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Autore: _myhappyending    10/01/2013    2 recensioni
Passano 5 anni dalla morte di Artù e uno strano uomo si presenta a Camelot lasciando una strana profezia a Merlino. «Di mito è il suo nome, oro colato i suoi capelli, le onde del mare negli occhi.
Nobile cuore del più valoroso cavaliere le è stato dato, animo coraggioso e puro.
Trovala, Emrys, e ti porterà al tuo completo destino.
Ma attento, la sua persona è la tua gioia e la tua pena. Solo lei, però, può portarti al tuo re, solo lei è la chiave perché il solo e futuro re rinasca. Ascolta le mie parole, Emrys.»
E Merlino lo fa, cerca ovunque quella donna finchè invece non è proprio lei ad andare dal mago, e con lei una dolce sorpresa.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gwen, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Chapter 4.
Life is all about moments of impact.

 
Non ci poteva credere che avrebbe dovuto indossare un vestito per andare a parlare con la regina.
Quella mattina, il padre di Medea era andato al mercato appunto per comprargliene uno. Era azzurro, non molto decorato, e scendeva morbido lungo i fianchi seguendo le curve del corpo di Medea. Le stava d’incanto, questo era certo, ma la ragazza non era abituata ad indossare quel genere di abiti, anzi.
Artù era irremovibile: non si era alzato nemmeno dalla brandina, quella mattina. Era rimasto sdraiato con la faccia contro il muro, facendo finta di dormire, ma Medea aveva capito che era sveglio. Non voleva forzarlo, la sera precedente le aveva fatto così pena che non aveva più insistito, più che altro sperava che a corte ci fosse davvero qualcuno abbastanza bravo da fargli ritornare i ricordi, altrimenti Camelot si sarebbe ritrovata con un re che non era in grado di assumere quel ruolo. Chissà come sarebbe stato difficile per il popolo, per la regina e per tutti coloro che tenevano affettivamente al re, accettare quella situazione. Persino per Artù stesso era stato difficile accettare quella situazione.
 
Superò l’ultimo angolo prima di ritrovarsi di fronte l’immenso palazzo di Camelot. Medea boccheggiò più volte prima di riprendere il senno, e voltò il capo per osservare in lungo e in largo il castello. Non ne aveva mai visto uno poiché raramente lasciava il suo villaggio, e quando lo faceva era solamente per andare nei boschi.
Ovunque volgesse lo sguardo trovava uomini in armature e la cosa cominciò a farle venire l’orticaria. Doveva ammettere, però, che quei cavalieri erano molto diversi. Le loro armature erano rifinite e lucidate alla perfezione, la loro postura era impeccabile, come se portare quello stemma sul petto fosse l’unica cosa per cui valesse la pena vivere. Medea, ad un certo punto, si rese conto che quello stemma era lo stesso che aveva visto sul mantello di Artù. 
Proseguì verso la grande scalinata che portava all’entrata del castello, ma volgendo di nuovo lo sguardo a sinistra, si accorse di un’enorme statua in bronzo che padroneggiava più in là.
Si avvicinò appena, giusto per identificare la scritta sotto la scultura. In memoria di Arthur Pendragon, re del passato e del futuro. Ai lati del simulacro, più in basso, due piccole colonne bronzee riportavano la scritta: In onore di Sir Gwaine, nobile e coraggioso cavaliere.
Medea alzò lo sguardo verso la statua. Il cavallo sul quale sedeva il biondo impennava le zampe superiori, mentre il re aveva la spada puntata verso il cielo e lo sguardo dritto di fronte a sé, come se puntasse a un obiettivo preciso. Medea azzardò ad ipotizzare che potesse essere la pace di Camelot.
Il cavaliere su quel cavallo era così simile al ragazzo che ospitava dentro casa sua, ma così… diverso. Il fuoco che illuminava lo sguardo del giovane era pieno di vita, pieno di coraggio, di ambizione, pronto a fare qualunque cosa pur di raggiungere un obiettivo.
Più guardava il monumento, più si rendeva conto che doveva parlare con la regina, doveva farlo.
Superò forzatamente il grande cortile del palazzo, sistemandosi il mantello e il cappuccio sulla testa, dello stesso colore del vestito. Si ritrovò nuovamente altre guardie di fronte a lei, e sentì nuovamente quel prurito per tutto il corpo. «Desiderate?» domandò uno di questi, avvicinando la lancia alla porta per evitarle il passaggio.
