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Autore: IlariaJH    10/01/2013    12 recensioni
Appena tirata su, la colazione perde tutta la sua importanza. Non sento più l’odore di brioches e caffè. Non presto nemmeno attenzione al mio stomaco che continua a brontolare dalla fame. Sono seduta davanti all’attore per cui ho una cotta da quando avevo sedici anni. Sono seduta davanti a Josh Hutcherson.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: PWP
Capitoli:
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Empire State of Mind.

New York, concrete jungle where dreams are made of
There’s nothing you can’t do. Now you’re in New York,
There streets will make you feel brand new,
Big lights will inspire you,
Hear it for New York!
Alicia Keys & Jay-Z – Empire State of Mind

 
 
 

Mi stropiccio gli occhi assonnata. Ancora non mi sono abituata del tutto a dormire sul divano. Mi sento come se mi fossero passati sopra con un trattore, più e più volte. Mi manca il letto. Quello nella stanza al piano di sopra. Quello dove dorme Josh…
Ciabattando, mi dirigo verso la cucina. Non arriva nessun profumino buono, a differenza di tutte le altre mattine. Di solito Connor, con la sua passione per la cucina, si sveglia prima di tutti e prepara la colazione. E’ strano non vederlo ai fornelli. E’ come se mancasse qualcosa a quella cucina.
Sbadiglio e, mentre cerco un segno della sua presenza, mi accorgo di un vassoio pieno di muffin al cioccolato posato in bella vista sul tavolo. Immagino che se fossi la protagonista di un manga mi verrebbero gli occhi a cuoricino. Dimenticandomi completamente del sonno, corro verso al vassoio. Prendo un muffin e lo guardo, sentendo lo stomaco brontolare. Noto delle scagliette di cioccolato. Io amo i muffin al cioccolato. Lo addento con vigore e ne assaporo il gusto perfetto. Perché diavolo Connor non ha ancora aperto una pasticceria?! Saprà anche cucinare tutto alla perfezione, ma i sui dolci sono decisamente qualcosa di divino.
Ne mangio tre tutti d’un fiato, prima di accorgermi che affianco al vassoio dei muffin c’è una rivista con appiccicato sopra un piccolo post-it giallo fluo, scritto con una calligrafia che riconosco immediatamente. Ancora conservo il primo biglietto scrittomi con quella calligrafia. Connor.
 
So che prima di leggere questo post-it ti sarai mangiata almeno metà dei muffin nel vassoio, ma ci provo lo stesso…
Ti ho lasciato i muffin per colazione e, nella caffettiera, c’è il caffè pronto solo da riscaldare. Se vuoi qualcos’altro, apri il frigo e cercatelo.
Torno per pranzo. Ti prego, non ti suicidare mentre sono via. Non sopporterei di averti sulla coscienza. Già il fatto che giri per casa è una rottura.
                                                                                                    Connor.
 
