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Autore: Sexy_Shit    09/01/2013    1 recensioni
vanitoso, misterioso e scontroso, il ragazzo sbagliato per lei, eppure, così dannatamente giusto. ma Megan non è una ragazza qualunque e non si lascerà incantare facilmente dal lato di seduttore di Zayn, bensì scaverà a fondo, trovando il vero lui. e lei? riuscirà a stare bene, finalmente?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Un'altra sera come le altre. Il buio era calato sulla città portando un'aria umida che s'incollava fastidiosamente alla pelle. Lo strato spesso di nuvole m'impediva di vedere la luna e le stelle. Aveva piovuto incessantemente per tutta la settimana e le previsioni non davano segni di miglioramento: nuvolo, pioggia, uno spiraglio di sole e di nuovo pioggia. Il solito clima londinese. Nulla a che vedere con Parigi. Certo, non che lì splendesse il sole tutti i giorni, ma almeno non pioveva così spesso. E io odiavo la pioggia e giuro di non averla mai odiata così tanto. Spensi il mozzicone di sigaretta sul davanzale della finestra e tornai dentro. Oreste venne a strusciarsi contro le mie gambe e lo presi in braccio, facendogli dei grattini sulla testolina. Il suo pelo lucente era segno che si era lavato da poco. Vidi il mio cellulare vibrare incessantemente sopra al tavolo della cucina.

- Pronto? -

- Megan, sono la zia. -

- ciao zia. -

- come va lì? -

- pioggia, pioggia, nebbia e ancora pioggia. -

La sua risata stanca mi riempì le orecchie.

- piccola mia, come fai a sopravvivere? Tu odi la pioggia! -

- non me ne parlare...è come il mio peggiore incubo che si materializza. -

- non ti scoraggiare, i tuoi sforzi saranno ripagati. La scuola è già iniziata? Hai fatto amicizie? -

- mi conosci zia, l'unica persona con cui scambierò qualche parola sarà il bibliotecario. -

- tesoro mio devi pur farti qualche amico...e i ragazzi sono carini? -

- certo, tutti molto carini, ma non vale la pena di perdere tempo con quei coglioni montati, fidati. Gli inglesi sono anche peggio dei francesi. -

ridemmo insieme.

- tesoro, ora devo andare, ci sentiamo presto. E non fare l'associale. -

- non ti prometto niente. Notte zia. -

chiusi la telefonata e mi buttai di peso sul divano. Erano solo le 19.30 ma già era buio come se fosse notte. Ero a Londra da circa due settimane e ancora non mi ero abituata agli orari; qui la scuola iniziava alle 9 del mattino, cosa assolutamente positiva per una che alla domenica dorme fino a mezzogiorno, e alla sera cenavano alle 5 di pomeriggio, cosa che mi andava meno a genio, dato il mio scarso appetito. Il display del mio cellulare s'illuminò, informandomi dell'arrivo di un nuovo messaggio. Mittente: sconosciuto. Fantastico.

“ party hard a casa Payne 52 avenue alle 09.00 a.m.. Invita chi vuoi e non mancare! “

An sì: gli inglesi avevano anche l'odiosa abitudine di contare le ore solo fino al 12. cosa che mi confondeva in una maniera terribile facendomi fare delle occasionali figure di merda. E chi diavolo era questo Payne? E come diavolo faceva ad avere il mio numero? Boh, fattostà che erano ormai le 20.00 e il mio stomaco reclamava il cibo. Mi alzai di malavoglia dal divano ed infilai le mie sdrucite converse nere e misi in borsa il mio amato romanzo “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Decisi che sarei andata a comprare una pizza, in quanto le mie doti culinarie lasciassero alquanto a desiderare.

- ci vediamo tra poco Oreste, fai il bravo. –

Chiusi a chiave il piccolo appartamento e salii in auto. In due settimane che ero qui avevo mangiato più pizze di un inglese in tutta la sua vita. Fortunatamente avevo un metabolismo che mi permetteva di rimanere nel mio solito peso ma di sport non se ne parlava. Arrivata davanti alla pizzeria d’asporto parcheggiai l’auto. Dentro non c’era molta gente: una ragazza sulla trentina dai corti capelli biondi, il suo compagno e un ragazzo di circa la mia età, dai capelli corvini e dei tratti orientali. L’uomo sulla quarantina che stava dietro al bancone delle ordinazioni mi sorrise. Mi avvicinai.

