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Autore: Miss H_    12/01/2013    12 recensioni
Spoiler Mockingjay!!!!
Ho deciso di raccontare ciò che secondo me avviene tra l'ultimo capitolo capitolo di Mockingjay e l'epilogo. Spero vi piaccia, anche se sono sicura che è un obrobrio con la O maiuscola, visto che è solo la mia seconda FF.
Vi prego recensite in ogni caso, sia che vi sia piaciuta che in caso contrario. Accetto qualsiasi critica costruttiva perché nella vita si può sempre migliorare e questo vale anche per la scrittura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dirò solamente tre cose prima di iniziare:
~ anche stavolta ho scritto tanto,troppo, chiedo venia. >.<”
~ Questo capitolo è dedicato a due persone fondamentali nella mia vita:
il mio angelo custode (la mia Jude) e il mio fiorellino sclerotico che tanto amo.
Grazie ragazze, perché senza di voi non sarei mai diventata quello che sono.
~ sappiate che ho cercato di rimandare questo momento il più possibile
perché non mi sento all’altezza, però ormai il dado è tratto
e a me non resta altro che giocare.

 

Capitolo XV ~ L'ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore. 

Cerco di fare qualche passo in avanti e penso che tutto stia andando bene, e invece appena oltrepasso il cancellino della stazione sento una fitta colpirmi al basso ventre.

Istintivamente poggio una mano sul pancione e con l’altra mi tocco la schiena, mi sento mancare il fiato, cerco di non urlare ma il dolore è troppo forte e alla fine un gemito mi scappa dalle labbra.

Peeta si ferma e viene subito in mio aiuto, mi tiene la pancia mentre con l’altra mi accarezza la schiena. – Kat, Kat va tutto bene, è la bimba che vuole uscire, non ti preoccupare. – mi dice con tranquillità, ma dalla sua voce si capisce benissimo che è più agitato di me.

Conto fino a sessanta ma il dolore non passa.
Stringo i denti cercando di essere forte, sia per Peeta, che sembra stia per andare nel panico più totale, sia per lei, per la mia piccola Dandelion.
Effie si avvicina a me e sussurra con il suo solito trillo nella voce – Tranquilla cara, sono le contrazioni. Conta fino a sessanta ogni volta che senti una fitta e cerca di fare dei respiri molto profondi. –
Mi volto verso di lei con gli occhi spalancati. Da quando Effie Trinket, una semplice accompagnatrice che non ha mai fatto altro nella vita se non pescare qualche bigliettino in un’ampolla, sa come gestire un imminente parto?
Ancora sconvolta mormoro – Le contra- che? – lei mi sorride leggermente e poi la sua solita e inossidabile compostezza risponde – Le contrazioni, sono le fitte di preparazione al parto, sono quelle che servono a far uscire il bimbo dal grembo materno. –
Sembra un enciclopedia aperta su questa materia e più mi risponde più mi lascia a bocca aperta.
Con un tremito nella voce mormoro – Peeta…dobbiamo andare all’ospedale, subito. – lui pallido in volto risponde – Sì, certo. – Un’altra fitta mi colpisce e io mi accascio a terra, non credevo di poter provare così tanto dolore e pensare che il parto sarà ancora peggio mi mette i brividi. Peeta che non mi ha lasciato per un momento mi mormora – Avanti Kat, ce la puoi fare, su. Adesso di prendo in collo, cerchiamo una panchina dove farti stendere e tu ed Effie mi aspettate lì mentre vado a vedere l’orario del prossimo treno per il Distretto 4. – Detto ciò mi aiuta per alzarmi da terra e poi mi prende delicatamente tra le sue braccia.
Sono veramente stupita dalla sua forza, non credevo che fosse in grado di tenermi in collo seriamente. Peeta vaga per la stazione con me in collo ed Effie al suo fianco, mentre cerca una panchina. Appena la trova mi appoggia lì con la sua solita delicatezza e poi si allontana da noi.
Mentre aspetto una nuova fitta mi costringe a piegarmi sul ventre e con il fiato mozzato riesco solo a dire – Ti prego Dandelion, non mi fare questo, se mi vuoi bene, non fare male alla tua mamma. Ti prego. –
Sento gli occhi che iniziano a pungermi, credo che scoppierò in lacrime dal dolore e questo mi fa sdegnare. Credevo di essere più forte, di non essere così fragile, di saper controllare le mie emozioni e di essere in grado di sopportare il dolore fisico e invece mi trovo a scoprire che non è così, che la guerra ti cambia, ti cambia nel profondo e ti lascia delle ferite che non sempre possono essere guarite.
Quando ho un momento di pace, alzo la testa e vedo Peeta di ritorno. E’ agitatissimo, chiunque anche un estraneo potrebbe capirlo. Si torce le mani più di una volta, mentre mormora  – No, non è possibile. Non può essere vero. E’ inaccettabile. –
- Peeta… - lo chiamo con voce tremula, lui si gira subito – Dimmi Kat. – Nel suo tono di voce, c’è paura, rabbia e nervosismo. –Cos’è inaccettabile e perché ti stai torturando le mani? – chiedo. – Kat, ecco…. – cerca di perdere un po’ di tempo passandosi una mano tra i capelli. – Cosa c’è che non va? – domando ancora insistente. – Non ci sono treni. Il treno che ha preso Gale era l’ultimo. Non ci sono treni fino a domani mattina. –
 
