Per Sempre
È un altro giorno di scuola, solo un altro giorno di scuola. Come ce ne sono sempre stati, come sempre ce ne saranno.
Ero persa
nei miei pensieri
mentre varcavo la soglia della mia aula; il fatidico 21 Dicembre
2012, data della fine del mondo secondo i Maya, era arrivata, ed io
ero molto scettica al riguardo. Ma sapevo che qualcun altro non era
affatto del mio stesso parere...
"Auguri,
Marta", fece subito Giulia, vedendomi arrivare. Mi venne
incontro e mi abbracciò, io ricambiai il suo abbraccio
alzando gli
occhi al cielo.
"Giù,
guai a te se adesso dici che..."
"La
fine del mondo è oggi!", mi interruppe lei, dicendo le
esatte
parole che mi aspettavo. Mi portai una mano sul viso, emettendo un
forte sospiro.
"Siamo
ancora vivi, o sbaglio? Il mondo non finisce proprio per niente. Te
lo vuoi mettere in testa?"
"Certo,
che siamo ancora vivi", ribatté lei con
tranquillità, "la
fine arriva sempre quando meno te lo aspetti."
Le
lanciai un'occhiataccia e non le risposi nemmeno, limitandomi a
prendere posto al mio banco.
Andai
dalla mia migliore amica, chiedendole di sedersi con me; non volle.
Una risposta secca: "no".
Evidentemente,
oggi aveva la luna storta. Provai ad insistere, infine me ne tornai
al mio banco.
Io
e Simona siamo sempre state amiche, sin dalla terza media. Ormai
siamo migliori amiche da più di due anni; è la
prima volta che
qualcosa, nella mia vita, dura così a lungo. E non ho
nessuna
intenzione di porre fine alla nostra amicizia, né ora,
né mai.
Una
volta, Simona disse che la nostra amicizia era destinata a finire;
non le credetti, e tutt'ora non le credo.
A
volte litighiamo, questo è vero...proprio come quella volta.
Mi
perdevo nei miei pensieri proprio allora, seduta al mio banco, mentre
la professoressa sedeva alla cattedra.
"Io
non volevo venire a scuola, oggi", sentii dire da Giulia, al
primo banco. La sua compagna e lanciò un'occhiata divertita.
"Tu
non vuoi mai venire a scuola", ridacchiò sottovoce,
malignamente.
"Che
c'entra?", replicò lei, facendo una smorfia strana. "Oggi
è la fine del mondo."
"È
solo la fine del calendario Maya, non è la fine del mondo",
Luigi iniziò a sparare cavolate su cavolate come al suo
solito, e
finsi di ascoltarlo annuendo ogni tanto e mormorando qualche
"infatti", "già" e "lo penso anche io"
quando si fermava a riprendere fiato o, guardandomi storto, mi
chiedeva una conferma.
Incrociai
le braccia al petto, scendendo un po' da seduta per sistemarmi in una
posizione più comoda.
E
se oggi fosse il mio ultimo giorno?, pensai. Guardai per un
attimo tutti i miei compagni di classe.
Accidenti,
aggiunsi con un'espressione seccata, sarebbe stato meglio se
fossi
a casa mia a leggere manga e a sclerare davanti alla televisione.
Luigi
mi guardò male e mi chiese il perché di quella
faccia. Agitai la
mano come a voler scacciare quelle preoccupazioni e poi lui
ricominciò a parlare.
"Dicevo",
solo per curiosità ascoltai la lezione della professoressa,
"i
terremoti si possono misurare con scale diverse, per esempio..."
Prima
che potesse continuare, tutto l'edificio iniziò a tremare.
La
professoressa, in piedi davanti alla lavagna, cadde rovinosamente a
terra, e alcuni banchi si rovesciarono. La lavagna sbatté
contro il
muro e i quadri si staccarono, tutti i cellulari poggiati su un banco
si dispersero a terra e alcuni li afferrarono prontamente. Per un
momento vidi persino qualcuno che cercava di tenere il polso alto per
registrare l'evento.
"Dobbiamo
uscire!", tutta la classe si riversò disordinatamente fuori
dall'aula, incurante delle parole della professoressa che urlava di
uscire compostamente nei corridoi. Mi fermai fra la folla a guardarmi
intorno: dov'era Simona?
