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Autore: LenK    01/02/2013    2 recensioni
Dopo How to disappear completely, ecco il seguito delle avventure di Wendy Wink. Grazie all'amico - o qualcosa di più? - Seth Fitzwilliam, Wendy pensava di aver trovato un posto a cui sentiva di appartenere. L'inaspettato e improvviso ritorno della vecchia amica/rivale di sempre, Marigold, le scombinerà le carte in tavola. E stavolta, Fiordoropoli non è abbastanza grande per tutte e due.
~
Mi costava ammetterlo, ma se ero venuta a Johto perché volevo diventare migliore di Marigold avevo decisamente sbagliato strategia. Ovviamente ero partita con le migliori intenzioni del mondo ma, come al solito quando si parlava di me, tra il dire e il fare c’erano state di mezzo le Cascate Tohjo.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vanishing'
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Lasciai Fiordoropoli di prima mattina, silenziosa e furtiva come una ladra.
Il sole era sorto da nemmeno due ore, ma la luce era ancora pallida e l’aria autunnale piuttosto fresca. Un venticello leggero agitava appena le cime degli alberi.
Marigold era rimasta fuori dalla porta ad aspettarmi perché, a detta sua, “non voleva assistere ad addii lacrimosi”; io salutai casa mia passando le dita sul mobilio, come faceva mia madre quando voleva controllare se c’era polvere, e accarezzando lo specchio del bagno, davanti al quale avevo controllato che la mia divisa fosse perfettamente in ordine la prima volta che ero andata al lavoro.
In virtù della sua esperienza, Marigold mi aveva suggerito di viaggiare leggera, quindi avevo lasciato quasi tutta la mia roba – vestiti, stoviglie, utensili – nell’appartamento. Non mi dispiaceva, anzi, l’avrei fatto comunque, perché stava a significare che prima o poi sarei ritornata a prenderla.
Quando uscii di casa con lo zaino sulle spalle, trovai la mia amica impegnata a sistemarsi delle forcine tra i capelli usando il vetro di una finestra come specchio.
Quando si accorse che la stavo osservando mi sorrise civettuola, e io per l’imbarazzo abbassai di scatto lo sguardo verso la mia sciarpa, fingendomi impegnata a sistemarmela meglio intorno al collo.  
Vedendola fare le prove dell’acconciatura specchiandosi sulla mia finestra, avevo notato che Marigold era diventata molto più carina durante i due anni di assenza da Zafferanopoli: i capelli si erano allungati e i lineamenti da maschiaccio si erano addolciti, e quella che da ragazzina avrebbe potuto benissimo passare per un maschietto un po’ effeminato era diventata quasi una donna.
Al contrario, io avevo conservato gli zigomi poco pronunciati e le fossette agli angoli della bocca  quando sorridevo, che mi davano quell’aria terribilmente da bambina.
«Io sono pronta, e tu?» mi richiamò Marigold, con un tono che non nascondeva una certa impazienza.
Annuii, cercando di farmi vedere ben determinata.
Risalimmo il vialetto e ci avviammo verso nord, in direzione del Parco Nazionale, la stessa strada che percorrevo ogni giorno per andare al lavoro. Per quanto riguardava il mio impiego, non avevo nemmeno avuto il tempo di avvisare qualcuno della mia partenza, ma confidavo che Seth l’avrebbe fatto al posto mio.
Marigold tentava di fare conversazione, mi domandava come avessi dormito, se fossi eccitata, se fossi sicura di non aver dimenticato nulla a casa perché se pensavo che saremmo tornate indietro a recuperare alcunché mi sbagliavo di grosso.
«State lasciando Fiordoropoli, metropoli della prosperità! » infierì a un certo punto Marigold, leggendo ad alta voce il cartello appeso all’ultimo lampione della città d’oro di Johto. «Per di qua, giusto?» mi chiese, indicando la dogana che portava al Percorso 35.
«Ah-ah» feci un verso affermativo, che mi uscì fuori stranamente acquoso. Mi portai una mano alla bocca; non mi ero accorta di avere un groppo in gola che mi rendeva la voce tremolante.
Marigold si voltò verso di me allarmata. «Non ti metterai mica a piangere!» mi supplicò, a metà tra l’infastidito e il dispiaciuto.