Non ci sono treni fino a domani mattina.
Questa frase mi colpisce in pieno, per un momento mi sento mancare l’aria.
Non ci sono treni e questo vuol dire che non posso andare all’ospedale, la bimba deve nascere qui, in questo posto freddo e triste e soprattutto, io dovrò fare tutto da sola, senza l’aiuto di mia madre.
Non posso crederci, non posso permettermi di pensare a ciò. No, lei non nascerà qui, non posso partorire qui, non senza mia madre, non senza l’aiuto di nessuno.
Rimango in silenzio, chiusa nei miei pensieri, e vengo risvegliata dalla voce di Effie che dice con voce seria e per una volta non civettuola – Tesoro, sai c’è un’infermiera brava qui nel Distretto 12, e poi ora che c’è la farmacia ci sarà sicuramente qualcuno in grado di aiutarti. – Mi accarezza i capelli con fare materno.
No, non l’accetto, io devo andare all’ospedale, non ho scelta, qui rischieremmo solo di morire entrambe. – No, non voglio partorire qui. – Peeta si siede accanto a me e mentre mi massaggia la pancia dice con voce vellutata, la stessa che usa quando vuole convincermi. – Kat, Effie ha ragione, ora che c’è la farmacia ci sarà sicuramente qualche infermiera disposta ad aiutarci. Insomma, chi non vorrebbe dire: ho fatto partorire la Ghiandaia Imitatrice! – cerca di sdrammatizzare, è ovvio ma io non ci casco.  
Ora inizio veramente ad infastidirmi, ho dei dolori atroci e voglio solamente poter partorire in santa pace in una stramaledetta clinica nel Distretto 4, cosa c’è di difficile da capire?
– Peeta, per quanto bello potrebbe essere per questa fortunatissima infermiera, io non ho la minima intenzione di rimanere un minuto di più qui! Trova una soluzione! – Sto urlando dal dolore, ma non mi interessa. Voglio andare all’ospedale.
- Ma Kat, cosa posso fare, siamo bloccati qui, non ci sono treni, non possiamo arrivare all’ospedale volando, lo sai vero? – dice preso dal panico. Sto per ribattere qualcosa quando vedo i suoi occhi illuminarsi. – Volando. Ma certo! – mormora sottovoce. Io ed Effie lo guardiamo interrogative e così lui ci spiega. – Effie, vai a casa di Haymitch, cerca nel secondo cassetto a sinistra la rubrica, trova il numero di Annie, chiamala e dille di chiedere a Plutarch un hovercraft. –
– Certo, vado subito. – Effie si alza in piedi in un attimo, si dà una sistemata alla gonna che ha subito delle pieghe, e poi si incammina per andare da Haymitch.
Peeta però la richiama un’altra volta – Effie, mi raccomando dille che è urgente e che devono fare in fretta. – Lei fa un cenno di assenso con la testa e poi si allontana rapida.
Mi sorprendo della velocità con cui cammina, io non riuscirei mai ad essere così veloce camminando su dei tacchi così alti.
Aspettiamo che Effie faccia il suo dovere standocene accoccolati sulla panchina.
Peeta che mi massaggia la pancia e mi mormora parole dolci all’orecchio, ogni tanto mi dà anche qualche bacio d’incoraggiamento ma sono troppo presa dal dolore per essere partecipe dei suoi baci.
 
