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Autore: Shirangel    09/01/2013    6 recensioni
Il sole dell’inverno non scalda; illumina, ma è freddo. Come i morti.
Comincia ad avere paura, Naruto. I ricordi non muoiono mai.
[Team 7 Centric]
[1° classificata al Matrioska Multicontest indetto da Silvar tales sul forum di EFP e vincitrice del premio epilogo]
Genere: Dark, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dopo la serie
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Quando una persona muore in preda ad una rabbia feroce, nasce una maledizione.
La maledizione si concentra in quel luogo di morte.
Coloro che vi entreranno in contatto saranno travolti dalla sua furia.

[The Grudge]

 

Il sole freddo d’inverno

 

Una voce alle sue spalle.

Sei ancora lì, Naruto?

Una risposta. La sua? Forse, ma non dalla sua bocca.

Sì, sono ancora qui.

 

E allora MUORI!

 

Un dito rosso, poi tre, poi tutta la mano.

Il polso, l’avambraccio, fino al gomito. Rosso.

Naruto vide tutto questo che gli trapassava il torace, portandosi dietro residui di pelle e, probabilmente, di organi. Fu molto veloce, naturalmente, ma lui lo vide al rallentatore.

Era stato colpito da dietro, eppure non aveva bisogno di voltarsi – non avrebbe potuto              per sapere di chi era quel braccio. Gli bastava sapere di chi era quella voce.  

“Sasuke…”

Poi morì, senza potersi accasciare a terra. Il braccio era ancora lì, come un appendiabiti che regge un vecchio maglione usato.

Fu così che cominciò.

 

----°----°----

 

A svegliarlo fu l’insopportabile e irrazionale dolore che gli martoriava il petto. Se lo toccò, incerto, ma non c’era nessun buco.

Naturalmente.

Sotto le dita non c’era altro che la stoffa pesante della tuta, dietro la schiena nessuna traccia del colpo vigliacco. Come poteva essere altrimenti?

Chi avrebbe potuto ucciderlo?

Di certo non un morto.

Si alzò da terra, scrollandosi la polvere di dosso e passandosi una mano tra i capelli. Era quasi apotropaico ripetersi di continuo “Era solo un sogno, un sogno, ecco tutto, era solo un sogno”. Era ritmato, cadenzato come una delle canzoncine sciocche che ti fanno imparare all’asilo. Forse un tempo si sarebbe concesso una risatina nervosa per sdrammatizzare l’inquietudine che gli stava rodendo lo stomaco, ma ormai era da così tanto che nemmeno sorrideva che ridere gli avrebbe stirato ogni muscolo facciale.

Uscì dal nucleo principale di quello che un tempo avrebbe potuto formare un piccolo villaggio, ormai disabitato, senza riuscire a tirarsi fuori da quella specie di limbo.

Mentre varcava la soglia e la brezza mattutina gli sfiorava la pelle, sentì sul viso i raggi del sole ormai alto nel cielo.

Naruto rabbrividì. Era il sole dell’inverno. Un sole così freddo da sembrare morto.

È questo postaccio a farmi questo effetto, ecco tutto. Non devo tornarci.

 

----°----°----

 

 “Non devi tornarci.”

Naruto quasi si rovesciò la ciotola di ramen sui pantaloni quando Sakura pronunciò ad alta voce quello che era stato uno dei suoi pochi pensieri lucidi della giornata.

In attesa di una spiegazione a quell’apparente telepatia, l’osservò mentre si sedeva su uno degli sgabelli dell’Ichiraku e si guardava nervosamente intorno. Non lo vide mentre la fissava.

La kunoichi era terribilmente pallida ed emaciata. Aveva tentato di farsi crescere i capelli, forse per coprire l’allarmante spigolosità dei suoi zigomi, ma il risultato non era dei migliori. Anche il bel rosa acceso di un tempo sembrava sbiadito, e le ciocche flosce che le cadevano sul petto sembravano pericolosamente fragili. Come lei.

