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Autore: LenK    11/01/2013    2 recensioni
Dopo How to disappear completely, ecco il seguito delle avventure di Wendy Wink. Grazie all'amico - o qualcosa di più? - Seth Fitzwilliam, Wendy pensava di aver trovato un posto a cui sentiva di appartenere. L'inaspettato e improvviso ritorno della vecchia amica/rivale di sempre, Marigold, le scombinerà le carte in tavola. E stavolta, Fiordoropoli non è abbastanza grande per tutte e due.
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Mi costava ammetterlo, ma se ero venuta a Johto perché volevo diventare migliore di Marigold avevo decisamente sbagliato strategia. Ovviamente ero partita con le migliori intenzioni del mondo ma, come al solito quando si parlava di me, tra il dire e il fare c’erano state di mezzo le Cascate Tohjo.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Vanishing'
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Era stata una saggia decisione quella di trasferirmi a Johto. Non che ne avessi mai dubitato; di solito impiegavo così tanto a prendere una decisione che le probabilità di aver fatto la scelta sbagliata erano davvero minime. Sapevo che sarei riuscita a rimettere insieme i pezzi della mia vita dopo che l’abbandono della mia migliore amica aveva sconvolto la routine che avevo faticosamente costruito negli anni, e così era stato. Ormai sapevo come funzionava; bastava inserire un’abitudine qui e una lì, e il gioco era fatto: mi ero impegnata ad ascoltare la Pokéradio ogni mattina, a fare un giretto a curiosare per gli scaffali del Centro Commerciale tutti i sabati dopo la Gara Pigliamosche, a riempire di ciondoli l’anello del portachiavi, e non ci avevo messo molto a fare di Fiordoropoli la mia casa.
Ma poi Marigold era tornata prepotentemente nella mia vita.
Di slancio mi aveva abbracciata, quasi travolgendomi, costringendomi a sottrarmi alla stretta forte di Seth. Mi ero allontanata da lui di scatto, perché non volevo che lei lo toccasse, nemmeno per sbaglio. Dopo che fui rimasta rigida tra le sue braccia per un po’, mi aveva chiesto cosa facessi lì.
Il malessere mi aveva stretto la gola in una morsa, e avevo aperto la bocca solo per respirare profondamente, uno di quei respiri disperati di chi sta per essere sommerso da un’onda che sa essere troppo grande, ma trattiene ugualmente il fiato prima di essere colpito.
Eravamo uscite dalla Palestra, e Marigold mi aveva trascinato al Centro Pokémon, dove aveva portato a far curare la sua squadra dopo la lotta in Palestra. Mi aveva spinto su una poltroncina in pelle verde e si era seduta su quella libera davanti alla mia. «Vado a prendere qualcosa da bere, tu che cosa vuoi? Niente, eh? Sicura? D’accordo, aspettami qui, torno subito. Abbiamo tante cose da raccontarci!».
La voglia di piangere che si era impossessata di me alla Palestra non mi aveva ancora abbandonata.

 

