sembrava come se le sentisse vere. Anche se era troppo presto, e il dolore avrebbe continuato a pulsare per molto tempo ancora, sapeva che alla fine sarebbe stato meglio. Ero riuscita a dargli speranza. Non tutto era perduto.
 
<< … Ed ora, se qualcuno vuole dire qualche parola, può farlo >>, invitò il prete dopo quasi un’ora di celebrazione.
Ero seduto accanto a Ianto, mano nella mano, dall’inizio della funzione. Avevamo bisogno l’uno dell’altro, per sostenerci in quel momento difficile e prostrante. Quando ero entrata in chiesa, avevo fatto di tutto per evitare di vedere al centro, davanti all’Altare, cosa ci fosse. Ma adesso, mi era impossibile. Quella bara marrone chiaro, pulita e limpida, con varie composizioni floreali attorno, attirava la mia attenzione. Come una calamita. Li dentro, steso e immobile per sempre, vi era Vincenzo. Non avrei mai più rivisto il suo volto o il suo sorriso,  o quei suoi occhi grigi. Non avrei più potuto parlarci o ridere e scherzare con lui. Niente di tutto questo. L’unica cosa che ci restava, era poter parlare attraverso una lapida, e fissando con tristezza l’immagine che avremmo sempre visto, li, stagliarsi sul marmo bianco. E sapere che dall’altra parte, non ci sarebbe mai stata una risposta. Solo questo ci era concesso. E a mio avviso, era davvero troppo poco. L’amore e tutto ciò che comportava, non valeva tutta quella sofferenza. Il gioco non valeva la candela. Ed io, dal canto mio, non sarei mai più riuscita a guardare la mia classe con gli stessi occhi di prima. La sua assenza sarebbe pesata come un macigno. E non avremmo fatto altro che piangere e soffrire per quell’addio silenzioso, e pieno di strascichi. Solo tristezza ci restava. A tutti noi. Quando prestai attenzione alle parole del prete, rimasi sorpresa da ciò che vidi.  Marco si incamminava verso l’Altare. Quando raggiunse il microfono, fissò tutti noi per qualche minuto. Poi, forse fu una mia impressione, ma il suo sguardo si posò nel mio, e mi guardò per un’istante. Alla fine abbassò gli occhi, e sospirò. Quando li rialzò, vidi una forza estranea al mio essere. Una forza di cui avrei avuto bisogno.
<< Salve. Io sono Marco. E per chi non mi conosce, sono il fratello maggiore di Vincenzo >>, cominciò con voce calma e posata. << Vi starete domandando: ehi, ma questo fratello da dove esce. Oppure: che cosa vuole, siamo qui da un’ora e ci si mette anche quest’altro a parlare >>, e scimmiottò tutti i presenti. Una piccola risata generale partì ovunque. Quando poi il silenzio fu ristabilito, il giovane proseguì. << So che siete stanchi, ma vogliate portare un attimo di pazienza. Non vi ruberò molto tempo. Ho bisogno di dire delle cose al mio fratellino, e questa è l’occasione migliore che mi si è presentata negli ultimi tempi. Dunque… >>, e fece una piccola pausa, riflettendo per bene sulle parole da dire. << …Sapete, Vincenzo è sempre stato un tipo fragilino, con la tendenza a mettersi nei pasticci. Da piccolo mi ricordo che una volta, per seguire un cane, si perse per le strade di Roma. Le nostre varie madri, impiegarono un’ora e mezza a ritrovarlo. E nel frattempo io e Fabio, l’altro mio fratello, eravamo a casa in pensiero, sperando che non fosse capitato nulla di male >>, sorrise divertito al ricordo di quel momento, e forse anche a qualche altro ricordo. << Se ripenso a tutte le cose che sono successe, che Vincenzo ha combinato, non posso fare altro che sorridere divertito. Era un vero personaggio. Alle volte da piccolo lo paragonavo ad un cartone animato >>, un nuovo coro di risate partì per tutta la chiesa. << Se poi penso, invece, a tutte le volte che si è ammalato quando era un bambino, mi vengono i brividi. Aveva sempre la febbre, oppure un raffreddore, oppure mal di testa, o qualsiasi altro disturbo che esisteva al mondo. Era davvero fragile, quasi come il vetro. In lui vedevo sempre una persona da proteggere. Da difendere. Un qualcosa di prezioso che andava difeso dal mondo. Rinchiuderlo sotto una campana di vetro, sarebbe stato molto più facile. E mi avrebbe risparmiato un sacco di fatica >>, altra risata da parte di tutti noi. Nel frattempo, nel sorriso, calde lacrime cominciarono a scendere nuovamente lungo il mio viso. Marco guardò tutta la folla, poi tornò serio, e cominciò a fissare la bara, con sofferenza e amore. << Ma non mi sono mai pentito di tutto questo. E mi dispiace di non avergli mai dimostrato quanto bene gli volessi. Dopo la morte di mia madre, in me qualcosa non funzionava più, e me la sono presa con le persone sbagliate. I miei due fratelli hanno molto risentito del mio lutto, specialmente Vincenzo, che mi guardava con ammirazione. Come se volesse seguirmi e assomigliarmi un po’ di più. Ed io l’ho ferito profondamente, abbandonandolo a se stesso, e lasciandolo affrontare la sua malattia che lo ha divorato lentamente, dentro. Fino a portarmelo via >>, silenziose lacrime solcarono il volto di Marco, il cui sguardo era sempre fermo sulla bara. Ora cominciava la parte difficile del discorso. << Per colpa della mia stupidaggine, non gli sono stato accanto in questi anni, quando ne aveva più bisogno. Quando nella notte lo sentivo piangere sul cuscino, per qualcosa andata male, oppure perché si sentiva solo. Il mio dovere di fratello e anche il mio cuore, mi dicevano: “Alzati! Vai da lui! Ha bisogno di te!”