Leonardo
mi si fermò accanto. "Che ci fai qui?", esclamò,
per
coprire il chiasso. Mi afferrò per un polso, senza curarsi
delle mie
proteste, e mi portò fin fuori dall'edificio.
"Aspetta,
lasciami!", obiettai, liberandomi bruscamente dalla sua presa.
"Devo trovare Simona!"
Feci
come per tornare indietro, ma proprio allora mi ritrovai Simona
davanti. Lei mi disse qualcosa, ma non l'ascoltai; vidi il gradino
sotto ai suoi piedi traballare pericolosamente. La tirai verso di me
senza troppa delicatezza, un attimo prima che il pavimento crollasse.
Mi
stupii nel vedere Leonardo e Giulia ancora davanti a noi;
quest'ultima iniziò a correre verso una meta non precisa, e
tutti la
seguimmo. Gli edifici stavano crollando uno dopo l'altro; dove
rifugiarci? Cosa fare?
Raggiunsi
Giulia, che aveva iniziato a correre prima di me. Lei si
voltò un
attimo e mi disse entusiasta: "hai visto? È la fine del
mondo!"
Vidi
Simona lanciarmi un'occhiataccia. Volevo parlarle, chiederle scusa
per qualsiasi cosa avessi fatto, dirle che le volevo bene anche in un
momento come quello, anche se era arrabbiata per qualche motivo.
Ricordai il nostro discorso l'ultima volta che avevamo litigato.
"Non mi vuoi più bene?"
"Sei tu che non me ne vuoi più."
Leonardo
mi distolse dai miei pensieri, indicando mentre correva un luogo che,
all'apparenza, sembrava sicuro. Mi accorsi che eravamo già
in pochi;
non c'era ombra di nessun altro mio compagno di classe. Anzi, per
essere sincera, non c'era ombra proprio di nessuno.
Ci
sedemmo a terra, lì. Strinsi le ginocchia al petto,
guardando in
direzione di Simona.
"È
la fine", mormorò Giulia. "Lo è davvero."
Leonardo
alzò un sopracciglio. "Te ne stupisci?"
Le
scosse erano finite da un po': forse era stata solo una
casualità.
Il ragazzo si alzò in piedi dopo una manciata di minuti,
guardandosi
intorno.
"Dove
vai?", domandò Simona, precedendomi.
"Vedo se c'è
qualcuno in giro."
"No",
dissentii, "non farlo! Se dovesse esserci un'altra scossa,
tu..."
Giulia
estrasse dal suo zaino quattro ricetrasmittenti, e ne porse due a me
e a Simona, tenendone una per sé. Poi porse l'ultima a
Leonardo.
"Se
c'è qualche problema, o se trovi qualcuno",
raccomandò, "facci
subito sapere."
Leonardo
annuì. "Sì, non preoccupatevi."
Fece
come per andarsene, ma poi tornò un attimo indietro verso di
me e mi
fece una carezza veloce sulla testa, come al suo solito. Gli sorrisi
debolmente, a malincuore. Avrei voluto alzarmi, dirgli che gli volevo
bene e abbracciarlo fino a soffocarlo; ma non feci nulla di tutto
questo, perché sarebbe stato come un saluto definitivo. E io
non
volevo ci fosse nessun addio.
Lo
osservai finché non divenne solo una figura lontana.
"Siamo
sole", mormorai.
"Probabilmente
siamo le uniche vive", aggiunse Giulia.
"Ma
che dici?", sbottò Simona. "Di certo c'è qualcun
altro. E
poi, le scosse sono finite da un pe-"
Prima
ancora che riuscisse a finire la frase, la terra si mosse di nuovo.
Il nostro rifugio tremò pericolosamente, e subito Simona si
alzò in
piedi.
"Via
di qui, presto!"
Mi
premurai soltanto di afferrare la ricetrasmittente che avevo poggiato
a terra, poi mi allontanai correndo. Era difficile persino stare in
piedi, mentre correvamo in mezzo alla strada, il più lontano
possibile dagli edifici. Quando fummo abbastanza lontane, mi voltai
un attimo e vidi la scuola crollare in pezzi.
Un
sogno tipico dei bambini, insomma, che diventava improvvisamente
realtà; ma quello non era affatto un sogno. Era un incubo, e
dovevo
svegliarmi in fretta.
"Attenta!"
Improvvisamente
mi ritrovai a terra, i palmi delle mani mi bruciavano. Mi misi
seduta, trovando a pochi passi da me Simona accigliata,
improvvisamente pallida.