 
«E così ti sei trasferita e lavori al Parco Nazionale di Fiordoropoli da otto mesi.» ripeté Marigold in tono piatto, incolore. «Non posso credere che tu te ne sia andata da Zafferanopoli» continuò, giocherellando indifferente con la cannuccia del Lemonsucco che aveva comprato al distributore automatico. Tutta la gioia che aveva provato nel vedermi pareva essere evaporata, mentre ci ricalavamo nei soliti ruoli di sempre.
«No?» chiesi io debolmente.
«Beh, Wendy, non dirmi che avrei dovuto aspettarmelo, non contavo di certo sul fatto che avresti avuto il… Oh, lascia perdere» tagliò corto, probabilmente dopo aver notato il guizzo delle mie sopracciglia, che erano schizzate verso l’alto come saette. «Non mi hai ancora chiesto cosa ci faccio io qui, comunque!» obiettò, mentre un sorrisetto tornava ad aleggiare sulle sue labbra.
Tipico di Marigold, spostare la conversazione su di lei. Era sempre stato fuori discussione che quello che aveva da raccontare lei fosse di sicuro più emozionante di qualsiasi storia io potessi avere in serbo.
Era chiaro che non vedeva l’ora di dirmelo, ma io non sapevo se stavolta volevo ascoltare, combattuta tra il rifiuto totale e il desiderio di sapere perché mi ritrovavo costantemente tra i piedi la mia zavorra personale.
Marigold prese il mio silenzio come un invito a continuare.
«Dunque, è iniziato tutto quando ho battuto Blu, il Capopalestra di Smeraldopoli. Dopo aver conquistato l’ottava medaglia, sono stata contattata da – non ci crederai mai – dal Professor Oak!». Fece una pausa a effetto. Nella mia testa turbinavano vorticosamente le parole “Blu” e “ottava medaglia”, ma l’unica cosa che riuscii a dire fu «Quello del Talk Show alla radio?».
Marigold mi squadrò con un sopracciglio alzato. «Il più grande esperto di Pokémon di Kanto, Wendy, ma se la metti così sì, quello del Talk Show alla Radio.» commentò accondiscendente.
«Insomma, il Professor Oak ha detto che aveva un incarico da offrirmi, e mi ha consegnato un Pokédex.»
«Un…?»
«Pokédex. È un dispositivo inventato dal Professore in persona! Funziona come un’enciclopedia, registra nel database le informazioni riguardanti i Pokémon che l’Allenatore cattura o incontra. Ovviamente però il Pokédex va completato. Per ora il professore ha riempito il Pokédex soltanto con i Pokémon che si possono trovare a Kanto, e mi ha chiesto di aiutarlo a catalogare le specie caratteristiche della regione di Johto. Non ci ho pensato su nemmeno un secondo più del necessario, e ho accettato! Naturale che finché sono qui ne approfitto per sfidare anche le Palestre da queste parti.»
«Insomma…» azzardai.
«Insomma?» chiese lei con un ampio sorriso, felice che finalmente le stessi dando retta.
«Quindi hai… hai tutte le…».
«Le medaglie di Kanto? Sicuro.» annuì, e alzò una mano davanti al mio viso come a dirmi di attendere. Fece scorrere la chiusura lampo del marsupio che portava allacciato intorno alla vita e ne tirò fuori un astuccio lucido e nero; lo aprì con gesti lenti e misurati. Non potei resistere alla tentazione di sporgermi in avanti, sedendomi proprio sul bordo della sedia, per vedere meglio.
Davanti ai miei occhi, su un letto di velluto scuro, sfavillavano nove medaglie lucenti: le otto di Kanto, più una che non conoscevo, di un grigio-azzurrino brillante, che poteva assomigliare a un tempietto o a un paio d’ali spiegate. Ricordavo che Valerio di Violapoli era un maestro di Pokémon Uccello, però, quindi decisi per la seconda.
«Oh.» bisbigliai, piena di stupore e, inevitabilmente, ammirazione.
Mi costava ammetterlo, ma se ero venuta a Johto perché volevo diventare migliore di Marigold avevo decisamente sbagliato strategia. Ovviamente ero partita con le migliori intenzioni del mondo ma, come al solito quando si parlava di me, tra il dire e il fare c’erano state di mezzo le Cascate Tohjo.
Nel frattempo Marigold ne aveva approfittato per staccare dalla maglietta la Medaglia Alveare e appuntarla accanto a quella che presumevo fosse di Violapoli. Ora che la vedevo bene, mi accorsi che la medaglia della Palestra di Raffaello era di forma circolare, smaltata di rosso e nero, e ricordava una coccinella.
Prima di richiudere il cofanetto tamburellò le dita sul metallo, ridacchiando compiaciuta.
«Marigold Magpie?» chiamò l’infermiera del Centro Pokémon, all’improvviso. La testa bruna di Marigold scattò verso il bancone. «La tua squadra è pronta!».
La mia amica si alzò in piedi e andò spedita a ritirare le sue sei Pokéball. Nonostante la distanza, udii l’infermiera cinguettare «Hai un Chansey adorabile, e sembra anche molto felice! Blissey era esattamente in forma come il tuo, prima che si evolvesse. Secondo me manca poco, io mi aspetterei una bella evoluzione da un momento all’altro!». Vidi Marigold fare una carezza sulla testa del Blissey del Centro Pokémon e fare un cenno di ringraziamento col capo.
Mentre tornava sui suoi passi, mi affrettai a farmi vedere occupata a giocherellare con la Pokéball di Abra, per non farle capire che stavo ascoltando.