. Ma alla fine restavo sempre nella mia stanza, fingendo di non sentire. Perché era molto più facile per me. Se fossi rimasto coinvolto in qualche modo con Vincenzo o con Fabio, il mio cuore ne avrebbe risentito. E io non avrei potuto portare avanti la battaglia silenziosa che sostenevo per qualcun altro. E così facendo ho commesso errori su errori. Finché poi, alla fine, mi sono ritrovato con un fratello morente nel letto. E allora ho capito >>, le lacrime continuavano a scendere copiose. Tirò su col naso, la sua voce tremava, e il corpo era scosso dai singhiozzi. Ma era forte, e non avrebbe ceduto. Il suo sguardo si allontanò un attimo dalla bara, e si rifugiò nei miei occhi. Dopo pochi secondi, tornò nuovamente a fissare la bara. << Che quello che stavo facendo mi stava portando a perdere per sempre, una delle due persone più importanti di tutta la mia vita. Quella che, nonostante tutto, continuava ad amarmi indistintamente. E che sperava che un giorno fossi ritornato da lui. La costanza del suo amore nei miei riguardi, è qualcosa che ancora mi spaventa, e fa battere forte il cuore. Ma è bellissimo sapere di essere stato amato così tanto. Mi sento saturo d’amore, e auguro a tutti voi di provare quest’emozione >>. Poi la sua voce si incrinò del tutto, e il pianto si fece ancora più forte. << Ma non auguro a nessuno di voi di perdere un fratello, di perdere una vostra metà esatta. Perché fa un male cane, e sembra di affogare, tanto si soffre. E nonostante io sappia che lui non mi abbandonerà mai, che mi ha promesso di restare sempre al mio fianco nonostante la morte, mi rendo conto che questo ora non basta. Che desidero di più. Che voglio tornare ad abbracciarlo, a guardarlo, a ridere e a parlare con lui. Che voglio rivedere specchiati i miei occhi nei suoi. Gli stessi occhi grigi che noi tre fratelli condividiamo, e che ho sempre visto i suoi molto più luminosi dei miei. Vorrei tutto questo, ma so che non è possibile. E mi sento quasi mancare l’aria >>, tirò un forte respiro, quasi a marcare quel concetto. L’intera chiesa era silenziosa, sofferente per quelle parole. Non mi voltai, ma sapevo che tutti i ragazzi, piangevano. La mano di Ianto si strinse più forte nella mia. Lui sapeva quale fosse la portata di quel dolore. Perdere un fratello o una sorella. Lui sapeva quanto si soffriva. << Mi sembra di vivere in un incubo, in questo momento, e non so quando ne uscirò. Spero che tra poco mi sveglierò nel mio letto, e troverò Vincenzo nella stanza vicino alla mia, tranquillamente addormentato. Ma questo è il vero sogno. E quello che sto vivendo è la realtà. Una realtà che non mi piace, ma va bene così >>, sospirò rassegnato. Il tono di voce era tornato quasi normale, anche se le lacrime continuavano a scendere. << Non si può tornare indietro, e la vita continua, in qualche modo. Ed io e Fabio, dovremmo vivere per sempre con una parte di noi, mancante. O forse no >>, cominciò a riflettere nuovamente sulle sue parole. Poi sembrò trovare un piccolo barlume di speranza. << Forse un giorno, quando questo dolore sarà diminuito, quando diventerà sopportabile, mi renderò conto che avevi ragione. Che non mi avresti mai abbandonato, e che saresti stato sempre vicino a me. Che anche se fossimo stati separati per lunghissimi chilometri, tu saresti rimasto sempre al mio fianco. Che ovunque tu sia, saremo sempre uniti dal nostro legame profondo. Mi hai detto di continuare a vivere anche per te. Li per li pensai: ma come posso vivere una vita senza di te? Ma adesso comprendo cosa volevi veramente dirmi >>, Marco sorrise dolcemente in direzione della bara, come se Vincenzo potesse davvero vederlo, e ricambiarlo. << Che dovevo essere felice, perché un pezzetto della mia felicità, sarebbe arrivato a te. È questo l’obbligo di chi resta. Rendere felici se stessi e la persona cara. Ed io prometto che lo farò, fratellino. Ti renderò felice, ovunque tu sia. E proteggerò Fabio, perché so che anche questo desideravi. E credimi: neanche la morte potrà separarci >>. Poi si allontanò dal microfono, e camminò lentamente verso la bara. Si mise di fianco ad essa, e la fissò per qualche minuto. Infine si inginocchiò vicino, e l’abbracciò come se stesse abbracciando il fratello. Poggiò anche qualche dolce bacio su quella superficie in legno. Rimasi commossa nel vederlo compiere quelle azioni. Era bellissimo e allo stesso tempo straziante, difficile da sopportare. Tutto quel dolore mischiato all’amore che Marco provava per Vincenzo, era una bomba nucleare. Un mix di sentimenti potenti e penetranti nel cuore. Strinsi più forte la mano di Ianto, cercando in lui, il mio pilastro. Poi vidi Marco alzarsi lentamente, e accarezzare la bara. << Ti voglio bene, fratellino >>, sussurrò nel silenzio generale. A quel punto, Fabio si alzò, e raggiunse il fratello più grande, posizionandosi di fianco. Gli cinse la vita con un braccio, mentre Marco gli strinse forte le spalle. E rimasero li, intenti a fissare la bara dove giaceva addormentato per sempre, il loro caro fratellino Vincenzo.
