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Autore: Seele    09/01/2013    0 recensioni
Non ancora, pensai, con un tono mentale a metà fra il deciso e il disperato, non è ancora finita!
Mi avvicinai il più possibile a lei, per quanto la gamba facesse male, per quanto dovessi spingermi avanti senza poter alzarmi e avanzare fra le macerie, per quanto non vedessi più nemmeno un barlume di luce in quell'oscurità.
Gli ostacoli erano tanti, ma ero sicura che li avrei superati. Quando c'era Simona, io e lei superavamo tutto. Qualsiasi cosa, qualunque litigio. Facevamo presto pace. Quante volte la nostra amicizia aveva subito degli scossoni, come la terra in quei momenti? E quante volte, invece, quel terreno su cui avevamo costruito il nostro essere amiche era stato più solido e sicuro che mai?
Avremmo superato tutto, insieme, stavolta come le precedenti: anche la morte, se necessario.
Perché la nostra amicizia è la cosa più importante e preziosa del mondo. La cosa più bella, forte, invincibile che esista.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Sempre

È un altro giorno di scuola, solo un altro giorno di scuola. Come ce ne sono sempre stati, come sempre ce ne saranno.

Ero persa nei miei pensieri mentre varcavo la soglia della mia aula; il fatidico 21 Dicembre 2012, data della fine del mondo secondo i Maya, era arrivata, ed io ero molto scettica al riguardo. Ma sapevo che qualcun altro non era affatto del mio stesso parere...
"Auguri, Marta", fece subito Giulia, vedendomi arrivare. Mi venne incontro e mi abbracciò, io ricambiai il suo abbraccio alzando gli occhi al cielo.
"Giù, guai a te se adesso dici che..."
"La fine del mondo è oggi!", mi interruppe lei, dicendo le esatte parole che mi aspettavo. Mi portai una mano sul viso, emettendo un forte sospiro.
"Siamo ancora vivi, o sbaglio? Il mondo non finisce proprio per niente. Te lo vuoi mettere in testa?"
"Certo, che siamo ancora vivi", ribatté lei con tranquillità, "la fine arriva sempre quando meno te lo aspetti."
Le lanciai un'occhiataccia e non le risposi nemmeno, limitandomi a prendere posto al mio banco.
Andai dalla mia migliore amica, chiedendole di sedersi con me; non volle. Una risposta secca: "no".
Evidentemente, oggi aveva la luna storta. Provai ad insistere, infine me ne tornai al mio banco.
Io e Simona siamo sempre state amiche, sin dalla terza media. Ormai siamo migliori amiche da più di due anni; è la prima volta che qualcosa, nella mia vita, dura così a lungo. E non ho nessuna intenzione di porre fine alla nostra amicizia, né ora, né mai.
Una volta, Simona disse che la nostra amicizia era destinata a finire; non le credetti, e tutt'ora non le credo.
A volte litighiamo, questo è vero...proprio come quella volta. Mi perdevo nei miei pensieri proprio allora, seduta al mio banco, mentre la professoressa sedeva alla cattedra.
"Io non volevo venire a scuola, oggi", sentii dire da Giulia, al primo banco. La sua compagna e lanciò un'occhiata divertita.
"Tu non vuoi mai venire a scuola", ridacchiò sottovoce, malignamente.
"Che c'entra?", replicò lei, facendo una smorfia strana. "Oggi è la fine del mondo."
"È solo la fine del calendario Maya, non è la fine del mondo", Luigi iniziò a sparare cavolate su cavolate come al suo solito, e finsi di ascoltarlo annuendo ogni tanto e mormorando qualche "infatti", "già" e "lo penso anche io" quando si fermava a riprendere fiato o, guardandomi storto, mi chiedeva una conferma.
Incrociai le braccia al petto, scendendo un po' da seduta per sistemarmi in una posizione più comoda.
E se oggi fosse il mio ultimo giorno?, pensai. Guardai per un attimo tutti i miei compagni di classe.
Accidenti, aggiunsi con un'espressione seccata, sarebbe stato meglio se fossi a casa mia a leggere manga e a sclerare davanti alla televisione.
Luigi mi guardò male e mi chiese il perché di quella faccia. Agitai la mano come a voler scacciare quelle preoccupazioni e poi lui ricominciò a parlare.
