Correva e correva, ma quell’ombra nera non riusciva a seminarla. Cercava in tutti i modi di non voltarsi, aveva paura di ciò che avrebbe visto. Per sua sfortuna cadde con la faccia a terra…subito si voltò e qualcosa di indefinito e nero volava a due passi da lui…e poi cominciò a parlare…
<< Mashar! Mashar! Non resistermi! >>.
Aprii gli occhi, sudava freddo. La luna era alta nel cielo e le miriadi di stelle illuminavano il suo letto…cercò di riprendersi, ormai era da cinque notti che faceva quell’incubo, era inspiegabile, era la solita storia: un’ombra nera che lo insegue e poi scappa fin quando non cade a terra. Cosa poteva significare? Insomma…eppure quella “cosa” lo chiamava addirittura per nome. Mashar si alzò dal letto e scese giù, attraversò la piccola cucina e usci fuori, il vento freddo dell’inverno lo colpi ma sembrò non pensarci e con passi spediti andò verso il piccolo bosco. Da piccolo ci si recava sempre, quando era triste, arrabbiato oppure semplicemente per passare un po’ di tempo in solitudine, visto che in casa erano in otto persone ed il suo lavoro con il padre, di certo, gli impediva di allontanarsi dalla folla. Camminò con decisione, ormai conosceva tutti i sentieri a memoria, imboccò una via nascosta da cespugli e subito si ritrovò davanti ad un laghetto con una piccola cascata che scendeva da a picco da un buco nella roccia. Si avvicinò all’acqua e si specchiò…i suoi occhi grigi alla luce della luna sembravano diventare celesti come il cielo, i capelli rossicci avevano sfumature marroni di notte, mentre di giorno erano solo rossi e non erano una novità nella sua valle visto che la maggior parte delle persone li avevano di quel colore. Ma quello che più lo rendeva speciale era l’altezza. Un Hobbit normalmente dovrebbe essere alto solo 1,55-60 m, lui invece era il più alto tra la sua gente …misurava 1,85 m. Il ragazzo si guardava annoiato, pensava già a quello che lo attendeva tra qualche ora cioè una “vita barbosa” con poche cose interessanti. Si lamentava per tutte quelle occasioni perse per andare via dal suo villaggio, e vivere da avventuriero senza casa e senza patria, ma i pianti di sua madre e le frasi tutt’altro che piacevoli di suo padre lo facevano tirare indietro. A questo pensiero prese un sassolino e lo lanciò al centro dell’acqua.
<< Ma quando me ne andrò via? Morirò di noia straziante… >>
Mentre si sfogava contro un rospo altrettanto annoiato, senti un rumore. Erano passi, e Mashar si zitti all’istante, guardò davanti a lui e si accorse di qualcosa o qualcuno che lo stava fissando. Scappò, forse preso dalla paura, verso l’uscita del bosco.
Intanto, come un felino, quell’ombra saltò sull’albero e cominciò a saltare da un ramo a un altro infischiandosene delle foglie che gli ferivano le gambe. Si fermò verso il centro del bosco e scese giù. A quel punto, una voce dal tono arrabbiato sembrava uscire da uno dei cespugli di mirtilli.
<< Allora? >>
<< E’ lui senz’alcun dubbio! >>
<< Bene, ottimo lavoro. >>
<< Ho fatto quello che volevate, ora voglio il mio oro.>>
<< Mi dispiace, ti ho promesso che avrei pagato alla fine della missione, e tu sei ancora all’inizio. >>
<< Ma come? Mi avevate… >>
Un grido si levò nel cielo oscuro, l’ombra nera era a terra e si teneva stretto il ventre.
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<< Come volete, mio signore… >>