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Autore: Alley    09/01/2013    3 recensioni
Nemmeno Fury è incline ai suddetti allarmismi - quel genere di persone non potrebbe mai far parte dello S.H.I.E.L.D., o finirebbe in una clinica psichiatrica nel giro di ventiquattro ore -, tant’è che quella mattina, mentre lui s’apprestava ad eseguire gli ordini impartitigli già il giorno precedente, gli aveva detto con estrema tranquillità: "Convinci Barton a muovere il culo o lo spedisco a fare la crocerossina in Iraq con biglietto di sola andata."
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Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Phil batte energicamente le nocche contro la porta. Dall’interno dell’appartamento non proviene il benché minimo rumore.

Bussa a lungo, senza ottenere alcuna risposta. Esattamente come si aspettava.

Natasha non è il tipo di persona incline a facili allarmismi e, pertanto, il suo la situazione è preoccupante aveva preannunciato quanto il compito sarebbe stato arduo.

Nemmeno Fury è incline ai suddetti allarmismi - quel genere di persone non potrebbe mai far parte dello S.H.I.E.L.D., o finirebbe in una clinica psichiatrica nel giro di ventiquattro ore -, tant’è che quella mattina, mentre lui s’apprestava ad eseguire gli ordini impartitigli già il giorno precedente, gli aveva detto con estrema tranquillità: "Convinci Barton a muovere il culo o lo spedisco a fare la crocerossina in Iraq con biglietto di sola andata."

A furia di bussare le nocche gli si sono arrossate. Sente che entrare in casa senza permesso non è l’approccio migliore per affrontare la questione ma a) l’alternativa è restare fuori la porta e b) qualunque approccio sceglierà, la faccenda resterà maledettamente complicata. Inutile farsi scrupoli.

Tira fuori dalla tasca la chiave che Natasha gli ha consegnato il giorno prima – quando gli ha detto d'esser seriamente preoccupata e gli chiesto di parlargli a tutti i costi, avesse dovuto sfondare la porta per farlo – e, infilatala nella serratura, apre la porta.

Il primo pensiero che gli passa per la testa è che una banda di ladri abbia fatto irruzione durante la notte e abbia messo a soqquadro l’appartamento nella speranza di trovare chissà quale tesoro: tende strappate, sedie rovesciate e altre sommerse di abiti, oggetti di ogni tipo sparsi sul pavimento e sui mobili. Il tutto condito da un tanfo piuttosto sgradevole - per usare un eufemismo -, il quale suggerisce che le finestre non vengono aperte da parecchio tempo. I vetri chiusi sono oscurati da un paio di ampie tende che impediscono alla luce del sole di illuminare l’interno; sarebbe del tutto buio, se non fosse per i deboli raggi che riescono a penetrare attraverso il tessuto.

Phil rammenta l’identità del padrone di casa e accantona l’ipotesi del furto; quello è semplicemente lo stato in cui tutti gli appartamenti che abbiano la sfortuna di essere abitati da Clint Barton vengono ridotti. Lo sa perché non è la prima volta che è costretto a recarsi fino a casa sua a ripescarlo, anche se è la prima volta che si assenta per così tanto tempo, che Natasha gli rivela d'essere preoccupata e che sparisce dopo…

Phil s’accorge solo dopo una più attenta perlustrazione visiva del luogo che su una delle pareti è conficcata una freccia; la punta metallica ne ha penetrato la superficie creando sottili crepe sull’intonaco immacolato.

Supera l’ingresso immerso nel caos e si dirige verso quello che suppone essere il salotto.

Ora che ci pensa, ripescare Barton è diventata una delle attività a lui più congeniali, tante le volte che è stato costretto a farlo. Dalla prima volta è passato tanto di quel tempo che nemmeno ricorda che anno fosse; militava nelle file dello S.H.I.E.L.D. da pochi mesi e Fury gli aveva parlato di un ragazzo – un piantagrane – che girovagava per la città scagliando frecce a destra e a manca per procacciarsi quel che gli occorreva per tirare a campare, noto per la precisione millimetrica con cui era solito colpire il bersaglio.

Le alternative erano due: arruolarlo, metterlo in riga e sfruttare il suo talento o aspettare che qualcuno si stancasse dei suoi modi e se ne liberasse, facendolo sbattere in galera o, più probabilmente, provvedendo alla sua eliminazione.