Non
disse una parola, e io seguii la direzione del suo sguardo; mi aveva
appena salvato. Una cascata di cemento era appena caduta giù
sulla
strada, proprio dove stavo camminando solo pochi istanti fa.
Simona
si riscosse e mi porse un braccio per aiutarmi ad alzarmi. Le
afferrai la mano e mi sollevai.
"Vedi
di non distrarti", borbottò sottovoce. Le sorrisi appena,
sperando in un segno di riconciliazione, ma lei si voltò in
fretta e
ricominciò a correre. La seguii.
"Aspetta,
Simona!", la chiamai, come se fosse un giorno qualsiasi e non ci
fosse ancora un terremoto a scuotere la terra, "persino oggi hai
intenzione di tenermi il broncio? Avanti, è la fine del
mondo!"
"Marta
ha ragione", urlò Giulia, da dietro di noi. Simona
sbuffò e
non ci diede ascolto.
"Oh,
Simona!", continuai imperterrita. "Non puoi essere
arrabbiata. Non oggi!"
Stavo
per dire qualcos'altro, quando notai alcuni corpi a terra. Mi fermai,
osservandoli.
Simona
si era fermata prima di me, e pochi istanti dopo sentii anche i passi
di Giulia fermarsi.
"Sono
morti", dissi in un sussurro. Alcuni nostri compagni di scuola,
di cui ne conoscevo qualcuno, erano accasciati sull'asfalto o riversi
sulle automobili. A un ragazzo, probabilmente nell'atto disperato di
scappare, era caduto addosso un motorino e l'aveva schiacciato.
"Questo
vuol dire che...", mormorò Simona, ma come sempre le lessi
nel
pensiero e l'anticipai.
"Questo
vuol dire che ci troviamo in una zona a grosso rischio sismico.
Dobbiamo sbrigarci!"
Ricominciammo
a correre, e iniziavo a sentirmi stanca. Azionai la ricetrasmittente,
in pensiero per Leonardo.
"Leo,
ci sei?", domandai affannando.
"Sì,
qui sono a posto."
"Hai
sentito la scossa di prima?"
"Accidenti,
se l'ho sentita!"
"Stai
bene?"
"Sì,
non preoccuparti. E voi?"
"Ho
rischiato di morire, a parte questo direi ok."
"Comunque,
qui...solo morti."
Guardai
tristemente in basso, osservando pezzi di cemento ai miei piedi.
"Sì,
qui lo stesso."
"Restate
in linea."
"Anche
tu."
Simona
si voltò verso di me, era più avanti di noi. "Sta
bene?"
"Sì",
le risposi, "ma non ha trovato nessun superstite!"
Simona
accelerò il passo, ma per me cominciava ad essere
impossibile starle
dietro. Una nuova scossa mi fece quasi perdere l'equilibrio, e per un
attimo temetti sul serio di cadere.
Un
forte rumore mi arrivò alle spalle, e immaginai che fosse
l'ennesimo
muro che crollava. Mi fermai, affannando, chiamando Simona a gran
voce. Non mi sentiva...allora mi voltai verso Giulia, la scossa era
già finita. E la trovai a terra.
"Giulia!",
esclamai, allarmata. Giaceva sull'asfalto, e la sua testa era immersa
in una piccola pozza di sangue.
Guardai
verso l'alto; a caderle addosso era stato il vetro di un lampione a
cui era caduta la lampadina. Le presi delicatamente la testa
insanguinata, adagiandola su un braccio, e la trascinai lontano da
quella posizione pericolosa. La ragazza tossì debolmente.
Mormorò
qualcosa di incomprensibile, forse un mormorio di dolore. Fece una
smorfia di pura sofferenza, e la scossi appena per costringerla ad
aprire gli occhi.
"Giulia,
avanti", la chiamai spaventata. "Giulia, guardami!"
La
mia amica sollevò lentamente le palpebre. Le tenevo ancora
la testa
alzata, avevo un braccio dietro la sua nuca che l'alzava senza farle
male. Il suo sguardo era triste e lucido.
"È
la fine del mondo", mormorò, ripetendo le stesse parole di
prima con ironia. "Lo è davvero."
Feci
una piccola risata, ma solo per rassicurarla. "Te ne stupisci?"
Anche
lei ridacchiò appena. "Lo sai, io ci credo...ma non ci
speravo."