Ma non era colpa mia, gli occhi mi si riempirono di lacrime contro la mia volontà. Cosa credeva Marigold, che mi piacesse trasformarmi in una fontana ambulante? Nel giro di meno di un anno, avevo deciso di lasciare sia la mia vera casa, sia il posto che avevo imparato a chiamare casa; per una nomade come lei levare le tende era ordinaria amministrazione, ma io la mentalità da Allenatrice itinerante non l’avevo mai avuta e probabilmente non l’avrei avuta mai.
La sua mano sinistra mi si posò sulla spalla e la destra mi allungò un fazzolettino di carta. «Tieni.» mi disse brusca, senza guardarmi negli occhi. Avvertivo tutto il disagio di una persona che non era mai stata propriamente affettuosa che si sentiva costretta a compiere un gesto di conforto.
Con un profondo respiro, mi asciugai gli occhi con un angolo del fazzoletto e poi lo dispiegai per soffiarmi il naso.
«Ti sei affezionata a questo posto, dopotutto. Saresti capace di mettere radici ovunque.» commentò Marigold.
«Come devo prenderla?» mugugnai, con la faccia sepolta nella carta umida e spiegazzata. Alzai un sopracciglio, non sapendo se lei lo intendesse come un tratto positivo o negativo. Propendevo comunque per la seconda.        
«Come la verità.» rispose tranquilla, spiazzandomi.
Non volli indagare oltre, e lasciai cadere il discorso.
Mi ero posta l’obiettivo di andare d’accordo con Marigold, relegando l’astio in quello stesso cantuccio del cuore dove la sera prima avevo riposto i miei sentimenti per Seth. Eravamo state inseparabili per molti anni, e non vedevo perché le cose non potessero tornare come un tempo.
Avevo trascorso la notte a meditare sulle possibili ragioni per cui se n’era andata da Zafferanopoli senza di me, pensando che se ne avessi trovata una valida avrei potuto chiudere un occhio sulla questione e comportarmi come se non fosse successo nulla.
Dopo aver bollato come infantili le innumerevoli varianti sul tema “Non mi voleva abbastanza bene”, avevo deciso che probabilmente la sua voglia di avventura era troppo grande.
Non potevo dire di capirla, ma potevo accettarlo.
«Corriamo?» proposi improvvisamente a Marigold.
Allontanarmi da quel posto velocemente mi sembrava la soluzione con la più alta probabilità di prevenire ripensamenti.
«Se ti fa sentire meglio…» accettò Marigold alzando le spalle e inclinando il capo da un lato.
Mi preparai strusciando contro il terreno polveroso la suola delle scarpe da ginnastica, nella comica imitazione di un Tauros che si prepara a andare alla carica, poi iniziai a correre come se ne avessi uno alle calcagna.
Corremmo oltre la dogana e continuammo a farlo lungo il percorso 35, costeggiando il laghetto. Marigold, chiaramente più allenata di me, senza apparente sforzo mi staccò di un paio di metri, nonostante il suo zaino fosse più ingombrante del mio e le rimbalzasse ritmicamente sulla schiena con evidente pesantezza. Fu lei la prima a oltrepassare la deviazione a ovest che portava al Parco Nazionale, senza imboccarla.  
Sforzandomi di non rivolgere lo sguardo verso sinistra, la seguii, cercando di non perdere troppo terreno.
A un certo punto, arrivata in uno spiazzo erboso, Marigold si fermò.
Eravamo appena arrivate al Percorso 36, un sentiero alberato che mi avevano descritto quasi labirintico, anche se personalmente non mi ci ero mai avventurata. 
Io ansimavo un pochino, con la fronte appena imperlata di sudore, mentre il respiro di lei era regolare e sembrava fresca come una rosa.
«Tutto ok?» domandò, impegnata a frugare nel marsupio.
«Sì, grazie. Senti, mi chiedevo… Dovremo passare da Amarantopoli per arrivare a Olivinopoli e prendere il traghetto, giusto? Impiegheremo parecchio tempo, ti avverto, il Percorso 36 è piuttosto intricato.» la avvisai, cercando di far valere la mia conoscenza del luogo – anche se solo per sentito dire – e farle capire che in quel viaggio potevo esserle d’aiuto, e non semplicemente una compagna buffa o un peso.