Sakura stava morendo piano piano, senza dare nell’occhio, discreta. Come se non volesse dare fastidio a nessuno mentre si congedava da quella vita.

Agonizzava per una ferita invisibile agli occhi, ma che Naruto vedeva e sentiva sulla sua stessa pelle. Quella che mangiava il cervello a lei e tormentava lo spirito di lui.

“Oggi pioverà” sentenziò la ragazza, mentre torturava con i denti le unghie già rosicchiate fino alla carne viva. “Piove sempre, di questi giorni. Ma non è triste.”

Naruto assentì, piano, e tornò al suo ramen sforzandosi di ingoiare il groppo che gli ostruiva la gola. All’improvviso solo la vista di quella ciotola gli dava la nausea.

Non pioveva da mesi, ormai. La siccità che aveva fatto cadere in ginocchio Konoha si era protratta per tutto l’autunno.

Sakura si afferrò una ciocca di capelli e tirò, forte. Le radici si strapparono docilmente, senza opporre resistenza, e la ragazza si ritrovò con tanti inutili fili rosa tra le dita.

 “Mi stanno cadendo i capelli, vedi? Vanno via tutti. Presto non me ne rimarranno più.”

Scoppiò a piangere di botto. Davvero, senza alcun preavviso. Senza tremolii di labbra, o singhiozzi trattenuti, o occhi velati. Le lacrime sgorgarono quasi da sole.

“Naruto, Naruto, i capelli mi cadono, è lui che me li tira di notte, io lo so, mi vuole punire, e adesso… adesso…”

Fu in quel momento che urlò come una bestia ferita. Un urlo senza parole, forse perché le parole non bastavano, o forse si era dimenticata quelle di cui aveva bisogno per esprimere tutta la sua disperazione. Un urlo che trasudava dolore e faceva male alle orecchie, agli occhi, al cuore. Tutti quelli che la sentirono distolsero lo sguardo, imbarazzati, come se non guardarla l’avrebbe fatta scomparire, o almeno tacere. Ma lei era sempre là e urlava, urlava…

Il ragazzo le prese i polsi, dolcemente, e le impedì di afferrarsi di nuovo i capelli. Il momento di lucidità se n’era andato ed era durato meno del solito, ed era improbabile che ritrovasse abbastanza calma per spiegargli dove non doveva tornare.

“Va tutto bene, Sakura-chan, stai sognando. È un incubo. Tutte le cose che ti fanno male non sono mai accadute. Non esistono. Quando ti sveglierai lui sarà qui e tu sarai felice.”

Aveva il vago sospetto di aver ideato su due piedi quella spiegazione con l’aiuto del suo subconscio, ma non aveva voglia di farsi tante domande.

Sakura sbatté un paio di volte le palpebre e Naruto la vide sforzarsi disperatamente di credere alle sue parole, poi scendere dallo sgabello per avvicinarsi a lui e appoggiarsi al suo petto.

La vide ma non la sentì, perché una barriera di niente da troppo tempo gli impediva di sfruttare a pieno i cinque sensi. Era come se la realtà gli arrivasse ammortizzata, e forse era meglio così. Probabilmente se quel muro non fosse esistito, lui sarebbe stato proprio come lei.

“Oh, Naruto…”

Con la coda dell’occhio il ragazzo notò che Sakura  si stava pizzicando distrattamente i polsi, lasciandosi brutti segni sulla pelle; erano giorni che, durante le sue sempre più frequenti crisi, aveva preso questa strana abitudine e non c’era verso di fermarla se non immobilizzandola o addormentandola. Una volta si era lacerata la pelle a tal punto da provocarsi un’emorragia.

Le accarezzò la nuca, sforzandosi di non rabbrividire quando sentì sotto le dita le escrescenze procurate dalla violenza con cui la ragazza si strappava i capelli. Ne rimanevano pochi davvero. Poi le sfiorò la bocca e fece scivolare tra le sue labbra dischiuse una caramella che nonna Tsunade gli aveva dato per quando le crisi di Sakura diventavano troppo pericolose.

