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Autore: HPEdogawa    12/01/2013    5 recensioni
Quando si risvegliò, non ricordava niente di se stesso. Né il suo nome, né dove si trovasse, tantomeno chi fosse. Sapeva solo di essere sdraiato sulla schiena, a contatto con il legno umido di una chiatta sul fiume Han. Si mise a sedere, confuso e stordito, nonché con un potente mal di testa. Solo quando portò una mano a sfiorarsi la tempia, in cerca di sollievo da quel dolore assillante, si accorse di stringere tra le mani un cellulare. Non lo riconobbe, non avrebbe saputo dire se fosse suo o di qualcun altro. Mise a fuoco l'immagine dell'apparecchio elettronico e notò i suoi polsi rossastri, le sue dita sporche di qualche vivida goccia cremisi, rafferma. Sangue. Sempre più confuso, ignorò quelle macchie sulla sua pelle e schiacciò un tasto del cellulare. Lo schermò si illuminò e, quando lo sbloccò, si ritrovò a leggere un messaggio formato da poche righe:
"Hai inviato questo messaggio a te stesso. Quando ti sveglierai non ricorderai più niente.
Ti chiami Kim Yesung. Sei una spia. Cancella questo messaggio non appena l'hai letto e getta il cellulare."
WonYe.
Yaoi.
Tutti i Super Junior, più possibili apparizioni di altre celebrità.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Choi Siwon, Kyuhyun, Leeteuk, Un po' tutti, Yesung
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2.

Siwon.

 

Come aveva calcolato, la giornata si era rivelata più pesante del previsto. C'era stato un incidente a catena a metà mattinata e le sue ore in sala operatoria e, di conseguenza, quelle da passare tra le scartoffie, si erano moltiplicate. Uscendo dalle porte scorrevoli all'entrata dell'ospedale, alle sette di sera, Siwon si sentiva stanco, affamato e desideroso di una doccia rigenerante. Da quella mattina aveva ingoiato solo qualche patatina e una carota e il suo stomaco non sembrava molto contento del digiuno. Solo quando si chiuse in macchina e gettò la borsa sul sedile accanto, Siwon scorse la busta gialla. In un nanosecondo, nella sua mente si ripresentarono i ricordi di ciò che era successo nelle ultime ventiquattro ore. Per tutta la giornata aveva pensato esclusivamente ai suoi pazienti, ai sacchetti pieni di liquido cremisi costantemente in arrivo dalla Banca del Sangue e agli imminenti esami del quarto anno di specializzazione, mentre la faccenda di Yesung, amnesico e, sotto un certo aspetto, pericoloso, era passata in secondo piano. Con un sospiro, prese la busta e la aprì, cercando di non danneggiarla sul lato dove era stato scritto il nome del mittente – ovvero, Yesung. Solo allora Siwon scorse un altro scarabocchio, segnato velocemente da una matita leggera. Aguzzò lo sguardo, provando a tradurre la scritta:

 

Spedita da: Park Seongha.

 

Stranito, ribaltò l'involucro e ne uscì un malloppo di fogli tenuto insieme da un elastico verde. C'erano foto, diagrammi, tabelle e rapporti lunghi chilometri. Parlavano di missioni, agenti dormienti, infiltrati, talpe e doppiogiochisti. Guidando verso casa, Siwon tentò di cogliere il nesso tra lui e quei documenti. Perché Yesung li aveva spediti proprio a lui? Chi era Park Seongha? Era una trappola? Per lui? Per Yesung? Per entrambi?

-Aish!- esclamò, dando un colpo al volante e suonando involontariamente il clacson. Il vecchietto che stava attraversando la strada davanti a lui si girò a guardarlo, irato, e lo mandò a quel paese più volte, borbottando qualcosa sui suoi ottant'anni e sulle sue povere gambe dolenti. Siwon si scusò, senza premurarsi neppure di essere sentito o meno, e, una volta che il signore si fu allontanato, riprese a guidare verso casa. Quando arrivò, le persiane erano chiuse, proprio come quella mattina, e nemmeno le luci sembravano accese. Infilò la chiave nella toppa, stringendo al petto la busta gialla e sgualcita. Entrando in casa, chiuse nuovamente la porta e si guardò intorno. In salotto non v'era alcun segno di vita, così come dal bagno o dal piano superiore. Raggiunse la cucina ed aprì la porta stranamente chiusa. Il locale era totalmente al buio, fatta eccezione per un angolo, illuminato dalla luce di una torcia tenuta in mano da Yesung.