«Non se lo sorvoleremo!» esclamò, tirando fuori dal marsupio quello che stava cercando. Una Pokéball roteò in aria liberando un Pokémon enorme che non avevo mai visto.
Dalle fattezze di un dinosauro dal cui dorso spuntavano ali di foglie, il Pokémon emise una specie di muggito. A un gesto di Marigold, si accoccolò a terra piegando le zampe davanti, per poi fare un cenno con la grossa testa come a invitarci a salirgli in groppa.
D’istinto feci un passo indietro.
«Ma cosa…?»
«Si chiama Tropius, è un Pokémon tipico della regione di Hoenn. Bello, vero?» mi spiegò Marigold orgogliosa, accarezzandogli il lungo collo con dolcezza. «L’ho ottenuto a Smeraldopoli, è stato uno scambio alla Casa Allenatore con un tipo che voleva a tutti i costi il mio Vileplume. Ci ho messo un po’ a capire come dovevo trattarlo, ma adesso è pacifico come un Magikarp».
«E… ci si può volare sopra?»
«Ovviamente, vedi com’è grosso. Può trasportare fino a tre persone, ma si stanca dopo un po’. Purtroppo non possiamo attraversare il mare, ma ci può portare tranquillamente fino a Olivinopoli. Risparmieremo un sacco di tempo!».
«Io non so se ci voglio salire.» confessai tremante. Non avevo mai volato sul dorso di un Pokémon; in effetti non sapevo neppure se soffrissi di vertigini o meno, perché il posto più alto su cui fossi mai stata era la terrazza dell’ufficio di papà alla Silph di Zafferanopoli.  
Marigold mi fissò aggrottando le sopracciglia.
«Guarda me.»
Si aggrappò al collo di Tropius, che il Pokémon aveva abbassato al livello del terreno, e da lì si issò sul dorso, tenendosi poi saldamente alle larghe foglie che gli ornavano la base del collo.
«Vedi? Non è difficile! Sarà divertentissimo, dai, volare è uno spasso!» mi assicurò, dondolando allegramente le gambe.
Il mastodontico Tropius era ancora accucciato a terra. Misurai che in piedi poteva arrivare ai due metri, o anche superarli, e mi sentii un po’ male al pensiero.
Comunque, provai a imitare Marigold, e riuscii ad arrampicarmi sul suo dorso strisciando pateticamente lungo il collo teso del Pokémon.
Quando mi fui sistemata all’amazzone sulla sua schiena, che era troppo ampia perché potessi sedere a gambe divaricate, Tropius si alzò in piedi.
Guardai giù, per scoprire che – come avevo calcolato – mi trovavo a due metri di distanza dal terreno; non era molto alto, ma mi sentii comunque fremere di paura.
«Tieniti salda alle foglie» mi sussurrò Marigold, per poi gridare «Tropius, avanti tutta verso ovest!».
Tropius iniziò a mulinare le quattro foglie più lunghe, quelle che si aprivano a X sulla sua schiena, e spiccò il volo. In aria, il vento era più forte, e mi faceva ondeggiare la sciarpa davanti al viso, tanto che ero costretta ad allontanarmela ripetutamente dagli occhi.
Ci eravamo alzati solo di poco quando una folata di vento più forte delle altre mi fece perdere la presa sulla foglia a cui mi ero aggrappata, e scivolai più indietro sul dorso del Pokémon.
La mia gamba destra già penzolava nel vuoto, i miei tentativi di farla passare oltre la schiena del bestione furono senza risultato poiché il vento forte mi destabilizzava. Marigold, davanti a me, guardava dritta verso l’orizzonte e non sembrava essersi accorta che ero in difficoltà.
Strillai il suo nome in preda al panico, ma all’improvviso Tropius virò.
Non trovai appigli sulla sua schiena, e caddi.
«Wendy!» Marigold urlò, e la vidi sporgersi nel tentativo di afferrarmi la mano, ma la mancò. «WENDY!»
Che morte stupida, lo sapevo che non avrei mai dovuto lasciare casa mia.
Serrai gli occhi in attesa dell’impatto con il terreno.
 
Il terreno era morbido e caldo.