 

 

Una volta uscite dal Centro Pokémon, il mio primo pensiero fu di cercare con lo sguardo Seth tra la folla allegra e chiassosa del paesino. Per un po’ ero stata completamente dimentica di lui, e mi sentivo in colpa per averlo abbandonato alla Palestra come un Magikarp lesso. Mi chiesi se fosse preoccupato e se mi stesse cercando.
«Comunque, tu sei qui da un bel po’.» osservò d’un tratto Marigold.
«Sì, otto mesi, te l’ho detto» ripetei, piccata per il fatto che non se lo fosse ricordato.
Lei sembrò illuminarsi: «Allora la tua squadra sarà sicuramente cresciuta un sacco!» esclamò euforica.
«No, non proprio…» mi schermii, vergognandomi un po’ per tutta quell’improvvisa attenzione da parte sua, anche se in fondo era tutto quello che avevo sempre desiderato. Quando eravamo ragazzine mi considerava molto di più; gioiva per le mie vittorie e i miei traguardi, anche quando in confronto ai suoi sembravano piccolezze. Tuttavia nell’ultimo periodo che avevamo passato insieme, prima che lei partisse all’avventura, sembrava prendere coscienza ogni giorno di più del fatto che era sempre stata migliore di me, e agiva di conseguenza.
«Dai, fammi vedere i tuoi Pokémon!» mi pregò. «Non avrai dato via Nidorino e Poliwhirl, vero?».
Questa sua allusione ai compagni insieme ai quali avevamo passato tanti pomeriggi ad allenarci mi convinse. Dopotutto, pensai che la mia squadra era cambiata così tanto da quella che lei si ricordava che ne sarebbe sicuramente rimasta stupita, e liberai i miei Pokémon con un pizzico di fierezza.
Nidoking, Politoed e Abra uscirono dalle loro sfere contemporaneamente.
Abra, dopo aver sondato i dintorni e non aver captato nulla di interessante, si limitò a teletrasportarsi pigramente sulla mia spalla e a strusciare il musetto contro la base del mio collo in segno di saluto.
Ma Nidoking e Politoed, come sospettavo, non ci misero molto a riconoscere Marigold.
Sapevo che Nidoking l’aveva identificata perché vidi un guizzo passare nei suoi occhi, ma il mio Pokémon non si mosse, e rimase come me a guardare Politoed che al contrario le dava festosi colpetti sul braccio, probabilmente in cerca di carezze.
Aspettai la reazione di Marigold, sicura che da un momento all’altro se ne sarebbe uscita con un “Wow, si sono evoluti!”; ma la sua espressione, da carica di aspettativa che era, fu velata soltanto da un’ombra di delusione. Marigold sbuffò. «Beh, non hai praticamente… catturato nessun Pokémon, qui.» 
Avrei voluto precisare che, benché Abra fosse un Pokémon diffuso anche a Kanto, avevo catturato il mio fuori dal Bosco di Lecci, quindi tecnicamente era una cattura di Johto; ma poi avrei dovuto anche ammettere che a onor del vero quella di Abra non era stata propriamente una cattura. Avrei voluto giustificarmi con il fatto che non ero a Johto per scorrazzare in giro a catturare Pokémon ma avevo un impiego al Parco Nazionale, però era anche un dato di fatto che il Parco pullulasse di Pokémon selvatici e, se ne avessi catturato uno o due, nessuno si sarebbe accorto della loro assenza.  