La
fissai, tentando di non mostrarle il mio sorriso inquieto nella
speranza di tranquillizzarla; forse non ce n'era nemmeno bisogno,
sembrava rassegnata. Lasciò un attimo vagare lo sguardo al
cielo.
"Sapevo
che sarei morta", continuò sorridendo tristemente, "ma non
lo pensavo sul serio."
"Non
sei morta", ribattei con convinzione, sorridendole. Lei
tossì
ancora, poi chiuse gli occhi.
Restai
qualche secondo in attesa. La ragazza non sollevò
più le palpebre.
"Giulia",
la chiamai con voce rotta, la mano ancora sulla sua nuca.
"Giulia...",
ripetei, mentre un sottile velo iniziava ad offuscarmi la vista.
Solo
l'arrivo di Simona riuscì a distrarmi.
"Che
state facendo ancora qui?!", esclamò, fermandosi. Aveva il
respiro corto quando puntò lo sguardo su Giulia, ma poi si
rivolse a
me. "Oh, certo, ora resta qui ad aspettare che Giulia si
riposi!"
Nemmeno
alzai lo sguardo su di lei. Posai la testa di Giulia sull'asfalto, e
quando ritirai la mano la ritrovai sporca di sangue.
Finalmente
sollevai gli occhi verso Simona, che li aveva sbarrati.
"È-è...",
non riusciva nemmeno a parlare.
"È
morta", completai in un sussurro. Ero talmente scioccata che non
riuscivo nemmeno a piangere.
Simona
mandò giù la saliva, mentre i suoi occhi si
inumidivano. "S-sai
che a volte l'ho quasi odiata", mormorò, "ma io...io non
volevo che lei..."
Presi
la ricetrasmittente prima che finisse di parlare. La avvicinai alla
bocca e premetti un tasto che avrebbe dovuto mettermi in
comunicazione con gli altri.
"Leonardo?",
chiamai con un filo di voce. Lui comprese subito che c'era qualcosa
che non andava.
"Cos'è
successo?", domandò subito, allarmato.
"Giulia
aveva ragione, è la fine del mondo", mormorai. "Del suo,
specialmente."
Leonardo
rimase in silenzio, e anche io non dissi una parola. Vidi Simona
estrarre la sua ricetrasmittente con le mani tremanti, ma quando
parlò la sua voce era ferma.
"Incontriamoci",
disse con tono deciso. "Non credo sia prudente stare ancora
lontani."
"Sì",
disse soltanto. Probabilmente doveva ancora assorbire la notizia,
mentre io e Simona ricominciammo a camminare. Mi voltai un'ultima
volta verso Giulia; non avrei voluto lasciarla lì, ma non
avevo
scelta. Ero ormai certa che, di lì a poco, avrei fatto la
sua stessa
fine.
"Non
pensarci nemmeno", la voce di Simona mi riscosse dai miei
pensieri. La guardai, confusa.
"Noi
resteremo vive", continuò la mia migliore amica, lo sguardo
convinto e la voce determinata. "Non ci accadrà lo stesso
che è
accaduto a Giulia. Elimina immediatamente quel pensiero dalla mente!"
Sorrisi
debolmente. "Sei ancora arrabbiata con me, Simo?"
Piuttosto
che rispondermi, preferì rivolgersi nuovamente a Leonardo.
"Leo,
dove sei? Ti veniamo incontro."
"Sono
vicino alla spiaggia", rispose lui, sembrava essersi leggermente
calmato. Aveva capito, come noi, che non c'era tempo per disperarsi.
"E voi dove siete?"
"Ci
metteremo una ventina di minuti", rispose la mia amica, "ma
ti raggiungeremo. Fermati."
"D'accordo."
Simona
ripose la ricetrasmittente in tasca, e io mi avvicinai a lei.
"Avanti",
sbuffai, "mi dispiace se ti ho fatto arrabbiare. Hai davvero
intenzione di tenermi il broncio per tutto questo tempo?"
Continuai
a camminare più veloce di prima, ma proprio allora la terra
ricominciò a tremare molto più forte delle volte
precedenti. Il
terreno tremava bruscamente sotto ai nostri piedi, sembrava stesse
per cedere. Una grande spaccatura si aprì sull'asfalto,
separando me
e Simona. La guardai terrorizzata, ma non tanto per l'idea di morire,
quanto per quella di perdere anche lei senza nemmeno aver fatto pace
prima.
