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Autore: Amy Tennant    11/01/2013    8 recensioni
Il Dottore Umano è in ospedale in seguito ad un gravissimo incidente.
Ogni giorno Rose va da lui con un cestino di pere e resta nella sua stanza fin quando non l'ha finito. Spera che l'odore dell'odiato frutto lo svegli ma il Dottore continua a dormire un sonno che non è tale.
Un cestino di pere, un anno di attesa. Una lunga strada su una spiaggia immaginaria e lontanissima.
Ma lui corre. Sempre...
corre.
Dal bellissimo "Pere" di SteviaCookies.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10 (human), Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ogni giorno Rose Tyler prende il dirigibile di linea a va da lui, in quella stanza.
Tutto tace. Solo il rumore di quella macchina sul fondo, un singhiozzo freddo e ritmico. Lei però non piange, sorride. Ogni giorno torna, ogni giorno sa che è quello giusto; perché sono tutti giusti i giorni, quelli per i miracoli.

Lui non crede ai miracoli.
Non ci credeva.
In più di novecento anni non ne aveva mai visto uno ma forse è stato stupido a pensare fossero qualcosa di diverso dall’innamorarsi tanto di qualcuno da voler resistere alla morte. Perché fa quello e in modo diverso da come abbia fatto per tutta la sua lunghissima vita. 
Non può più fregarla. Non può ingannarla facendola passare altrove. Stavolta l'ha trovato e deve guardarla dritta negli occhi che non ha e passare attraverso di lei; oppure soccombere, come prima o poi dovrà fare.

Ha viaggiato per tutta la sua vita ed ora, sulla soglia di quella che alcuni credono sia la fine, lui resta. Per Rose.
Solo che Lui non è chiuso in quella stanza e la guarda da altrove, da un mondo lontano.
Nello sterile sogno c’è un mare d’argento e una riva lunghissima. Il mare è freddo e lo è tutto, quasi come quando le dovette dire “addio”.
Accanto a Lui c’è il fantasma di lei ma non è Rose e Lui lo sa.
Come lei è bella e tanto dolce. Cerca di convincerlo a fermarsi perché lo vede stanco.
Lo prende per mano e fa la strada con Lui, a tratti come lo guidasse, ma Lui sa che lei vorrebbe solo che smettesse di camminare. Lo vorrebbe per sé, lì, dice. 
Non le crede. Sa che non lo vuole davvero perché lei non c’è.
-          Resta qui con me – gli sussurra sempre e a volte piange. Lui scuote il capo senza guardarla ma tentato.
E spesso gli parla dei tramonti su Gallifrey, di chi ha perduto, di chi lo ha lasciato. Quando lo sente più debole e lo vede cadere sulla riva, gli sussurra parole d’amore; ma parole passate.
Lui allora si alza in piedi e la riprende per mano perché la vuole vicino lo stesso; la stringe piano, come una bambina da ascoltare in paziente silenzio, e continua a camminare verso altrove.

Il cielo è bianco, color miele a volte; e a volte Lui vede tra le nuvole che vegliano i suoi passi i riflessi di lei. Quando accade sa che sta per arrivare. Sente quell’odore, sente la distanza. La percepisce lontanissima e vicina insieme. Quando Lui la sente, lascia la mano del suo fantasma e inizia a correre per raggiungerla ed è una corsa che gli fa male, una corsa feroce, ma è la più importante.

Ha sempre corso, corso molto. Fosse andato più lento forse non sarebbe successo.
Uno Stop su una semplice strada, quella sotto casa.
Aveva un nuovo libro in mano e una canzone allegra in testa, di cui canticchiava appena le parole.
Glielo avrebbe chiesto.
Era il momento giusto, finalmente. Era il momento.
Nella tasca del suo cappotto qualcosa per lei, che brillava ma non come i suoi occhi.
-          Mi vuoi per sempre? – una domanda semplice e terribile insieme. Lei aveva risposto “da sempre” e aggiunto un sorriso. Era stato così anche per Lui.
Sorrideva felice, era una bella giornata invernale. Non si era accorto di quell’auto troppo veloce.

Non ricordava il colpo, il dolore che lo aveva spezzato, la luce del giorno sparire lentamente come il suo desiderio di respirare. Attorno la gente, tanta gente. Pensava di essere forte, lo era; ma il suo corpo, in parte, umano. Il suo cuore si era fermato ed era morto. Dicevano per troppo tempo.
Avrebbe voluto dire che non era vero ma Rose lo sapeva e non vi aveva creduto.
Non aveva abbandonato la speranza di ritrovarlo, ancora una volta.
Ora doveva essere lui a tornare e ci provava ogni volta.

