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Autore: Ryo13    09/01/2013    5 recensioni
Storia della follia a cui può spingere l'amore, narrata nella forma di un racconto. Adam e Amelia non possono vivere l'uno senza l'altro, ma questo li spingerà ad intraprendere un cammino oscuro, che rompe i limiti della vita, della morte, della morale.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
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Eccomi, gente! Il tanto declamato ultimo capitolo della prima parte! Se fin ora Adam è risultato vagamente inquietante, sappiate che secondo me in questo capitolo si raggiungono altre vette di inquietudine ^^ Ho tentato, come potevo, di descrivere la visione della morte dal punto di vista di un essere non umano e definitivamente non in possesso del concetto :excl:
Lascerò a voi il giudizio di come sia venuto fuori il tutto! :gluck:
Spero di non rattristarvi ulteriormente ma questo capitolo è importante anche per la svolta che prendono gli eventi! :tartagurina:
Buona lettura!

Capitolo06_zps817609a8



“Amelia…”
“Amelia…”
“Amelia…”


Adam era seduto sul letto, accanto a lei. Osservava il suo corpo privo di vita senza comprendere pienamente cosa fosse la morte.
Amelia non si svegliava. Non apriva gli occhi, non respirava, non parlava e non si muoveva. Era sempre più fredda al tatto e irrigidita nella stessa posizione. Adam aveva provavo a scuoterla il giorno precedente, ma lei non aveva dato segno di volersi destare. Le opzioni che erano sopraggiunge erano varie: combinando i dati a disposizione aveva ipotizzato che Amelia fosse stanca, che avesse bisogno di dormire, che fosse depressa e così via dicendo fino a prendere in considerazione l’ipotesi che fosse arrabbiata con lui. Sì, perché Amelia non gli parlava. Adam aveva provato a farle delle domande ma lei manteneva un silenzio ostinato.
“Il soggetto non risponde quando gli parli”:
1) il soggetto non ha sentito;
2) il soggetto non ha capito;
3) il soggetto crede che tu non hai finito di parlare;
4) il soggetto è perplesso;
5) il soggetto non ha idee chiare in merito al quesito;
6) il soggetto è distratto;
7) il soggetto non è divertito;
8) il soggetto è arrabbiato;
Aveva scorso tutta la lista delle possibili opzioni e aveva ripetuto le domande più volte e ad alta voce, era rimasto a lungo in silenzio ad attendere una risposta, aveva richiamato la sua attenzione, aveva riformulato le sue domande con parole diverse, non aveva fatto battute di spirito… ne conseguiva che Amelia era arrabbiata con lui. Probabilmente aveva inavvertitamente accennato a qualche elemento che doveva diventare tabù: ma lui non sapeva quale.
Rimase a vegliare sul corpo in attesa che Amelia decidesse di perdonarlo, o di svegliarsi o di dire qualcosa.
Fu un attesa piuttosto lunga che tuttavia Adam non avvertì perché per lui il tempo non aveva il medesimo peso che per un essere umano: aveva un cronometro interno e sapeva che Amelia non si muoveva da ormai cinquantotto ore tredici minuti e ventitré secondi, tuttavia lui non sentiva la stanchezza, non aveva davvero bisogno di dormire, non mangiava, poteva trattenere gli stimoli di espellere i corpi estranei dentro di sé. Così Adam rimase seduto accanto al letto, anche lui immobile, lo sguardo fisso sulla ragazza e sussurrava il suo nome, nel tentativo di comunicare con lei.
«Amelia… Amelia… Amelia…»
A spezzare quel monotono processo fu, una mattina, il suono del campanello della porta.
Adam si risvegliò lentamente dallo stato come di trans in cui si trovava. Come se i suoi processori, a lungo impegnati nella medesima funzione, avessero bisogno di nuova energia per ripartire. Il campanello lo distrasse.
«Amelia, vado ad aprire la porta.» annunciò prima di alzarsi e lasciare la stanza.
Si trovò davanti Marcus che aveva un’espressione preoccupata.