Il tempo passa, saranno circa quaranta minuti che aspettiamo e ancora non è arrivato nessuno.
Non c’è traccia né di Effie né di qualche hovercraft.
I dolori sono sempre presenti, impedendomi di avere il tempo per respirare, è come se avessi mille coltelli lanciati da Clove, conficcati nel basso ventre.
Come se mille ibridi mi stessero lacerando dall’interno e io stringo i denti per non urlare, fino a sentire la mascella e la mandibola talmente contratte da farmi male.
Sono le otto di sera circa quando scorgo la figura di Effie e in contemporanea sento un ronzio sopra la testa. Lei si avvicina a noi – Scusate, ho fatto il prima che ho potuto, stanno arrivando. –
Il ronzio si fa sempre più rumoroso ed insistente, spero sia un hovercraft ma non ho il coraggio di alzare la testa per non essere delusa.
Ringrazio Effie con un mezzo sorriso mentre continuo a massaggiarmi la pancia.
Anche Peeta si accorge del ronzio e alzando lo sguardo al cielo vede la navicella che è venuta a prenderci. – Kat, ce l’abbiamo fatta! Eccoli finalmente! – rincuorata alzo la testa anche io e vedo l’hovercraft che sta cercando di abbassarsi il più possibile di quota per permetterci di salire.
Ad un tratto si immobilizza e da una fessura vediamo scendere una scaletta, quando questa si ferma vediamo scendere i gradini una figura a noi molto familiare.
Plutarch.
E’ ingrassato un po’ dall’ultima volta che l’ho visto, le sue guance sono piene e coperte da un leggero rossore mentre il corpo è molto rotondeggiante.
Sorridendoci e tendendoci una mano dice – Abbiamo cercato di sbrigarci ma non è stato facile, forza salite su che vi portiamo velocemente all’ospedale, a quanto pare qui abbiamo le ore contate, eh Katniss? – Io annuisco lievemente e con l’aiuto di Peeta inizio a salire la scalettino. Lui mi tiene la mano e mi regge da dietro mentre con l’altra mi sostiene Plutarch.
Mi volto per vedere se Effie sta salendo e invece scorgo con mia sorpresa che è rimasta giù a terra. Quando si accorge del mio sguardo dice – Katniss non ti preoccupare sei in buone mani, fidati. Io ed Haymitch vi raggiungeremo tra poco, ma ora pensa alla bimba. –
Le mimo un grazie con le labbra e poi non vedo più i suoi vestiti rosa perché vengo spinta dentro l’hovercraft.
Quando entro dentro, tutto diventa molto caotico sento la stretta di Peeta che non mi ha ancora lasciato la mano, vengo distesa su una specie di lettino e trasportata in una stanza asettica, bianca, che assomiglia molto a quella di un ospedale. Mi volto e vedo mio marito sorridermi e sussurrare
- Tranquilla, Kat ce la farai. – Sto per ribattere qualcosa ma sento un tocco freddo alla gamba e così mi volto impaurita. Quello che vedo sono dei capelli biondi misti a molti altri bianchi, delle mani esili mi stanno levando i pantaloni e quando questa persona alza lo sguardo capisco che è mia madre. In questo momento tutto l’odio che provavo per lei, svanisce, non c’è più un minimo di rancore, lei mi sta salvando la vita e mi sta aiutando, cosa che in tutti questi anni non aveva mai fatto. Mi sorride per poco tempo, giusto un secondo, poi assume nuovamente la sua espressione seria.
– Allora Katniss, dobbiamo vedere a che punto sei, Annie mi ha detto che ti si sono appena rotte le acque il che vuol dire che non abbiamo molto tempo, quindi devo farti un controllo veloce. – dice con fare esperto.
 – Annie è qui? – domando io.  – Sì, è qui ma ora la cosa di cui ti devi preoccupare non è chi c’è in questo maledetto aggeggio ma come sta la bimba. Quindi ora rilassati e finisci di levarti i pantaloni. – Faccio come ha detto mia madre e aspetto che faccia qualcosa. Mi fa piegare le gambe, cerca di avvicinare la testa alle mie cosce per vedere come sta la bimba e se sta già cercando di uscire, quando un’altra contrazione mi colpisce violentemente e io, del tutto impreparata, non riesco a trattenere un piccolo urlo. Stringo i denti e chiudo gli occhi sperando che passi il prima possibile, inizio a contare ma non passa. Faccio dei respiri profondi per vedere se questo fuoco che mi sta divorando al basso ventre riesce ad attenuarsi.
Ad un tratto, senza alcun preavviso tutto finisce e il dolore si placa, apro gli occhi e vedo mia madre che mi osserva con uno sguardo crucciato. – A quanto pare Kat le acque non ti si sono ancora rotte, hai solamente delle piccole perdite perché la placenta si è staccata. – dice con tono neutro.
Le acque non ti si sono ancora rotte.
Come può essere vero? Io sto sentendo male, non è possibile, non può essere così altrimenti non sentirei così male.
Guardo sconcertata mia madre, mentre mi si forma un groppo alla gola di delusione e di senso di colpa. A quanto pare allora è un falso allarme, devo ancora patire un altro po’ prima di riuscire a vedere il volto della mia bambina.
Abbasso lo sguardo sperando di esser lasciata sola e invece sento la voce di mia madre che continua dicendo – Tuttavia, sei già dilata di tre centimetri e questo vuol dire che sei appena entrata in travaglio. – Alzo la testa e la osservo allibita. – In travaglio? Quindi ora cosa succederà? – domando. – Tranquilla, non devi allarmarti, in travaglio vuol dire che hai ha cominciato ora la fase iniziale del parto, entro stanotte potrai tenere in mano la piccola Dandelion. –
Un sorriso si forma sulle mie labbra, ma ciò dura solo un momento perché poi realizzo che quindi stasera e stanotte soffrirò molto e un senso di paura mi invade.
Impallidisco al solo pensiero, io non ho mai voluto figli perché non ci ho pensato un po’ di più? Perché mi sono lasciata trasportare dal desiderio e dalla debolezza?
Mentre rifletto entra nel mio campo visivo il volto di Peeta e capisco la risposta a tutte le domande: l’ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore, perché lui merita di diventare padre, perché lui ha perso la sua famiglia, ha perso i suoi ricordi solo per amore, per l’amore che prova nei miei confronti.
Quando sento la sua voce che mi rassicura e il suo caldo abbraccio comprendo a pieno che per quanto pauroso e doloroso possa essere il parto, io non posso che aspettarlo con ansia perché finalmente riuscirò a coronare il suo sogno, anzi mi correggo, il nostro sogno.
Sposto la testa e cerco le sue labbra, quando le trovo non posso resistere e d’impulso le sfioro con le mie. Quando ci baciamo sento tutta la dolcezza che Peeta mi dimostra con i suoi baci e la fame aumenta come sempre. Un sorriso si forma sulle mie labbra quando sento la sua mano che mi fa il solletico sulla pancia gonfia, con la mano cerco il suo polso e quando lo trovo stringo leggermente la presa per fermarlo.
Ci stacchiamo di mala voglia nel momento in cui sentiamo la voce di Annie. – Katniss, Peeta… - lei ci vede ancora vicini e si immobilizza sulla porta. – Oh…scusate, scusatemi tanto… io… sì io ora vado. – E si volta per andare via, ma la blocco dicendo – No, Annie scusaci tu, dicci pure. –
Si gira nuovamente e con un filo di rossore sulle guance mormora – Ecco, volevo avvisarvi che manca poco all’arrivo perciò preparatevi perché tra poco saremo in ospedale. –
La ringrazio e mi sistemo, poi con l’aiuto di Peeta mi alzo, cerco di staccarmi da lui, ma una nuova fitta, più dolorosa di prima mi fa piegare le gambe e io mi devo aggrappare nuovamente a lui.
 