O strazianti.

Lei inghiottì la pasticca docilmente e dopo pochi secondi il ragazzo sentì il peso della kunoichi raddoppiare. Si era addormentata, non prima di avergli sussurrato poche parole all’orecchio.

Naruto la prese tra le braccia per riportarla nella casa da cui sicuramente era scappata, visto che non le era permesso, per ovvi motivi, uscire senza qualcuno che la sorvegliasse.

Mentre camminava, si chiese se era il sole d’inverno a congelargli le lacrime negli occhi o se aveva perso anche la forza di piangere.

Le parole di Sakura gli rimbombavano nella testa.

“Non… tornare… a casa Uchiha.”

L’avrebbe fatto.

 

----°----°----

 

Naruto bussò, cauto, forse per educazione o per abitudine, o forse perché un gesto tanto normale lo aiutava a non impazzire tra le tante cose non normali che vedeva

e sognava

ogni giorno.

Non aspettò a lungo una risposta che non sarebbe arrivata.

Entrò nella piccola abitazione e trovò il maestro Kakashi dove lo trovava ogni volta: seduto sulla poltrona, nel buio, mentre lanciava distrattamente kunai che rimbalzavano sul muro con un tintinnio quasi spettrale e poi cadevano a terra, dove nessuno li avrebbe raccolti. Attorno a loro, un delirio di mobili sfasciati e piatti in mille pezzi.

Si sedette su una sedia senza aspettare un invito che non gli sarebbe stato porto.

“Ti ho detto di non venire qui.”

La voce del maestro si era arrochita, e quel suono cavernoso poco si addiceva al viso scheletrico dove la maschera, ormai, si afflosciava sopra un volto che non riusciva più a riempirla.

Anche il suo maestro era diventato un morto vivente.

“Se non lo faccio io, chi glielo porta da mangiare, Kakashi-sensei?” rispose Naruto senza sorridere.

Lui non rispose, ma smise di lanciare i kunai e prese la ciotola che il suo vecchio allievo aveva posato sul tavolo. Non guardò nemmeno cosa vi era contenuto e si limitò a mangiare per puro spirito di sopravvivenza.

“Un giorno ti ammazzerò.”

“Si metta in fila. Quel primato lo vuole Sasuke.”

A quelle parole il corpo di Kakashi si irrigidì all’improvviso e Naruto si accorse dell’errore commesso troppo tardi. Le mani del sensei iniziarono a tremare, la ciotola gli schizzò via dalle mani e si infranse a terra con un terribile rumore di vetri rotti che risuonò nell’improvviso silenzio.

“Sasuke” ripeté l’uomo, borbottando.

“Sensei…”

Lui non lo guardò nemmeno, apparentemente ignaro del suo debole richiamo.

“Sasuke… lo devo uccidere.”

Naruto si alzò lentamente dalla sedia, pronto a scattare. Gli attacchi di rabbia dell’uomo potevano essere pericolosi, e adesso che ne aveva inavvertitamente istigato uno doveva uscire da lì più in fretta che poteva.

“Non loro, non Sakura, non Naruto. Io.” Kakashi continuò a scuotersi. Ormai era vicino all’esplosione. “Non posso dargli questo peso. Lo devo ammazzare.” Faceva fatica a respirare e ormai ansimava vistosamente.

Il Jinchuuriki  arretrò con cautela verso la porta e allungò una mano all’indietro cercando a tastoni la maniglia. Presto sarebbe stato troppo tardi. Forse lo era già.

“Dovevo essere IO!” con un ruggito feroce l’uomo scagliò un kunai con tanta forza che questo si conficcò nel muro, sibilando a pochi centimetri di distanza dall’orecchio destro di Naruto. Gli occhi di Kakashi si dilatarono vistosamente.

“Sensei, si calm-“

Ma era impossibile tranquillizzare Kakashi durante una delle sue crisi di aggressività compulsiva, e il ragazzo lo sapeva. Mentre il sensei gli si gettava addosso Naruto si voltò verso la porta ed uscì di corsa, chiudendola dietro di sé. Mentre scappava, non sapendo se fuggiva dalla realtà o dal vecchio maestro, sentì l’urto di una sedia che veniva sfasciata contro il muro e urla inconsulte ad accompagnarlo.