 
Mi soffiai il naso, buttando l’ennesimo fazzolettino per terra. Era il 31 gennaio, e ancora portavo addosso gli strascichi del funerale del giorno precedente. Beh, in effetti era passato troppo poco tempo, perché stessi meglio. Ma adesso ero entrata in una spirale autolesionista. Nella mia mente, i ricordi di quel mercoledì e i ricordi del funerale di mio marito, si confondevano creando un unico filo conduttore, con immagini diverse ma aventi un fattore in comune. Il dolore. Dolore per la perdita, dolore nel sapere che non rivedrò mai più gli occhi della persona amata, dolore nel capire che questa era andata in un posto impenetrabile per me. Non ne potevo più di soffrire così tanto. Avevo faticato per quasi due anni, nel cercare di sopprimere la sofferenza per la morte di mio marito. Ero addirittura scappata, cercando di mettere quanti più chilometri possibili, tra me e il mio tormento. Ma non era servito a niente. Mi aveva trovato comunque. E avevo appreso una lezione importante. Non si può scappare dalla propria vita, perché è come scappare da se stessi. E non ci si può abbandonare, che ci piaccia o meno. Ma questa consapevolezza non mi aiutava di certo ad affrontare quella situazione. Semmai la peggiorava. Perché questo voleva dire che avrei sofferto per sempre. E non era la mia massima aspirazione nella vita, comprare mille pacchetti di fazzoletti e consumarne altrettanti ogni giorno. Decisamente, non ero nata per quello scopo. Durante quel giorno e mezzo, avevo rifiutato di vedere o parlare con qualsiasi essere umano. Dopo il funerale, ero andata silenziosamente al cimitero, e avevo visto come la bara veniva depositata nel suo giaciglio eterno. Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. La mia mente si era del tutto appannata, e l’immagine della lapide di mio marito era sbucata fuori dai recessi della mia memoria. E anche le stesse emozioni di allora, erano riapparse nel mio cuore. A niente erano serviti tutti i sonniferi che avevo cercato di dare a quelle emozioni. Dopo la comparsa di Ianto, il mio intero essere era stato sconvolto. Tutto il mio lavoro per non soffrire più, era andato a farsi benedire. Ed ora non sapevo più cosa fare per cercare di stare bene. Forse non ne avevo neanche più le energie, e la voglia per trovare quella salvezza che meritavo. In fin dei conti, il tormento della mia anima era così profondo, che tanto valeva lasciarlo li, agire indisturbato, senza che cercassi più di mettergli i bastoni tra le ruote. Alla fine, a che serviva lottare, se poi le cose si ripetevano in un ciclo senza fine? A che serviva sperare in una salvezza, se poi si doveva riprecipitare nel baratro della disperazione? A quel punto, tanto valeva conservare le energie per qualcosa di più utile, e più soddisfacente. Mi odiavo quando pensavo che tutto era finito, perché sapevo che così non era. Ma semplicemente ero stanca. Non volevo più soffrire. Questo era il mio unico desiderio. Invece qualcuno Lassù, si divertiva a vedermi piangere e disperare. E a questo punto, chi ero io per togliergli lo spettacolo. Solo una stupida pedina che veniva mossa senza ritegno verso posti sempre più bui. Nella mia mente una sola frase aleggiava, e la ripetevo quasi fosse un mantra: Basta così! Basta così! Basta così!. Era finita. Per me non c’era altro. Neanche due occhi di ghiaccio stavolta avrebbero potuto aiutarmi. Anzi, potevano portare solo scompiglio in questa situazione già precaria. Avevo accettato i miei sentimenti per Ianto, ma dopo il funerale di Vincenzo, la presenza di mio marito si era fatta più vivida. Adesso lo percepivo nuovamente sulla pelle, nel corpo, dentro il cuore. Come era accaduto fino alla fine di agosto, prima che scappassi da casa mia. E sentirlo nuovamente in me, aveva creato nuove ferite profonde. Io non volevo lasciare andare mio marito. Gli avevo promesso eterno amore, e non volevo tradire la sua memoria e il sentimento che ci legava, sia in passato che adesso. Non potevo accettare Ianto, perché avrei dovuto rinunciare a quell’uomo speciale che mi aveva fatto l’onore di sposarmi. Invece, ero disposta a perdere Ianto. Anche questa consapevolezza, mi fece capire che dovevo spegnere qualsiasi sentimento per il giovane dagli occhi di ghiaccio, e concentrarmi su quel dolore che continuava ad albergare in me. Non ero disposta a creare nuovi legami, non ero disposta a concedermi ad un altro. Non volevo più amare, perché avevo conosciuto l’amore, e l’avevo perso. E non poteva essere sostituito. Perciò, basta così! soffiai nuovamente il naso, vedendo il cellulare squillare di nuovo. Era la ventunesima chiamata di Ianto. Stava battendo un record personale. Quanto ancora voleva darmi il tormento, prima di capire che non c’era più niente in me. Che tutto era finito. Seppellito in una bara di legno, e che mai più sarebbe tornato. Basta così! Dopo aver assistito alla scena della lapide, ero corsa via da quel cimitero, e mi ero rifugiata in casa. Ianto e il resto del gruppo avevano capito il mio desiderio di restare sola, e perciò non mi avevano disturbato, ma da quella mattina, il giovane dagli occhi