P.S. Dai un’occhiata alla rivista…
 
Faccio una smorfia. E’ sempre la solita zolletta di zucchero…
Dopo la chiacchierata con Josh, vedendo che ero tornata a sorridere, è ritornato a comportarsi come il solito vecchio Connor. Quello che lancia frecciatine e mi guarda come se prevedesse quello che mi succederà, prima ancora che io possa solo provare pensare a cosa fare. Peccato, cominciava a piacermi il lato dolce e sensibile che mi aveva mostrato durante il mio periodo buio. Però sono curiosa. Prendo la rivista e guardo la copertina. Come immaginavo, è una rivista di gossip. In copertina non c’è niente che possa riguardare me o Jimmy o Josh, perciò mi chiedo perché Connor me l’abbia lasciata qui da guardare.
Comincio a sfogliare le pagine con fare annoiato, mentre mangio un altro muffin. Davanti ai miei occhi scorrono immagini di vip paparazzati in giro per qualche città assieme all’ultimo, o l’ultima, amante focoso. Sono decisamente schifata. Non mi sono mai piaciute le riviste di gossip, e l’unica persona di cui mi interessasse davvero sapere era Josh.
Continuo a sfogliare le pagine e smetto perfino di guardare le immagini che mi scorrono davanti. Questa deve essere l’ennesima presa in giro di Connor.
Sto per chiudere la rivista, quando tre foto mi saltano agli occhi. Lascio quasi cadere il muffin per terra.
In una ci siamo io e Josh. Lui mi tiene un braccio attorno alla vita e saluta le fan, sorridendo. Io sorrido guardando la folla, anche se si vede che sono palesemente a disagio. Però, guardando bene la foto, posso dire che siamo belli. Vicini, sorridenti e… felici. Chissà a cosa pensava lui in quel momento. Al fatto che avrei potuto essere incinta? Si stava costruendo i suoi castelli di fantasie?
Nella seconda foto ci siamo sempre io e Josh, solo che sta volta lui mi sta reggendo, mentre io… cado. Hanno pubblicato una foto della mia figura di merda di proporzioni colossali.  Ride, mentre io lo uccido con lo sguardo. Fantastico! Per chi non avesse Tumblr o si fosse perso tutte le gif che saranno girate per le pagine facebook dedicate a Josh in tutto il mondo. Accorrete, signore e signori!  
Nella terza ci siamo io e Jimmy. Fortunatamente, niente di strano. Sorridiamo, mentre lui mi fa fare quello che vuole. In questa foto sono decisamente più a mio agio. Non sono più rigida come un manico di scopa e il mio sorriso non sembra forzato.
Lancio un’occhiata alla pagina affianco, completamente coperta dall’articolo che parla di noi. Sto per iniziare a leggere, ma una voce me lo impedisce. Una voce così familiare che la testa comincia a girarmi.
«Uh. Connor ha fatto i muffin al cioccolato.»
Josh.
Il cuore inizia a battermi forte nel petto, minacciando di uscire. Felicità. Solo la sera prima mi fingevo addormentata tra le sue braccia, ascoltando quello che diceva al fratello, e adesso sta parlando davvero con me. E io sono sveglia. Potrei mettermi a saltellare dalla felicità. Immaginavo che, dopo quello che avevo sentito, prima o poi sarebbe tornato al piano di sotto e avrebbe rimesso le cose apposto. Solo che credevo ci avrebbe messo un po’ più di tempo. Dopo questa prima sensazione, però, arriva la stretta allo stomaco. La sua voce è piena di tristezza e sofferenza.
Mi giro lentamente verso di lui, come se per compiere quel facile movimento stessi usando tutte le mie energie. Mi aggrappo a una sedia, perché credo che con tutte queste emozioni il mio povero cuore non potrà reggere a lungo. Tengo gli occhi bassi. Non sono pronta per guardarlo in faccia. Avrò anche ripreso a sorridere, ma mi sento ancora in colpa per quello che è successo. Come lui, d’altronde. L’ha ammesso ieri sera. Questi giorni non sono stati una passeggiata per nessuno dei due.
Faccio un respiro profondo, e mi costringo a guardarlo negli occhi. Ed è lì che trovo conferma a tutte la cose che avevo solo potuto immaginarmi. Il suo viso è pallido e leggermente tirato. La barba è cresciuta, incoraggiata dal fatto che l’ultimo dei problemi di Josh era curare l’aspetto esteriore. I suoi occhi sono stanchi, come se non dormisse da un sacco di tempo. Le borse sotto gli occhi danno una sfumatura scura al viso, facendolo sembrare ancora più triste di come l’avevo immaginato dal suono della sua voce. Le sue labbra si aprono in un sorriso indeciso, che dà un po’ di luce al suo viso tirato. Mi chiedo se abbia mai toccato il cibo che il fratello gli portava in camera. I capelli sono spettinati, ma puliti. Non credo sarei riuscita a sopportare il fatto che in tutto quel tempo non si fosse nemmeno lavato. In questi giorni, io l’ho fatto solo perché Connor mi buttava sotto la doccia vestita. Non mi accorgevo nemmeno del tragitto fino al bagno, finché il getto d’acqua mi risvegliava. Durava poco, ovviamente. Una volta pulita e asciutta, tornavo sul divano e mi richiudevo nella mia bolla. Continuo a guardare quel sorriso bellissimo, anche se velato di tristezza. Vorrei sorridergli di rimando, ma non ci riesco. Non riesco a fare niente, anche se so benissimo che il prossimo passo deve essere il mio. Lui è qui e mi sorride. Ora tocca a me. Mi ricordo di avere in mano la rivista di gossip, così la uso come pretesto per dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
«Già.» gli dico senza riuscire a staccare gli occhi dal suo viso, la voce mi trema. Tiro su la rivista, in modo che veda le foto. «E mi ha anche dato questa. Siamo finiti di nuovo su una rivista di gossip.»