"Dicevo", solo per curiosità ascoltai la lezione della professoressa, "i terremoti si possono misurare con scale diverse, per esempio..."
Prima che potesse continuare, tutto l'edificio iniziò a tremare. La professoressa, in piedi davanti alla lavagna, cadde rovinosamente a terra, e alcuni banchi si rovesciarono. La lavagna sbatté contro il muro e i quadri si staccarono, tutti i cellulari poggiati su un banco si dispersero a terra e alcuni li afferrarono prontamente. Per un momento vidi persino qualcuno che cercava di tenere il polso alto per registrare l'evento.
"Dobbiamo uscire!", tutta la classe si riversò disordinatamente fuori dall'aula, incurante delle parole della professoressa che urlava di uscire compostamente nei corridoi. Mi fermai fra la folla a guardarmi intorno: dov'era Simona?
Leonardo mi si fermò accanto. "Che ci fai qui?", esclamò, per coprire il chiasso. Mi afferrò per un polso, senza curarsi delle mie proteste, e mi portò fin fuori dall'edificio.
"Aspetta, lasciami!", obiettai, liberandomi bruscamente dalla sua presa. "Devo trovare Simona!"
Feci come per tornare indietro, ma proprio allora mi ritrovai Simona davanti. Lei mi disse qualcosa, ma non l'ascoltai; vidi il gradino sotto ai suoi piedi traballare pericolosamente. La tirai verso di me senza troppa delicatezza, un attimo prima che il pavimento crollasse.
Mi stupii nel vedere Leonardo e Giulia ancora davanti a noi; quest'ultima iniziò a correre verso una meta non precisa, e tutti la seguimmo. Gli edifici stavano crollando uno dopo l'altro; dove rifugiarci? Cosa fare?
Raggiunsi Giulia, che aveva iniziato a correre prima di me. Lei si voltò un attimo e mi disse entusiasta: "hai visto? È la fine del mondo!"
Vidi Simona lanciarmi un'occhiataccia. Volevo parlarle, chiederle scusa per qualsiasi cosa avessi fatto, dirle che le volevo bene anche in un momento come quello, anche se era arrabbiata per qualche motivo. Ricordai il nostro discorso l'ultima volta che avevamo litigato.

"Non mi vuoi più bene?"

"Sei tu che non me ne vuoi più."

Leonardo mi distolse dai miei pensieri, indicando mentre correva un luogo che, all'apparenza, sembrava sicuro. Mi accorsi che eravamo già in pochi; non c'era ombra di nessun altro mio compagno di classe. Anzi, per essere sincera, non c'era ombra proprio di nessuno.
Ci sedemmo a terra, lì. Strinsi le ginocchia al petto, guardando in direzione di Simona.
"È la fine", mormorò Giulia. "Lo è davvero."
Leonardo alzò un sopracciglio. "Te ne stupisci?"
Le scosse erano finite da un po': forse era stata solo una casualità. Il ragazzo si alzò in piedi dopo una manciata di minuti, guardandosi intorno.
"Dove vai?", domandò Simona, precedendomi.
"Vedo se c'è qualcuno in giro."
"No", dissentii, "non farlo! Se dovesse esserci un'altra scossa, tu..."
Giulia estrasse dal suo zaino quattro ricetrasmittenti, e ne porse due a me e a Simona, tenendone una per sé. Poi porse l'ultima a Leonardo.
"Se c'è qualche problema, o se trovi qualcuno", raccomandò, "facci subito sapere."
Leonardo annuì. "Sì, non preoccupatevi."
Fece come per andarsene, ma poi tornò un attimo indietro verso di me e mi fece una carezza veloce sulla testa, come al suo solito. Gli sorrisi debolmente, a malincuore. Avrei voluto alzarmi, dirgli che gli volevo bene e abbracciarlo fino a soffocarlo; ma non feci nulla di tutto questo, perché sarebbe stato come un saluto definitivo. E io non volevo ci fosse nessun addio.
Lo osservai finché non divenne solo una figura lontana.
"Siamo sole", mormorai.
"Probabilmente siamo le uniche vive", aggiunse Giulia.
"Ma che dici?", sbottò Simona. "Di certo c'è qualcun altro. E poi, le scosse sono finite da un pe-"
Prima ancora che riuscisse a finire la frase, la terra si mosse di nuovo. Il nostro rifugio tremò pericolosamente, e subito Simona si alzò in piedi.