- Buona sera signorina, dica pure. -

- salve vorrei una pizza margherita. -

- ha paura d’ingrassare? La nostra pizza è sana, non ha molte calorie. -

- lo immagino, ma credo che prenderò comunque una margherita. -

- come desidera. Ma no sa cosa si perde! -

Feci un sorriso tirato e andai a sedermi sulle poltroncine d’attesa. Il ragazzo di prima mi guardava divertito, come se fosse la prima volta che vedeva una ragazza alterata. Tirai fuori il mio libro e continuai a leggere da dove mi ero fermata:

“ < raccontaci una storia!> disse la Lepre Marzolina.

< sì, ti prego!> implorò Alice.

< e sbrigati > aggiunse il Cappellaio < o ti addormenterai prima della fine. >

< c’erano una volta tre sorelle che si chiamavano Elsie, Lacie e Tillie e abitavano in fondo a un pozzo…> iniziò il Ghiro.

< e che mangiavano? > chiese Alice.

< si nutrivano di melassa. > disse il Ghiro, dopo aver riflettuto qualche minuto.

< ma è impossibile, sai, gli avrebbe fatto molto male. > disse Alice.

< infatti, stavano malissimo > disse il Ghiro.

< ma perché vivevano infondo ad un pozzo? > continuò Alice.

< prendi dell’altro tè > disse seria la Lepre Marzolina.

< veramente non l’ho ancora preso, ragion per cui non posso prenderne dell’altro. > rispose Alice in tono offeso.

< vuoi dire che non puoi prenderne di meno > disse il Cappellaio < se non si è avuto niente non si può prendere che qualcosa. >

< nessuno ha chiesto la tua opinione. > disse Alice per poi tornare a rivolgersi al Ghiro, ripetendo la sua domanda < perché vivevano in fondo ad un pozzo? >

Il Ghiro vi pensò su un paio di minuti e poi rispose < era un pozzo di melassa. >”

(…)

 

Alzai di poco lo sguardo e riuscii a notare il ragazzo di prima, che ancora mi fissava. Dannati inglesi, ma non gliel’insegnano l’educazione?

- Malik, le tue pizze -

Disse il pizzaiolo e il ragazzo moro si voltò. Si avvicinò e prese le due pizze.

- grazie John. –

- figurati, salutami tua madre quando torni a casa! –

- certo, anche lei ti saluta. –

Si avviò alla porta e prima di uscire mi guardò un ultima volta, lasciandomi inebetita davanti al sorriso sghembo più provocante e sexy che avessi mai visto. Se non fossi stata in pubblico forse avrei fatto le bave, ma cercai di trattenermi.

- signorina? La sua margherita. –

Misi il libro in borsa e andai al bancone per pagare.

- è un bel ragazzo, vero? – mi chiese l’uomo dopo avermi fatto lo scontrino.

- bè, sono tutti belli qui, ma io non sono qui per i ragazzi. –

- scuola, immagino. –

- già, voglio impegnarmi al massimo. –

- hai un accento strano, sembra…francese? – alzò le sopracciglia in un’espressione interrogativa. Io annuii.

- in realtà, sono inglese, ma ho vissuto molto tempo a Parigi. –

- e così abbiamo una bella francesina nel nostro quartiere…bè, benvenuta a Londra. –

- grazie. – sorrisi all’uomo, anche se avrei voluto mandarlo gentilmente a fanculo. Detestavo Londra, quella città grigia piena di palazzi e stupidi taxi giallo canarino.

“ tesoro, devi pur farti qualche amico…”

E va bene zia, ci avrei provato. Quella sera sarei andata alla festa di questo Payne e mi sarei fatta conoscere.

 