Sembra che questo lo diverta, perché il suo sorriso timido diventa un mezzo sorriso divertito, ovviamente nei limiti che l’imbarazzo gli può consentire. Io sento quella sensazione che mi mangia da dentro. Mi impedisce di fare qualsiasi cosa. Vorrei corrergli incontro e abbracciarlo forte. Sentire le sue braccia stringersi attorno a me, tenermi stretta a lui, mentre mi sussurra che tutto è stato solo un brutto sogno. Che non c’è mai stata la possibilità che io fossi incinta. Che tutti questi giorni bui non ci sono mai stati. Ma non succederà. Perché i sensi di colpa ancora si fanno sentire come il giorno in cui sono uscita dalla sua stanza. Perché anche lui si sente in colpa. Perché non possiamo semplicemente dimenticare tutto come se non fosse mai successo niente.
Lui continua a guardarmi. Non so cosa fare. Le mani iniziano a tremarmi e cerco qualcosa da dire. Magari potrei iniziare con un semplice “Mi dispiace.” ma Josh parla prima che possa farlo io.
«Mi dispiace.» dice, i suoi occhi fissi nei miei, come a dire tutte le parole che nessuno dei due riesce a dire. «Mi ero fatto tutto un discorso di scuse, ma sembra che adesso non valga più niente.»
Abbozza un sorriso e si porta una mano dietro la testa con fare imbarazzato. Anche io avevo pensato molto a questo momento. Mi ero preparata tutto un discorso con i fiocchi in cui gli avrei chiesto scusa e gli avrei detto come mi sentivo, ma che non contava nulla. Che non potevo stare senza di lui. Ma adesso sembra tutto così stupido. Come potevo pensare di preparare un discorso? Abbozzo un sorriso anche io, senza riuscire a dire niente.
«Il fatto è che…» comincia a dire, ma poi si blocca.
Si guarda alle spalle, come se avesse sentito qualcosa, ma non c’è niente. Connor non è in casa e i cani sono fuori, ci siamo solo io e lui. Si guarda attorno e poi i suoi occhi tornano a guardare i miei. Credo di avere un’espressione confusa, perché lui mi viene vicino, mi prende la mano e mi porta in salotto. Sento il cuore che perde un battito. Guardo le nostre mani intrecciate, sentendo fin troppe emozioni. Confusione, prima di tutto. Ma non dico niente. Lo lascio fare. Mi dice di sdraiarmi sul tappeto, e poi si sdraia accanto a me. Lo guardo e, questa volta, cerco di assumere volontariamente un’aria interrogativa. Lui mi sorride. L’imbarazzo iniziale completamente sparito dal suo viso, e la tristezza con lui. Come se il fatto di essere riuscito a prendermi la mano e a farmi sdraiare accanto a lui sul tappeto avesse richiesto talmente tanto coraggio, che adesso era felice di averlo fatto.
«Scusa.» dice guardandomi negli occhi. «Non mi chiedere perché, ma tutte le volte che provavo a immaginarmi come avremmo fatto pace, eravamo qui, sdraiati sul tappeto.»
Sento un timido sorriso impossessarsi del mio volto. Mi viene quasi da ridere. Non pensavo che un particolare così insignificante potesse contare tanto per lui. Insomma, a chi interessa dove siamo mentre facciamo pace? Mi sembra così stupido e divertente allo stesso tempo. Ma non dico niente. Se questo è importante per lui, non sarò certo io a dirgli che è stupido. Ho distrutto abbastanza sue fantasie per una vita intera. Ci guardiamo per un attimo che sembra infinito, poi lui riprende da dove aveva lasciato la frase.
«Il fatto è che mi sono nascosto dietro alle mie fantasie.» dice senza distogliere gli occhi dai miei. «Dovevo immaginarlo che non ti sentivi ancora pronta. E lo sapevo che nascondermi nei mie sogni avrebbe portato qualche guaio, ma era facile. Era più facile dimenticarmi dei tuoi problemi, fare finta che non esistessero. Mi piaceva l’idea che avremmo potuto avere un bambino. All’inizio continuavo a ripetermi che tu non eri pronta. Che le tue cicatrici non si erano ancora rimarginate del tutto. Ma…»
Fa una pausa. Deve essere difficile ripensare a quello che gli ho fatto passare. So cosa sta per dire. Poi io gli ho detto che i nomi mi piacevano. Poi io ho cominciato a illuderlo.
«Ma poi mi hai detto che i nomi ti piacevano.» riprende, senza abbassare mai lo sguardo. «E allora ho pensato: “Forse non ha più paura. Forse è riuscita ad andare avanti, a lasciare che il passato non influenzi il suo futuro.” Ho iniziato a farmi fantasie su fantasie. Ho passato la premiere pensando che non vedevo l’ora di arrivare a casa, per sapere se eri davvero incinta. Ho cominciato a immaginare come sarebbe potuto essere il nostro bambino.»
Un’altra pausa. Un’altra fitta allo stomaco, ripensando a quello che è successo dopo. Io l’ho vissuta dal mio punto di vista, ma sentirlo raccontare cosa provava in quei momenti mi fa sentire ancora peggio di come già mi sto sentendo.
«E’ stato quando mi hai detto che non volevi un bambino che sono crollato.» I suoi occhi tornano ad essere tristi. «Riuscivo quasi a sentire, come vetri che vanno in frantumi, tutto il mondo che mi ero costruito creparsi, e poi crollare tutto d’un colpo. Lo sentivo quasi come un tradimento. Come se in tutto quel tempo avessi giocato a illudermi. Rimanevo attaccato solo alla speranza che tu fossi davvero incinta.»
Sono stata davvero un mostro. Non riesco a pensare ad altro. Mi chiedo come possa solo pensare di sentirsi lontanamente in colpa. E’ ovvio che la colpa è solo mia! Come può riuscire ad amarmi dopo quello che gli ho fatto? Nella mia testa è tutto in uno stato di confusione. Vorrei parlargli ma, in un certo senso, sono curiosa di sapere il resto della sua storia. Così lo lascio andare avanti.