"Via di qui, presto!"
Mi premurai soltanto di afferrare la ricetrasmittente che avevo poggiato a terra, poi mi allontanai correndo. Era difficile persino stare in piedi, mentre correvamo in mezzo alla strada, il più lontano possibile dagli edifici. Quando fummo abbastanza lontane, mi voltai un attimo e vidi la scuola crollare in pezzi.
Un sogno tipico dei bambini, insomma, che diventava improvvisamente realtà; ma quello non era affatto un sogno. Era un incubo, e dovevo svegliarmi in fretta.
"Attenta!"
Improvvisamente mi ritrovai a terra, i palmi delle mani mi bruciavano. Mi misi seduta, trovando a pochi passi da me Simona accigliata, improvvisamente pallida.
Non disse una parola, e io seguii la direzione del suo sguardo; mi aveva appena salvato. Una cascata di cemento era appena caduta giù sulla strada, proprio dove stavo camminando solo pochi istanti fa.
Simona si riscosse e mi porse un braccio per aiutarmi ad alzarmi. Le afferrai la mano e mi sollevai.
"Vedi di non distrarti", borbottò sottovoce. Le sorrisi appena, sperando in un segno di riconciliazione, ma lei si voltò in fretta e ricominciò a correre. La seguii.
"Aspetta, Simona!", la chiamai, come se fosse un giorno qualsiasi e non ci fosse ancora un terremoto a scuotere la terra, "persino oggi hai intenzione di tenermi il broncio? Avanti, è la fine del mondo!"
"Marta ha ragione", urlò Giulia, da dietro di noi. Simona sbuffò e non ci diede ascolto.
"Oh, Simona!", continuai imperterrita. "Non puoi essere arrabbiata. Non oggi!"
Stavo per dire qualcos'altro, quando notai alcuni corpi a terra. Mi fermai, osservandoli.
Simona si era fermata prima di me, e pochi istanti dopo sentii anche i passi di Giulia fermarsi.
"Sono morti", dissi in un sussurro. Alcuni nostri compagni di scuola, di cui ne conoscevo qualcuno, erano accasciati sull'asfalto o riversi sulle automobili. A un ragazzo, probabilmente nell'atto disperato di scappare, era caduto addosso un motorino e l'aveva schiacciato.
"Questo vuol dire che...", mormorò Simona, ma come sempre le lessi nel pensiero e l'anticipai.
"Questo vuol dire che ci troviamo in una zona a grosso rischio sismico. Dobbiamo sbrigarci!"
Ricominciammo a correre, e iniziavo a sentirmi stanca. Azionai la ricetrasmittente, in pensiero per Leonardo.
"Leo, ci sei?", domandai affannando.
"Sì, qui sono a posto."
"Hai sentito la scossa di prima?"
"Accidenti, se l'ho sentita!"
"Stai bene?"
"Sì, non preoccuparti. E voi?"
"Ho rischiato di morire, a parte questo direi ok."
"Comunque, qui...solo morti."
Guardai tristemente in basso, osservando pezzi di cemento ai miei piedi. "Sì, qui lo stesso."
"Restate in linea."
"Anche tu."
Simona si voltò verso di me, era più avanti di noi. "Sta bene?"
"Sì", le risposi, "ma non ha trovato nessun superstite!"
Simona accelerò il passo, ma per me cominciava ad essere impossibile starle dietro. Una nuova scossa mi fece quasi perdere l'equilibrio, e per un attimo temetti sul serio di cadere.
Un forte rumore mi arrivò alle spalle, e immaginai che fosse l'ennesimo muro che crollava. Mi fermai, affannando, chiamando Simona a gran voce. Non mi sentiva...allora mi voltai verso Giulia, la scossa era già finita. E la trovai a terra.
"Giulia!", esclamai, allarmata. Giaceva sull'asfalto, e la sua testa era immersa in una piccola pozza di sangue.
Guardai verso l'alto; a caderle addosso era stato il vetro di un lampione a cui era caduta la lampadina. Le presi delicatamente la testa insanguinata, adagiandola su un braccio, e la trascinai lontano da quella posizione pericolosa. La ragazza tossì debolmente.