"Simona",
la chiamai con gli occhi già lucidi, "non mi hai nemmeno
detto
'ti voglio bene'!"
Lei
ricambiò il mio sguardo spaventato, il suo braccio si mosse
repentinamente verso di me come seguendo l'istinto di afferrarmi. "Ti
voglio bene!", esclamò. "Ti voglio bene!"
Prima
che potessi risponderle, entrambe perdemmo l'equilibrio e cademmo a
terra. Quando riaprii gli occhi, mi accorsi che una montagna di rocce
e di calce mi divideva dalla mia migliore amica.
Mi
accorsi che, salvo qualche livido, ero illesa; mi chiesi se fosse lo
stesso per Simona.
Estrassi
la ricetrasmittente dalla tasca della giacca, ma avevo paura a
mettermi in contatto con lei. Cosa sarebbe successo se lei...se lei
non mi avesse risposto, mai più?
"Marta!",
la sua voce mi arrivò oltre la montagna di roccia.
"Simona!",
urlai di rimando. "Stai bene?"
"Mi
sono sbucciata un ginocchio cadendo", rispose, "e tu?"
Stava
bene. Grazie al cielo, era viva. E sana.
"Solo
qualche livido!"
"Ascoltami",
continuò a gridare Simona, "dobbiamo fare due diverse
strade,
ma ci ritroviamo vicino alla piazza, d'accordo?"
"Ci
vorrà di più per arrivare in spiaggia, se
allunghiamo così tanto!"
"Ma
almeno ci ritroviamo lì! Poi raggiungeremo Leonardo!"
"Va
bene!"
Feci
per voltarmi e iniziare a camminare, ma poi ritornai lì in
fretta.
"Simona?
Aspetta, Simona!"
"Cosa
c'è?"
Sorrisi
lievemente. "Anche io ti voglio bene."
"Eh?",
esclamò. Ridacchiai.
"Anche
io ti voglio bene, Simona!", ripetei più forte.
Non
udii alcuna risposta, ma intuii che stava borbottando qualcosa. Mi
allontanai con un sorriso triste e al contempo divertito.
Ricominciai
a camminare, cercando di stare il più lontano possibile
dagli
edifici...e anche dai lampioni. Il mio pensiero ritornò a
Giulia, e
non potei fare a meno di versare qualche lacrima.
E
dire che ero così scettica sulla fine del mondo...e invece
era
arrivata.
Camminai
a lungo, e spesso dovetti scavalcare qualche cumulo di calce o
arrampicarmi su delle automobili. Molte erano sbattute le une contro
le altre, probabilmente mentre fuggivano dalla città e che a
causa
di una delle scosse avevano sbandato. Vedere i volti sanguinanti e
senza vita della gente che le guidava era agghiacciante. Ero sicura
che, se fossi sopravvissuta, quelle immagini mi sarebbero rimaste
impresse per sempre nella mente. Ma mi resi conto tristemente che
c'erano ben poche possibilità che ciò accadesse.
Avevo
voglia di chiedere a Leonardo e a Simona come stessero, solo per
sentire la loro voce e sentirmi rassicurata. Mi sentivo così
sola...era forse una delle prime volte che camminavo per quelle
strade senza nessun amico al mio fianco. Pensai alla mia famiglia;
avrei voluto telefonare a mamma, a papà, al mio fratellino.
Piansi
anche per loro, perché in ogni caso non avevo nessun
cellulare con
me, e contattarli sarebbe stato impossibile.
Inoltre,
un orribile presentimento mi intimava di lasciar perdere quell'idea
prima di scoprire la dolorosa verità.
Dovevo
mantenermi lucida, e...
Inutile.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno e tenere la mente sgombra da
brutti pensieri.
Impugnai
la ricetrasmittente e entrai nel canale di Leonardo. Premetti il
tasto.
"Leo,
ci sei?"
"Per
il momento sì."
"Non
essere pessimista!"
"Sto
ancora pensando a Giulia..."
Mi
morsi un labbro. "Non sei l'unico. Ma dobbiamo assolutamente
ragionare a mente fredda."
"Sì,
hai ragione...è che mi dispiace. Anche se non mi era molto
simpatica, non posso fare a meno di dispiacermi."
Restammo
in silenzio per qualche secondo, poi lui riprese la parola.