Siamo appena atterrati, sto cercando di camminare ma non riesco a reggermi in piedi da sola per il dolore e così dopo quattro soste davanti alla porta, mia madre ed Annie sono costrette ad entrare in ospedale per farmi portare in sala parto d’urgenza con una barella.
Mi caricano su questo lettino che viene spinto da due infermieri, probabilmente dei colleghi di mai mamma visto che parlano con lei in maniera cordiale e amichevole. Peeta continua a tenermi la mano nonostante io sia sdraiata e più volte mi ripete che andrà tutto bene e che non mi succederà niente di male.
Arrivati alla porta della sala parto i dolori mi lasciano qualche minuto per respirare così chiedo di parlare da sola con Peeta. Tutti mi guardano stralunati ma quando io mi abbraccio stretta al mio uomo del pane si lasciano convincere anche se prima di lasciarci soli mi fanno promettere di fare veloce.
Ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi, è lui ad attaccare discorso. – Kat, ci siamo, il momento è arrivato. – mi sposta una ciocca dietro l’orecchio – Adesso viene la parte più difficile ma sta’ tranquilla perché io sarò con te e non ti abbandonerò. – continua.
Eccoci male, proprio di questo volevo parlare, beh…sembra proprio che il mio momento sia arrivato, così mi faccio coraggio e rispondo. – Ecco…Peeta, io… non voglio che tu venga dentro. –
Per un momento credo stia per crollarmi davanti ma poi fa un respiro profondo e con tono agitato dice – Co…come? Stai scherzando vero? No, Kat io non ti lascio da sola ad affrontare tutto questo. – Inizia ad agitarsi, perfetto era proprio quello che volevo evitare.
– No, credimi lo faccio per te, se…se vedendomi in questo stato ti dovesse venire un flashback io non potrei aiutarti e rischieresti solo di farti del male. E non voglio. – 
Peeta è sempre più allibito, o forse sarebbe più opportuno dire deluso ma nonostante la sua faccia continua imperterrito deciso a non darmi vinta questa battaglia. – Kat, mi stai prendendo in giro? Io…io non lo permetterei mai, non il giorno in cui deve nascere mia figlia! – E’ sempre più agitato, la sua faccia assume un colorito rosato, cerco di convincerlo – Ma lo sappiamo tutti e due che non sei tu a decidere perciò per favore, aspetta fuori. – Lui è ancora più allibito e deluso, ha giocato tutte le sue carte e sembra che si stia per arrendere così continuo convinta di avere la vittoria in pugno. – E poi, non voglio che tu mi veda…. Insomma in questa situazione. – ammetto. Peeta mi guarda stralunato come se avessi appena detto che il pane è fatto di diamanti.
– Katniss sai che io non mi scandalizzo, insomma sono quindici anni che stiamo insieme non credi che ti abbia visto già altre volte nuda? – Arrossisco violentemente. Come fa a dire certe cose con così tanta naturalezza, e in pubblico per giunta!
– Sì, sì però…. Per favore. Non voglio, fallo per me, rimani qui. – lo dico facendo gli occhi dolci e usando la voce più persuasiva che ho e finalmente lui si arrende.
Mi dà un bacio sulla guancia per incoraggiarmi e poi si siede su una delle sedie di fronte alla sala.
Lo guardo per un’ultima volta abbozzando un sorriso e abbasso la maniglia.
Due infermiere molto carine mi sorridono e mi fanno accomodare su un lettino, mi guardo intorno, la stanza è tutta bianca, asettica e per un attimo ho paura, non voglio partorire in questo posto così poco familiare.
Mi siedo e mi comprare mia mamma davanti, mi fa spogliare e mi dà un camice azzurrino da indossare.
Mi sdraio, mi dicono di rilassarmi, sento mille voci che mi parlano, mi danno consigli e cercano di prepararmi a livello psicologico all’imminente avventura, come la chiamano loro.
Sento i dolori farsi più forte, come mai prima d’ora, quelli sull’hovercraft a confronto sono niente.
E’ come il fuoco che ti brucia dentro, che ti rode pian piano, lentamente gustandosi il tuo dolore con sadismo.   
Metto le mani sulla pancia e stringo i denti, non voglio chiudere gli occhi perché voglio vedere quello che succede, sento le mani estranee delle infermiere che mi fanno piegare le gambe.
Al loro contatto mi ritraggo lentamente, ma poi la sofferenza ricomincia e io non posso che occuparmi di quella soltanto.
La mascella inizia a farmi male, con una mano lascio il mio ventre e stringo il lenzuolo del letto, lo stringo forte, tanto che ad un certo punto si lacera.
Sento la voce di mia madre – Katniss se continui così ci impiegheremo tantissimo tempo, devi spingere cara, non devi limitarti a subire il dolore. –
Come faccio a spingere se non ho nemmeno la forza di respirare? E’ assurdo.
Continuo a stringere i denti e provo anche a chiudere gli occhi illudendomi che forse se non vedo niente non sento nemmeno il dolore.
Le contrazioni però non demordono, continuano imperterrite. Mia mamma mi dice nuovamente di spingere forte e vorrei tanto urlarle contro di provare a mettersi per un momento nei miei panni prima di dirmi con così calma cosa devo fare, ma decido di trattenermi.
Una lacrima sfugge al mio autocontrollo di ferro e con il fiato rotto chiedo a qualcuno di stringermi la mano.