Medea alzò un sopracciglio, reprimendo l’istinto di afferrare la spada ed infilzarlo – e doveva farlo per forza, poiché non aveva la spada con sé – e sorrise. «Ho bisogno di un’udienza urgente con la regina. Si tratta di una cosa importante, di vita o di morte»
La guardia corrucciò la fronte, ma sentendo le parole della giovane spostò la lancia e annuì. «Ti accompagno» asserì, e cominciò a camminare attraverso i corridoi del palazzo.
Ogni passo in più, era un passo verso un mondo che Medea non credeva possibile esistesse. Vi erano immense finestre colorate e grandi colonne decorate.
Si fermarono dopo un bel po’ di cammino di fronte ad una grande porta in legno, ai lati della quale troneggiavano immobili due sentinelle. «Udienza con la regina» iniziò la guardia che accompagnava Medea.
«Sala del trono» rispose uno di quei due, senza spostare lo sguardo.
La guardia di Medea annuì e, voltandosi verso la bionda, le fece cenno di continuare il cammino.
Oltrepassarono, probabilmente, altri tre o quattro corridoi, ricchi di quadri e di colonne che fecero rimanere di sasso Medea.
E di nuovo si fermarono. Stavolta il portone era due volte più grande del primo, e vi erano nuovamente due sentinelle ai suoi lati. «Udienza con la regina» ripeté la guardia.
Una delle sentinelle annuì, si mosse e si avvicinò al portone, spingendolo e sparendo dietro di esso.
Non fece entrare Medea, e lei non proferì parola. Si limitò a rimanere buona buona dietro la sua guardia, nascosta dal cappuccio azzurro.
Dopo poco, la sentinella uscì dalla stanza e aprì completamente la porta, lasciando libero il passaggio. «Udienza accolta» 
A quel punto, la guardia indicò l’entrata a Medea, e lei cominciò a sentir le gambe tremare. Effettivamente non aveva nemmeno preparato un discorso o qualche parola di incoraggiamento o comprensione per la regina. E se si fosse messa a piangere? Come avrebbe reagito alla scoperta del re vivo?
A quel punto, anche la paura cominciò a invaderla, perché non era sicura al cento per cento che la regina avrebbe creduto.
Sospirò prendendo coraggio e avanzò, entrando nella sala. Era immensa, grande abbastanza per ospitare un intero villaggio. La lunga fila di colonne segnava il passaggio verso il trono, proprio di fronte a lei.
Tutto intorno era pieno di gente, probabilmente funzionari di corte che assistevano la regina.
Ed eccola, proprio lei, la regina, di fronte a lei. Era bellissima, più bella di quanto le leggende narrassero. Aveva lunghi capelli scuri che le cadevano sulle spalle, e quel vestito turchese contrastava alla perfezione con la carnagione olivastra. Per la prima volta in tutta la sua vita, Medea provava invidia per la bellezza di un’altra donna.
Ma più si avvicinava ad ella, più si accorgeva che non vi era niente ad animare il suo sguardo. Era accasciata da un lato, con il braccio che la sorreggeva sul bracciolo e l’altra mano che cercava di placare i colpi di tosse che provenivano dal petto. Aveva l’aspetto stanco e anche due profonde occhiaie sotto gli occhi. Ma rimaneva bellissima, in ogni caso.
Non appena gli occhi di Medea piombarono sulla sedia rossa, vuota, affianco a lei, capì perfettamente il rammarico della regina. Governare il regno da sola non doveva essere una passeggiata.
In rispetto alla corona che Ginevra portava sul capo, Medea si inchinò. «Mia signora»
«Hai chiesto udienza alla corte per una ragione importante, per quale motivo?» la voce di Ginevra echeggiò nella sala, sollevando la curiosità di tutti.
«Ho un’importante questione da raccontarle, mia signora, ma credo che non sia argomento da trattare in pubblico. Se potete concederla, io vorrei un’udienza privata» Medea parlò chiaramente, ad alta voce ma col viso basso, senza guardare negli occhi la regina.
Ci fu, per pochi secondi, un rumore diffuso di chiacchiericci e brusii che fecero temere il peggio alla ragazza. Non aveva mai parlato di fronte a una figura così importante come un nobile, e se avesse sbagliato?