«Ma la speranza è un’arma a doppio taglio.» dice, come per mettermi in guardia. «Quando sei uscita dicendomi che non eri incinta… beh, è stato allora che sono crollato definitivamente. Non volevo davvero sbatterti fuori dalla stanza. Ma non riuscivo…» lascia la frase in sospeso. Deglutisce, come a mandar giù un groppo che gli blocca le parole. «Davanti ai miei occhi c’era il piccolo bimbo che mi ero immaginato. Era sempre lì, pronto a ricordarmi che tu non eri incinta e che io ti avevo sbattuto fuori dalla mia camera. I primi giorni non facevo altro che stare sdraiato sul letto a guardare il soffitto, immaginandomi mentre mi chiamava papà. Mentre lo prendevo in braccio e tu eri lì, che sorridevi. Mi alzavo per aprire la porta a Connor e poi guardavo il cibo senza riuscire a toccarlo. Poi, un giorno, lui mi disse che tu eri ancora qui. Che volevi andartene, ma che lui pensava che fossimo due idioti, e ti aveva convinta a rimanere. Mi disse che si stava prendendo lui cura di te. Che avrebbe aspettato che io mi fossi leccato le ferite. E l’ho fatto.»
Si ferma e mi sorride. Un sorriso come quelli che mi dedicava ogni volta che ero accanto a lui. Uno di quelli che mi facevano sciogliere tutte le dannate volte.
«Ho iniziato a pensare a cosa sarebbe successo se te ne fossi andata. Al fatto che non sarei sopravvissuto. Ho ripreso a mangiare e a lavarmi.» ride e la sua risata mi provoca un mezzo sorriso. «Iniziavo a sentirmi in colpa perché avevo pensato solo a me stesso, quando avrei dovuto starti vicino e aiutarti a superare le tue paure. Mi mancavi così tanto. e ieri ho capito che non potevo continuare a nascondermi in camera. Che tu avevi bisogno di me, almeno quanto io avevo bisogno di te. E, in fondo, sono contento che tu non sia rimasta incinta, perché non è quello che vuoi. Immagino che non mi sarei mai perdonato, se tu fossi rimasta incinta, una volta che mi fossi accorto che avevo sbagliato tutto.»
Si ferma. Una pausa più lunga delle altre, perciò immagino che abbia finito.
«Josh, io…» comincio a dire.
Ma lui mi posa un dito sulle labbra, sorridendo.
«Tu ti senti in colpa perché non mi ha detto subito che non volevi un bambino.» dice, prevedendo quello che avrei voluto dire. «Non sto dicendo che è tutta colpa mia. E nemmeno che è tutta colpa tua, perché Connor ha ragione, tu avresti dovuto dirmelo subito e io non mi sarei dovuto lasciare sopraffare dalle fantasie, come faccio sempre. Sto dicendo che ti amo, e che voglio che tutto questo rimanga solo un piccolo problema che abbiamo affrontato e superato con successo. Insieme.» fa una pausa e fissa i suoi occhi stupendi nei miei. «Mi sei mancata così tanto.»
Mi vengono le lacrime agli occhi. Cerco di ignorare il groppo in gola che cerca di farmi piangere. Gli sorrido e lui mi sorride di rimando.
«Anche tu mi sei mancato.» gli dico e, sta volta, non riesco a trattenere le lacrime.
Scoppio a piangere e gli butto le braccia al collo, appoggiando la testa sulla sua spalla, una posizione che mi sembra così familiare che sono contenta che lui mi abbia fatta sdraiare sul tappeto. La sua mano comincia ad accarezzarmi i capelli, spettinati e mezzi legati in uno chignon improvvisato. Non dice niente. Lascia che mi sfoghi, mentre sento tutta la tristezza di quei giorni scivolare via da me, lasciando il posto alla felicità. La felicità di riaverlo accanto. Alzo la testa e avvicino le labbra alle sue. Le sento morbide e, mentre lui approfondisce dolcemente il bacio, aspiro il suo odore a pieni polmoni. Gli poso un mano sulla guancia, accarezzando la barba che gli è cresciuta in questi giorni. Mi punge leggermente, ma decido in quel momento che la adoro.
«Potresti smettere di farti la barba?» gli chiedo, staccandomi per prendere aria.
Lui scoppia a ridere, riempiendo la stanza di quel suono bellissimo e pieno di felicità.
«Come mai questa richiesta?» mi chiede, avvicinandosi di nuovo e attirandomi in un altro bacio.
«Mi piace sentirla pungere sulla pelle.» gli sussurro sulle labbra, guardandolo maliziosamente.
Lui afferra immediatamente. Mi sorride e torna a baciarmi. Continuiamo così per un bel po’. Come due drogati in astinenza dalla migliore cocaina, noi eravamo in astinenza dai baci. Lascio che mi stringa a se, senza che nessuno dei due provi ad andare oltre al semplice bacio. In questo momento, la vicinanza e i baci, sono tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma, ovviamente, non potevamo sperare di andare avanti per sempre.
La porta all’entrata si chiude con fragore e dei passi raggiungono il salotto. Sento una risata che conosco fin troppo bene, e maledico il tempo per essere passato troppo in fretta.
«Oh, andiamo!» dice la voce di Connor divertita. «Vi sembra il caso di farlo sul tappeto?! Siete senza ritegno!»
Josh fa per staccarsi, ma io lo trattengo, facendo pressione con la mano ancora poggiata sulla sua guancia. Poi tiro su il braccio libero, la mano stretta a pugno. Apro gli occhi leggermente e noto che anche i suoi sono socchiusi. Lancia uno sguardo al mio braccio alzato, guardandolo senza capire. In quel momento, tiro su il dito medio e lo rivolgo a Connor. Lo sento che scoppia in una fragorosa risata e si allontana, sempre ridendo, verso il piano di sopra.
 