Erano circa le 21.30, la festa era iniziata già da mezz’ora ed io ero ancora stesa sul divano a leggere. Oreste era rannicchiato sopra al mio stomaco e sonnecchiava tranquillo. Mi alzai di malavoglia, facendolo scendere, infilai le scarpe e uscii, senza badare al trucco. Avevo deciso di indossare un pantaloncino in jeans con delle calze a rete consumate e rovinate, una canotta grigia con l’immagine di Kurt Cobain appartenuta a mio zio e le mie solite converse nere. Giacca di pelle ed ero già in auto, in cerca della 52 avenue. Non fu difficile individuare la casa, dato che era l’unica della via da cui proveniva un baccano infernale. Parcheggiai l’auto due case più avanti. La porta di casa era aperta, nessuno più controllava chi entrasse, se qualcuno l’avesse mai fatto. Dentro regnava il caos più assoluto: ragazzi ubriachi si strusciavano tra di loro, altri ballavano sopra ad un tavolino che presto avrebbe ceduto ed altri chissà cosa stavano facendo ai piani superiori. Andai subito al tavolo dei drink, dovevo sciogliermi. Presi un bicchiere bello pieno di whisky e coca e ne buttai giù metà, senza dare retta alla gola in fiamme e ai leggeri capogiri che iniziavano a farsi avanti. Abbandonai il mio bicchiere sul tavolo e mi lanciai sulla pista. Go all the way, il titolo della canzone che andava. La conoscevo, e non mi dispiaceva affatto, sempre meglio di quella musica spaccatimpani da discoteca. Appena iniziai a muovermi sentii qualcuno avvicinarsi a me e cingermi i fianchi con le mani. Di solito mi sarei girata per accertarmi di che genere di persona avessi accanto, ma non questa volta. Nuova città, nuova me. Dovevo semplicemente lasciarmi andare. Stetti al gioco del tipo e cominciai a strusciarmi contro il suo petto; chiunque fosse aveva un fisico davvero niente male. Mi stavo divertendo ma il tipo iniziava a scendere con le mani, un po’ troppo per i miei gusti, così, mi staccai dalla sua presa e andai al piano di sopra, senza girarmi per vedere chi fosse. Non m’interessava, ma se io interessavo a lui mi avrebbe seguita e speravo vivamente che non lo facesse. Quella casa era enorme doveva avere almeno tre piani ed ogni corridoio sembrava infinito. Passai affianco alle stanze per sentire se fossero occupate e, quando ne trovai una che sembrava libera vi entrai e la chiusi a chiave.

- chi è? –

Sussultai nel constatare che nella stanza con me c’era qualcun altro. La sua voce era calda ma abbastanza sottile, e mi sembrava stranamente familiare. Eravamo circondati dal buio e l’unica fonte di luce era la luna che si vedeva dalla finestra aperta.

- stavo cercando il bagno. –

Dissi la scusa più banale che mi fosse venuta in mente, non ero brava a mentire. Questo rise.

- stai scappando anche tu da qualcuno, vero? –

- tu stai scappando da qualcuno? –

- ragazze appiccicose. Non mi va di andare a letto con la prima ragazza facile che passa. –

Riuscii ad intravvedere la sua sagoma seduta per terra, ai piedi del letto. Mi sedetti anch’io appoggiando la schiena alla porta; era difronte a me.

- dev’essere difficile? – lui sogghignò.

- no, dev’essere…una via di mezzo… -

- difficilmente difficile, allora. –

No vi fu alcuna risata da parte sua, sembrava aver davvero capito cosa intendevo dire.

- tu come sei? –

- facilmente difficile, suppongo. –

- si capisce dal modo in cui parli; anche quello è complicato. –

Questa volta fui io a ridere.

- si, forse leggo troppi libri vecchi. –

Seguì qualche minuto di silenzio. Poi lo sentii muoversi e avvicinarsi a me. Si posizionò davanti a me e mi scrutò, cercando di vedermi nonostante il buio. Io riuscii a vedere i suoi occhi, piccoli e sottili dai mille riflessi argentei sotto a quella pallida luce.

- e tu come sei? – chiesi, tornando allo strano discorso di prima.

- difficilmente facile, penso. E mi piacciono quelle facilmente difficili. –

- so a che gioco stai giocando e di solito non giocherei, ma…ho bevuto e questa sera mi va di essere facilmente facile. –

Si avvicinò ancora ritrovandoci ad un soffio l’una dall’altro.

- tu da chi scappavi? – chiese con una nota d’impazienza nella voce, come se volesse ancora aspettare ma non vedesse l’ora di strapparmi i vestiti di dosso.