La verità era che più che catturare Pokémon, a me piaceva averli come amici, mi piaceva prendermi cura di loro, farli crescere, aiutarli a diventare forti. Però non era una verità che mi avrebbe aiutato a farmi apprezzare di più da Marigold, quindi non dissi niente di tutto ciò ad alta voce.
«Ma… c’è un Pokémon di Johto, non lo registri?» le suggerii speranzosa, pregando di poterle essere appena un poco utile.
«Politoed ce l’ho già» fece spallucce Marigold.
Mi fece segno di avvicinarmi ed estrasse dal marsupio un dispositivo rettangolare di colore rosso che ipotizzai fosse il tanto decantato Pokédex.
«Ti faccio vedere come funziona» disse con una certa aria supponente, da maestrina.
Da degna figlia di uno dei pionieri della Silph S.P.A., sapevo maneggiare bene gli apparecchi elettronici; se mi avesse lasciato quell’affare per cinque minuti avrei capito le sue funzioni probabilmente meglio di lei. Ma l’ultima cosa che volevo fare era contrariarla, e tacqui.
Accese l’apparecchio e fece scorrere il dito verso il basso sullo schermo tattile. Sul display si alternavano caselle dove figurava un’icona raffigurante un Pokémon e caselle vuote. Immaginai che gli spazi bianchi corrispondessero ai Pokémon che Marigold non aveva ancora catalogato.      
Fece pressione sul disegno di un Pokémon verde che in piccolo non riuscivo a identificare e la scheda di Politoed si aprì. Dal Pokédex si liberò una voce metallica: «Politoed, il Pokémon Rana. Quando tre o più Politoed si trovano insieme, iniziano a cantare ad alta voce, producendo una sorta di gracchio.».
Mi chinai verso Politoed, che fino ad allora aveva continuato a saltare sulle punte dei piedoni palmati per sbirciare il Pokédex, e lo rimproverai bonariamente. «Hai sentito? Secondo questo coso qui, tu dovresti cantare solo quando ti trovi in gruppo. Come mai invece non riesci a stare zitto un minuto?» e lo colpii in testa con affetto.
Il mio Pokémon mi rivolse una pernacchia, facendomi scoppiare a ridere.
A quanto pareva Marigold era destinata a distruggere, in un modo o nell’altro anche il mio più piccolo momento di felicità, per cui decise di ricordarmi la sua presenza con un colpetto di tosse, osservando «Vedi, questo già ce l’avevo».
La mia espressione tornò triste. «Ok, allora li faccio rientrare, se non ti servono» risposi, e puntai verso i miei Pokémon la mano che conteneva due Pokéball rimpicciolite. Con dei lampi di luce rossa, Nidoking e Politoed ritornarono dentro. Abra rimase sulle mie spalle, dove nel frattempo si era appisolato.
Non so se Marigold aveva notato la mia faccia o cosa, ma si affrettò ad aggiungere «Ad ogni modo è una bellissima squadra. Nidorino e Poliwhirl si sono evoluti, è fantastico!». Non mi suonava troppo convinta.
Stavo per risponderle, quando una mano si strinse attorno al mio polso, facendomi sobbalzare vistosamente.
«Wendy!»
Mi voltai di riflesso, e fui pervasa dalla solita sensazione di calore che mi pervadeva ogni volta che incrociavo gli occhi verdi di Seth, o anche solo che individuavo la sua nuca color sabbia da lontano quando mi dava le spalle.      
«Seth!» lo salutai. «Perdonami, sono stata un’irresponsabile a sparire così, lo so…» iniziai a scusarmi, ma lui mi bloccò.