La nostra stanza d’albergo all’ultimo piano si affaccia su Central Park. Un finestrone mega galattico, illuminato dal sole, riempie tutta la stanza di luce. Mi piacerebbe passare le ore a guardare i minuscoli puntini che sono le persone, passeggiare, presi in chissà quali problemi e ignari di essere osservati, ma non appena ci chiudiamo la porta alle spalle, mi ritrovo sdraiata sull’enorme divano ultra moderno, col corpo muscoloso di Josh premuto su di me.
In questi due giorni passati, per rispetto a Connor che si era preso cura di noi quando noi stessi non eravamo stati in gradi di farlo, avevamo deciso di fare un voto d’astinenza, finché non fossimo arrivati in albergo a New York, dove ci sarebbe stata la seconda premiere del nuovo film di Josh. Non che fossimo entusiasti di questa decisione, ma entrambi ci ricordavamo l’ultima volta, quando un Connor a dir poco irascibile per non aver chiuso occhio per colpa nostra, ci aveva detto che non avrebbe cucinato per tutta la settimana, e aveva passato la giornata a brontolare come una vecchia zitella. Per noi era stato decisamente divertente vederlo così, ma non potevamo permetterci di farlo anche sta volta. Non dopo quello che era successo.
Così eccoci qui, avvinghiati sul divano, mentre cerchiamo di andare piano, dopo aver resisto a questi due giorni di astinenza.
«E io che pensavo che mi sarei goduta il panorama per tutta la giornata.» gli sussurro sulle labbra, anche se mi riesce difficile parlare, troppo presa da tutti questi baci.
Lui sposta le labbra sulla mia guancia e scende lungo il collo. Mi sussurra qualcosa sul collo, ma non riesco a sentirlo. Sento solo il solletico che mi provocano i suoi sussurri sulla pelle. Gli butto le braccia attorno al collo, stringendolo, se possibile, ancora di più a me. Le sue labbra cominciano a muoversi su e giù per il mio collo, lasciando una scia infuocata. Inclino la testa per fargli spazio. Sento le sue mani trafficare con il bottone dei miei jeans, mentre io gli tolgo senza molti sforzi la t-shirt. Rimango per un attimo incantata da tutti quei muscoli, come ogni volta che è senza maglietta. Ancora non mi sono abituata.
«Ma credo che anche questo potrà andar bene.» sussurro accarezzandogli i muscoli, e lo sento che scoppia a ridere.
E non mi sono abituata nemmeno al suo sorriso mozzafiato e ai suoi occhi che mi guardano con amore. Non penso mi ci abituerò mai. Ho passato troppo tempo davanti a un computer osservando tutto quel ben di dio sulle foto, per potermi abituare.
Lui, intanto, è riuscito a liberare il bottone. Tira giù la cerniera, continuando a lasciare fuoco sul mio collo. Sento l’urgenza nei suoi baci. Cerco di fare lo stesso, e liberarlo dai jeans, ma qualcuno bussa alla porta.
«Mmmm.» lo sento grugnire in segno di disapprovazione sulla mia guancia.
Gli poso le mani sul petto, per farlo staccare, ma lui non si muove.
«Se non li consideri se ne vanno.» mi sussurra, cercando di convincere più se stesso che me.
Mi attira in un bacio che mi fa dimenticare che fino ad un attimo prima stavo cercando di staccarmi da lui. Continuano a bussare alla porta, ma nessuno dei due ci fa più caso, troppo impegnati a baciarci. Ci auto-convinciamo che prima o poi se ne andranno e, per un momento ci crediamo anche. Beh, almeno finché un urlo trapana-cervello di Jimmy non ci fa sobbalzare. Sbuffando, Josh si dirige a petto nudo verso la porta. Si riabbottona i pantaloni e aspetta che io faccia lo stesso. Cerco anche di darmi una sistemata ai capelli, ma ultimamente non riesco più a farli stare dritti come sempre. Gli faccio cenno col capo di aprire la porta, e me ne pento immediatamente.
Lo stilista entra come una furia seguito, come sempre, dalla sua bella segretaria che si regge in piedi su quegli instabili tacchi a spillo. Fuma rabbia, letteralmente. Guarda Josh come se volesse ucciderlo e poi fa lo stesso con me. Mi vorrei fare piccola, piccola. La cosa peggiore che una persona possa fare in tutta la sua vita è fare arrabbiare Jimmy. Le conseguenze, di solito, sono devastanti per il tuo cervello.
«Tu.» dice puntando un dito verso Josh, che lo guarda con un sorrisetto divertito. «Hai idea di che ora sia?! DOVRESTI GIA’ ESSERE PRONTO! Invece, oltre a non aprirmi la porta, perdi tempo con quella scansafatiche della tua ragazza! Abbiamo una tabella di marcia da rispettare, QUINDI INFILATI SOTTO LA DOCCIA, E VEDI DI FARLO IN FRETTA.»
Ha la faccia tutta rossa e la sua voce è troppo alta. Vedo la sua segretaria fare di tutto per non guardare la figura di Josh, ancora a petto nudo. La guardo male, e lei esce dalla stanza balbettando una scusa che Jimmy nemmeno si prende la briga di ascoltare. Mi sento soddisfatta, ma lo stilista ha una ramanzina pronta anche per me, e la soddisfazione sparisce con la stessa velocità con cui è arrivata.
«E tu.» dice puntando il suo dito minaccioso verso di me. Vorrei sparire nel divano. «Perché diavolo non ti sei fatta più sentire?! Dovevamo metterci d’accordo per il servizio fotografico! Adesso dovrò rimandarlo. PER L’ENNESIMA VOLTA! Hai idea di quello che stai facendo passare ai miei poveri nervi?!» mi guarda e penso che sia in attesa di una risposta. Faccio cenno con la testa a metà tra un si e un no. Inutile dire che me ne pento immediatamente. «Beh, IO CREDO PROPRIO DI NO.»
Non credo che cercare di scusarmi sia la cosa giusta da fare, perciò me ne sto zitta. Incrocio lo sguardo divertito di Josh, che cerca di trattenersi per non scoppiare a ridere. Sento un mezzo sorriso dipingersi sulla mia faccia, e distolgo lo sguardo prima di scoppiare a ridere in faccia a Jimmy. Sarebbe la mia morte definitiva.
Intanto lo stilista comincia a calmarsi. Inizia a sistemare la sua roba nella stanza per poter preparare Josh. Si muove velocemente da una parte all’altra. Sbuffa un paio di volte e guarda l’orologio, con un cipiglio contrariato. Prende il telefono dalla tasca dei pantaloni a scacchi blu notte, e compone un numero.
«DOVE DIAVOLO SONO I DUE CAFFE’ CHE TI AVEVO CHIESTO?!» urla.
Immagino che stia parlando con la sua segretaria. Ascolta quello che gli viene detto dall’altro capo del telefono, sbuffando. Intanto, Josh si viene a sedere accanto a me sul divano e mi abbraccia da dietro, sfiorandomi il collo con la punta del naso. Io non gli presto attenzione, mentre la presenza di Jimmy infuriato nella nostra stessa stanza mi terrorizza.
«Non mi interessa quanto è lunga la fila!» urla un’altra volta. «MUOVI QUEL CULO ANORESSICO E PORTAMI I CAFFE’. ADESSO!»
Chiude la telefonata e, improvvisamente calmo, ci rivolge un sorriso. Sono spaventata da questi sbalzi d’umore. Un attimo prima urla a chiunque stia nel suo raggio d’azione, e un attimo dopo sorride come se niente fosse. Poi, nota che Josh non è ancora sotto la doccia.
«Perché diavolo sei ancora qui?!» lo guarda con gli occhi spalancati, mettendo su il suo tono dittatoriale. «Mi sembrava di essere stato chiaro. FILA IMMEDIATAMENTE SOTTO LA DOCCIA.»
Josh si alza tranquillamente. Lo guarda con fare annoiato e poi si dirige, sempre in tutta calma, verso il bagno. Lo fa apposta. Si diverte un sacco a guardare Jimmy che da di matto. Io resto lì a guardare lo stilista preoccupata. Lui fissa la porta del bagno e prende a sbuffare, finché non sentiamo l’acqua della doccia cominciare a scorrere. Poi mi guarda. Fa per dire qualcosa, ma in quel momento la sua segretaria fa irruzione nella stanza, facendomi spaventare. Ha in mano due caffè provenienti da uno Starbucks. Mi chiedo se Jimmy sia davvero così drogato di caffè da scolarsi due tazze tutte da solo, anche se a questo punto niente mi sorprenderebbe più. Prende i caffè e poi manda via la sua segretaria con un gesto annoiato della mano. Si avvicina, sorridendo, e mi porge una delle due tazze.
«Che ne dici di un bel pomeriggio in New York City?» chiede, trattenendo a stento la felicità.
Lo guardo scioccata. Ero sicura che, una volta che fosse iniziata la premiere, io sarei andata a farmi un giro per la città da sola. Da fanatica viaggiatrice, mi ero preparata tutta una scaletta dei posti che volevo vedere. Di sicuro non avrei mai pensato che Jimmy avrebbe abbandonato la premiere di Josh solo per venire a passeggiare con me per New York. Ci metto un po’ per realizzare e, quando finalmente capisco quanto sarei felice di farlo, mi alzo dal divano e lo abbraccio forte.
«Oddio, sì!» mi metto a urlare, mentre lui scoppia a ridere. «Un bel pomeriggio in New York City!»
 