Mormorò qualcosa di incomprensibile, forse un mormorio di dolore. Fece una smorfia di pura sofferenza, e la scossi appena per costringerla ad aprire gli occhi.
"Giulia, avanti", la chiamai spaventata. "Giulia, guardami!"
La mia amica sollevò lentamente le palpebre. Le tenevo ancora la testa alzata, avevo un braccio dietro la sua nuca che l'alzava senza farle male. Il suo sguardo era triste e lucido.
"È la fine del mondo", mormorò, ripetendo le stesse parole di prima con ironia. "Lo è davvero."
Feci una piccola risata, ma solo per rassicurarla. "Te ne stupisci?"
Anche lei ridacchiò appena. "Lo sai, io ci credo...ma non ci speravo."
La fissai, tentando di non mostrarle il mio sorriso inquieto nella speranza di tranquillizzarla; forse non ce n'era nemmeno bisogno, sembrava rassegnata. Lasciò un attimo vagare lo sguardo al cielo.
"Sapevo che sarei morta", continuò sorridendo tristemente, "ma non lo pensavo sul serio."
"Non sei morta", ribattei con convinzione, sorridendole. Lei tossì ancora, poi chiuse gli occhi.
Restai qualche secondo in attesa. La ragazza non sollevò più le palpebre.
"Giulia", la chiamai con voce rotta, la mano ancora sulla sua nuca.
"Giulia...", ripetei, mentre un sottile velo iniziava ad offuscarmi la vista.
Solo l'arrivo di Simona riuscì a distrarmi.
"Che state facendo ancora qui?!", esclamò, fermandosi. Aveva il respiro corto quando puntò lo sguardo su Giulia, ma poi si rivolse a me. "Oh, certo, ora resta qui ad aspettare che Giulia si riposi!"
Nemmeno alzai lo sguardo su di lei. Posai la testa di Giulia sull'asfalto, e quando ritirai la mano la ritrovai sporca di sangue.
Finalmente sollevai gli occhi verso Simona, che li aveva sbarrati.
"È-è...", non riusciva nemmeno a parlare.
"È morta", completai in un sussurro. Ero talmente scioccata che non riuscivo nemmeno a piangere.
Simona mandò giù la saliva, mentre i suoi occhi si inumidivano. "S-sai che a volte l'ho quasi odiata", mormorò, "ma io...io non volevo che lei..."
Presi la ricetrasmittente prima che finisse di parlare. La avvicinai alla bocca e premetti un tasto che avrebbe dovuto mettermi in comunicazione con gli altri.
"Leonardo?", chiamai con un filo di voce. Lui comprese subito che c'era qualcosa che non andava.
"Cos'è successo?", domandò subito, allarmato.
"Giulia aveva ragione, è la fine del mondo", mormorai. "Del suo, specialmente."
Leonardo rimase in silenzio, e anche io non dissi una parola. Vidi Simona estrarre la sua ricetrasmittente con le mani tremanti, ma quando parlò la sua voce era ferma.
"Incontriamoci", disse con tono deciso. "Non credo sia prudente stare ancora lontani."
"Sì", disse soltanto. Probabilmente doveva ancora assorbire la notizia, mentre io e Simona ricominciammo a camminare. Mi voltai un'ultima volta verso Giulia; non avrei voluto lasciarla lì, ma non avevo scelta. Ero ormai certa che, di lì a poco, avrei fatto la sua stessa fine.
"Non pensarci nemmeno", la voce di Simona mi riscosse dai miei pensieri. La guardai, confusa.
"Noi resteremo vive", continuò la mia migliore amica, lo sguardo convinto e la voce determinata. "Non ci accadrà lo stesso che è accaduto a Giulia. Elimina immediatamente quel pensiero dalla mente!"
Sorrisi debolmente. "Sei ancora arrabbiata con me, Simo?"
Piuttosto che rispondermi, preferì rivolgersi nuovamente a Leonardo. "Leo, dove sei? Ti veniamo incontro."
"Sono vicino alla spiaggia", rispose lui, sembrava essersi leggermente calmato. Aveva capito, come noi, che non c'era tempo per disperarsi. "E voi dove siete?"
"Ci metteremo una ventina di minuti", rispose la mia amica, "ma ti raggiungeremo. Fermati."
"D'accordo."
Simona ripose la ricetrasmittente in tasca, e io mi avvicinai a lei.