«Dov’è Amelia?» chiese di fretta e un po’ allarmato.
«Di sopra, che dorme.» rispose Adam prontamente.
«Ah! Meno male! Temevo… che le fosse successo qualcosa!» sospirò pesantemente e rilassò la testa sulle spalle, come se si fosse tolto di dosso un peso enorme. «Perché non è venuta al lavoro in questi due giorni, e senza avvisare?! Sta per caso male…?»
«Non mi ha detto che sta male.»
«Ah, bene. Ma allora, perché…?»
«Io non lo so perché non è andata al lavoro. Lei non mi parla. Forse è arrabbiata con me.»
«Non… non ti parla? Da quanto?»
«Da cinquantanove ore, nove minuti e tre secondi.»
«Strano… mi fai entrare?»
Adam si fece di lato e allungò un braccio per invitarlo a entrare.
«Hai detto che sta dormendo, ma… mangia? Ha parlato con qualcuno in questo tempo? È uscita?»
«No. Non si è mossa. E non ha parlato, né mangiato. Temo che sia arrabbiata con me.»
«Come non ha mangiato? Da più di quarantotto ore?!»
«Sì. Precisamente da sessantadue ore e quarantaquattro minuti.»
«Portami di sopra. Devo vederla!» ingiunse Marcus già di nuovo preoccupato. «Sai dove ha messo il cellulare? Abbiamo provato a chiamarla quando non si è presentata in ufficio ma non c’era segnale… come se fosse spento o scarico.»
Adam allora si diresse nell’angolo dove Amelia teneva la sua borse. Vi cercò dentro e tirò fuori il suo cellulare.
Era spento.
Marcus insistette di nuovo per farsi portare al più presto ai piani di sopra. Si udirono, nel silenzio, il tonfo dei loro passi veloci e pesanti sulle scale.
Quando entrò nella camera, la prima cosa che sentì fu una puzza tremenda: Marcus quasi temette di strozzarsi per un'ansia scura che lo aveva travolto. Era tutto buio, dovette acuire la vista perché nella penombra non si scorgeva quasi nulla.
Adam obbedì. La stanza si rischiarò e Marcus finalmente scorse Amelia sul letto.
Allora una strana inquietudine lo prese: il cuore cominciò a battergli più forte presago di sventura: quella figura era troppo immobile perché fosse rilassata in un semplice sonno. La pelle era più che mai bianca, quasi di porcellana, nella luce tenue, e quel silenzio… il silenzio che aleggiava nella stanza, gli ricordava più che mai la quiete che ispiravano i luoghi di riposo eterno.
«A-amelia…» sussurrò con la voce quasi spezzata dal pianto.
Si avvicinò lentamente al letto e quando la vide non ebbe bisogno di altre conferme: Amelia non c’era più, se n’era andata per sempre.
Marcus pianse. Si coprì il volto con la mano tozza e venne scosso da alcuni tremiti.
Adam assisteva ancora una volta senza capire ciò che succedeva attorno a lui.
«Marcus… Marcus…» lo chiamò. «Perché piangi? Sei triste?»
«Sì, Adam, lo sono…» rispose affranto.
«Perché?»
L’uomo sollevò lo sguardo e lo fissò sul robot che glielo restituiva, in attesa. «Sono triste perché ho perso un’amica, Adam.»
«Hai perso un’amica? E non l’ha cercata?»
«Sì… sì. Ma è stato troppo tardi. Tutto inutile...»
«Non capisco.» piegò le sopracciglia per sottolineare la sua perplessità.
«Che significa ‘troppo tardi’? È ancora giorno, puoi uscire a cercarla… e se non la trovi, puoi provare domani o dopodomani…»
«No, Adam. Adesso l’ho trovata.»
«Allora non capisco, perché sei ancora triste?»
«Adam… Amelia è morta.»
«Che significa ‘morta’?»
«Significa… che lei non tornerà più. Non c’è più.»
«Tu dici bugie: Amelia è proprio lì, non la vedi?» indicò il corpo steso. «Forse lei è arrabbiata con me. Non mi parla…»
«Non è arrabbiata. Lei… non può parlare perché è morta.»
«Amelia non è morta perché lei è tornata! È a casa.»
«Questo è solo il suo corpo, Adam. Il suo spirito non c’è più. In lei non c’è più vita.»
«Io non capisco.»
Marcus sospirò. «Lo so che non puoi.»
«Anche lei lo diceva…» sussurrò.
«Che cosa?» domandò Marcus mestamente.
«Lei lo diceva… che io ‘non potevo capire’. Lo diceva Amelia.»