«Tranquilla, non fa niente. Anche se è vero che ti cercavo da un po’. Volevo solo avvisarti che, se vogliamo essere a Fiordoropoli in serata, è meglio che ci avviamo, non voglio rischiare che tu te la faccia sotto se ci tocca attraversare il bosco di notte!» spiattellò, facendo sfoggio per l’ennesima volta della sua completa mancanza di delicatezza.
Avrei voluto sprofondare. Non ebbi il coraggio di guardare Marigold negli occhi, ma ero sicura che stesse cercando di trattenere una risatina di scherno.
Seth parve accorgersi in quel momento della presenza della ragazza.
«Ehi, ciao, io sono Seth!» allungò una mano aperta verso di lei. Marigold gli tese la sua, e Seth gliela strinse con tale vigore che quando Marigold gli disse il suo nome le uscì fuori un po’ strozzato.
«Sei un’amica di Wendy, eh?» proseguì lui, ma lei fece appena in tempo a dare una risposta affermativa che io interruppi quella conversazione che volevo assolutamente stroncare sul nascere.
«Seth, dobbiamo andare. Come hai detto tu, ho una terribile paura del Bosco di Lecci in notturna, e non ho ancora salutato Raffaello.» snocciolai, cercando di trascinarlo via.
Era ora di andarmene sul serio. Se mi sbrigavo a scappare – e in quello ero sempre stata un asso – facevo ancora in tempo a evitare di ricadere preda della maledizione di Marigold: il complesso di inferiorità che la sua vicinanza mi aveva sempre generato. E poi se lei pensava ancora di potermi considerare “l’amica stupida”, ero solo felice di potersene separare.
«Così torni a casa.» sospirò lei.
Annuii per confermare. «E tu, dove vai tu adesso?» volli sapere.
Non a Fiordoropoli, non a Fiordoropoli, pensai con tutte le mie forze.
«A Fiorlisopoli. Hanno aperto da poco una Zona Safari, ti ricordi, come quella di Fucsiapoli che adesso hanno chiuso. Ho pensato che sarebbe un modo facile e veloce per accumulare tanti dati in poco tempo per il mio Pokédex.» mi spiegò.
«Ottima idea. Buon viaggio, allora» le augurai con un piccolo sorriso. Preda di un impulso nostalgico mi accostai a lei e le lasciai un breve e leggero bacio sulla guancia, ma mi scostai subito, come se scottasse. Non ero più abituata a quel gesto. Ma lo ero mai stata?
Seth la salutò con un solare «Ciao ciao, Marigold!», come se si conoscessero da una vita.
Ma non avevo fatto che pochi passi quando lei mi urlò dietro: «WENDY!».
Voltai appena la testa, e la vidi avanzare nella mia direzione, tormentandosi le mani. Avvicinò la bocca al mio orecchio, e credevo volesse baciarmi sulla guancia a sua volta, quando la sentii soffiare delle parole. «Perché non vieni con me?».
Sgranai gli occhi incredula.
«Io… No, non posso.» riuscii a balbettare, con il cervello totalmente sconnesso.
Si scostò di un passo e si piazzò di fronte a me, con le mani sui fianchi, fissandomi dritta negli occhi. Aveva un’aria così sicura di sé che in quell’istante capii perché era sempre stata lei, quella che comandava.
«Gara di coraggio.» proferì in tono deciso.
Gli occhi azzurri le brillavano della stessa luce che emanavano anni prima, quando le uniche cose simili a Pokémon che possedessimo erano le Pokébambole di pezza.
 