Di Fury tutto si può dire tranne che non sia un tipo lungimirante; scelse la prima opzione ed affidò alla new entry il compito di strappare il novello Robin Hood dalla strada. Phil impiegò un po’di tempo a rintracciarlo, ma di sicuro convincerlo ad entrare a far parte dello S.H.I.E.L.D. non fu la parte più difficile della missione, anzi. Bastò offrirgli vitto e alloggio gratuito a vita e un arco iper tecnologico per persuaderlo. La parte peggiore fu instillare in quello spirito ribelle la disciplina indispensabile per quel tipo di contesto e, in generale, convivere civilmente con la gente. Il termine 'disciplina' non figurava nel vocabolario del giovane Barton - all'epoca, includeva soltanto termini quali 'sopravvivenza' e 'solitudine' – e Phil non è poi così convinto che con il tempo vi sia stato introdotto; Barton è ancora un piantagrane per nulla amante delle regole, ma è anche, al contempo, un professionista ineccepibile, uno dei migliori, e questo basta e avanza. Pazienza se ogni tanto deve ripescarlo ancora e coprire le sue piccole malefatte.

Quando supera l’ammasso di cianfrusaglie sparse sul pavimento, raggiunge il salotto e lo vede buttato su un divano rivestito di pelle logora, gli pare d’esser tornato indietro nel tempo e di rivedere quel ragazzino scapestrato e strafottente che vagava per le via di New York come un ladruncolo. Esattamente come quella volta, la prima volta che lo vide, stringe l’arco tra le mani e lo fissa come se fosse l’unica cosa al mondo di cui gli importi.

"Ti si è rotta la sveglia?"

Lui non sposta lo sguardo di un millimetro; continua a contemplare la sottile impugnatura metallica.

Previsto anche questo.

Phil si avvicina al divano e gli strappa l’arco di mano. Evidentemente Barton non s’aspettava quel gesto, perché sottrarglielo è fin troppo semplice. Non ha il tempo di opporre alcuna resistenza. Un lampo di fastidio gli balena nello sguardo, ma è un istante; immediatamente torna ad assumere quell’espressione distaccata e abulica con la quale, fino ad un secondo prima, aveva fissato la sua preziosa arma.

"Sono giorni che non ti presenti alla base. Il direttore-"

"L’ha mandata a tirarmi giù dal letto? Mi spiace che sia venuto fin qui, tempo sprecato."

Non si lascia scalfire dal livore e dalla prepotenza con cui pronuncia quelle parole. Sa da cosa siano dettate, sa cosa c'è dietro - sa quanto dolore nascondano.

"Natasha è preoccupata per te."

"Risparmi il fiato, signore. Qualunque cosa dirà non mi farà cambiare idea."

Phil ripone a terra l’arco, poi si solleva e torna a fissarlo. La linea che decide di adottare è più dura di quel che vorrebbe, ma sa che cautela e accondiscendenza non porterebbero a nulla - non hanno mai portato a nulla, con Clint.

"Il direttore non ha intenzione di assecondare i tuoi capricci, Barton. Se non rientri oggi stesso non ti accoglierà a braccia aperte quando ti deciderai a farlo."

"Non succederà."

Finalmente si smuove, sollevando il busto e mettendosi a sedere in modo più o meno composto, prestando sempre grande attenzione a non incrociare il suo sguardo.

"Io ho chiuso."

Il suo tono è così lapidario che chiunque, davanti a tanta risolutezza, getterebbe la spugna.

Chiunque, ma non Phil Coulson.

"Smettila di comportarti come un bambino. Non ti si addice più."

"Non crede che possa farlo?" ribatte, e l’ombra di quel sorriso insolente – quel sorriso contro il quale Phil si è scontrato tutte le volte che ha dovuto ripescarlo - appare sul suo volto; ma stavolta è diverso, stavolta somiglia molto più ad una smorfia che ad un sorriso, ed è carico di amarezza.

"Non ti reputo così stupido."

Barton serra la mascella e preme le labbra l'una contro l'altra. Gesti rapidi e nervosi, carichi di frustrazione. "Anch’io non mi reputavo così stupido..."

Ancora non lo guarda. Fissa lo sguardo su un punto indefinito della parete che, però, a Phil non occorre molto per capirlo, in realtà non vede. È dentro di se che sta guardando e i suoi occhi spenti sono due finestre sull’abisso di rimpianto ed orrore che lo divora e che l’ha tenuto inchiodato a quel divano per tutti quei giorni.

"...non mi reputavo così stupido e così maledettamente debole."

Abbassa la testa e designa il legno del parquet come nuovo pretestuoso motivo di interesse per non affrontare lo sguardo di Phil.
 
"Non eri tu."

Phil non credeva che una frase così concisa, tre semplici parole, potessero scatenare una tale reazione. L’ha detto perché lo pensa, perché lo sa; sa che la trappola in cui Barton è caduta è stata tessuta dal più scaltro degli aracnidi e le sue fila erano troppo intricate per potergli sfuggire. Non c’è astuzia né addestramento che tenga per certe cose.