Schiusi le palpebre timorosa. Attraverso le ciglia, vidi Marigold scendere da Tropius e precipitarsi al mio fianco. «Per Arceus, Wendy, stai bene? Mi dispiace, mi dispiace! Tu… Lui…»
Lui chi?
«Lui è sbucato dal fogliame come un fulmine! Giuro! Tu stavi cadendo e un momento dopo lui era lì che ti prendeva al volo.» continuò incredula e confusa, puntando il dito contro un soggetto alle mie spalle.
Eh?
Cercai di recuperare il controllo del mio corpo; realizzai che ero semisdraiata goffamente sulle gambe di una persona e il mio capo era abbandonato all’indietro sul suo petto.
Sollevai la schiena e mi voltai a guardare, per trovarmi davanti la giacca di pelle e i capelli biondi di Seth Fitzwilliam, con il viso distorto in una smorfia di dolore misto a divertimento.
Non riuscivo a pensare a una possibile ragione per cui Seth potesse trovarsi lì, ma rimaneva il fatto che mi aveva praticamente salvato la vita. 
Seth sollevò la schiena con fatica, per passarmi tra i capelli arruffati una mano macchiata d’erba.
«Senza offesa, Wendy. Dove pensavi di andare senza di me?».
 

A detta di Marigold, era inspiegabilmente comparso dalla vegetazione e si era precipitato a frenare la mia caduta, come evocato da una forza misteriosa. Di solito al Parco Nazionale quella che sbucava inquietantemente dai cespugli era April, ma non era nelle sue intenzioni salvare la vita di chicchessia.
«Che ci fai qui? Cioè, grazie, voglio dire. Ma che ci fai qui?».
«Vi seguo da quando avete lasciato Fiordoropoli. Tu non sei esattamente silenziosa.»
«Ma… perché?»
A quanto pareva, Seth aveva preso sul serio la sua promessa di esserci sempre per me.
Aveva uno zaino in spalla e motivò la sua presenza mostrandoci di aver scaricato sul Pokégear il Software Mappa, con la cartina completa di Johto riportante i nomi di tutte le città e tutti i Percorsi, come a volersi guadagnare la nomina di navigatore satellitare del gruppo.
Avevo ascoltato un lungo discorso sul fatto che, a dispetto di quanto potesse sembrarmi strano, Seth aveva pensato che sarebbe stato divertente accompagnarmi, e che tra l’altro ne avevo un gran bisogno dato che avevo appena constatato di non riuscire  a fare un metro senza il suo aiuto.
Per quanto mi riguardava, mi aveva già convinto la prima volta che aveva pronunciato il mio nome, però Marigold non era entusiasta all’idea.
«Ci appesantirà.» aveva detto tra i denti.
«Hai detto che Tropius può portare tre persone» le avevo ricordato in tono supplicante.
«E poi io non lo conosco» aveva rincarato la dose, abbassando il tono di voce per non farsi sentire.
«Si chiama Seth Fitzwilliam, ha diciotto anni, è un mio collega, è simpatico, spiritoso e adorabile!» avevo elencato tutto d’un fiato, e avevo fatto un sorriso buffo arricciando il naso per convincerla.
Incredibile come Seth riuscisse a rendermi allegra anche solo con la sua presenza. Se lui fosse venuto con noi, non sarebbe stato così traumatico lasciarmi Fiordoropoli alle spalle, perché avrei portato insieme a me un pezzo importante della mia vita in quel luogo.
Alla fine Marigold aveva acconsentito.
«Solo perché non voglio che tu ti rimetta a piangere.» si era giustificata in tono acido, ma poi si era girata a guardarmi con un mezzo sorriso che mi aveva scaldato il cuore.
Marigold era Zafferanopoli: era la mia infanzia; era Darcy, la mia Pokébambola a forma di Snorlax che da piccola pensavo fosse un Pokémon vero e mi aveva spezzato il cuore scoprire che in realtà era di pezza; era la città che mi stava un po’ stretta e non mi aveva mai valutato come mi sarei meritata, ma da cui non riuscivo a staccarmi.
Seth era Fiordoropoli: era la mia nuova me; era la città calda, dorata e caotica che mi aveva accolta a braccia aperte come se ne fossi stata parte da sempre; era la città a cui mi ero aggrappata e che mi aveva ridato coraggio.