-Yesung?- domandò, raggiungendolo. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, ma non disse nulla.

-Cosa ci fai qui?- chiese Siwon, senza ricevere nuovamente una risposta. Sospirò e lasciò cadere nel vuoto quella conversazione a senso unico, gettando la famosa busta sul tavolo e togliendosi la giacca.

-Vado a fare una doccia- disse al più piccolo, uscendo dalla cucina: -La busta che ho lasciato sul tavolo l'hai spedita tu. A me. Prova a vedere se riesci a ricordarti qualcosa!

Aveva usato involontariamente – o, forse, in parte Yesung se l'era andato a cercare – un tono sgarbato e tagliente. Aveva passato una giornata stressante e al massimo della tensione. L'ultima cosa che voleva fare era arrivare a casa per avere a che fare con un ventiduenne testardo e non collaborativo, che aveva presumibilmente passato l'intera giornata chiuso in cucina, al buio, con la sola compagnia di quella torcia elettrica. Solo dopo che si fu calmato con una doccia calda e rilassante, si rese conto che, da quel che aveva visto, le mani di Yesung erano ancora sporche di sangue, i suoi polsi lividi e rossastri. Probabilmente non aveva nemmeno mangiato niente ma, con un poco di sollievo, notò, scendendo in sala, che il bicchiere d'acqua adesso giaceva vuoto sul tavolino. Rientrando in cucina – stringendo tra le mani una salvietta bagnata, garze e disinfettante – trovò Yesung seduto a tavola, davanti alla busta. Non l'aveva nemmeno toccata, i suoi occhi la stavano semplicemente esaminando, come se fosse pronta ad esplodere da un momento all'altro. Si sedette davanti a lui, domandandogli:

-Non la apri?

Yesung scosse il capo, persistendo con il suo improvviso mutismo. Siwon sospirò, tendendo una mano:

-Mi fai vedere i tuoi polsi?

Yesung lo scrutò per qualche secondo, come un piccolo lupo malfidente che entra per la prima volta a contatto con un umano, ma poi tese il braccio, distogliendo lo sguardo. Siwon arrotolò la manica del più piccolo fino al gomito, rivelando altri segni sulla pelle candida. Lividi e tagli più o meno superficiali e quasi rimarginati marchiavano interamente il suo avambraccio. Il più grande sgranò gli occhi: non si aspettava tutte quelle ferite. Chissà quante altre gli erano state inflitte.

-Yesung!- esclamò: -Come diamine te li sei procurati?- ma un'occhiata da parte del ventiduenne fu più che sufficiente per fargli capire l'inopportunità di quella domanda: Yesung non ricordava nemmeno chi fosse. Con un sospiro esasperato, iniziò a ripulire le ferite con il panno imbevuto d'acqua fresca, per poi disinfettarle una ad una e applicare dei cerotti sui tagli più superficiale, mentre mise le bende sulle ferite che, una volta toccate, si erano riaperte. Eseguì lo stesso procedimento anche sull'altro braccio ma, proprio mentre stava per alzarsi e buttar via tutto, Yesung gli afferrò una mano, sottraendogli lo straccio sporco e bagnato.

 

Yesung.

 

Mentre l'acqua di cui era impregnato il panno faceva sparire dalle sue mani le tracce di sangue, sentì un improvviso peso al petto. Iniziò a chiedersi di chi fosse il sangue che era rimasto sulla sua pelle per tanto tempo, quel sangue che si era perso a fissare per tutta la giornata. Era davvero diventato un assassino? Aveva ammazzato qualcuno perché doveva o perché voleva uccidere? A mano a mano che dalla sua pelle spariva sporcizia, sangue e terra secca, gli sembrava di perdere peso, diventare in qualche modo più leggero, pulito. Ciò nonostante, il sangue poteva pur sparire dalle sue dita, ma di certo quello che gli sporcava l'anima non se ne sarebbe andato tanto facilmente.