Non mi volto e non so chi sia, ma sento una mano esile e sottile circondare la mia, mi costringo a spostare lo sguardo verso di lei, è Annie che mi sta sorridendo per infondermi coraggio.
Lei ha già passato questo momento e sa perfettamente come ci si sente quindi non mi dice niente, si limita solo a stringermi la mano e ad accarezzarmi il volto.
Provo nuovamente a spingere, con tutta la forza e la volontà che possiedo, un gemito di dolore mi sfugge poi mi lascio andare e respiro a pieni polmoni.
– Kat, tesoro così non va! Devi spingere di più, non devi mollare! – mia madre mi rimprovera.
Ci mancava solo questo, mia madre che mi rimprovera durante il mio parto! E’ veramente il colmo! Vorrei ribattere qualcosa ma ecco che il dolore inizia di nuovo a tormentarmi e io sono costretta a mordermi la lingua.
Prendo un grosso respiro e spingo nuovamente, con tutta la forza che mi rimane, credo di morire ma niente anche stavolta non c’è nessun cambiamento.
Sto per impazzire, stringo forte la mano di Annie mentre sento due medici borbottare che è già un’ora che sono qui in sala e il parto sta procedendo a rilento, quindi hanno intenzione di farmi il cesareo.
A quella parola sbotto – Cosa? No, no, no e no! Voi non preparate nessun bisturi e qui non si fa nessun cesareo, io voglio partorire normalmente, ora cercherò di impegnarmi di più però voi non andate da nessuna parte e nessuno mi taglierà la pancia chiaro? –
Le infermiere mi promettono che non si allontaneranno di qui, come se per un attimo avessero paura della Ghiandaia Imitatrice.
Spingo ancora, voglio che questa bimba esca, venga fuori e mi lasci stare senza farmi patire ancora, il dolore è atroce e aumenta, non ce la faccio più e alla fine inizio ad urlare.
Mi sforzo più che posso e fa male, fa malissimo, in compenso le bombe sono niente, sono una passeggiata, in questo momento anche i morsi di un ibrido sembrerebbero delle carezze.
Sono esasperata, il tempo passa e qui non succede nulla, le infermiere dicono solo che ci siamo quasi ma penso che lo dichiarino solo per non farmi disperare ancora di più.
Un’altra contrazione, sono sempre più ravvicinate e mi lasciano sempre meno tempo per respirare, urlo dalla sofferenza sento che le forze stanno per abbandonarmi, le mie gambe si intorpidiscono e capisco che senza Peeta non sono in grado di fare niente.
Sono stata una stupida a farlo rimanere fuori, un’egoista, ancora una volta ho pensato a me e non ha lui. Il dolore mi fa vedere cose non vere e credo di abbandonare sempre di più il senno della ragione. Senza starci a pensare ancora per molto urlo – Fatelo entrare! Fatelo entrare!!! ORA!!!!! –
Un altro spasmo mi colpisce, urlo con tutta la voce che possiedo e quando ho un attimo di tregua grido – Peeta! Peeta dove sei? – un’altra fitta mi fa strillare con più potenza di prima – Peeta! –
 Le lacrime rigano il mio volto e sento la fronte che inizia ad imperlarsi di sudore, sto per arrendermi, per decretare il mio fallimento quando sento lo sbattere di una porta e successivamente  la voce più bella del mondo, la voce che mi rende tutta la tranquillità e tutta la chiarezza che avevo perso. Mi volto verso la fonte del rumore e lo vedo, agitato più che mai che corre verso di me, con gentilezza fa alzare Annie e per un momento mi sento persa senza la sua mano da stringere ma poi le dita forti e delicate di Peeta sostituiscono quella della mia amica.
Mi accarezza la fronte per asciugarmi il sudore e sussurra – Kat, tranquilla sono qui. Forza, spingi, spingi forte! So che ce la puoi fare, coraggio! Io sono qui, ricordi? Te l’ho promesso davanti a tutti: io sarò sempre con te nel bene e nel male. –
Un sorriso si forma sulle mie labbra, ma sono stanca e non credo di potercela fare. – Scusa se non ti ho fatto entrare, sono stata un’egoista. Non ce la faccio senza di te. – ammetto in un sussurro.
Lui mi dà un bacio sulla fronte e mi risponde. – Ora sono qui e non ho intenzione di andare via perciò spingi forte perché voglio vedere il volto della nostra bambina. –
Annuisco e mi volto di nuovo per guardare mia mamma che mi fa un cenno della testa.
Lei inizia a contare e appena le fitte ripartono mi sforzo più che posso.
Le ore passano mentre la mia fronte si riempie di sudore, le mie gambe cedono inesorabilmente, la mia mente è sempre più confusa e annebbiata a causa dello sforzo. La testa mi pulsa, il battito cardiaco è talmente veloce che ho l’impressione che il cuore possa uscire fuori dal mio petto da un momento all’altro.
Peeta continua a stringermi la mano, a mormorami incitamenti e parole dolci mentre mi massaggia la schiena dolorante.
Il mio corpo è percosso dai tremiti e ogni mia articolazione sembra che voglia urlare.
Sto quasi per mollare quando mi madre dice – Ecco, Kat ci siamo ancora pochi sforzi e ce l’abbiamo fatta! Le acque si sono rotte e riesco a vedere la testa. – E’ euforica e ne sono felice perché vuol dire che non mi lascerà più da sola ma che cercherà di riprendersi il tempo perduto con me.