Central Park è enorme. E meravigliosa. E incredibilmente affollata.
Sento i brividi. Ho sempre sognato di vederla dal vivo. Di sentire il chiacchiericcio provocato dalla gente che passeggia in mezzo agli alberi, sdraiata a prendere il sole sui prati, correre con il cane, andare in bicicletta, mangiare un gelato. Respiro l’aria a pieni polmoni, mentre fotografo tutto quello che posso. Jimmy mi guarda sorridendo. Mi sento proprio una bambina. Ogni cosa che riesce a catturare la mia attenzione, come ricompensa, si ritrova immortalata dalla mia macchina fotografica. E’ più forte di me. Mi guardo attorno, sorridendo sia ai passanti che non mi degnano di uno sguardo, sia ai turisti che, come me, sembrano dei bambini in un negozio di giocattoli, sia alla gente che mi guarda come se fossi pazza. Tutto sembra più luminoso ai miei occhi. Le foto non possono rendere giustizia a questa meraviglia. Perfino i barboni sul ciglio dei vialetti sembrano stupendi. Mi vengono in mente tutti i film che conosco girati qui. Mi viene voglia di correre e saltellare e, magari, mettermi a cantare una canzone. Ho la sensazione che nessuno canterebbe con me come fanno nei film, ma non me ne importerebbe niente. Sono qui e sono felice, non mi interessa se mi prenderebbero per pazza. Trascino Jimmy avanti e indietro, indicandogli quell’albero particolarmente bello o quella ragazza vestita in modo strambo che fischietta tranquillamente, seduta su una panchina. Tutto attira la mia attenzione. Tutto è fantastico.
Ci prendiamo dello zucchero filato e camminiamo a braccetto lungo la riva del laghetto al centro del parco. Poi lo convinco a dare da mangiare alle papere, che nuotano tranquille, incuranti del fatto che continuo a immortalarle come se fossero fotomodelle. Passiamo un’altra ora così, mentre Jimmy asseconda tutto quello che faccio. Poi però, stufo di vedermi fotografare alberi e papere, mi trascina sotto l’Empire State Building.
«Wow!» è l’unica cosa che riesco a dire.
Alzo la testa, per cercare di vederne la fine, ma più la alzo, più mi sembra che il palazzo diventi più grande. Sorrido come un ebete. E faccio foto.
«Per forza che Josh non voleva che girassi per New York senza di lui!» dice Jimmy divertito dalla mia espressione.
Quando ha saputo che sarei andata in giro per la città con lo stilista c’era rimasto un po’ male. Aveva detto che la prima volta a New York non si scorda mai, e che voleva essere lui il primo con cui l’avrei visitata. Anche a me sarebbe piaciuto passeggiare per quelle vie affollate mano nella mano con lui. Insomma, non ti capita mica tutti i giorni di essere qui. Ma lui aveva la premiere, e domani io tornerò a Los Angeles e lui partirà per le varie tappe per la promozione del suo film. Sarei comunque uscita, con o senza Jimmy, perciò alla fine aveva rinunciato a tentare di convincermi a non andare. Sarebbe stato solo tempo sprecato.
«La tua faccia è fantastica!» continua lo stilista.
Scoppia a ridere, poi mi prende di nuovo sotto braccio e mi porta in cima al palazzo. Da quassù si vede tutta Manhattan! Una distesa che sembra quasi infinita di altissimi palazzi. Palazzi su palazzi che sembra facciano a gara a chi è più alto. Posso quasi scorgere il ponte di Brooklyn. E magari, se si guarda attentamente, anche la Statua della Libertà, imponente e stupenda. Le persone, viste da quest’altezza, non sembrano nemmeno più puntini. Non sono nemmeno più macchie di colore. Sono talmente piccole! Si intravede Cetral Park, un’enorme macchia verde che spicca, in contrasto a tutti questi palazzi grigi o marroni. Corro da una parte all’altra. Come prima, tutto mi sembra meraviglioso e luminoso. Non credo di aver mai visto i colori così luminosi. Come se avessi vissuto una vita guardando quello che mi accadeva attorno attraverso un velo. Vorrei rimanere qui per sempre, ma Jimmy mi porta via e mi trascina in Times Square.
Negozi su negozi. Gente su gente. Taxi su taxi. Cartelloni pubblicitari su cartelloni pubblicitari. Insegne su insegne. E’ qualcosa di indescrivibile. Continuo a guardarmi attorno affascinata e, più di una volta, vado a sbattere contro un Newyorkese di fretta, come la maggior parte dei Newyorkesi, che sbuffa e tira dritto, troppo di fretta perfino per mandarmi a stendere. Ma anche loro sono fantastici! Non guardano in faccia nessuno. Continuano a camminare veloci per la loro via, come se fossero sempre in ritardo. Mi ricordano tanto il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tanti piccoli Bianconiglio che guardano l’orologio pensando di essere in ritardo. E’ un immagine che mi fa talmente ridere che non posso non condividerla con Jimmy.
«Ma come ti vengono in mente certe idee?» dice lui ridendo.
Mi porta da Tiffany & Co. Un negozio decisamente enorme. Io mi sento un po’ Audry Hepburn, in “Colazione da Tiffany”. Per Jimmy, invece, è come entrare in paradiso. Mi trascina da una parte all’altra. Su e giù per i piani che sono sempre di più man mano che sali. Sembra che spuntino come funghi! Tutto attorno a me luccica e brilla. Mi fa venire perfino male alla testa. E, visto che non ho un particolare interesse per i gioielli, mi sento anche un po’ fuori posto. Lo stilista, da parte sua, non sembra mai soddisfatto.
«Oh, guarda!» dice indicandomi qualcosa che brilla. «Quanto vorrei essere donna per poter portare uno di quelli!»
Lo guardo scioccata, mentre lui continua a sorridere come un ebete guardando tutto questo luccicare con occhi sognanti. Immagino che la mia faccia fino a un attimo fa fosse identica. Mi sento un po’ stupida.
«Non c’è ne bisogno, sai?» dico, prendendolo in giro. «Gli uomini hanno iniziato a travestirsi apposta.»
Mi lancia un’occhiataccia e poi mi trascina su per un altro piano che, ne sono sicura, fino a cinque secondi prima non c’era.
Quando si sente finalmente soddisfatto, riesco a farlo uscire, ma non senza un sottofondo di brontolate contrariate. Ovviamente tutte contro di me. Non può credere al fatto che io non sia interessata ai gioielli.
Mi faccio portare all’Hard Rock Cafè con l’intento di non uscirne senza essermi comprata la maglietta. Quando vediamo la coda infinita per pagare, sento Jimmy che sbuffa, dicendo che potevamo stare ancora un po’ da Tiffany, ma io non demordo. Non sarà una coda chilometrica a impedirmi di comprare la maglietta dell’Hard Rock Cafè di New York! Dopo mezz’ora, finalmente, riusciamo a uscire e io sono più contenta che mai!
Jimmy mi porta sulla Brodway e poi a fare un giro tra le ricche case nell’Upper East Side. Lo supplico di Portarmi a vedere St. Patrick’s Cathedral e la Grand Central Station. Vorrei anche andare a vedere Soho e Chinatown, per non parlare di Dowtown e magari fare anche una capatina sulla Statua della Libertà, ma sono troppo lontani da dove ci troviamo e ormai siamo stanchi morti tutti e due. Ritorniamo all’albergo decisamente sfiniti. Sento ancora il rumore della città nella testa, ma mai in vita mia sentire questo tipo di rumore mi ha resa così felice.
Avevo sognato New York per tutta la vita e, ora che finalmente ero riuscita a vederla, sentivo che la giornata era passata troppo in fretta. Avrei voluto fermare il tempo, o magari rimanere lì per qualche giorno in più.
Non appena entro in camera, mi levo le scarpe e mi dirigo , stanca morta, sulla terrazza. Guardo le luci sui palazzi e i grattacieli che si estendono a perdita d’occhio. L’aria della sera non è tanto fredda, ma sono talmente stanca che sento i brividi lungo la schiena. Mi siedo sul divano, cercando di rimanere sveglia per aspettare Josh, ma sento gli occhi che si chiudono. Prendo il libro che avevo messo in valigia per il viaggio e comincio a leggere. Nemmeno riesco a finire la prima riga che i miei occhi si chiudono e crollo sul divano.
 