- da quelli come te. Ma ora non scappo più. –

Sorrise sulle mie labbra e annullò la distanza tra di noi in pochi secondi. Il suo alito sapeva di vodka e tabacco, un mix fantastico. Approfondimmo il bacio e lui cominciò a scendere con un’umida scia di baci sul mio collo. Io mi appropriai del lobo del suo orecchio. Mi circondò la vita con le braccia sollevandomi. Il desiderio di lui cominciava a farsi spazio prepotentemente in me. Fece scendere le mani fino ai miei glutei e mi sollevò portandomi sul letto e adagiandomi delicatamente sul materasso continuando a baciarmi. Infilai le mani nei suoi capelli: erano stati sollevati in un enorme ciuffo con del gel e mi divertii a scompigliarglieli provocando un gemito d’assenso da parte sua. Accennai ad una risata e tornai a concentrarmi sul suo corpo. Dopo aver tolto anche l’ultimo bottone gli tolsi impazientemente la camicia e la gettai a terra. Feci scorrere le mani sul suo corpo senza stupirmi del fatto che fosse perfetto: addominali scolpiti, spalle larghe e braccia possenti. Mi tolse la giacca di pelle e anche la canottiera iniziando a baciare e leccare ogni lembo di pelle scoperto del mio seno. Con le mani scesi fino ai suoi jeans, slacciandone il bottone e togliendoglieli definitivamente. Una volta che fu di nuovo sopra di me sentii la sua erezione premere contro la mia coscia. Infilai una mano nei suoi boxer senza aspettare, non potevo, il desiderio era troppo grande. Presi in mano il suo membro ed iniziai a massaggiarlo ribaltando la situazione, per rendere la posizione più comoda. Cominciai ad andare su e giù con la mano, prima lentamente per poi aumentare la velocità. Nel frattempo lui mi aveva già sfilato sia gli shorts che le calze. Fin che lavoravo sulla sua intimità gli lascia degli umidi baci sull’incavo del collo e, ad ognuno, sentivo una scarica di piacere invaderlo; avevo trovato il suo punto debole. Passò le mani sulla mia schiena e cercò di slacciarmi il reggiseno ma ci mise più del previsto: si era incastrato. Ma era talmente eccitato e voglioso che con un colpo deciso lo strappò, rompendo il piccolo gancio in metallo e lanciando l’indumento al suolo. Io non diedi importanza al suo gesto, di reggiseni ne avevo almeno una ventina, averlo in questo momento era più importante. Tornò sopra di me martoriandomi un capezzolo con i denti facendo uscire qualche gemito di piacere dalla mia bocca. Intanto infilò senza indugio due dita nella mia intimità, provocandomi dei fremiti incontrollati di piacere. Era da troppo, troppo tempo che non mi lasciavo andare così. Si fermò un attimo; lo vidi allungare una mano verso il pavimento in cerca di qualcosa nella tasca dei suoi jeans. Ne estrasse un preservativo e se lo infilò in poco tempo. Tornò su di me mordendomi le labbra già arrossate. Io aprii le gambe permettendogli di penetrarmi, dapprima con movimenti lenti per farmi abituare alla sua presenza in me. Dopo qualche movimento si fermò, per permettermi di abituarmi senza recarmi dolore. Involontariamente le mie pareti si chiusero, stringendo il suo membro. Un gemito gutturale uscì dalle sue labbra e subito dopo iniziò a muoversi acquistando velocità. Mi aggrappai alle sue possenti spalle, richiedendo una forza maggiore che lui non esitò a dimostrare. Conficcai le unghie nella sua carne qualvolta toccasse il mio punto, facendolo urlare di dolore e piacere. Senza staccarmi da lui riuscii, in qualche modo, a ribaltare la situazione, trovandomi sopra di lui. Portò le mani sui miei glutei guidandomi nel gestire le spinte. I nostri gemiti aumentarono e riempirono la stanza finchè non venimmo insieme. Un orgasmo incontrollato m’invase, facendomi urlare di piacere. Allora, lui si acasciò al mio fianco, esausto e soddisfatto. Presi il lenzuolo e mi coprii, cominciava a fare freddo senza il calore del suo corpo sul mio. Quando il battito del mio cuore tornò regolare lui si posizionò nuovamente su di me.

- come ti chiami? –

- non ho intenzione di dirtelo. –

Lo scostai e mi alzai, per infilarmi i vestiti, ad eccezione del reggiseno, che era irrecuperabile. Lui era rimasto a guardarmi sul etto.

- perché no? – chiese, quasi offeso.

- perché non voglio conoscerti. Rovinerebbe tutto. –

- d’accordo. Quindi…è stata solo una notte di sesso. –

- gran sesso. –

Lui rise e si alzò, infilandosi a sua volta gli indumenti. Prima che potessi andarmene mi fermò.

- aspetta… -

Mi voltai e lui mi tirò a se dandomi un bacio prepotente, colmo di passione, facendomi tornare la voglia di cedere al piacere ma mi trattenni e lo allontanai piano.

- addio. –

- è stato un piacere. -

Risi e uscii dalla camera, precipitandomi al piano di sotto perché lui non potesse vedermi. Uscii subito dalla casa e tornai alla mia auto. Ingranai la marcia e partii, lasciandomi alle spalle la prima notte di piacere da quado ero arrivata nella fredda e spenta Londra.

  
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