Eppure Barton alza la testa e scatta in piedi, rosso in viso come se avesse corso a perdifiato, irato come Phil non l’ha mai visto prima. Avanza di qualche passo e sferra un calcio violentissimo all’arco – l’arco, il suo gioiello, l’arco che non toccarlo o sei morto - ma non se lo toccava lui; a lui non aveva mai obiettato nulla -, che giace sul pavimento nel punto in cui l’ha deposto poco prima.

L’arma sbatte contro la parete con un tonfo e Barton la raggiunge, prendendo a pestarla come fosse un insetto da schiacciare sotto i piedi, come fosse…

La furia si placa all’improvviso, esattamente com’era scoppiata. L’arco è ancora perfettamente integro - ci vuole ben altro per distruggere i congegni delle Stark Industry. È qualcos'altro, in quella stanza, ad essere rotto.

Quando l'arciere si volta ha il volto stravolto e Phil non sa se sia per la rabbia, il dolore o l’incredulità - o tutte e tre le cose.

"Non ero io, certo…"

Adesso guarda fuori dalla finestra e, a giudicare dallo sguardo perso e vacuo, il panorama che gli si presenta è ben più oscuro del cielo azzurro parzialmente nascosto dalle tende di velluto. Ancora una volta, non è fuori che sta guardando.

"...ma erano mie le mani ricoperte di sangue e mie le frecce piantate nel cuore di quegli innocenti e…"

La voce gli si spezza e Phil si rende conto con diversi secondi di ritardo d’essere avanzato verso di lui; l’ha assalito l’irrefrenabile impulso di abbracciarlo, di stringerlo sussurrandogli che non è stata colpa sua, e se le parole non bastassero sarebbe pronto a qualsiasi cosa per quietare il suo tormento.

Per fortuna, la sua parte razionale ha ripreso in tempo il sopravvento e l’ha immobilizzato. Stranamente, non è così felice della tempestività con cui è intervenuta.

Barton alza il capo e finalmente i loro sguardi si incontrano. Non pare aver colto la sua esitazione - ed è un bene, ed è meglio così.

“Io non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio.”

L’angoscia strazia e puntella ogni parola, la rabbia si tramuta in una disperazione placida e stanca – faticosa, opprimente come un macigno.

“Restare chiuso qui non cambierà nulla” dice Phil e adesso la sua voce è un po’più morbida, l’espressione meno accigliata “Non servirà a niente, se non a procurarti ‘un biglietto di sola andata per l’Iraq’ – sì, è una citazione testuale.”

Barton lo scruta per qualche istante e aggrotta la fronte. L’ombra di un sorriso gli piega appena le labbra e alleggerisce la tensione intrappolata nei lineamenti del suo volto. Phil sente un’ondata di caldo sollievo investirlo.

“Non era l’Alaska?” gli domanda e Phil sorride a sua volta e scrolla appena le spalle.

“Avrà trovato un low cost per Baghdad.”

L’accenno di una risata riecheggia nel silenzio dell’appartamento. È un riso pallido e sbiadito, striato di sofferenza, ma per Phil è un piccolo miracolo – ed è un suono bellissimo da ascoltare, anche se non è pieno e vivo come tutte le volte in cui, in passato, hanno riso assieme.

“Tutti vogliono che torni.”

Io voglio che torni

Barton storce la bocca e abbassa il capo, lo sguardo combattuto di chi non sa cosa volere – di chi reputa qualsiasi scelta una colpa.

“Credo che l’arco avrà bisogno di una sistematina” mormora, massaggiandosi la nuca, e Phil si sente improvvisamente più leggero.

“Non sarà un problema.”









Note
Loooooo so, lo so. Avevo promesso di dedicarmi esclusivamente alla long ed evitare digressioni, ma sappiate che mai come questa volta non è stata colpa mia, bensì di altre due persone (essendo scrittrici del fandom, volendo, potete prendervela direttamente con loro). La prima è Will P, della quale vi linko la pagine autore sia perchè è stata la mia musa ispiratrice sia perchè non potete assolutamente essere frequentatori di questo fandom senza aver letto qualcuna delle sue splendide Clint/Coulson (e finire come me in un tunnel senza uscita che vi porterà a divorarne sempre di più e nei casi più gravi, come il mio, a scriverne anche). L'altra è la metà del mio ggguoricino, _Maria_, alla quale dedico questa storia con la speranza che possa almeno in parte attenuare l'anzzzzzzia della giornata (daje tutta JJJJJJJJ). Il risultato non è granchè ma a causa loro non ho potuto che gettarmi a capofitto nella realizzazione di questa shot e questo è quel che ne è uscito. Spero che qualcuno possa trovarla quanto meno leggibile *occhietti languidi*
P.S. Il "What if?" è dovuto al fatto che la storia si colloca dopo i fatti di New York e Phil è splendidamente vivo e vegeto.
  
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