Naruto chiuse gli occhi, rimpiangendo di non potersi tappare entrambe le orecchie con l’unica mano che aveva.

 

----°----°----

 

L’attacco di Sasuke a Konoha, oltre la sanità mentale di Sakura, la pace interiore di Kakashi e la mano sinistra di Naruto, si era portato via anche metà del villaggio della Foglia proprio sotto gli occhi di quel che rimaneva del team 7: quasi tutta la loro generazione, tranne Neji, Shikamaru e Sai; molti jonin, tra cui Gai e Shizune; infine, Sasuke stesso.

Aveva combattuto con Naruto fino allo sfinimento, fino a quasi morire, fino a quando non erano caduti in ginocchio uno davanti all’altro. Fino a che Sakura non lo aveva pugnalato alle spalle con un kunai imbevuto di lacrime.

La kunoichi ne sapeva abbastanza di medicina per sapere perfettamente dove colpire per trafiggere il cuore ed evitare una ferita superficiale che gli avrebbe permesso di avere il tempo necessario per contrattaccare.

E Sasuke era morto lì, ancora in ginocchio, con gli occhi sgranati e senza capacitarsi della sua disfatta. Aveva sollevato un braccio mentre il fiore rosso sul suo petto si stava espandendo, aveva allungato la mano fin quasi a sfiorare il volto del suo eterno amico-nemico. Naruto aveva alzato di scatto le dita che gli rimanevano per intrecciarle alle sue, ma era troppo tardi.

Sasuke era già morto.

Naruto avrebbe sognato quel braccio che si allungava verso di lui innumerevoli volte. Era quello il braccio che gli aveva perforato il torace la prima volta che, vagabondando insonne, si era ritrovato come guidato da un incantesimo a casa Uchiha.

A quell’ultimo gesto avrebbe cercato di dare mille interpretazioni. La richiesta di assoluzione di un nukenin pentito? Il rimpianto per l’amarezza del tempo sprecato? L’affetto che gli aveva sempre negato?

Non l’avrebbe mai saputo. Sasuke Uchiha era morto prima di poterglielo dire, e questo sarebbe stato il suo più grande rimpianto.

 

----°----°----

 

Naruto tossì. Sebbene si fosse rifugiato di nuovo nella vecchia casa degli Uchiha, che la notte precedente si era rivelata un ottimo farmaco contro l’insonnia, malgrado gli spiacevoli effetti collaterali, non riusciva ad addormentarsi.

Forse era a causa di quella strana sensazione che gli opprimeva lo stomaco…

Tossì di nuovo e il disagio si spostò più su, risalendo fino all’esofago. Era come… come se…

Non riuscì a reprimere un altro violento attacco di tosse e con orrore sentì qualcosa che strisciava dentro di lui. Era grosso e percepì chiaramente che gli graffiava le pareti della gola. Avvertì del liquido caldo che colava dai tagli.

Si inumidì la bocca e sputò. Il pavimento si macchiò di sangue.

La cosa stava raggiungendo la sua cavità orale. Ormai l’aria raggiungeva a stento i polmoni e Naruto non si arrischiò a urlare per paura di sprecare il poco ossigeno che riusciva a inghiottire.

La cosa picchiò contro i suoi denti. Lui aprì lentamente le labbra, tremando, e la mano cominciò ad uscire. Era di nuovo rossa di sangue, il suo. La seguì l’avambraccio e sicuramente stava per arrivare un gomito.

Naruto si chinò e vomitò liquido ematico e bile. Le sue ultime particelle di ossigeno raggiunsero i polmoni.

Afferrò la cosa per il polso con l’unica mano rimasta e tirò con tutte le sue forze, urlando solo nella sua mente per il dolore. Qualcosa si inceppò contro la gola, ostruendola, il cuore di Naruto sussultò per l’ultima volta e poi si fermò per sempre.