"Avanti", sbuffai, "mi dispiace se ti ho fatto arrabbiare. Hai davvero intenzione di tenermi il broncio per tutto questo tempo?"
Continuai a camminare più veloce di prima, ma proprio allora la terra ricominciò a tremare molto più forte delle volte precedenti. Il terreno tremava bruscamente sotto ai nostri piedi, sembrava stesse per cedere. Una grande spaccatura si aprì sull'asfalto, separando me e Simona. La guardai terrorizzata, ma non tanto per l'idea di morire, quanto per quella di perdere anche lei senza nemmeno aver fatto pace prima.
"Simona", la chiamai con gli occhi già lucidi, "non mi hai nemmeno detto 'ti voglio bene'!"
Lei ricambiò il mio sguardo spaventato, il suo braccio si mosse repentinamente verso di me come seguendo l'istinto di afferrarmi. "Ti voglio bene!", esclamò. "Ti voglio bene!"
Prima che potessi risponderle, entrambe perdemmo l'equilibrio e cademmo a terra. Quando riaprii gli occhi, mi accorsi che una montagna di rocce e di calce mi divideva dalla mia migliore amica.
Mi accorsi che, salvo qualche livido, ero illesa; mi chiesi se fosse lo stesso per Simona.
Estrassi la ricetrasmittente dalla tasca della giacca, ma avevo paura a mettermi in contatto con lei. Cosa sarebbe successo se lei...se lei non mi avesse risposto, mai più?
"Marta!", la sua voce mi arrivò oltre la montagna di roccia.
"Simona!", urlai di rimando. "Stai bene?"
"Mi sono sbucciata un ginocchio cadendo", rispose, "e tu?"
Stava bene. Grazie al cielo, era viva. E sana.
"Solo qualche livido!"
"Ascoltami", continuò a gridare Simona, "dobbiamo fare due diverse strade, ma ci ritroviamo vicino alla piazza, d'accordo?"
"Ci vorrà di più per arrivare in spiaggia, se allunghiamo così tanto!"
"Ma almeno ci ritroviamo lì! Poi raggiungeremo Leonardo!"
"Va bene!"
Feci per voltarmi e iniziare a camminare, ma poi ritornai lì in fretta.
"Simona? Aspetta, Simona!"
"Cosa c'è?"
Sorrisi lievemente. "Anche io ti voglio bene."
"Eh?", esclamò. Ridacchiai.
"Anche io ti voglio bene, Simona!", ripetei più forte.
Non udii alcuna risposta, ma intuii che stava borbottando qualcosa. Mi allontanai con un sorriso triste e al contempo divertito.
Ricominciai a camminare, cercando di stare il più lontano possibile dagli edifici...e anche dai lampioni. Il mio pensiero ritornò a Giulia, e non potei fare a meno di versare qualche lacrima.
E dire che ero così scettica sulla fine del mondo...e invece era arrivata.
Camminai a lungo, e spesso dovetti scavalcare qualche cumulo di calce o arrampicarmi su delle automobili. Molte erano sbattute le une contro le altre, probabilmente mentre fuggivano dalla città e che a causa di una delle scosse avevano sbandato. Vedere i volti sanguinanti e senza vita della gente che le guidava era agghiacciante. Ero sicura che, se fossi sopravvissuta, quelle immagini mi sarebbero rimaste impresse per sempre nella mente. Ma mi resi conto tristemente che c'erano ben poche possibilità che ciò accadesse.
Avevo voglia di chiedere a Leonardo e a Simona come stessero, solo per sentire la loro voce e sentirmi rassicurata. Mi sentivo così sola...era forse una delle prime volte che camminavo per quelle strade senza nessun amico al mio fianco. Pensai alla mia famiglia; avrei voluto telefonare a mamma, a papà, al mio fratellino. Piansi anche per loro, perché in ogni caso non avevo nessun cellulare con me, e contattarli sarebbe stato impossibile.
Inoltre, un orribile presentimento mi intimava di lasciar perdere quell'idea prima di scoprire la dolorosa verità.
Dovevo mantenermi lucida, e...
Inutile. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e tenere la mente sgombra da brutti pensieri.
Impugnai la ricetrasmittente e entrai nel canale di Leonardo. Premetti il tasto.
"Leo, ci sei?"
"Per il momento sì."
"Non essere pessimista!"