«Andiamo a bussare a casa di Cat e poi scappiamo via!», mi proponeva spesso Marigold, come gioco per riempire quei pomeriggi che – quando hai dieci o undici anni – ti sembrano interminabili e noiosi.
Cat era una nostra compagna di classe. Tutti la chiamavano CopyCat, “Copiona”, perché aveva la fastidiosa e inquietante abitudine di imitare chiunque incontrasse. Benché durante le lezioni fosse divertente vederla fare il verso agli insegnanti, Marigold sapeva che ne avevo un po’ paura. Di lei e delle orribili Pokébambole a forma di Clefairy con cui decorava la sua stanza. 
«No, dai, non mi va.»
«Gara di coraggio!» gridava trionfante.
«Uffaaa…» mi lamentavo sottovoce, ma alla fine acconsentivo sempre. Era una nostra regola: non ci si può sottrarre alle gare di coraggio.

 

 
Io e Seth camminavamo lungo il Percorso 34. In quel momento ci trovavamo più o meno all’altezza della Pensione Pokémon, e il cielo cominciava a tingersi di un azzurro aranciato che preannunciava uno spettacolare tramonto.
Avevamo attraversato il Bosco di Lecci che era ancora giorno, e io ne ero uscita incolume.
Ma ad ogni modo, anche se avessimo dovuto attraversarlo a notte fonda, Seth mi aveva tartassato di domande in modo così insistente che anche se dei grossi Ariados si fossero messi a passeggiarmi in testa non mi sarei nemmeno accorta del solletico. 
Alla fine avevo ceduto, e gli avevo raccontato tutta la storia: io e Marigold, la nostra amicizia, il fatto che lei era la migliore in ogni situazione, la sua partenza improvvisa da Zafferanopoli, e per finire questa offerta di accompagnarla nel suo viaggio dopo quasi due anni di separazione.
«Ma non è un buon segnale il fatto che ti abbia chiesto di andare con lei?» mi chiese Seth mentre camminavamo verso Fiordoropoli.
«Figurati. L’ha fatto solo per pietà. Vuole farsi perdonare per averi abbandonato due anni fa.» risposi in tono cattivo, scalciando via i sassi del sentiero dal mio cammino. Mi ero augurata che l’incontro con Marigold, seppur breve, mi avrebbe aiutato a tirare fuori il meglio di me in futuro per poter essere alla sua altezza; e invece, a quanto pareva, stava producendo l’effetto contrario.
«E tu cos’hai risposto? Ci andrai?».
Mi affrettai a rispondere negativamente. «Ma ti pare! Prima le ho chiesto un po’ di tempo per pensarci, però è ovvio che rifiuterò».
«Oh, certo. Dai Wendy, lo so che vuoi andare» mi rimbeccò Seth.
E questa da dove usciva?
Quello scambio di battute iniziava a indispettirmi. D’accordo, non ero mai stata una persona particolarmente determinata, ma su quel punto avevo le idee chiare.
«Non voglio andare! – protestai allora, e la mia voce si alzò di un tono – Odio quella ragazza! Ma possibile che non capisci? Non c’è nessuno che odi?»
«No!» rispose di rimando Seth, con una risata allegra, senza pensarci su nemmeno un po’.
Sorrisi mio malgrado, avrei dovuto aspettarmi una risposta del genere.
Insistette: «Quindi il problema è Marigold».
Io feci un vigoroso cenno di assenso con la testa.
«A me pare una brava ragazza. Sembrava davvero felice di vederti alla palestra. Poi è proprio un’ottima allenatrice, ha tutte le medaglie di Kanto e già due di Johto, e pensare che è qui da solo un paio di settimane, a quanto mi hai detto…» proseguì.
Lo presi come un vero colpo basso. Non sopportavo di sentire Seth che parlava bene di Marigold come se non bastassi già io a metterla su un piedistallo, per non dire che non aveva un briciolo di tatto: gli avevo appena raccontato – con grandissimo sforzo, per giunta – che tortura fosse stata per una ragazzina mediocre come me crescere accanto alla perfetta Marigold, e lui si metteva a tesserne le lodi.
«Questo lo so, Seth» sussurrai depressa, e lui mi chiese frettolosamente scusa.
Nel frattempo, avevamo oltrepassato l’ingresso della città. Il tramonto era sempre meraviglioso a Fiordoropoli. Colpiti dalla luce rossastra, i tetti di questa metropoli d’oro sembravano andare in fiamme, e le mille finestre degli altissimi palazzi riflettevano le scintille facendole rimbalzare in ogni direzione. Era un incendio, era uno spettacolo pirotecnico. Come potevo avere voglia di andarmene via?
«Vuoi che ti accompagni a casa?» si offrì Seth quando arrivammo al primo incrocio di strade.
«Lascia perdere.» mugugnai.
«Non sarai arrabbiata con me!»
«No» risposi secca, girandomi a dargli le spalle.
«E invece sì che lo sei» ribatté allegro. Lo sentii abbracciarmi da dietro, tenendomi stretta in modo che non potessi sottrarmi alla presa, e sfregarmi il pugno chiuso in testa, scompigliandomi i capelli.   
«Sfogati pure con me se ti va, carina. Ma sappi che non è colpa mia se non riesci a venire a patti con l’idea di avere una voglia matta di levare le tende.»