Con una nuova determinazione e una nuova forza di volontà mi impegno più che mai e spingo, urlando dal dolore ma senza fermarmi.
Non vedo più niente, è tutto sfocato, lo sforzo è tanto ma non mi arrendo, serro gli occhi e stritolo in una morsa di ferro la mano di Peeta e il lenzuolo del lettino.
- Dai Katniss ancora un ultimo sforzo! Ci siamo quasi, sta per uscire, dai! – le infermiere mi incitano e io non demordo, devo farcela, per lei, per la mia Dandelion.
Sento le fiamme delle bombe ardermi e bruciarmi come non mai, sento delle urla disperate e credo che siano proprio le mie, ho perso la cognizione del tempo e dello spazio ma a riportarmi indietro dal mio mondo tra i non viventi è un pianto, il pianto di un neonato.
- E’ bellissima, Kat! Amore, guarda. – dalla voce di Peeta sprizza gioia e vitalità.
Apro gli occhi con molta fatica, ma sono determinata a vedere il frutto del mio sforzo. Tra le mani di mia madre c’è un fagotto di asciugamani azzurri da cui spunta una piccola testolina arrossata.
Automaticamente tendo le mani e con la voce roca dico – Dammela, dalla a me, voglio vederla. –
Mi dà il fagottino e finalmente posso vederla per bene. La sua pelle è morbida e leggermente arrossata, ma non c’è nessuna traccia di sangue, probabilmente le infermiere l’hanno lavata mentre io viaggiavo nel mio mondo oscuro. Una piccola peluria marrone ricopre la sua testa e le manine chiuse a pugno sfiorano il suo nasino perfetto. – E’ bellissima! – ripeto guardando Peeta negli occhi che brillano dalla felicità. – Hai fatto un ottimo lavoro. Anzi un lavoro eccellente! – poi si china e mi dà un bacio a fior di labbra.
La fame mi colpisce ancora una volta ma a richiamarmi ai miei doveri di madre è un piccolo pianto molto vicino al mio orecchio, di contro voglia mi volto a guardare la piccolina e il colore dei suoi occhi mi fa perdere un battito.
Azzurro.
Azzurro come il cielo sereno.
Azzurro come il mare calmo.
Azzurro come gli occhi di Peeta.
La osservo ammaliata mentre con la bocca cerca il mio seno destro, con una mano la aiuto e finalmente le sue labbra sottili iniziano a tirare il mio capezzolo.
Non fa male, dà solo un po’ di fastidio. Lei tira con forza e determinazione, famelica, ma io non sono sicura che arrivi qualcosa alla sua bocca così lo domando a mia mamma che risponde serena –
Stai tranquilla, all’inizio ti sembrerà come se non succhiasse nulla, ma già in questo momento la piccola sta bevendo il latte, fidati di me. – Mi fa un mezzo sorriso e poi si gira, sta per andare nella stanza adiacente per cambiarsi e lavarsi perché è ancora sporca ma io la fermo. – Mamma… - si volta. – Sì Katniss? –
- Grazie. – dico con sincerità. – L’ho fatto con piacere, è una bellissima bambina. – Sulle sue labbra compare un sorriso autentico.
Poso nuovamente lo sguardo verso la piccola perché non la sento più poppare e infatti si è addormentata sul mio petto. Peeta la sta guardando ammaliato, come se lei fosse il tesoro più bello e più prezioso che ha e sono contenta di poter ammettere che lei è veramente la cosa più preziosa che abbiamo.
Un’infermiera viene da noi e allunga le mani per prenderla, io la fermo con una mano. – Scusi ma dobbiamo metterle la tutina, poi ve la riportiamo subito. – si affretta a spigare. Ci fa un piccolo sorriso e prende la bimba.
Quando ce la riportano indossa una graziosa tuta rosa con disegnato davanti un coniglio bianco che regge in mano l’arcobaleno.
L’infermiera la poggia tra le mie mani che sono già pronte per contenere quella piccola creatura.
Un’altra infermiera con una cartellina e una penna in mano ci chiede – Allora, come vogliamo chiamare questa fanciulla? –
- Dandelion. – mormoriamo in contemporanea io e Peeta. Mi volto verso di lui, lo guardo e poi mi giro nuovamente verso la signorina. – Dandelion Fannie Mellark. –
L’infermiera si limita a scrivere e poi ci chiede – Sicuri? –
I nostri sguardi si incrociano di nuovo, gli occhi di Peeta brillano più che mai, ci sorridiamo felici e poi diciamo insieme – Sì, siamo sicuri. – la signorina sussurra un bene appena accennato e va via lasciandoci soli.
A questo punto Peeta mi domanda – Quando l’hai scelto? – perplessa rispondo – Cosa? –
- Di chiamarla Fannie di secondo nome. – dice paziente. – Oggi, quando eravamo sull’hovercraft, era un piccolo tributo per Annie. Se non fosse stato per lei non saremmo riusciti ad arrivare in ospedale. Perché non ti piace? – Ora ho paura della risposta, se dicesse di no, ormai abbiamo scelto così e non possiamo tornare indietro. Lui mi sorride – No, mi piace solo che non me lo aspettavo. Hai fatto bene. –
Dopo questa conversazione sento la stanchezza invadermi e le ossa doloranti così posso solo dire un’ultima cosa.
– Peeta? – domando con voce flebile. – Sì? – mi prende la mano.
– Ti amo. – lo dico con tutto l’affetto e l’amore che provo nei suoi confronti e direi che è veramente tanto.
Con le lacrime agli occhi mi risponde – Anch’io. –
– Però ora sono stanca, puoi tenere tu la bimba? – i suoi occhi si illuminano e sembrano sorridere da soli – Sì, certo Kat. – e dopo questa frase mi addormento passando un sonno senza incubi.
 