"Sto ancora pensando a Giulia..."
Mi morsi un labbro. "Non sei l'unico. Ma dobbiamo assolutamente ragionare a mente fredda."
"Sì, hai ragione...è che mi dispiace. Anche se non mi era molto simpatica, non posso fare a meno di dispiacermi."
Restammo in silenzio per qualche secondo, poi lui riprese la parola.
"Dov'è Simona?"
"Ci siamo divise in seguito all'ultima scossa di terremoto. Un edificio è crollato in mezzo a noi e si è aperta una crepa nel terreno...è stato scioccante assistere a quella scena."
"Posso immaginarlo. E ora?"
"Ci rincontriamo più in là, verso la piazza. Scusaci, ma arriveremo più tardi di quanto previsto."
"Non ti preoccupare, non c'è problema. Comunque...", fece una piccola pausa, "come mai mi hai contattato?"
"Volevo sentire la tua voce", risposi sincera. "Mi sento tranquilla, quando parlo con te. Come dire? Mi rassicuri."
Stavolta fui io a restare in silenzio, ma solo per un attimo. "Possiamo parlare un altro po'? Per favore?"
"Certo!"
"Va bene. Allora...è bello, il mare?"
Non rispose. Pensai non avesse sentito.
"Leo, hai capito? È bello il mare?"
Ancora una volta, nessuna risposta. "Avanti, Leonardo, non farmi spaventare! Rispondi!"
Alzai gli occhi al cielo, immaginando l'ennesimo dei suoi scherzi.
...Un secondo dopo, me ne pentii amaramente.
Un'onda anomala, altissima, si stava infrangendo contro la spiaggia.
"Leonardo!", urlai, come se potesse sentirmi. "Leonardoo!"
Mi portai le mani fra i capelli, mentre assistevo alla furia distruttiva di quel fortissimo tsunami. Gli occhi presero a piangere senza controllo, mentre anche la mia voce si prosciugava nel gridare il nome del mio amico.
"LEONARDO! NOO!", piangevo e urlavo, preda di quel dolore irrefrenabile.
Non poteva essere accaduta una cosa simile, non a Leonardo. Non a una delle persone più importanti della mia vita. Non era accettabile, non era possibile!
Quando finalmente l'onda si ritirò, portando con sé oggetti e sabbia -e persone, e Leonardo-, singhiozzavo talmente forte da non riuscire quasi a respirare.
"Leonardo", la mia voce spezzata parlò attraverso la ricetrasmittente, anche se la persona a cui era diretta non poteva più sentirla. "Ti voglio bene, Leo, grazie per esserci stato finora", tremava quella mia voce, come la vista appannata.
"L-l'hai vista anche tu?", la voce di Simona proveniente dalla ricetrasmittente mi interruppe.
"Sì", singhiozzai. "Anche Leonardo...come Giulia..."
Non sentii nessun singhiozzo proveniente da lei; semplicemente non mi rispose, e nemmeno me ne importava sul momento. Riuscivo solo a pensare a Leonardo.
"È morto, Leonardo è morto!", urlai. "Non se lo meritava! Non posso credere che l'abbiano portato via!"
Volsi lo sguardo pieno di lacrime al cielo. "Dio, restituiscimelo! Ridammi Leonardo!"
"C-calmati, Marta", il tono di Simona era deciso anche in quella situazione, seppur tremante e addolorato, "n-non dire certe cose. Non è s-stata colpa di Dio."
Con il dito ancora premuto sul tasto, mi limitai a singhiozzare senza risponderle.
"A-a-avanti, incontriamoci. Noi c-ce la faremo. Vuoi parlare f-finché non arriviamo?"
"No!", esclamai d'istinto. Avevo paura che, se avessimo ripetuto le azioni che poco prima avevamo compiuto io e Leonardo, Simona avrebbe fatto la sua stessa fine.
"Va bene, come...come vuoi."
"Simona, tu n-non te ne vai, vero?"
Rimase in silenzio per un attimo. "C-certo che no. Non dire sciocchezze."
Un mio respiro fra le lacrime, nel tentativo di frenarle, fece da risposta un attimo prima che terminassi la conversazione. Guardai di nuovo il mare in lontananza.
E dire che avevo sempre amato il mare...adesso l'avrei odiato per sempre.