«Se le ragioni che ti hanno portato ad essere qui e a chiedere un’udienza privata sono così importanti, non posso far altro che accettarla. Tutti fuori» asserì Ginevra, in un tono prima pacato e poi più alterato, per far rispettare la sua volontà, ma di nuovo un colpo di tosse la interruppe. Tutti erano andati via, tranne Merlino, sempre al fianco della regina.
Quando sentì il portone chiudersi per l’ultima volta e i brusii farsi sempre minori, Medea alzò finalmente gli occhi verso la regina. «Alzati pure e spiega le tue ragioni»
Medea annuì, si tirò su e portò le mani al cappuccio, tirandolo indietro per mostrare la lunga chioma bionda.
Intanto, affianco alla regina, il corpo di Merlino si irrigidì. Bionda, occhi azzurri. Doveva rimanere calmo, doveva razionalizzare il tutto. Magari non era niente, magari era una ragazza normale.
«Sono qui, mia signora, per un evento straordinario capitatomi ieri. Provengo da un modesto villaggio non molto lontano da Camelot, alla morte della mia buona madre, mio padre ha ritenuto necessario ospitarmi in casa sua, che è appunto in questo nobile regno.
So per certo che ciò che sto per dirvi può costare la mia testa, ma se ciò non fosse vero credetemi, non turberei mai la vostra quiete. Durante il mio viaggio verso Camelot ho incontrato un giovane. Secondo mio padre, quest’uomo risponde al nome di… Arthur Pendragon»
A quel punto, Medea non poté far altro se non guardare la faccia delle due persone di fronte a lei. La faccia della regina era incredula, confusa. Lo sguardo stralunato, gli occhi lucidi, il corpo e i nervi del collo completamente in tensione. Si tirò leggermente in avanti col busto, cercando di indurre Medea a parlare ancora visto che, probabilmente, la parte razionale del suo cervello era andata in tilt. Lo si poteva vedere dal mondo convulso in cui muoveva le labbra e sbatteva le palpebre.
Mandò un occhiata a Merlino, visibilmente sotto shock affianco a lei. Aveva lo sguardo fisso, freddo e glaciale, sulla ragazza. La mascella contratta, le labbra serrate, le sopracciglia corrugate.
Ginevra non ci fece molto caso, persa com’era nella notizia.
«Non sapevo chi fosse, mia signora, lo giuro! Non conosco la magia, i miei genitori sono umani, non ho fatto niente, questo posso giurarlo su qualsiasi cosa!» Medea continuò a giustificarsi, senza sapere che in quel momento, alle due persone di fronte a lei, interessava solamente sapere di Artù, di come stesse, di dove fosse.
«Dov’è?» la voce di Merlino risuonò chiara nella sala vuota. «Perché non è con te?»
«Non voleva venire, mi dispiace. Non ricorda niente della sua vita, non sa chi è, non conosce Camelot, non ricorda nulla. E io non so che fare, ho ritenuto giusto venire a confessarlo nonostante… Beh, nonostante la paura di non esser creduta mi assalga ancora adesso. Ma potete venire a vederlo! E’ a casa mia, sono io a scongiurarvi, mia signora! Venite.»
Ginevra annuì alle parole della ragazza e cercò di alzarsi, ma traballò appena e Merlino riuscì in tempo a sorreggerla. A quel punto, Medea capì che non era solo il peso di un regno sulle spalle a ridurre così la regina, ma una vera e propria malattia.
«Merlino…»
«Ci vado io, tranquilla. Torna nelle stanze»
«Voglio venire, voglio vederlo. Ti prego, per favore» la regina aveva cominciato a piangere e singhiozzare. Medea l’aveva immaginato, e si limitò a torturarsi le dita.
«Non puoi» cominciò il mago, trascinandola indietro fino a farla risedere sul trono. «Tornerò presto, troverò qualche…» Merlino diede un’occhiata alla ragazza prima di continuare, e poi riprese sussurrando appena. «…soluzione. Lo prometto, riposa, Gwen»
Medea corrucciò la fronte. Perché quel servitore non dava del voi alla regina? E perché la chiamava con soprannomi? Assottigliò gli occhi, osservando Merlino che lentamente si voltava e le mandava uno sguardo truce.
Quello sguardo fece rabbrividire Medea. Perché la guardava così? Che aveva fatto? Sembrava uno sguardo di sfida, uno sguardo di guerra.
   
 
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