«Ila!» una voce mi chiama, mentre mi sento scrollare dolcemente. «Svegliati, devo farti vedere una cosa!»
Mi giro dall’altra parte, mentre mi scrollo di dosso le mani di Josh. Gli faccio cenno con la mano di lasciarmi dormire. La cosa che deve farmi vedere può benissimo aspettare fino a domani mattina. Sono troppo stanca. Ma lui non demorde. Continua a chiamarmi con dolcezza. Mi posa teneri baci sulla guancia e, alla fine, mi lascio convincere ad alzarmi. Strizzo gli occhi, alla vista della forte luce della lampada accanto al divano. Josh è ancora in smoking. Deve essere appena tornato dalla premiere.
«Che ore sono?» borbotto infastidita, mentre abbasso l’intensità della lampada.
Ma Josh è sparito. Mi guardo attorno allarmata. Poi lo vedo arrivare dal buio con il mio cappotto, la mia sciarpa e le mie Converse. Sono un po’ perplessa.
«Sono le tre e mezza del mattino.» nella sua voce non c’è stanchezza.
Mi chiedo se si sia fatto di qualcosa per essere tanto sveglio e pimpante a quest’ora di notte. Io sono distrutta. Mi porge le scarpe e mi aiuta a metterle, mentre io, seduta sul divano, cerco ancora di capire perché ho gli occhi aperti quando, invece, vorrei solo tornare a dormire.
«Coraggio.» dice sorridendo. Non riesco a capire che diavolo ha in mente. «Mettiti il cappotto. Io vado a prendere una coperta.»
Una coperta? Dove diavolo ha intenzione di portarmi? Central Park di notte non è uno dei posti in cui preferirei andare… Ma non faccio storie. Mi metto la mia sciarpona di lana, mi infilo il cappotto e rimango in attesa che riemerga dal buio della camera da letto. Mi sta chiamando a gran voce, il letto. Se ne sta lì, tentandomi con parole gentili e invitanti. Come vorrei sdraiarmici sopra e infilarmi sotto le coperte calde…
Josh riemerge dal buio, tenendo sotto braccio un plaid blu. Mi guarda sorridendo.
«Dove mi porti?» gli chiedo, lasciando che mi afferri la mano e mi guidi nel corridoio fuori dalla nostra stanza. Mi muovo alla velocità di un bradipo.
«E’ una sorpresa.» dice facendomi l’occhiolino. «Mi sembra di ricordare che ti piacciano le sorprese…»
Gli lancio un’occhiataccia. No. Io odio le sorprese, e lui lo sa benissimo.
In tutta risposta, mi posa un bacio sulla guancia.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