 
Il risveglio non è molto piacevole, ho la schiena a pezzi, la testa mi fa un po’ male e la bimba che piange perché ha fame non è certo gradevole.
Mi volto, la bambina è nella culla, Peeta si è addormentato nella sedia, ha un’espressione dolcissima, sembra un piccolo angioletto perciò non ho intenzione di svegliarlo.
Prendo Dandelion tra le braccia e l’allatto, è ancora una cosa strana per ma, ma ci dovrò fare l’abitudine.
Dopo un po’ compare Annie, che mi chiede se voglio fare una giratina per i corridoi dell’ospedale.
Con il suo aiuto riesco ad alzarmi dal letto, mi sgranchisco un po’ le gambe e poi ci avviamo.
C’è tanta gente, e tutti al mio passaggio mi guardano incantati come se avessi un cartello lampeggiante sulla testa che dice – Ecco la Ghiandaia Imitatrice con la sua primogenita nata da poche ore! –
Chiedo alla mia amica di andare in una zona più appartata perché non sopporto gli sguardi delle persone, camminiamo diverso tempo in silenzio mentre cullo dolcemente la piccola ad un tratto mi domanda. – Katniss, perché Fannie? – rimango un attimo interdetta, poi capisco il perché della sua richiesta e così mi affretto a rispondere. – Oh, beh…è una cosa che si sono inventati gli abitanti di Capitol City per parlare delle coppie famose. Ad esempio, io e Peeta siamo Peeniss… – Annie mi guarda e poi scoppia a ridere per il nome alquanto particolare ed ambiguo. Io però continuo – Tu e Finnick invece siete Fannie. L’ho scelto perché volevo che il mio piccolo dente di leone si portasse dietro una parte di voi. –
Detto questo le lacrime scivolano silenziose sulle sue guance, mi fa un sorriso triste e poi sussurra – Grazie. – si china e dà un piccolo bacio sulla fronte di Dandelion.
Ma il nostro momento di privacy sembra finito, ecco infatti arrivare mia mamma di corsa, con i capelli disordinati e le occhiaie profonde. – Katniss! Ti stavo cercando da più di un’ora! – dice preoccupata. – Devi subito tornare nella stanza che ti è stata assegnata, c’è una marea di persone che vuole vedere te, Peeta e Dandelion. Ci sono anche i giornalisti. –
Il mio cuore perde un battito e inizio ad agitarmi, ma ormai è troppo tardi devo andare incontro a ciò che mi aspetta nel bene e nel male. 