Zafferanopoli e Fiordoropoli, le mie due case, mi avrebbero accompagnato nel primo vero viaggio della mia vita.

La previsione di Marigold si era rivelata esatta: dopo qualche ora di volo, Tropius si era stancato all’altezza del Percorso 39, e la sua allenatrice ci aveva intimato di proseguire a piedi, borbottando qualcosa sul fatto che se fossimo state solo in due ci saremmo risparmiate anche quel pezzo di strada.
Iniziavo a credere che fare l’Allenatore giramondo non fosse poi così fisicamente estenuante se si era in possesso di un Pokémon abbastanza grosso da scarrozzarti in giro.
Scesi goffamente dal dorso di Tropius e per poco non finii con il sedere per terra, mentre un’aggraziata Marigold scivolava giù con l’eleganza di un Ninetales e Seth atterrava perfettamente in piedi dopo un salto agile.
Il Percorso 39 era un posto tranquillo e sereno.
L’orologio del Pokégear segnava le diciotto e il sole già cominciava a tramontare, segno che le giornate si stavano inesorabilmente accorciando.
Sfregando una contro l’altra le mani che si erano ghiacciate durante il volo, confidavo sul fatto che a Olivinopoli, dal momento che era un porto di mare, la temperatura sarebbe stata più mite.
Ai lati della strada si estendevano campi coltivati a perdita d’occhio e i praticelli erano mantenuti ben curati; non vedevo erba alta dove potessero nascondersi Pokémon selvatici. Ogni tanto spuntavano dei silos dove immaginavo venissero conservati il grano e i cereali delle piantagioni.
A metà strada incrociammo una fattoria, dove attirò la nostra attenzione un ragazzino sui dodici anni che cercava di spingere nella loro stalla dei grassi Pokémon rosa che scampanavano rumorosamente. Erano dei Miltank; conoscevo quella specie poiché ne possedeva uno anche la Capopalestra di Fiordoropoli, Chiara, e si diceva che fosse il più tosto tra i componenti della sua squadra.
«Ehi! Un Pokémon che non ho registrato!» esclamò Marigold tutta emozionata estraendo dal marsupio il Pokédex con la stessa determinazione che avrebbe avuto se questo fosse stato un’arma, e si arrampicò sulla staccionata del recinto nel tentativo di puntare il dispositivo contro uno di loro.
Il congegno elettronico si illuminò e gracchiò: «Miltank, il Pokémon Bovino. Il suo latte è ricco di sostanze nutr –».
Il resto della spiegazione del Pokédex venne coperto dalla voce di Seth, che disse: «Wow, sapete cos’è questo posto? È la Fattoria Mumu! È qui che è iniziata la produzione del Latte Mumu; certo, ora che è diventato un articolo così richiesto sicuramente lo produrranno in serie» constatò. «Mi pare di aver letto che lo esportano anche a Kanto, giusto?» si rivolse in cerca di conferma a Marigold, che intanto era tornata al nostro fianco soddisfatta e gongolante, con il Pokédex stretto in pugno.
«Credo che ci sia un accordo commerciale con il Settipelago, ma poi da lì finisce sugli scaffali del Centro Commerciale di Azzurropoli» annuì lei.
«Già, il Settipelago ha un sacco di collegamenti commerciali dappertutto, anche con Hoenn! Sapevi che Secondisola è l’unico luogo di Kanto in cui si possono trovare i Lavottini di Cuordilava?».
Rimasi ad ascoltare Seth e Marigold fare sfoggio delle proprie conoscenze in materia. Non potevo intromettermi in quella conversazione poiché conoscevo il Settipelago solo grazie alle cartoline raffiguranti i paesaggi scenografici del Monte Brace e le misteriose sale delle Rovine Florabeto che mi spediva Marigold.
Non ero mai stata una di quelle bambine ricche e viziate che passavano le vacanze al mare con la famiglia in mezzo all’incontaminata natura selvaggia dell’arcipelago; al massimo io, mamma e papà andavamo ogni tanto in estate a passare una giornata alla spiaggia di Aranciopoli, che era sempre affollatissima e l’acqua era piena di Tentacool e dei rifiuti dei passeggeri della Motonave Anna.