di giaccio, aveva preso a chiamarmi incessantemente, desideroso di chissà cosa. Ormai erano le sette di sera, e il cellulare non squillava da circa mezz’ora. Che si fosse arreso? Beh, meglio così. Io non volevo essere vista, essere amata, essere salvata. Volevo continuare a scavarmi la fossa da sola, e raggiungere sottoterra mio marito. Questo mi avrebbe dato pace, avrebbe alleviato i miei sensi di colpa nei confronti dell’uomo che avevo sposato. Perché provavo una colpa immensa per aver ceduto al sentimento, per aver provato emozioni troppo forti per Ianto. Sapevo anche riconoscere il loro nome, ma non volevo pronunciarlo. Perché troppo in contrasto con quella parte del mio cuore legata al passato. Due metà divise in uno stesso corpo. Come si può sopravvivere se si è divisi a metà? Non si può, punto. Basta così! Non volevo più sentire quella spaccatura, costante e pulsante. Nella mia mente, le due fazioni si sfidavano senza sosta, lasciandomi spossata. Presi l’ennesimo fazzoletto, e soffiai il naso gocciolante. Avevo un aspetto orribile. Una tuta nera, consunta e sbiadita. I capelli erano arruffati. Gli occhi rossi, gonfi e lucidi per il troppo pianto. Il viso bianco, e il naso rosso. Un vero mostro. Odiavo quel mio aspetto trasandato. Non ero vanitosa, ma avevo sempre badato al mio volto e al mio corpo. Agli abiti, non di alta moda, ma comunque ben tenuti, e al trucco, non pesante ma leggero, e capace di rendermi carina. Adesso invece ero solo la pallida ombra di ciò che ero. Un’ombra mostruosa, irriconoscibile, tremante e assomigliante ad un Goblin. Provavo vergogna e pena per me stessa. Basta così! Si fecero le sette e un quarto, quando il cellulare riprese a squillare. Sbuffai scocciata e innervosita.
<< Ma che vuoi da me? Lasciami in pace >>, urlai contro il cellulare.
A quel punto il campanello di casa trillò. Sobbalzai dal divano, perplessa e spaventata. Chi poteva essere alle sette e un quarto? Chi poteva venire a disturbarmi mentre affondavo nelle mie lacrime? Solo un nome balenò alla mente. E davvero speravo di sbagliarmi.
<< Prof, apri. Ti ho sentita >>, sbuffò spazientito Ianto.
Tremai violentemente. I sentimenti traboccarono da tutto il mio essere. Volevo aprire, e non volevo aprire. Volevo piangere, e non volevo piangere. Volevo amare Ianto con tutta me stessa, e volevo rifiutarlo senza battere ciglia. Non risposi, terrorizzata dalle conseguenze.
<< Santi numi, prof. Vuoi aprire questa cazzo di porta, e vuoi che te la sfondi a forza di calci? >>, esclamò impetuoso Ianto. Sembrava sul punto di esplodere. Chissà perché poi era così furioso.
<< Va via >>, sussurrai, afferrandomi la testa con le mani, e scuotendola forte. Volevo cacciarlo via. Dal mio corpo, dalla mia mente, e dal mio cuore. Faceva tutto troppo male. Volevo solo dimenticare. Annegare nell’oblio e restarci per l’eternità. Basta così!
<< Cazzo! Apri questa merda di porta! >>, continuò il giovane, battendo un pugno contro il legno massiccio.
Sussultai. Non avevo mai visto Ianto così furioso, neanche quando aveva dovuto affrontare il lutto per la morte dei genitori. Alla fine sospirai, tremante, e con le lacrime agli occhi. Mi avvicinai, con passo lento alla porta, e poggiai le mani e la fronte sulla superficie.
<< Ti prego >>, mormorai con voce più forte. << Va via >>
<< No. Non me ne vado >>, negò con trasporto Ianto. Chissà perché, nella mia mente, lo vidi dall’altra parte della porta, appoggiarsi ad essa nel mio stesso modo.
<< Perché? >>, domandai singhiozzando. Calde lacrime rigarono il mio volto.
<< Perché ti amo >>, sussurrò emozionato Ianto.
Sospirai forte. Mi asciugai con il dorso della mano, le lacrime cadute, e mi allontanai dalla porta. Fissavo il pomello, aspettando che agisse da solo. Non avevo il coraggio di prenderlo, e girarlo. In cuor mio speravo che facesse lui la scelta. Se fare entrare Ianto o meno. Farlo entrare, avrebbe significato accettarlo. Lasciarlo fuori, avrebbe significato rifiutarlo. Da perfetta codarda qual ero, speravo ardentemente che qualcun altro potesse prendere quella decisione al posto mio. Ma sapevo bene che nessuno poteva farlo. Solo io dovevo scegliere. Il passato, o il futuro? O meglio, il passato o il presente? La testa mi stava scoppiando. Non ero più in grado di ragionare. Così chiusi gli occhi, e pensai un’ultima volta al mio personale mantra. Basta così! Poi allungai la mano, e feci scattare la serratura. La porta si aprì, rivelando uno Ianto, arrabbiato e preoccupato allo stesso tempo. Afflitto e innamorato. Tremante e sicuro di se. Lo fissai, come fossi una bambina in cerca del padre, per avere protezione. Ma lui non era mio padre. Era Ianto. Il ragazzo che mi era entrato nell’anima e aveva fatto battere nuovamente il mio cuore. Il suo sguardo scrutava il mio volto, il mio corpo e la mia anima. Era come lava rovente a contatto con la pelle. Insopportabile. Perciò mi voltai, incamminandomi verso il divano. Volevo mettere nuovamente distanza tra noi due.
<< Che sei venuto a fare? >>, chiesi dura.
<< Volevo vederti >>, rispose con semplicità Ianto.
<< Perché? >>, domandai sempre più cattiva.