Angolo della scrittrice: 


Se siete arrivati fino qui, senza esservi tagliati le vene (?) vi chiedo di leggere anche questo piccolo sclero, scelroso. 
Innanzitutto voglio drivi: Grazie, grazie per avermi sostenuto, per aver aspettato così tanto questo capitolo senza fare nessuna pressione! Grazie mille. 
Secondo, nella storia c'è un piccolo tributo al mio angioletto e alla mia volpuzza, vi vorrei ringraziare per avermi ispirato, per aver sopportato i miei scleri, per aver condiso con me tante tantissime cose, per avermi aperto un mondo davanti agli occhi. 
Grazie, spero che abbiate capito qual è il tributo, pensavo di afre una cosa diversa dal solito, quindi per un eventuale conferma io ci sono, sapete qual è il mio numero di cellulare e sapete dove abito perciò, battete un colpo e io risponderò. u.u
Questo capitolo è il più lungo in assoluto, non ho mai scritto così tanto, forse solo in qualche tema d'italiano ^.^, ad ogni modo questo è un record che non devo battere, eh no altrimenti mi arriveranno pomodori a sacchettate! 
 
Quindi, vi chiedo solamente di perdonarmi se ho osato pubblicare questo mostrume, perdono! >.<
Fatemi sapere cosa ne pensate e sappiate che siete autorizzati a rovesciarmi addosso qualsiasi tipo di ortaggio o quant'altro nel caso in cui vi facesse schifo la storia. 
 
Un bacione e al prossimo, nonchè ultimo, capitolo ( si spera! ^.^") 
Miss H. 
  
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