I miei due amici continuarono a chiacchierare amabilmente dei blitz del Team Rocket alla Centrale Elettrica di Kanto, dei problemi economici che il Pokédollaro stava causando a Sinnoh –  Sinnoh? A malapena avrei saputo collocare la regione su una mappa – e la mia mediocrità mi veniva rinfacciata sempre di più a ogni passo che muovevo verso Olivinopoli.
 

«Cosa? Niente traghetti per Fiorlisopoli fino a domani?» strepitò Marigold contro il Marinaio in biglietteria, incrociando le braccia come una bambina capricciosa.
Eravamo giunti a Olivinopoli in serata, un po’ affaticati e infreddoliti.
Avrei voluto dare un’occhiata in giro, specialmente perché immaginavo che Marigold avrebbe provato a sfidare la Palestra, ma lei si era diretta immediatamente al porto.
Doveva avere molto a cuore la questione Pokédex, perché era più impaziente che mai.
«Mi dispiace, ma vedi di non prendertela con me. La linea Olivinopoli – Fiorlisopoli, si sa che è problematica. Ci sono quelle dannate Isole Vorticose di mezzo, ci sono tempeste una notte sì e l’altra pure.» disse il Marinaio, burbero, scrollando le spalle.
«Ma quel traghetto lì è in partenza!» protestò lei indicando un’imbarcazione sul Molo Due dalle cui ciminiere effettivamente si stavano levando i primi fili di fumo, mentre alcuni passeggeri si affrettavano a salire a bordo.
«Quello va ad Aranciopoli. Direzione opposta.» borbottò l’uomo, che iniziava a spazientirsi. «Vi consiglio di prendervi una dannata stanza al Centro Pokémon e tornare domani a mezzogiorno».
Un altro po’ e Marigold si sarebbe messa a soffiare fumo dalle narici come la nave al Molo Due.
«Dai, Marigold, torniamo domani, non succede niente» osai intromettermi. In realtà iniziavo ad avere un po’ fame e io e Seth, sulla strada, avevamo già adocchiato un posto per la cena, un ristorante chiamato Olivin Bar.
Lei cedette, non prima di aver fulminato con lo sguardo l’uomo in biglietteria come se fosse lui il colpevole di tutte le trombe marine del mondo.
Ci apprestammo a uscire dalla zona del porto, che era gremita di gente, probabilmente passeggeri del traghetto per Aranciopoli in procinto di imbarcarsi sul traghetto.
Un traghetto per Kanto. In fondo  papà e mamma avevano ragione, non avevo la stoffa dell’Allenatrice.
Ero negata in geografia e mi sarei persa anche al Centro Commerciale di Fiordoropoli; giusto quella mattina avevo rischiato la vita cadendo da un Tropius, e chissà a quante alte disavventure sarei potuta andare incontro se avessi continuato quel viaggio avventato.
Seth e Marigold erano qualche passo avanti a me e, se mi fossi infilata nella calca, quando si fossero accorti della mia scomparsa sarebbe stato ormai troppo tardi per recuperarmi.
Mossi un paio di timidi passi indietro, verso il molo, ma la mia schiena si scontrò con un ostacolo.
«Ahi!» gemette l’ostacolo.
«Mi scusi! Mi scusi!» dissi freneticamente. Ero andata addosso a qualcuno. Mi girai verso la persona contro cui avevo sbattuto per ripetergli le mie scuse, e i miei occhi incontrarono un paio di iridi di un blu profondo. Si trattava di un ragazzo, e avevo la sensazione di averlo già visto da qualche parte.
«Perdonami…» balbettai, fissandolo con un’insistenza che sfiorava la maleducazione, ma non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, mi ricordava così tanto qualcuno che ero convinta di aver già incontrato.
«Ehi, stai tranquilla, non mi hai fatto nulla. Ciao!» sorrise il ragazzo, per poi allontanarsi in direzione della nave in partenza facendomi un cenno con la mano. Aveva uno sguardo così felice, così perso altrove, al di là del mare.
Shinichi da Kanto!, ricordai improvvisamente.
Era lui, era l’Allenatore con il Gengar del Pokédex Show, che tornava a casa. Dovevo parlargli, dovevo chiedergli come si diventava bravi Allenatori, dove si trovava il coraggio per abbandonare le persone a cui si vuole bene e i luoghi a cui si è affezionati, come si faceva a non avere paura.