<< Perché ti amo >>, ripeté il giovane.
Mi voltai di scatto, come morsa da un animale feroce. Ero in preda alla rabbia. Quella risposta avrebbe fatto battere il cuore di un qualsiasi essere umano. Ma io non ero gli altri. E il mio cuore sembrò subire una condanna a morte. O meglio, una parte del mio cuore. Mi avvicinai con forza e decisione verso il giovane, e senza pensarci due volte, lo schiaffeggiai. Ero giunta al limite.
<< Che tu sia dannato. Ti odio, Ianto. Ti odio con tutta me stessa >>, urlai disperata.
Ianto non fece e disse nulla, seguì con il volto il mio schiaffo, sottoponendosi a quella punizione immeritata. Sapevo razionalmente che il giovane non ero colpevole di nulla. Ma il cuore lo accusava di tutto.
<< Perché? Perché io? Perché a me? Io stavo così bene da sola. Avevo il pensiero di mio marito nella mente. C’era solo lui >>, continuai ad urlare, e nel frattempo altre lacrime cominciarono a rigare sempre di più il mio volto. << Poi sei arrivato tu. E hai sconvolto ogni cosa. Hai distrutto tutto. Perché? Perché? Io volevo solo mantenere fede alla promessa fatta. E invece sei arrivato tu, con la tua boria e arroganza, e mi hai trascinato in tutto questo. In questo mare agitato ed impetuoso, che non fa altro che sbattermi sugli scogli. Io stavo bene, senza di te. Ma tu no! Ti sei voluto intromettere nella mia vita >>, lo afferrai per il giubbotto, e lo  scrollai forte. << E GUARDA DOVE SIAMO ARRIVATI! A QUESTO! SIAMO ARRIVATI A SOFFRIRE, A PIANGERE E A SEPPELLIRE I NOSTRI AMICI! PERCHE’? PERCHE’? >>, urlai preda di una follia cieca e sorda, ma dotata di una forza erculea. Poi lo lasciai andare, e abbassai il viso, chiudendo gli occhi, e cercando nella memoria, il volto di mio marito. Avevo bisogno di ritrovarlo, ma vedevo solo degli occhi di ghiaccio fissarmi con sofferenza e amore. << Ti odio. Con tutta me stessa. E tuttavia non ti odio, anzi… provo dei sentimenti troppo forti, sentimenti sconvolgenti, che mi stanno facendo perdere il senno. E io sono già abbastanza folle, ecco perché sono scappata di casa. Quindi… basta così! >>, rialzai di scatto il volto, e fissai nuovamente quegli occhi che mi scrutavano come avevo visto nella mia mente. Con dolore e profondo amore. << Io ti farò del male, e tu ne farai a me. Soffriremo troppo, e alla fine ci resterà solo la cenere delle nostre anime, consumate da questo profondo dolore. Non dobbiamo andare avanti, o moriremo >>.
Avevo il respiro affannoso. Gli occhi umidi, continuavano a lacrimare gocce salate che scendevano lungo il mio viso, accarezzando gli zigomi, il mento e il collo. Ianto mi fissava addolorato. Restammo per vari minuti in silenzio. Poi il giovane fece un passo verso di me. Il suo sguardo era mutato. Scintillava di una nuova consapevolezza. E questo mi avrebbe annientato del tutto. Allungò una mano, e l’appoggiò delicatamente sul mio viso, accarezzandomi e asciugandomi le lacrime.
<< Soffriremo. Piangeremo tanto. Ti odierò. Mi odierai. Ti ferirò mortalmente. Tu ferirai me con una spada di ferro. E i nostri cuori sanguineranno internamente >>, portò l’altra mano al viso, e asciugò le restanti lacrime. << E in questo mare di sangue, vi vedo così tanto amore, da riempire il mondo. Affogherò con un dolce sorriso sulle labbra, sapendo di essere amato. Sapendo che sotto lo strato di sangue ci sei tu che affogherai con me. Moriremo insieme felici, uniti nel nostro abbraccio. E i nostri cuori diventeranno una cosa sola. Io non ho paura di tutto questo, e attenderò la morte con impazienza, perché essa mi porterà a te >>, sorrise e pianse gocce salate. Era bellissimo. << E so che anche tu vuoi unirti a me. Il tuo sguardo è pieno d’amore. Non mi servono parole, ne grandi gesti, ne altro. Mi basta vedere il tuo sguardo che riflette il mio. Tu ed io. Non c’è altro che conta >>, poi si asciugò frettolosamente le lacrime versate, e portò nuovamente le mani sulle mie guance. Il suo sguardo si fece serio, carico di passione. L’atmosfera sembrava emanare scariche elettriche. Anche gli odori erano mutati. Forti e pungenti, penetranti nelle narici. Il tipico odore della passione. Cominciai a tremare dalla paura. Sapevo cosa stava per accadere, e tuttavia non ero pronta. Forse non lo sarei mai stata, ma in quel particolare momento, non ero per niente certa. Ma non mi ribellai, ne strisciai fuori da quella presa ferrea. << Adesso io ti bacerò. E poi ti porterò di la sul letto e farò l’amore con te. Ti trasmetterò tutto ciò che sento, tutto il mio intero sentimento. E poi non ti lascerò mai più andare >>, sussurrò con voce lussuriosa ed eccitata. << Se vuoi scappare, fallo ora. Io non ti costringerò. Ma se resti, farò esattamente ciò che ho detto >>.
Sgranai gli occhi. Non ero pronta. Non sapevo che fare. Avevo paura, e il cuore prese a martellarmi forte nel petto.
Scappare o restare? Scappare o restare? Ianto avvicinò il volto al mio.