"Dov'è
Simona?"
"Ci
siamo divise in seguito all'ultima scossa di terremoto. Un edificio
è
crollato in mezzo a noi e si è aperta una crepa nel
terreno...è
stato scioccante assistere a quella scena."
"Posso
immaginarlo. E ora?"
"Ci
rincontriamo più in là, verso la piazza. Scusaci,
ma arriveremo più
tardi di quanto previsto."
"Non
ti preoccupare, non c'è problema. Comunque...", fece una
piccola pausa, "come mai mi hai contattato?"
"Volevo
sentire la tua voce", risposi sincera. "Mi sento
tranquilla, quando parlo con te. Come dire? Mi rassicuri."
Stavolta
fui io a restare in silenzio, ma solo per un attimo. "Possiamo
parlare un altro po'? Per favore?"
"Certo!"
"Va
bene. Allora...è bello, il mare?"
Non
rispose. Pensai non avesse sentito.
"Leo,
hai capito? È bello il mare?"
Ancora
una volta, nessuna risposta. "Avanti, Leonardo, non farmi
spaventare! Rispondi!"
Alzai
gli occhi al cielo, immaginando l'ennesimo dei suoi scherzi.
...Un
secondo dopo, me ne pentii amaramente.
Un'onda
anomala, altissima, si stava infrangendo contro la spiaggia.
"Leonardo!",
urlai, come se potesse sentirmi. "Leonardoo!"
Mi
portai le mani fra i capelli, mentre assistevo alla furia distruttiva
di quel fortissimo tsunami. Gli occhi presero a piangere senza
controllo, mentre anche la mia voce si prosciugava nel gridare il
nome del mio amico.
"LEONARDO!
NOO!", piangevo e urlavo, preda di quel dolore irrefrenabile.
Non
poteva essere accaduta una cosa simile, non a Leonardo. Non a una
delle persone più importanti della mia vita. Non era
accettabile,
non era possibile!
Quando
finalmente l'onda si ritirò, portando con sé
oggetti e sabbia -e
persone, e Leonardo-, singhiozzavo talmente forte da non riuscire
quasi a respirare.
"Leonardo",
la mia voce spezzata parlò attraverso la ricetrasmittente,
anche se
la persona a cui era diretta non poteva più sentirla. "Ti
voglio bene, Leo, grazie per esserci stato finora", tremava
quella mia voce, come la vista appannata.
"L-l'hai
vista anche tu?", la voce di Simona proveniente dalla
ricetrasmittente mi interruppe.
"Sì",
singhiozzai. "Anche Leonardo...come Giulia..."
Non
sentii nessun singhiozzo proveniente da lei; semplicemente non mi
rispose, e nemmeno me ne importava sul momento. Riuscivo solo a
pensare a Leonardo.
"È
morto, Leonardo è morto!", urlai. "Non se lo meritava! Non
posso credere che l'abbiano portato via!"
Volsi
lo sguardo pieno di lacrime al cielo. "Dio, restituiscimelo!
Ridammi Leonardo!"
"C-calmati,
Marta", il tono di Simona era deciso anche in quella situazione,
seppur tremante e addolorato, "n-non dire certe cose. Non è
s-stata colpa di Dio."
Con
il dito ancora premuto sul tasto, mi limitai a singhiozzare senza
risponderle.
"A-a-avanti,
incontriamoci. Noi c-ce la faremo. Vuoi parlare f-finché non
arriviamo?"
"No!",
esclamai d'istinto. Avevo paura che, se avessimo ripetuto le azioni
che poco prima avevamo compiuto io e Leonardo, Simona avrebbe fatto
la sua stessa fine.
"Va
bene, come...come vuoi."
"Simona,
tu n-non te ne vai, vero?"
Rimase
in silenzio per un attimo. "C-certo che no. Non dire
sciocchezze."
Un
mio respiro fra le lacrime, nel tentativo di frenarle, fece da
risposta un attimo prima che terminassi la conversazione. Guardai di
nuovo il mare in lontananza.
E
dire che avevo sempre amato il mare...adesso l'avrei odiato per
sempre.
Tirai
su col naso, intimandomi di calmarmi. Tanto l'avrei
rincontrato...molto presto.
L'idea
di morire da sola mi terrorizzava. Mi giurai solennemente di non
perdere la vita, almeno non prima di aver fatto pace con Simona. Una
speranza, solo quella mi restava...l'unica che, forse, avrei potuto
mantenere. Ma ero scettica persino su questo.