La mano rientrò strisciando da dove era venuta e lasciò il cadavere lì, con la bocca spalancata e gli occhi striati di terrore.               

 

----°----°----

 

Naruto si svegliò di soprassalto, sicuro che qualcuno lo stesse strangolando, ma i suoi occhi non videro che le pareti di casa Uchiha.

Senza pensarci, la sua mano saettò verso il collo certa di trovarlo dolorante, ma era la sinistra e si ritrovò a stringere il vuoto. Appena dopo il polso l’avambraccio era stato tranciato di netto e non rimaneva che un moncherino dolorante.

Naruto tossì e sentì la gola bruciare come se avesse inghiottito braci ardenti. Rabbrividendo se ne andò di corsa, e forse fu un bene che non sentì la risata gutturale che si propagò nell’ombra.

Tanto l’aveva solo immaginata.                               

Tanto l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il letto di casa sua che era dove, avrebbe potuto giurarci, si era addormentato poche ore prima.

 

----°----°----

 

­­­­­Il villaggio della Foglia appariva ogni giorno di più come una città fantasma; probabilmente questa illusione era data dall’aspetto spettrale dei suoi abitanti, ormai sempre meno simili ad esseri umani.

Gli atri villaggi avevano sopportato meglio la siccità, forse perché non erano stati straziati dalla perdita dei loro migliori shinobi, ma gli approvvigionamenti che spedivano a Konoha sembravano non bastare mai. La razione quotidiana che spettava a ogni abitante si riduceva drasticamente mano a mano che si avvicinava la fine del mese.

Sebbene fossero le ore più luminose della giornata, le strade erano vuote e Naruto chiuse gli occhi per non guardare il villaggio di cui, in un’altra vita, sarebbe voluto diventare Hokage. Il sole splendeva nel cielo senza nubi, ma non si illudeva nessuno.

Illuminava, quel sole, ma era freddo.

Naruto si fermò davanti a una delle case che, come tante altre, a prima vista sarebbe parsa disabitata. E in effetti, ormai lì ci vivevano solo fantasmi.

Bussò, piano, e in pochi secondi uno spiraglio si aprì, sospettoso.

L’uomo dietro la porta aveva riconosciuto subito Naruto, ma non per questo lo invitò ad entrare.

“Come sta Sakura-chan?”

“Come tutti i giorni da quando è tornato quel maledetto.”

Il ragazzo non riuscì a biasimare il padre di Sakura. Sasuke si era portato via anche sua moglie.

“Posso vederla?”

Il volto dell’uomo si addolcì un poco e lo spiraglio si fece più spazioso.

“Vai a casa, Naruto-kun” rispose. “Non puoi fare nulla per lei.”

La porta si chiuse con delicatezza, ma lo shinobi sentì il rumore del catenaccio. Dal piano di sopra si udì una voce di ragazza che intonava una nenia, dolce e amara, triste e sadica.

Le parole non erano comprensibili, ma ciò non impedì a Naruto di sentirsi stringere il cuore in una morsa.

 

----°----°----

 

La ragazza sorrise. Erano due giorni che non dormiva, e la voce le aveva promesso che se avrebbe resistito per un altro paio d’ore avrebbe potuto rivederlo.

Canticchiò ancora, a bassa voce per non svegliare il padre. Sasuke era così vicino.

Continuò a tenersi gli occhi aperti con le dita mentre ricordava la prima volta che aveva sentito la voce, la sua unica fonte di gioia. Le sussurrava quanto era carina, che brava kunoichi che era, l’amore che Sasuke non aveva mai ammesso ma che provava per lei.

Era tutto così bello, nel suo mondo malato.

Uno scricchiolio nell’ombra la fece voltare di scatto. Il suo istinto da ninja esisteva ancora, da qualche parte, sebbene ormai non riuscisse nemmeno a capire cos’era il chackra.