Scappare o restare? Scappare o restare? Sentivo il suo alito caldo sul volto, e sulle labbra.
Scappare o restare? Scappare o restare? Ormai ci separavano pochi millimetri.
Scappare o restare? SCAPPARE O RESTARE?
Basta così!
Chiusi gli occhi, e accettai quelle labbra premere contro le mie. Erano come le avevo sempre immaginate. Calde, morbide, piene. Racchiudevano un intero mondo in esse. Le strusciammo per un po’. Il cuore batteva furioso nel petto. Una parte di me stava brillando di pura luce e felicità. L’altra stava morendo, appassendo velocemente. Come un fiore senza acqua. Le mie mani andarono ad afferrare la vita forte e mascolina di Ianto, e stringerla con foga. Dagli occhi chiusi altre lacrime scesero. Ero felice e disperata. In eterno dualismo. Le mani di Ianto, pazientemente, asciugavano quelle gocce. Poi insieme, schiudemmo le labbra, permettendo alle nostre lingue di incontrarsi ed esplorarsi. Il sapore del giovane era inebriante, dolce e fresco. Le labbra e la lingua, esperte, si muovevano lentamente contro le mie, trascinandomi in quel gioco sensuale. Mi sentivo accaldata, lo stomaco si contorceva per l’emozione e l’ansia. Erano quasi due anni che non baciavo un uomo. Quasi due anni che non venivo sfiorata. Quasi due anni che non venivo amata nel letto. Ianto aumentò il ritmo del bacio, e portò le mani lentamente sui miei fianchi e poi dietro la schiena, stringendomi e spingendomi di più contro il suo petto. Le mie mani, invece, abbandonarono i fianchi del giovane, e si poggiarono sul petto forte e ampio. Strinsi il giubbotto, con forza, cercando di aggrapparmi a qualcosa, anche se non sapevo bene cosa. La differenza d’altezza si sentiva molto, così mi alzai sulle punte, appoggiandomi interamente al corpo di Ianto. Nel basso ventre del giovane, un forte rigonfiamento premeva contro la mia coscia, sfiorando la mia intimità. Sentivo sempre più caldo. Ianto, poi, afferrò i miei glutei, e mi alzò senza alcuno sforzo. I suoi muscoli, tesi e scattanti, si agitavano sinuosamente sotto tutti quei strati di vestiti. Strinsi le mie braccia intorno al collo del giovane, e le gambe intorno ai suoi fianchi. Ora le nostre intimità erano pienamente a contatto, e senza rendermene conto cominciai a strusciarmi su di essa, facendo reagire il pene di Ianto sempre di più. Era duro e scattante, e presto sarebbe entrato in me. Sapevo che avrebbe fatto male, ma mai quanto faceva male la metà del mio cuore in quel momento. Era prossima alla morte. Stavo tradendo la memoria di mio marito. La promessa fatta quel giorno dinanzi al prete. Lo stavo tradendo, senza ritegno, provando piacere. La lingua di Ianto, sulla mia, era sempre più bollente, e mille scariche elettriche correvano lungo la mia schiena fino ad arrivare in un punto ben preciso del mio basso ventre. Senza rendermene conto, arrivammo nella camera da letto, e il giovane mi posò delicatamente sulle lenzuola, fissandomi con ardore. Voleva possedermi, amarmi, farmi sua. Ma voleva anche bearsi di ogni momenti, assaporarlo con lentezza. Prese a spogliarmi con profonda flemma. Un capo d’abbigliamento alla volta. Prima i calzini, poi tirò giù la cerniera della giacca della tuta, e la sfilò facendomi alzare di poco dal letto. Poi cominciò ad alzarmi con movimenti calmi e studiati la canotta, unico indumento che fasciava il mio busto. Chiusi gli occhi assaporandomi ogni istante. Poi quando i miei seni furono scoperti, sentii il respiro di Ianto farsi spezzato e veloce. Quando ritornai a fissare il suo volto, lo sguardo famelico e pieno d’amore mi investii in pieno. Mi desiderava con intensità. Con forza. Mi voleva, e questo mi fece sentire completa e al tempo stesso distrutta. La metà del mio cuore morente stava battendo i suoi ultimi colpi. Ianto scese ad assaggiare un mio seno, e lo assaporò con dolcezza. Sentivo la testa esplodermi, e il desiderio farsi accecante. Volevo di più. Con le mani cominciai a spingere la testa del giovane contro il mio corpo, invitandolo ad andare oltre. I miei ansimi cominciarono a riempire il silenzio della stanza. Ianto, controvoglia, si staccò dal mio seno, e finì di togliere la canotta. Poi alzatosi, prese a sfilarmi i pantaloni della tuta, con calma studiata. Voleva che il nostro desiderio crescesse sempre di più. E ci stava riuscendo. Quando anche i pantaloni della tuta furono tolti, un ultimo ostacolo era rimasto tra noi. Le mie mutande, bagnate di eccitazione. Ianto, senza neanche darmi il tempo di riflettere, si spogliò veloce. E