Un'altra
scossa percosse il terreno. Nemmeno tentai di restare in equilibrio.
"Non
me ne frega niente", sussurrai, rialzandomi. Caddi di nuovo.
"Non me frega niente!"
Fu
solo per un assurdo colpo di fortuna che una valanga di detriti non
mi travolse; ma avevo ben altre cose a cui pensare, e di certo
sopravvivere e fare pace con Simona erano le più importanti.
Quando
mi tirai su con fatica, non appena le scosse terminarono, mi accorsi
che avevo preso una storta alla caviglia.
"Merda",
sussurrai tra i denti. Questo mi ostacolava moltissimo.
Avanzai
più lentamente, ma senza perdermi d'animo. Dovevo
raggiungere
Simona.
A
qualsiasi costo.
Continuai
a procedere, osservando nuovi tsunami che come cavalli impazziti
sollevavano le acque, per poi lasciarle abbattere sulla terra
portando via tutto, ogni cosa, ogni singola cosa. Ripensai a
Leonardo; era inutile tentare di reprimere quel dolore. Ancora,
piansi. Piansi anche pensando a Giulia. E mi chiesi se Simona stesse
piangendo anche lei.
Fu
proprio quando prosciugai le lacrime, mentre mi asciugavo il viso,
che vidi in lontananza la sua figura.
"Simona!",
esclamai. Era lontana, e non mi sentì.
"Simona!",
la chiamai di nuovo, sorridendo, accelerando. Mi ero dimenticava
della storta, e la mia caviglia protestò costringendomi a
rallentare
di nuovo il passo, ma ci pensò Simona ad avvicinarsi a me
più in
fretta.
"Marta."
Mi chiamò con un sorriso stanco, ma sollevato. Notai dei
grossi
lividi su alcuni punti delle gambe, dove i jeans si erano stracciati
in seguito a chissà quale sfortuna. Ma anche quella
preoccupazione
svanì subito, dissimulata dal pensiero che comunque era
ancora viva,
ancora forte, e che sorrideva. Finalmente, sorrideva.
Feci
un gran sorriso a quel pensiero, e di nuovo accelerai incurante della
caviglia. Ma, stavolta, non fu solo quella a distrarmi.
Come
scosso sotto al mio passo improvvisamente veloce, il mondo
tremò di
nuovo.
Era
un terremoto più forte, devastante e potente di quelli
precedenti.
Prima di cadere, vidi Simona anticiparmi, ma un secondo dopo fu solo
il buio. Il rumore sordo delle scosse quasi potevo sentirlo, non
c'era nessuno a gridare dal terrore perché soltanto io e
Simona
eravamo ancora vive, ma senza voce. L'avevamo prosciugata a forza di
urlare, tutto quel giorno. Il nostro ultimo giorno.
Risollevai
le palpebre, che tenevo abbassate nel vano tentativo di non vedere la
realtà e di eclissarmi in un piccolo mondo sicuro, in quel
buio
della vista, solo quando percepii un fortissimo dolore alla gamba.
Mi
voltai per vedere, mentre sentivo una strana sensazione di bagnato
appena sotto la coscia, un liquido tiepido sotto al quale la pelle
infuocata pulsava dolorosamente.
Sangue.
Mi
dovetti subito voltare dalla parte opposta per non urlare, per non
guardare più quel taglio così dannatamente
profondo, per sperare e
pregare che quel vetro che mi aveva quasi trapassato la gamba non
fosse lì realmente. Mi coprii la bocca con le mani,
reprimendo
ancora di più l'impulso di gridare, sforzandomi di non
cacciare via
con un disperato urlo tutto il male che stavo provando. Non volevo
far preoccupare Simona.
Simona.
Mi tornò subito in mente a quel pensiero, e trattenendo le
lacrime
che cercavano furiosamente di uscire e di inondarmi copiose il viso
cercai di avvicinarmi.
"Simona",
chiamai, la voce più bassa di quanto avrei voluto. "Simona,
dove sei?"
Dalle
macerie vidi qualcuno sollevare la testa. "Sono qui",
mormorò debolmente Simona, cercando anche lei di
avvicinarsi. Si era
formato un ematoma sulla sua fronte, il sangue colava sulla tempia, e
si rincorreva fino allo zigomo destro.