Tirai su col naso, intimandomi di calmarmi. Tanto l'avrei rincontrato...molto presto.
L'idea di morire da sola mi terrorizzava. Mi giurai solennemente di non perdere la vita, almeno non prima di aver fatto pace con Simona. Una speranza, solo quella mi restava...l'unica che, forse, avrei potuto mantenere. Ma ero scettica persino su questo.
Un'altra scossa percosse il terreno. Nemmeno tentai di restare in equilibrio.
"Non me ne frega niente", sussurrai, rialzandomi. Caddi di nuovo. "Non me frega niente!"
Fu solo per un assurdo colpo di fortuna che una valanga di detriti non mi travolse; ma avevo ben altre cose a cui pensare, e di certo sopravvivere e fare pace con Simona erano le più importanti.
Quando mi tirai su con fatica, non appena le scosse terminarono, mi accorsi che avevo preso una storta alla caviglia.
"Merda", sussurrai tra i denti. Questo mi ostacolava moltissimo.
Avanzai più lentamente, ma senza perdermi d'animo. Dovevo raggiungere Simona.
A qualsiasi costo.
Continuai a procedere, osservando nuovi tsunami che come cavalli impazziti sollevavano le acque, per poi lasciarle abbattere sulla terra portando via tutto, ogni cosa, ogni singola cosa. Ripensai a Leonardo; era inutile tentare di reprimere quel dolore. Ancora, piansi. Piansi anche pensando a Giulia. E mi chiesi se Simona stesse piangendo anche lei.
Fu proprio quando prosciugai le lacrime, mentre mi asciugavo il viso, che vidi in lontananza la sua figura.
"Simona!", esclamai. Era lontana, e non mi sentì.
"Simona!", la chiamai di nuovo, sorridendo, accelerando. Mi ero dimenticava della storta, e la mia caviglia protestò costringendomi a rallentare di nuovo il passo, ma ci pensò Simona ad avvicinarsi a me più in fretta.
"Marta." Mi chiamò con un sorriso stanco, ma sollevato. Notai dei grossi lividi su alcuni punti delle gambe, dove i jeans si erano stracciati in seguito a chissà quale sfortuna. Ma anche quella preoccupazione svanì subito, dissimulata dal pensiero che comunque era ancora viva, ancora forte, e che sorrideva. Finalmente, sorrideva.
Feci un gran sorriso a quel pensiero, e di nuovo accelerai incurante della caviglia. Ma, stavolta, non fu solo quella a distrarmi.
Come scosso sotto al mio passo improvvisamente veloce, il mondo tremò di nuovo.
Era un terremoto più forte, devastante e potente di quelli precedenti. Prima di cadere, vidi Simona anticiparmi, ma un secondo dopo fu solo il buio. Il rumore sordo delle scosse quasi potevo sentirlo, non c'era nessuno a gridare dal terrore perché soltanto io e Simona eravamo ancora vive, ma senza voce. L'avevamo prosciugata a forza di urlare, tutto quel giorno. Il nostro ultimo giorno.
Risollevai le palpebre, che tenevo abbassate nel vano tentativo di non vedere la realtà e di eclissarmi in un piccolo mondo sicuro, in quel buio della vista, solo quando percepii un fortissimo dolore alla gamba.
Mi voltai per vedere, mentre sentivo una strana sensazione di bagnato appena sotto la coscia, un liquido tiepido sotto al quale la pelle infuocata pulsava dolorosamente.
Sangue.
Mi dovetti subito voltare dalla parte opposta per non urlare, per non guardare più quel taglio così dannatamente profondo, per sperare e pregare che quel vetro che mi aveva quasi trapassato la gamba non fosse lì realmente. Mi coprii la bocca con le mani, reprimendo ancora di più l'impulso di gridare, sforzandomi di non cacciare via con un disperato urlo tutto il male che stavo provando. Non volevo far preoccupare Simona.
Simona. Mi tornò subito in mente a quel pensiero, e trattenendo le lacrime che cercavano furiosamente di uscire e di inondarmi copiose il viso cercai di avvicinarmi.
"Simona", chiamai, la voce più bassa di quanto avrei voluto. "Simona, dove sei?"
Dalle macerie vidi qualcuno sollevare la testa. "Sono qui", mormorò debolmente Simona, cercando anche lei di avvicinarsi. Si era formato un ematoma sulla sua fronte, il sangue colava sulla tempia, e si rincorreva fino allo zigomo destro.