in un battito di ciglia, fu quasi nudo. Come me, anche lui indossava solo le mutande. Tornò a stendersi sul mio corpo, e riprese a baciarmi, facendo incontrare il mio seno e i suoi pettorali. Come avevo sempre immaginato, il giovane era davvero bello. Spalle larghe, muscoli ben definiti, vita sottile, gambe tornite, un leggero accenno di peluria bionda. Era davvero perfetto. Istintivamente aprii le gambe, facendo accomodare in mezzo ad esse, Ianto. I nostri corpi erano quasi del tutto uniti. La sua bocca, ancora sulla mia, succhiava e leccava le mie labbra. E le nostre lingue danzavano in una guerra senza vincitori ne vinti. La mia testa era leggera, e il corpo sembrava quasi volasse. Era tenuto a terra solo per due motivi. Il primo era il peso di Ianto su di me. Il secondo era la metà del mio cuore, fattasi come macigno, che andava a spegnersi velocemente. L’altra brillava e tremava di gioia. Poi, quando il fiato cominciò a mancare, Ianto si staccò da me, fissandomi intensamente negli occhi. Quel ghiaccio penetrante e vivo, mi stava trapassando l’anima. Era pieno d’amore, di felicità. Guardarlo mi riempiva. Era bello poter vedere quanto mi amasse, e sentivo che anche i miei occhi in parte lo ricambiavano. L’altra invece, era spenta e morente. E lui parve accorgersene, perché chinò il capo, e mi baciò la fronte, quasi volesse scusarsi. Poi le sue mani si mossero lentamente, e afferrarono insieme le nostre mutande. Con delicatezza, le portò giù, lasciandoci interamente scoperti ed eccitati. Vidi con la coda dell’occhio, il membro pulsante e scattante del giovane svettare contro la mia intimità. Essa, a sua  volta, era incredibilmente bagnata. Quando poi mi concentrai un po’ di più, notai che il pene di Ianto era di notevoli dimensioni. Ingoiai un po’ di saliva, sapendo che avrei sofferto un po’. Era da molto che non facevo l’amore, e perciò ero, fisicamente parlando, non del tutto pronta ad accoglierlo dentro di me. Il mio cuore morente, invece, temeva con tutto se stesso quell’unione. Lo sentivo nelle orecchie urlare disperato, con le ultime forze, di non farlo. Di tornare indietro, e di lasciarlo vivere. L’altra parte invece mi implorava di continuare, altrimenti sarebbe morta. Non sapevo che fare. Perciò, da perfetta codarda, lasciai prendere la decisione a Ianto. Questi si posizionò meglio in mezzo alle mie gambe, e con una mano condusse il suo membro pulsante vicino alla mia apertura. Chiusi prontamente gli occhi, attendendo tremante. Presto una parte di me sarebbe morta, e come tutte le cose morte, non sarebbe più tornata. Poi, lentamente, il membro di  Ianto scavò in me, procurandomi dolore e un forte bruciore. Il giovane fece piano, attendendo i miei tempi. Le mie mani si strinsero forte sulle spalle del ragazzo, e le mie unghie graffiarono quella meravigliosa pelle. Passarono vari minuti, poi alla fine mi adattai a quell’intrusione nel mio corpo, e mi lasciai andare. Ianto percepì il mio rilassamento, e prese a muoversi lentamente in me. Più spingeva, e più scavava nella mia anima. La metà del mio cuore cominciò a contorcersi. Gli restavano pochi secondi. Quando poi il piacere cominciò ad invadermi, la sentii sussurrare morente. La vedevo, con gli occhi della mente, guardarmi sofferente ed implorante, mentre l’altra vittoriosa, farmi il cenno della vittoria. Non sapevo come sentirmi. Felice o distrutta. Quando poi le spinte si fecero più veloci ed intense, il piacere esplose in me, portandomi ad avere un forte orgasmo. E seppi con precisione, che in quell’istante, la metà del mio cuore aveva esalato l’ultimo respiro. Ianto uscì fuori dal mio corpo e subito dopo rilasciò il suo seme sul mio stomaco. Ma non sentivo più niente. Con gli occhi della mente, ero troppo sopraffatta nel vedere metà del mio cuore morta. Il dolore prese a soffocarmi. Volevo urlare, disperarmi, distruggere. Era come se avessi perduto una seconda volta mio marito. Cominciai a piangere copiosamente tra le braccia di Ianto. Il giovane, vedendo quelle gocce, non provò a fermarle. Anzi. Mi strinse più forte a se, e prese a baciarmi in fronte, con fare protettivo.
<< Ci sono qui io, Lisa >>, mi sussurrò amorevolmente. Non mi sfuggii il fatto che avesse usato il mio nome. Dopo quello che avevamo fatto, sarebbe stato strano il contrario. << Io ci sarò per sempre, amore mio >>.
Così lasciai uscire tutte le lacrime che avevo in corpo. Soffrivo, e vedevo con la mia mente il volto di mio marito sorridente, allontanarsi sempre di più da me.  
