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Autore: _myhappyending    09/01/2013    3 recensioni
Passano 5 anni dalla morte di Artù e uno strano uomo si presenta a Camelot lasciando una strana profezia a Merlino. «Di mito è il suo nome, oro colato i suoi capelli, le onde del mare negli occhi.
Nobile cuore del più valoroso cavaliere le è stato dato, animo coraggioso e puro.
Trovala, Emrys, e ti porterà al tuo completo destino.
Ma attento, la sua persona è la tua gioia e la tua pena. Solo lei, però, può portarti al tuo re, solo lei è la chiave perché il solo e futuro re rinasca. Ascolta le mie parole, Emrys.»
E Merlino lo fa, cerca ovunque quella donna finchè invece non è proprio lei ad andare dal mago, e con lei una dolce sorpresa.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gwen, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Adoro adoro adoro il fatto che la FF vi piaccia e che siate impazienti di leggere! E io sono impaziente di farvela leggere!
Il personaggio di Medea verrà descritto meglio in futuro, per adesso vi lascio con un mio fotomontaggio, per farvi vedere com'è nella mia testa la bella Medea:

 





 
Chapter 3.
If I forgot who I am, would you please remind me?
 

Nessuno dei tre aveva dormito decentemente, quella notte. Tante domande affollavano la mente di Medea e di Artù stesso. Come aveva fatto a perdere la memoria? Lui era il re, cosa era successo?
A Medea era stato raccontato che il servo fedele di Artù l’aveva visto morire, aveva perso la vita tra le sue braccia, ma perché in quel momento era lì, vivo e vegeto? E soprattutto, a chi doveva dirlo?
Avrebbe dovuto chiedere udienza alla regina, avrebbe portato con sé Artù.
Roland, invece, aveva paura che accusassero la figlia di stregoneria. Se il servitore di Artù l’aveva visto morire, allora qualcuno l’aveva fatto tornare. Artù invece ricordava solamente di essersi svegliato su una barca, si era trascinato fino alla riva e lì era rimasto fino a quanto Medea non l’aveva trovato.
«Devo parlare con la regina» iniziò Medea, sospirando. Sentiva di doverlo fare non solo per quel ragazzo che non sapeva più chi fosse guardandosi allo specchio, ma anche per restituire a Camelot il re che aveva perduto.
«Non farlo, ti accuseranno» Roland, seduto a capotavola, non era d’accordo con le intenzioni della figlia. Non voleva essere sgarbato nei confronti del re, ma non voleva perdere di certo Medea.
La ragazza, di tutta risposta, gli lanciò uno sguardo truce. «Se anche fosse, padre, la regina dovrebbe essermi riconoscente di averle riportato indietro il marito»
«E dopo ti taglierà la testa!»
«O mi ergerà una statua!»
«Non lo farà!»
Cominciarono ad urlare l’uno sull’altra per parecchi minuti, con Artù di fronte a loro che, a capo chino, stringeva la mascella e sopportava il doloroso mal di testa. Era confuso, si sentiva inutile e vulnerabile. Non ricordava nulla, non sapeva nemmeno se quello fosse il suo vero nome.
Da un giorno all’altro si era ritrovato dall’essere nessuno all’essere il re di Camelot, che lui non ricordava nemmeno dove si trovasse.
Cosa avrebbe fatto se lui fosse stato davvero il re di Camelot? Con quale coraggio sarebbe ritornato dalla donna che lui avrebbe dovuto amare, ma non amava? Non sapeva nemmeno che aspetto avesse, questa regina. Avrebbe deluso lei, le aspettative che tutti avevano riguardo la sua persona. Era una responsabilità troppo grande che quell’ingenuo Artù non era in grado di farsi carico.
Lentamente si alzò dalla sedia, placando di poco e quasi per nulla le urla dei due tipi strani in cucina. Si intrufolò dentro quella che doveva essere la camera di Medea, rassettata per bene ma poco luminosa.
Non sapeva cosa fare, quale fosse la scelta giusta per lui, per il regno, per la figura di grande uomo e re che tutti stimavano nel regno. Non ricordava nemmeno come si lottasse con la spada, corpo a corpo, a mani nude o con la lancia, quando invece probabilmente il re aveva avuto quelle basi fin da piccolo. Un re che non sa brandire la spada, proprio il meglio per Camelot, insomma, pensò ironicamente, sbuffando.