"Stai bene?", esclamai, stupidamente, spaventata da quella ferita. Prima che potesse arrivarmi una risposta, una qualsiasi risposta, una delle sue risposte brusche e irritate o una risata da lieve presa in giro, o qualunque altra cosa, la terra tremò di nuovo.
Non c'era più tempo: il nostro, era finito.
Non ancora, pensai, con un tono mentale a metà fra il deciso e il disperato, non è ancora finita!
Mi avvicinai il più possibile a lei, per quanto la gamba facesse male, per quanto dovessi spingermi avanti senza poter alzarmi e avanzare fra le macerie, per quanto non vedessi più nemmeno un barlume di luce in quell'oscurità.
Gli ostacoli erano tanti, ma ero sicura che li avrei superati. Quando c'era Simona, io e lei superavamo tutto. Qualsiasi cosa, qualunque litigio. Facevamo presto pace. Quante volte la nostra amicizia aveva subito degli scossoni, come la terra in quei momenti? E quante volte, invece, quel terreno su cui avevamo costruito il nostro essere amiche era stato più solido e sicuro che mai?
Avremmo superato tutto, insieme, stavolta come le precedenti: anche la morte, se necessario.
Perché la nostra amicizia è la cosa più importante e preziosa del mondo. La cosa più bella, forte, invincibile che esista.
Afferrai la mano di Simona nello stesso modo in cui a volte facevamo qualche stupido saluto inventato sul momento, imitando gli americani e il loro modo di salutarsi fra amici. La presi e lei mi sorrise felice, stringendo a sua volta.
"Amiche?", mormorò, ma nonostante quel tono debole la sua voce mi arrivò più chiara e forte che mai.
Sorrisi. Sorrisi mentre la terra continuava a tremare furiosamente, ed eravamo ormai certe che il mondo ci stava portando via con sé mentre finiva. Sorrisi mentre il mondo moriva, e noi con lui.
Sorrisi, un secondo prima della fine, e stringendo più forte la sua mano gli occhi felici di Simona, felici nonostante tutto, felici anche quando stavo per parlare un attimo prima della fine, felici perché eravamo insieme -e noi eravamo sempre, costantemente, inevitabilmente insieme- furono l'ultima cosa bella e allegra che vidi prima di morire. Prima di risponderle, felice.

"Per sempre."


Angolo Autrice

Che dire? Credo che questa storia parli da sé. Ovviamente è dedicata alla mia migliore amica, la mia Chan, che per l'ennesima volta occupa un grande spazio fra le mie storie e fra i miei pensieri.
In realtà avevo iniziato a scriverla il 20/12/12, e avevo pensato di postarla il 21 (giorno della fatidica "fine del mondo", se ben ricordate, in cui non ho mai creduto). Una mia amica mi stava praticamente affliggendo con questa storia della fine, e cercava di convincermi che ci sarebbe stata sul serio (la povera Giulia di questa storia, a cui comunque sono affezionata!) , allora ho avuto l'idea di scriverci qualcosa su. Poi non ne ho avuto il tempo e l'ho finita di scrivere solo oggi.
Oltre a Giulia, è presente anche il mio migliore amico Domenico che si rispecchia in Leonardo. Vi giuro che ho sviluppato una sorta di dipendenza dal suo pat-pat sulla testa, e se non lo fa ogni giorno non solo mi sento come se mancasse qualcosa, mi offendo pure. E ho ragione, ovviamente.
E poi c'è mia sorella, che si ritrova in Simona. È mia sorella, anche se non abbiamo lo stesso sangue e nemmeno lo stesso cognome. L'amicizia unisce più di qualsiasi legame familiare, e lei me lo ha insegnato.
Come ho già detto, è dedicata a lei. A lei, che mi chiama "Marta". A lei, che ultimamente è un po' giù, e che voglio risollevare.
Perché la nostra amicizia è più forte di tutto, e vincerà qualsiasi cosa. Anche la fine del mondo!

Grazie a chi ha letto e a chi recensirà, e grazie anche ai lettori silenziosi che hanno avuto la bontà di leggere questa storia e arrivare fin qui. Grazie mille, davvero!

Un abbraccio,


Seele                                                                                                                         

                                              

  
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