Marcus si occupò dei funerali. Amelia non aveva più parenti in vita ed era sola al mondo. Sola col suo Adam.
La INC Corporation apprese così, insieme, la notizia della scomparsa di una della sue più brillanti collaboratrici e il suo tradimento: Adam fu portato negli uffici, studiato ed esaminato da molti grandi scienziati che cercavano di riprodurre il lavoro della defunta. Il presidente della compagnia fu oltraggiato della scoperta ed espresse il volere di distruggere ‘quella cosa’. Tuttavia i suoi studiosi più influenti lo convinsero a lasciare che diventasse fonte di informazioni per la scienza e nuovo oggetto di studio. Il Signor Milton acconsentì riluttante e non si avvicinò mai all’androide Adam che gli ricordava troppo dolorosamente il proprio nipote.
In una lettera, ritrovata tra gli effetti personali di Amelia, ella lasciava la sua casa e tutto ciò che possedeva a questi. Forse qualcuno avrebbe potuto contestarne la volontà, avvalendosi del fatto che Adam fosse solo un robot –un essere che non era davvero dotato di vita – ma non c’erano altri parenti che potevano ereditare le proprietà e tutti gli altri non ne avevano gli interessi.
Quando cercarono di togliergli il corpo senza vita di Amelia, Adam si oppose con tutte le forze. Dovettero immobilizzarlo e legarlo perché non sapevano come “spegnerlo”.
Egli continuò a fare domande su dove portassero Amelia, del perché la stavano portando via, perché lo tenevano legato, perché lontano da lei.
Una volta giunto al laboratorio, le prime analisi sul suo sistema cibernetico rivelarono che per accedere alla memoria madre – dove erano salvati tutti i parametri principali e solo dall’interno della quale si poteva agire per modificare le funzioni – bisognava avere una password: nessuno la conosceva e da nessuna parte trovarono un indizio che potesse portare a scoprirla.
L’unico modo per poter intervenire su di lui e indurlo a modificare le risposte delle proprie azioni fu quello di fornirlo di nuovi concetti e definizioni di idee: una delle prime cose che gli spiegarono fu la differenza tra un essere umano e un robot come lui.
Così Adam apprese con più precisione il significato di parole fino ad allora sconosciute come ‘morte’, ‘solitudine’, ‘perdita’, ‘fine’... ne apprese le definizioni e tuttavia non poté mai applicarle alla sua idea di Amelia: esse erano in contrasto con quei principi, inamovibili, che ella stessa aveva posto dentro di lui e su cui nessun altro era stato in grado di intervenire.
Amelia non poteva morire.
Amelia non lo avrebbe mai lasciato solo.
Adam non poteva perdere Amelia.
Amelia non aveva fine.

Mano a mano che i sistemi di Adam venivano aggiornati con nozioni sempre nuove e più esatte, l’androide assumeva tratti sempre più umani: le sue espressioni erano più varie, i comportamenti diversi e naturali. In definitiva, si notava sempre di meno la sua “diversità”.
Se da un lato ora Adam poteva comprendere molte più cose, tuttavia il bisogno della sua creatrice non venne mai meno ma aleggiava, come un pensiero fisso, in ogni cosa che faceva e che imparava. Più informazioni gli fornivano, anzi, più elementi aveva che gli consentissero di perfezionare un piano per riavere con sé Amelia.
E finalmente, un giorno, ottenne la chiave per mettere in moto il tutto.

 

[Continua...]

 

   
 
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