 

 
Ero tornata a casa con un groppo in gola. Secondo Seth avevo “una voglia matta di levare le tende”, e quindi avevo deciso di lavarmela via con una lunga doccia.
In pigiama, con un asciugamano attorcigliato intorno alla testa, mi stavo infilando i calzini. La televisione era accesa, era un’abitudine che avevo preso per non sentirmi troppo sola in quell’appartamento silenzioso, da quando Nidoking era diventato un po’ troppo grosso e Politoed un po’ troppo scalmanato per tenermi compagnia in casa. Abra, dal canto suo, trascorreva diciotto ore al giorno a dormire, e preferivo dedicare il tempo in cui era sveglio al suo allenamento piuttosto che ai miei trastulli.
Quando uscii dal bagno stavano trasmettendo il Pokédex Show.
Difficilmente avrei dimenticato la mia memorabile intervista per quel programma, che era avvenuta giusto il mio primo giorno a Fiordoropoli, e ogni tanto mi ritrovavo a provare un piacere quasi sadico quando intervistavano i giovani Allenatori fuori dalla fermata del Supertreno, com’era successo a me. Mi chiesi da dove sarebbero andati in onda quella sera.  
«… Pokédex Show! Oggi siamo in diretta dall’Ufficio Postale di Fiordoropoli con…?»
«Shinichi.»
«Con il nostro Shinichi, che ci ha detto di venire da Kanto, è esatto?»
Smisi di interessarmi alle mie calze e alzai lo sguardo verso lo schermo.  
La solita intervistatrice, Roxy, teneva il microfono puntato verso un bel ragazzo dai capelli corvini e gli occhi blu che sorrideva pacatamente alla telecamera. «Sì, e tornerò a casa domani.» asserì affabile.
«E questo è il tuo Gengar?» chiese Roxy, indicando con il microfono il grosso Pokémon Spettro al fianco dell’Allenatore che prima non avevo notato, probabilmente a causa del fatto che la telecamera non riproduceva bene la consistenza gassosa del suo corpo violaceo.
«Beh, non è proprio il mio, ma me ne sto prendendo cura.» affermò, e – non so se davvero o per un effetto dello schermo – il suo sorriso tremò un poco.
«Sembra che tu abbia fatto un ottimo lavoro! Quindi il tuo periodo di viaggio a Johto sta per finire! Bene Shinichi, hai viaggiato, hai fatto nuove esperienze; ritieni che ti siano state utili?»
Il ragazzo sospirò. «Posso dire di sì.»
«Prima di salutarci, c’è qualche consiglio che daresti a un aspirante allenatore che sta per partire all’avventura?» domandò l’intervistatrice.
Mi ritrovai a sobbalzare.
No, questo non lo voglio sentire, questo non lo voglio sentire, pensai.
Frugai disperatamente la mensola sulla quale avevo abbandonato il gomito, ma non trovai il telecomando. Allora corsi pateticamente verso la tv per spegnerla, ma il piede ancora bagnato e nudo scivolò sul parquet, facendomi finire a gambe all’aria proprio davanti allo schermo, mentre Shin-qualcosa rispondeva: «Dico solo… Non abbiate paura. Viaggiare è utile, ora sono una persona e un Allenatore più forte, sono in grado di proteggere chi mi è vicino… e sono pronto per tornare a casa. Non abbiate paura.»