«Shinichi! Shinichi!» gridai, e iniziai a farmi largo tra la fiumana di gente.
Venni spinta di lato dalla folla, non avevo mai avuto una voce molto poderosa, e non mi udì.
Non ho saputo mai cosa avrebbe potuto rispondermi. A volte medito ancora su cosa sarebbe successo se mi avesse sentita chiamare il suo nome.
Ma inaspettatamente una mano sbucata dal nulla afferrò la mia.
«Wendy! Ecco dov’eri finita! La tua amica lì fuori sta impazzendo» disse Seth in tono quasi di rimprovero.
Il suo sguardo seguì il percorso del mio, che ancora scandagliava la folla alla ricerca della chioma corvina di Shinichi.
«Che c’è, hai visto qualcuno che conosci?» mi chiese.
«Mh… pensavo di sì, ma mi sono sbagliata» mentii velocemente.
Seth sorrise. «Andiamo a cena? Senti qui!» portò la mia mano, che ancora stringeva, a contatto con il suo stomaco, al di sotto della giacca di pelle con la chiusura lampo aperta. Arrossii, ma quando lo sentii brontolare per la fame mi scappò da ridere.
«Fammi sentire il tuo»
«No!» mi schermii, diventando ancora più rossa in viso.
«Dai…» si lamentò Seth, e tentò ugualmente di infilarmi una mano sotto la felpa.
«Fermo! Hai le mani fredde!» protestai, senza però riuscire a contenere le risate.

Cenammo con un panino a testa all’Olivin Bar, dalle cui ampie vetrate godevamo di una splendida vista sul mare. Prima di recarci al Centro Pokémon per trascorrere lì la notte, Marigold volle fare un salto alla Palestra. La mattina successiva avremmo avuto tempo fino a mezzogiorno prima della partenza del nostro traghetto e lei aveva già deciso che avrebbe sfidato Jasmine, esperta in Pokémon acciaio.  
La Palestra era una grande costruzione metallica che aveva la forma di un tronco di piramide a gradoni. Anche se l’edificio più alto della città era senza dubbio il faro, anche la Palestra risultava molto imponente, forse per la durezza dell’acciaio o per la quasi totale assenza di finestre, che davano all’immobile un aspetto pesante e massiccio. Le luci erano spente e la porta – come scoprì Marigold dopo avervi rifilato una spallata – chiusa a chiave.
«Non è possibile» si lagnò la mia amica. «Stasera capitano tutte a me» continuò, scrollando il capo con rassegnazione.
«Ehi! Ti ho vista, sai, che prendevi a spallate la porta della Palestra!»
Una voce dietro di noi ci fece sobbalzare.
Mi voltai, temendo di trovarmi faccia a faccia con un poliziotto.
Per fortuna era solo uno scaricatore del porto, che stava trasportando in spalla una pesante cassa di legno. Nonostante la temperatura bassa, indossava una maglietta a maniche corte che lasciava scoperti gli avambracci tatuati.
«Siete Allenatori di Pokémon?» domandò l’uomo con fare scettico.
«Sì. Vorrei sfidare la Palestra.» dichiarò fieramente Marigold, alzando il mento.
Il marinaio proruppe in una risata sguaiata. «Ma tu senti ‘sta qui! Non lo sapevi? La Palestra rimarrà chiusa per un bel po’. Puoi anche piantare la tenda qui davanti se ti pare, ma è inutile che aspetti.»
«Ma io pretendo un incontro!» si impuntò Marigold.
«Vai a calmarti i bollori al Parco Lotta allora, ragazzina!» sbraitò l’altro innervosito.
Vidi un’espressione confusa sul volto di Marigold, che probabilmente non sapeva cosa fosse il Parco Lotta ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a un estraneo.
«È proprio quello che avevo intenzione di fare!»
Marigold pestò un piede a terra e si allontanò in direzione del Centro Pokémon, facendoci cenno di seguirla. Dopo appena un paio di metri, Marigold si girò a controllare che l’uomo si fosse incamminato nella direzione opposta e poi chiese sottovoce, come se questo le costasse un grande sforzo: «Cos’è il Parco Lotta, comunque?».