SONO IN RITARDO MOSTRUOSOOOOO!
Mi vergogno perfino di aver postato e.e
 
Ma vabbè…
 
COME STATEEEE?! TUTTO BENEEEEE?!
Adesso la smetto con il Caps Lock. u.u
 
Eccoci nel 2013, anno meraviglioso, secondo me.
Elencando, ci saranno: The Host, The Mortal Instrument – City of Bones, Noi siamo infinito, Beautiful creatures, Lo Hobbit, Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo – Il mare dei mostri eeeeeeeee (sempre che io non ne abbia dimenticato nessuno e.e) …
… CATCHING FIRE! (non dovevo smetterla col Caps Lock?! >.<)
Porca vacca, gente, passerò tutto l’anno ad aspettare!
 
Poi adesso che sono appena passati i PCA ( e Jen è stata nominata agli Oscar! I’m so proud :’3) e sono uscite le still dal film :3
“Welcome to the games”
Cappero, sì! Non riuscirò a resistere fino a novembre ç.ç
 
Ok, dopo questi scleri che mi potevo decisamente risparmiare…
 
Boh, non so che scrivervi >.<
Come al solito spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se vi ho fatto aspettare un’eternità e.e
 
Un bacione, Ila.
 
P.S. BUON ANNO! Cacchio, me n’ero scordata :P Spero che abbiate passato delle buone feste! Tante belle cose per questo 2013 :3
 

 
  
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