Ogni giorno da un anno, ogni giorno per tutto il tempo che poteva restare, lei gli stava accanto. Alla fine di ogni corsa Lui la trovava e le sorrideva, sorrideva come quando l’aveva vista tornare da un altro universo chiuso, forse come lo erano i suoi occhi in quella stanza d'ospedale.
Ovunque lei fosse davvero, Lui la vedeva seduta su un prato di erba rossa di un luogo lontanissimo che lei non conosceva ma era nella memoria di colui che amava e che la trovava sempre, con quel cestino di pere.
Orrende pere.
Pere che continuava a mangiare davanti a lui che piano, si inginocchiava accanto a lei.
Le sussurrava teneramente di smetterla di mangiarne tante, o sarebbe stata male. Le diceva spesso di smettere di portarle perché non le sopportava. Le raccomandava sempre di tornare, di non disperare.
La guardava incantato e insieme piangendo amaramente per il suo silenzio e perché Rose non lo guardava mai. Sentiva il suo sbucciarle, vedeva gli origami di bucce tra le sue dita. Percepiva l’odore dolciastro e umido, pensava al sapore che avrebbero avuto dalla sua bocca, avesse potuto sfiorare le sue labbra con le proprie e farle comprendere che era lì, e lì restava. Avrebbe voluto.
Anche stringere la mano che lei sentiva prendergli.  
Gli mancava che lo tenesse stretto come per non perdersi nell’universo esterno, anche se ormai spesso percorrevano semplici strade di ritorno dalla spesa insieme. Nessun rimpianto, non avrebbe voluto altro.
Perché aveva Rose.

Tutti i mondi possibili si confondevano in quello stato di incoscienza ma Lui resisteva e impediva che il sole freddo tramontasse, impediva alla luce di spegnersi e così albeggiava eternamente e la luce aveva il colore di Rose, sempre. Sul quel prato invisibile agli altri, Lui restava con lei ascoltando le sue dita appiccicaticce sulla mano, le sue dita aprirla dolcemente come per leggere sul suo palmo i segni di un futuro insieme che Rose era certa avrebbero avuto. Non poteva deluderla, non voleva.

Su quella soglia, per l’ennesima volta, la vide finire il cesto di pere, sentì l’odore più vicino, misto a quello di lei.

Essere umano non significava essere debole.
Essere umano non significava perdere qualcosa se non l’inutile eternità solitaria.
Essere umano era esistere come lei, con lei.

Aveva sconfitto mondi interi, dato alle fiamme stelle, lo avevano chiamato "la tempesta imminente" ed era prigioniero della gabbia della paura del dolore. Perché ogni volta che si avvicinava ad un certo punto, tornava la sofferenza ed era orribile. Ed allora il fantasma lo tentava e gli diceva di smettere e di riposare, di addormentarsi.
Quel sospiro un giorno lo svegliò.
Un sospiro un po’ più triste, l’ombra del dubbio e del pianto insieme.
Non poteva sopportarlo, non quello, non in Rose. Era peggiore di qualunque altra sofferenza.

Allora il signore del Tempo scosse il cielo fatuo di quel mondo lontano, lo fece per lei con tutta la forza che gli rimaneva e finalmente, con l’ombra del dolore umano addosso, da dov’era, riuscì a stringerla con gli occhi pieni di luce e di speranza. La strinse dolcemente perché aveva bisogno del suo sostegno e Rose, solo lei, avrebbe potuto farlo alzare nuovamente in piedi. La strinse temendo fosse troppo forte ma doveva sentirlo, doveva!
E lei, per la prima volta, sollevò gli occhi e lo guardò.

Quando lo vide tutto il mondo in cui Lui era prigioniero scomparve, precipitando in un confortante buio.

Il cesto era caduto a terra, vuoto. La sedia di plastica bianca era stata spinta via.
Nella stanza dell’ospedale Rose Tyler, china su di lui, sorrideva tra le lacrime.
I medici increduli, gli infermieri sconvolti. Non poteva essere ma lo era.
Rose non aveva dubitato mai se non per un breve momento.
Lui l’aveva sentita, l’aveva stretta. Era un miracolo.
Il suo Dottore era tornato da lei.
  
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