Il baule nascosto sotto il letto tremava. Sfiorandolo si sentì gelare la punta delle dita, ma non le importava, perché doveva aprirlo. Sbloccò la serratura ed alzò il coperchio, in trepidante attesa.

Il coprifronte di Sasuke era adagiato su uno scampolo di tessuto rosso e le parlava. Era da lì che veniva la voce, sua migliore amica da quando aveva raccolto di nascosto quella vecchia placca di metallo dal corpo del suo innamorato. In realtà Shizune l’aveva vista mentre se lo nascondeva tra le pieghe del vestito, dopo l’autopsia, ma quella ragazza le aveva fatto così pena che non aveva detto nulla.

Sakura

“Sì” mormorò lei. “Sì, sono qui.”

È ora. Vieni, ti sta aspettando.

Lei non perse tempo. Si era già preparata da ore.

Corri, Sakura. Corri.

 

----°----°----

 

Kakashi era nervoso. Fracassare piatti contro il muro e distruggere mobili non gli bastava più.

La rabbia che lo corrodeva lo avrebbe fatto impazzire, se non avesse trovato un modo per espellerla.

In realtà, anche se non voleva pensarci, Kakashi sapeva che lo avrebbe mangiato vivo. Glielo aveva promesso. Aveva giurato di divorarlo e lui ci credeva.

La foto del team 7 era scivolata sotto a una poltrona, dimenticata e piena di polvere. Alla figura scontrosa di Sasuke mancava la testa. Dopo averla notata Kakashi considerò la valvola di sfogo che poteva diventare e la recuperò con uno scatto. Continuò pigramente a sfregiare il corpo del suo ex allievo con un kunai, tracciando solchi sottili sulla superficie cartacea.

Grugnì, insoddisfatto. Non sanguinava.

Sangue? È questo che vuoi?

 “Sì” pensò “Lo voglio.”

Sai dove andare. Perché non ci vai?

“No” sibilò lui rivolgendosi al mostro nella sua testa. “Non lo farò.”

Una risata. Un’altra voce.

Avanti, Kakashi-sensei. Io sono qui.

Un ghigno nell’ombra. Era lui.

Gli occhi dell’uomo si venarono di rosso e i suoi pensieri si offuscarono nell’oblio. L’ultima traccia di autocontrollo nella sua mente ormai alla deriva sparì.

Kakashi Hatake si alzò lentamente in piedi, aprì la porta e uscì. La risata di Sasuke continuava a rombargli nelle orecchie: lo stava facendo impazzire.

 

----°----°----

 

La notte era calata presto. Naruto quasi non vedeva dove stava andando mentre arrancava per le strade, diretto alla matrice dei suoi recenti incubi. Non sapeva perché ne fosse così certo, ma era sicuro che la risposta che voleva si trovava lì. Anche se non riusciva a ricordarsi la domanda.

Una volta arrivato al quartiere del villaggio dove la famiglia Uchiha era stata relegata, si avvicinò alla porta di quella che era stata l’abitazione principale. Toccò l’uscio rovinato dal tempo e dalla trascuratezza, cercando il suo migliore amico in ogni nodo del legno.

Dove sei, Sasuke?

Non si sorprese quando non gli arrivò nessuna risposta. In fondo, la sua mente non era ancora degenerata come quella di Sakura e Kakashi.

Lentamente, come a non voler disturbare persone che da anni ormai non vivevano più lì, aprì la porta. L’atrio era scarsamente illuminato da una delle torce sistemate lungo il muro che qualcuno aveva acceso, ma i suoi occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi alla penombra.

La prima cosa che vide furono i piedi, fasciati in un paio di scarpette verdi con il tacco alto. Poi notò l’elegante vestito a fiori e i guanti bianchi.

Infine arrivò al collo, decorato da un cappio appeso al soffitto.

Sul volto di Sakura campeggiava ancora l’espressione di trionfante felicità che aveva quando era morta. Lo fissava con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta e sembrava invitarlo a raggiungerla in un mondo dove le ombre non esistevano.