 

 

Mi presentai a casa di Seth quella sera, dopo cena.
Mi aprì la porta in tuta da ginnastica, con un’espressione assonnata e i capelli biondi scarmigliati – beh, comunque più scarmigliati di quanto fossero di solito.
Non sembrava particolarmente sorpreso di vedermi.
«Ehi, passata l’arrabbiatura? Entra, dovrei avere del tè non troppo freddo!» mi sorrise.
«N-no, è-è solo un saluto breve» balbettai, imbarazzata.
Si appoggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate, abbandonando la testa contro il legno, e abbozzò un cenno con il mento come a chiedermi di continuare.
«Quello che sto cercando di dirti è che… Ho telefonato a Marigold. Partiamo domani mattina» buttai fuori tutto in una volta, per paura di impappinarmi e per paura che, se ci avessi pensato troppo mentre lo dicevo ad alta voce, avrei cambiato idea e non avrei più voluto andare.
Fino a quel momento, così in piedi davanti alla porta di casa sua, non avevo pensato bene a cosa avrebbe significato per me lasciare Seth.    
La sua era ormai diventata una presenza costante, ma credere che mi sarebbe dispiaciuto allontanarmene solo perché ero abitudinaria sarebbe stato riduttivo. La cotta adolescenziale per Seth che mi ero presa dopo le prime settimane si era trasformata in un legame più profondo; non sapevo quanto potesse essere lo stesso da parte sua, ma dalla mia aveva messo radici molto solide.
«E quindi sei venuta a…?» disse tranquillo lui.
Il suo comportamento controllato mi colse di sorpresa e mi ferì come una coltellata. Seth non era controllato nemmeno durante l’ispezione del capo del personale al Parco. Non che mi fossi aspettata di vederlo gettarsi ai miei piedi e implorarmi di non partire, ma sembrava davvero che non gli importasse nulla o che pensasse fosse uno scherzo.
«A salutarti.» dissi, quasi come a volermi giustificare.
«O ad avvertirmi di sbrigarmi a preparare lo zaino?» chiese, inclinando la testa da un lato e alzando un sopracciglio.
«Eh?». Non capii, ma smisi di pensarci subito quando lui tagliò corto: «Niente, sciocca», e con una risata triste mi tirò a sé per abbracciarmi.
Una lacrima trovò la strada per scappare dalla gabbia delle mie ciglia e venne asciugata dalla sua maglietta, lasciando una macchia bagnata sul cotone.
«Non smetterò nemmeno un attimo di pensare a te» mi sfuggì dalle labbra, senza che potessi fare niente per arginare quella confessione.

 

«Mi sembra il minimo. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?» esclamò in tono allegro, e si mise a ridere.

Chiusi per un momento gli occhi concentrandomi solo sulla sua risata, chiedendomi quanto tempo sarebbe passato prima che la risentissi di nuovo.

 

 

 

 

C i a o ! Ci ho messo una vita, ma il primo capitolo della seconda storia della serie è qui! Avrete notato che riprende precisamente da dove la prima storia si è interrotta, niente buchi temporali :)

Ho un paio di credits da mettere:

-          L’ultima frase di Seth [“Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?”] è una citazione da… Sant’Agostino. Ebbene sì.

-          La voce del Pokédex di Politoed è quella di Pokémon Soul Silver.

-          Quello più importante è che Shinichi non è un mio personaggio, ma appartiene a Gozaru, ed è il coprotagonista (?) della sua serie “Aki&Shin”. Il personaggio è stato utilizzato previo consenso dell’autrice che ringrazio (tanti cuoricini <3 ). Se volete sapere qualcosa di più su Shinichi (vi assicuro che ne vale la pena), passate a dare un’occhiata alle sue storie!

-          Un saluto speciale anche a Konny_, che anche se mi sottrae i pandori crea personaggi geniali e simpaticissimi come quella pazza di Bunny :3

 

Un abbraccio a tutti e grazie a chi leggerà!

 

Len.  

  
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