"Stai
bene?", esclamai, stupidamente, spaventata da quella ferita.
Prima che potesse arrivarmi una risposta, una qualsiasi risposta, una
delle sue risposte brusche e irritate o una risata da lieve presa in
giro, o qualunque altra cosa, la terra tremò di nuovo.
Non
c'era più tempo: il nostro, era finito.
Non
ancora, pensai, con un tono mentale a metà fra il
deciso e il
disperato, non è ancora finita!
Mi
avvicinai il più possibile a lei, per quanto la gamba
facesse male,
per quanto dovessi spingermi avanti senza poter alzarmi e avanzare
fra le macerie, per quanto non vedessi più nemmeno un
barlume di
luce in quell'oscurità.
Gli
ostacoli erano tanti, ma ero sicura che li avrei superati. Quando
c'era Simona, io e lei superavamo tutto. Qualsiasi cosa, qualunque
litigio. Facevamo presto pace. Quante volte la nostra amicizia aveva
subito degli scossoni, come la terra in quei momenti? E quante volte,
invece, quel terreno su cui avevamo costruito il nostro essere amiche
era stato più solido e sicuro che mai?
Avremmo
superato tutto, insieme, stavolta come le precedenti: anche
la
morte, se necessario.
Perché
la nostra amicizia è la cosa più importante e
preziosa del mondo.
La cosa più bella, forte, invincibile che esista.
Afferrai
la mano di Simona nello stesso modo in cui a volte facevamo qualche
stupido saluto inventato sul momento, imitando gli americani e il
loro modo di salutarsi fra amici. La presi e lei mi sorrise felice,
stringendo a sua volta.
"Amiche?",
mormorò, ma nonostante quel tono debole la sua voce mi
arrivò più
chiara e forte che mai.
Sorrisi.
Sorrisi mentre la terra continuava a tremare furiosamente, ed eravamo
ormai certe che il mondo ci stava portando via con sé mentre
finiva.
Sorrisi mentre il mondo moriva, e noi con lui.
Sorrisi,
un secondo prima della fine, e stringendo più forte la sua
mano gli
occhi felici di Simona, felici nonostante tutto, felici anche quando
stavo per parlare un attimo prima della fine, felici perché
eravamo
insieme -e noi eravamo sempre, costantemente, inevitabilmente
insieme- furono l'ultima cosa bella e allegra che vidi prima di
morire. Prima di risponderle, felice.
"Per sempre."
Angolo Autrice
Che
dire? Credo che questa storia parli da sé. Ovviamente
è dedicata
alla mia migliore amica, la mia Chan, che per l'ennesima volta occupa
un grande spazio fra le mie storie e fra i miei pensieri.
In
realtà avevo iniziato a scriverla il 20/12/12, e avevo
pensato di
postarla il 21 (giorno della fatidica "fine del mondo", se
ben ricordate, in cui non ho mai creduto). Una mia amica mi stava
praticamente affliggendo con questa storia della fine, e cercava di
convincermi che ci sarebbe stata sul serio (la povera Giulia di
questa storia, a cui comunque sono affezionata!) , allora ho avuto
l'idea di scriverci qualcosa su. Poi non ne ho avuto il tempo e l'ho
finita di scrivere solo oggi.
Oltre
a Giulia, è presente anche il mio migliore amico Domenico
che si
rispecchia in Leonardo. Vi giuro che ho sviluppato una sorta di
dipendenza dal suo pat-pat sulla testa, e se non lo fa ogni giorno
non solo mi sento come se mancasse qualcosa, mi offendo pure. E ho
ragione, ovviamente.
E
poi c'è mia sorella, che si ritrova in Simona. È
mia sorella, anche
se non abbiamo lo stesso sangue e nemmeno lo stesso cognome.
L'amicizia unisce più di qualsiasi legame familiare, e lei
me lo ha
insegnato.
Come
ho già detto, è dedicata a lei. A lei, che mi
chiama "Marta".
A lei, che ultimamente è un po' giù, e che voglio
risollevare.
Perché
la nostra amicizia è più forte di tutto, e
vincerà qualsiasi cosa.
Anche la fine del mondo!
Grazie a chi ha letto e a chi recensirà, e grazie anche ai lettori silenziosi che hanno avuto la bontà di leggere questa storia e arrivare fin qui. Grazie mille, davvero!
Un abbraccio,
Seele