 
Appena mi sveglia, sentii i raggi caldi del sole entrare dalla finestra e sfiorarmi lentamente. Il mio corpo, un po’ indolenzito, era nudo, stanco e addossato contro qualcosa di morbido. Spostai di poco lo sguardo, e vidi il corpo di Ianto steso sotto al mio. La mia testa, appoggiata sul suo forte pettorale, e il braccio che lo stringeva in vita. Una mano del giovane invece, era posizionata saldamente sulla mia schiena, quasi come se volesse tenermi più stretta contro il suo corpo. Il suo respiro calmo e cullante conciliavano il sonno. Ma la mia mente, ora attiva del tutto, pensava solo una cosa. Che avevo fatto? Perché mi ero abbandonata al giovane? Come avevo potuto cedere, lasciando morire la metà del mio cuore appartenente a mio marito. Con gli occhi della mente, rividi il suo volto allontanarsi da me. Sentii gli occhi umidi. Stavo per scoppiare nuovamente in lacrime. Ma non volevo. Ne avevo abbastanza di piangere. Lentamente mi alzai, e fissai il corpo nudo del giovane. Non potevo credere a ciò che vedevo, eppure era accaduto realmente. Io e Ianto avevamo fatto l’amore. Ma, invece di sentirmi piena e felice, sentire la parte del mio cuore restante esultare, percepivo la sensazione di vuoto. Quel cuore rimasto a metà era muto, e voleva darmi il tempo di riflettere. Quindi capii. Avevo sbagliato. Non dovevo lasciarmi andare. Soprattutto per i motivi sbagliati, per cui lo avevo fatto. Avevo sempre considerato Ianto la mia colonna portante, e di conseguenza mi ero appoggiata a lui, facendogli prendere sempre tutte le decisioni riguardanti il nostro rapporto. Io, troppo codarda e sofferente, non avevo mai preso in considerazione i sentimenti del giovane, e avevo lasciato a lui il peso di qualunque azione. Mi ero lasciata solo trascinare dalla corrente, senza fare nulla. Se avessi riflettuto un po’ di più, se avessi avuto più coraggio, ora non sarei nel mio letto, nuda con Ianto dormiente accanto. Non mi sentirei vuota e così distrutta. Starei bene. Ma se fossi stata più coraggiosa, probabilmente a settembre non sarei neanche scappata da casa mia, e avrei affrontato li mio dolore. E in tutta quella storia, l’unico che ci avrebbe rimesso era Ianto. Avrebbe sofferto a causa mia, del mio passato e del mio tormento. No, non potevo permetterlo. Se c’era anche un solo modo per proteggere Ianto, lo avrei fatto. E sapevo che c’era una sola cosa da fare. Per una volta dovevo essere io a scegliere, ad agire per il bene di entrambi. Sarei stata coraggiosa, e avrei affrontato quella battaglia. Lo dovevo, a Ianto, a mio marito, e a me stessa. Quella storia doveva finire, ed avrei agito subito. Mi alzai e vestii velocemente. Non persi tempo a preparare nulla, tanto sapevo che dove stavo andando, avrei trovato tutto ciò che mi occorreva. Infilai il cappotto, e scrissi un bigliettino, che poggiai sul mio cuscino. Mi chinai sul volto del ragazzo e gli baciai delicatamente la fronte, sapendo che c’era un’ultima cosa da dire. Sorrisi dolcemente. Poi mi accostai vicino all’orecchio del giovane.
<< Ti amo >>, sussurrai con amore e con profonda disperazione.
Speravo che quelle mie parole gli arrivassero dritte al cuore. Poi mi alzai, e andai alla porta. Il fresco del mattino mi investii. Respirai forte, prendendo coraggio, e mi incamminai, lasciandomi alle spalle un corpo ed un cuore caldo. Un cuore che mi aveva conquistato poco a poco. Ianto
 
Quando Ianto si svegliò quella mattina, si sentì leggero e appagato. Era pieno d’amore. Finalmente, dopo tanti mesi, aveva avuto la donna che amava. Tra qualche settimana avrebbe compiuto diciotto anni, e tutto sarebbe stato perfetto. Sorrise e allungò le braccia cercando un corpo caldo accanto al suo. Ma trovò solo le lenzuola fredde e vuote. Aprì di colpo gli occhi, e si guardò intorno spaesato. Una strana sensazione prese ad animarsi nel petto.
<< Lisa >>, chiamò improvvisamente agitato. << Lisa! >>, urlò più forte.
Quando poi il suo cuore stava traboccando sgomento e terrore ovunque, si accorse di un biglietto sul cuscino e lo afferrò velocemente.
“Mi dispiace immensamente, Ianto. Spero che tu capisca. Tua, Lisa”.
Poche parole, una frase semplice, che ebbe il potere di distruggere Ianto. Fissò la stanza, sperando che quello fosse solo uno scherzo. Ma così non fu. Era solo. E per la prima volta in vita sua, si sentì davvero abbandonato da qualcuno. 




*fa le valgie, infilando il tutto più velocemente possibile*... Oh, salve gente, siete qui *nasconde la valigia dietro la schiena, con sguardo disperato*...ehm, fatte buone feste??? Ok, penso che dovrò scusarmi per molte cose...prima di tutto, il ritardo dell'aggiornamente, ma dovete sapere che in questa settimana non ho avuto un attimo di tempo, e scrivere un capitolo simile richiedeva la mia totale concentrazione...
la seconda, beh, per come sn andate le cose...so che mi odierete, ma credetemi se vi dico che lisa doveva lasciare ianto nudo nel letto...altrimenti i due si sarebbero davvero uccisi a vicenda...per sapere come si evolveranno le cose dovete solo leggere i prossimi capitoli...stiamo arrivando al punto cruciale XDXD...non vedo l'ora...
vi è piaciuta la descrizione della scena di sesso? spero di si, perchè io, rileggendola, non l'ho trovata male...e solitamente sn molto dura circa il mio lavoro...quindi fatemi sapere che ne pensate, tutti voi XDXD
ah, ora che ci penso, da qualche giorno ho aperto una pagina facebook, dove parlerò delle mie storie, posterò anticipazioni, immagini, e commenterò con voi i miei personaggi...mi piacerebbe che passaste per di la...al primo che mette mi piace, farò un super spoilerone sulla storia XDXD promesso!!! 
il link è questo: 
http://www.facebook.com/pages/Moon9292/575772655781797?ref=hl  ... mi farebbe piacere se passasse per di la...
detto ciò, vi lascio con un forte buonanotte...da oggi in po' si riprenderà con la solita pubblicazione il martedi...quindi ci vediamo martedi prossimo XDXD
Un bacio
Moon9292




"Ianto? Ianto è morto! Non esiste più. Adesso c'è solo Ignazio!"

   
 
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