Dalla piccola porticina, sbucò il faccino dispiaciuto e mortificato di Medea. Aveva un viso bellissimo, pallido, incorniciato da una folta chioma biondissima e un paio di occhi che parevano gemme azzurre. Poteva essere benissimo scambiata per una principessa e nessuno si sarebbe accorto che non lo era.
Da quando l’aveva incontrata, Artù aveva colto pochi tratti di lei, ma ben definiti: odiava i cavalieri, odiava essere trattata come una dama qualsiasi, amava avere il controllo della situazione ed era molto indipendente e orgogliosa.
«E’ permesso?»
«Beh, è casa tua» sussurrò il re, sorridendo appena.
«Non è casa mia» rispose la bionda, avvicinandosi un po’ di più al re, fino a sedersi affianco a lui sul letto duro. «Sei sgattaiolato via…»
«Perdonami, avevo mal di testa. Urlate sempre così?»
La domanda fece ridacchiare Medea, ma allo stesso tempo la fece rattristare. No, non urlavano mai così, perché Medea non gli parlava da ben oltre undici anni. «Comunque sia, ho davvero intenzione di parlare con la regina. Credo… Credo che sia la cosa giusta da fare. Voglio dire, quando ero al mio villaggio, la gente mi narrava di questo valoroso, grande re che avrebbe unito i Cinque Regni in un unico pacifico impero, portandolo a uno splendore mai visto prima. Nel mio villaggio, pochi erano coloro che potevano rispecchiarsi in quella descrizione: stupravano donne e saccheggiavano le locande, le case. La gente viveva con la paura di essere uccisa o di morire di fame, per colpa di quei delinquenti»
Artù poté benissimo scorgere la rabbia e l’amarezza negli occhi e nel tono di voce di Medea. «E’ per quello che hai imparato a combattere così bene con la spada?»
«E’ uno dei motivi, sì»
«E gli altri quali sono?»
«Un giorno li scoprirai» Medea concluse così lo scambio repentino di battute, sistemandosi meglio sul letto e portando le mani sulle ginocchia. Lei non indossava quelle enormi e lunghe gonne da dame, indossava un pellicciotto sulle spalle, una semplice maglietta color panna e dei calzoni lunghi e grigi, abbinati a stivali dello stesso colore. Osservò le pieghe di questi ultimi, che parvero imitare quelle della sua fronte corrucciata. «Ho davvero intenzione di andare dalla regina»
Artù sospirò, abbassando lo sguardo. Medea non sapeva effettivamente cosa pensare. Perché non voleva che andasse a parlarle? Doveva essere il sogno di tutti quello di diventare re, governare un grande regno ed essere l'uomo più ricco di questo.  «Non posso prendermi questa responsabilità, Medea. Guardati, guarda i tuoi occhi mente parli di questo re. Brillano. Ma non sono io, non sono quell’uomo. Cosa credi che dirà il popolo quando, di fronte a loro, non saprò nemmeno come mi chiamo, come si chiamava mio padre, la storia di Camelot. Senza contare il fatto che governare un regno non è come fare una cavalcata. Non sono in grado di maneggiare una spada, come credi possa comandare un esercito?»
Medea rimase in silenzio ad ascoltare le angosce del re, senza sapere bene cosa dire. Poteva solamente mordicchiarsi il labbro, sospirando. Era così forte con la spada, quando si trattava di combattere, ma in situazioni come quelle – quando c’era bisogno di tirar fuori i sentimenti in generale – rimaneva bloccata. «La regina deve sapere, Artù. Ci sono grandi medici a corte, sicuramente uno di loro potrà ridarvi la memoria! C’è ancora speranza!»
«Perché hai così tanta fiducia?» domandò lui, leggermente confuso. Medea aveva un atteggiamento ambiguo la maggior parte delle volte, diceva di odiare i cavalieri ma a lui dava appoggio.
«Perché ho visto quanto la gente tenga a voi, al vostro regno. Quanto abbiano bisogno di un re così. Non ho mai creduto alle leggende che mi sono giunte all’orecchio, ma dal momento in cui vi ho incontrato, non ho visto alcun male nei vostri occhi. Non siete come gli altri cavalieri, siete diverso. Prometto che parlerò con la regina, e se non verrete con me ci andrò da sola. Riavrete la vostra memoria, mio signore»

   
 
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