Seth rispose: «Oh, un posto interessante! L’ingresso è sul Percorso 40, appena fuori da Olivinopoli a ovest. È un luogo sempre pieno di Allenatori molto esperti e abili, ci si può sfidare in diverse Arene di Lotta Pokémon, ognuna con il proprio regolamento; per esempio c’è -»
«Tu ci sei mai stato?» lo interruppe Marigold, a cui già brillavano gli occhi per l’eccitazione.
«Purtroppo no, ma penso di sapermi orientare» rispose Seth affabile.
«È deciso. Domattina andremo a dare un’occhiata a questo Parco Lotta!» batté le mani per la contentezza. Io ero un po’ preoccupata. Allenatori esperti e abili? E se una volta entrata mi avessero costretto a misurami in una lotta con qualcuno? Avrei fatto la peggiore figuraccia della mia vita!
Avevo già cominciato a elaborare una scusa credibile per la mattina successiva – forse la solita bugia del mal di pancia avrebbe funzionato – quando Seth mi affiancò.
«Ovviamente se tu non vuoi combattere non devi. Anzi, credo che nessuno di noi avrà il tempo, comunque. Non possiamo rischiare di perdere il traghetto» mi bisbigliò all’orecchio, poi allontanò il viso dal mio e mi fece l’occhiolino.
Una volta arrivati al Centro Pokémon, augurai frettolosamente la buonanotte a Marigold e a Seth e mi rifugiai nella stanza singola che avevo prenotato. Avevo avuto più emozioni negli ultimi due giorni che in tutto il mese.
Senza nemmeno accendere la luce, mi infilai il pigiama che avevo pescato alla cieca nello zaino.
C’era una piccola finestra appena sopra la testata del letto. Mi sollevai in piedi sul materasso per chiudere le tende e mi fermai un attimo a guardare fuori.
Alla luce chiara del Faro, il mare scintillava come se sull’acqua stessero galleggiando tanti piccoli diamanti.
Era bella, Olivinopoli.
A differenza di Fiordoropoli e anche di Zafferanopoli, che erano in un certo senso ordinate nel loro caos, Olivinopoli mi era sembrata esattamente come mi immaginavo potesse essere una città portuale: incasinata, movimentata, frenetica, piena della gente più strana, di bizzarri passanti, marinai sboccati, pescatori indaffarati.
Anche di notte potevo vedere dondolare con la brezza le trecce di bandierine colorate tirate da una casa all’altra. Guardai ancora più lontano, verso la baia. Il porto di Olivinopoli era grande e trafficato, forse il più importante di Johto, ma non perdeva la sua aria caratteristica e un po’ folcloristica, con i barili di Magikarp appena pescati allineati sulla banchina e le lunghe panchine di legno bianco ognuna con il suo ombrellone azzurro.  
Le onde facevano traballare le barchette a vela attraccate al molo e le spingevano verso il largo. Viste da lontano, facevano un effetto misterioso; era come se le barche, dotate di volontà propria, volessero mollare gli ormeggi e prendere il mare, facendo vela verso mete sconosciute.

 


 
Avevo progettato di inserire più cose e più scene in questo capitolo, ma il risultato è stato questa roba qua  D: La verità è che volevo assolutamente pubblicare qualcosa prima di partire per le vacanze, tanto per informare che non sono morta :3
Seth si è aggiunto al gruppo (prevedibile? Spero di non esserlo stata T_T), abbiamo visto un po’ di più del carattere di Marigold, e c'è stata, purtroppo, l'ultima comparsa che farà Shinichi in questa storia :(
Stavolta non ho note particolari, se non che la voce del Pokédex di Miltank che ho iniziato a inserire è quella di Pokémon Heart Gold.
Ho un po’ romanzato il discorso del Settipelago, dipingendolo come meta prettamente turistica e vacanziera, così come ho inventato un po’ nella descrizione del Percorso 39 e della Palestra di Olivinopoli.
Scusate per la lentezza nell’aggiornamento, sono stata piena di esami in questo periodo :/
Avvertimento: l’ho riletto poco XD Se ci sono errori di qualunque tipo non abbiate paura di segnalarmeli!
Un abbraccio a tutti quelli che leggono, alla prossima!


Len.

 
  
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