Naruto indietreggiò fino alla porta, e quando l’ebbe chiusa dietro di sé scappò a perdifiato verso il cortile di casa Uchiha.

Corse fino a quando un sasso nascosto tra l’erba gli fece perdere l’equilibrio. Rotolò a terra, poi rimase disteso sul prato a faccia in su, ansimando.

Se non si fosse dato una mossa, Sasuke avrebbe raggiunto anche lui.

 

----°----°----

 

Kakashi, guidato dalla voce nella sua testa, seguì il percorso che gli veniva indicato sapendo benissimo dove, infine, sarebbe giunto.

Ed eccola lì, maestosa nella sua decadenza. Casa Uchiha lo fissava sogghignando come colui che era stato il suo ultimo abitante.

Sto arrivando

Strinse la presa sul kunai assicurato alla cintura. Non se lo sarebbe fatto scappare ancora. Avrebbe sistemato le cose e salvato i suoi allievi. Sarebbe tornato ad essere il degno erede di Zanna Bianca.

Spalancò la porta con un calcio e la sua mente folle non gli permise di vedere il cadavere di Sakura che penzolava al centro della stanza: il suo unico pensiero era l’obiettivo che si era preposto. Tutto il resto era solo una grande, appiccicosa pozza di sangue.

Si immobilizzò, in silenzio, in attesa che l’avversario manifestasse la sua presenza. Quando sentì il corpo che cadeva a terra, sorrise sotto la maschera ed estrasse il kunai.

Sto arrivando.

 

----°----°----

 

L’emicrania lo tormentava come uno sciame di zanzare; evidentemente aveva battuto la testa quando era caduto, ma non gli importava.

Era tutto così offuscato che perfino i suoi stessi pensieri gli sfuggivano.

La nenia ricominciò e lui si ritrovò a canticchiarla inconsciamente, senza sorprendersi di conoscerne le parole. Il mondo dove Sakura-chan lo stava aspettando non gli sembra più così spaventoso. Forse lì avrebbe trovato anche Sasuke, e lui non sarebbe scappato più.

“Parlami” disse al vento.

Sasuke parlò.

“Vieni da me” implorò il nulla.

Sasuke venne. Il suo braccio si protendeva ancora una volta verso di lui, ma ora stringeva un kunai. L’occhio rosso di Sharingan brillò nel buio.

Naruto sorrise. Era un altro dei suoi sogni, non si sarebbe fatto ingannare.

Si lasciò trapassare il petto senza accennare un movimento, senza provare alcun dolore. Quella volta Sasuke lo aveva accarezzato nascondendo la morte tra le dita, come se non volesse fargli del male mentre lo uccideva. Naruto alzò la mano che gli rimaneva e strinse quella del suo ritrovato migliore amico, intrecciando le loro dita. Erano calde e non sentì freddo mentre l’arteria tranciata pompava sangue fuori dal corpo.

Morì con gli occhi aperti, mentre guardava il nulla che per lui aveva gli occhi di Sasuke, sorridendo mentre finalmente quel braccio si trasformava nella carezza che non era mai diventato.

Kakashi, dopo aver accoltellato il suo ultimo allievo, si squarciò il ventre e rovinò al suolo senza un lamento. Finalmente poteva chiudere gli occhi; finalmente era tutto a posto.

Quando il sole invernale sorse, la mattina dopo, non insidiò nessuno con i suoi raggi malevoli, perché era coperto da nuvole cariche di pioggia: la siccità era finita.

Proprio come il team 7.

 

 

 

Note dell’autrice:

La mia prima storia horror <3 Da amante del genere, prima o poi avrei davvero dovuto scriverla!

Comunque, spero che abbiate apprezzato. A me è piaciuta da matti scriverla e ha segnato il mio ritorno in questa sezione dopo lunghi anni di assenza (l’ho scritta a settembre, suppergiù). Quindi le sono legata indissolubilmente <3 Ringrazio la giudice Silvartales per il suo lavoro eccezionale.

Mi lascerete un commento per farmi felice, vero? <3

   
 
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