Quando ebbe finito, gettò lo straccio nella spazzatura. Siwon si era messo ai fornelli e stava cucinando della pasta – quella in bustine, precotta, già condita nonché difficilmente accettabile dalle sue papille gustative. Tornando al proprio posto, i suoi occhi ricaddero sulla busta gialla posata sul tavolo. Sedendosi, senza quasi rendersene conto, allungò le mani fino ad afferrarla e ad aprirla. Le sue dita scivolarono ben presto verso quei pezzi di carta, sfogliandoli uno ad uno, studiandoli e memorizzandoli. Siwon non si era ancora accorto di nulla, mentre fischiettava davanti al piano cottura, mescolando la pasta. I fogli sembravano non finire mai, mentre gli occhi neri di Yesung li analizzavano nel minimo dettaglio. I minuti passavano, ma per il ventiduenne il tempo si era fermato. Non si era accorto di nulla – né del piatto di pasta lasciato accanto a lui, dell'occhiata soddisfatta lanciatagli da Siwon o il fatto che questo avesse lasciato la stanza. Tutto ciò che, in quel momento, occupava la sua mente, era l'ultimo foglietto che aveva trovato sul fondo della busta: una foto sgualcita, un po' rovinata. Ritraeva due persone. Yesung si ritrovò inconsciamente a sorridere, mentre osservava il sé stesso di qualche anno prima, che abbracciava un Siwon non molto diverso diverso da quello attuale. Qualcosa lo spinse a voltare la foto, osservandone il retro. E, con sua sorpresa, trovò una scritta:

 

Kim Yesung e Choi Siwon.

Persone di cui fidarsi.

 

Un improvviso movimento alla sua sinistra lo fece sobbalzare e voltare: Siwon era tornato – nonostante non si fosse accorto nemmeno della sua assenza – con una bottiglia d'acqua tra le mani. Posandola a tavola, si sedette sulla sedia di fronte al più piccolo, che gli sorrise appena, provando a dargli realmente fiducia. Siwon ne fu chiaramente sorpreso ed iniziò a mangiare, mentre Yesung altro non faceva se non piluccare di tanto in tanto qualche spaghetto. Non aveva per niente fame, nonostante non mettesse nulla sotto i denti da tempo immemore, nel vero senso del termine.

C'era qualcosa che non tornava.

 

Leeteuk.

 

 

Gli unici problemi nella vita di Park Leeteuk – oltre all'essere un ventiseienne con un'irrisolta sindrome di Peter Pan – erano gli hacker e le scartoffie. Non capiva l'importanza del riempire moduli, stilare relazioni e fare qualsiasi altra cosa che comportasse l'utilizzo di una penna a sfera e quattordici fogli da compilare o semplicemente firmare in diecimila punti differenti, segnati accuratamente con una “x” più simile alla lettera alfa che alla terzultima componente dell'alfabeto. Continuava a sbuffare, mentre le sue dita sottili stringevano la penna, che scivolava velocemente sulla carta non riciclata. Maledette scartoffie, maledetta burocrazia, continuava a pensare, mentre gettava repentine e continue occhiate all'orologio appeso alla parete di fronte a lui. Erano le otto e trenta, ciò significava che aveva mezz'ora per consegnare quei moduli, tornare a casa, buttarsi sotto la doccia, indossare vestiti anonimi e uscire nuovamente, diretto verso il parco di Namsan, dove aveva un appuntamento. Beh, chiamarlo “appuntamento” era un po' scorretto, in quanto si trattava puramente di lavoro. Lavoro sotto copertura, per essere precisi. Scrivendo l'ultima parola, terminò la riga con un punto deciso e pesante, come a voler rafforzare il fatto di essere finalmente libero da qualsiasi fiscalismo. Si alzò dalla sua sedia girevole con un nuovo sorriso, brillante e genuino – abbellito con una tenera fossetta sulla guancia destra – e si diresse verso l'ufficio del direttore di dipartimento, Kang Jinyoung. Tempo dieci minuti, e finalmente lascerà l'Agenzia.

 

Il parco di Namsan è una gioia per gli occhi di giorno, la sera è semplicemente uno spettacolo da vedere almeno una volta nella vita. Luci rilassanti, persone sorridenti, spensierate e ben disposte. Solitamente Leeteuk si perdeva tra quei sentieri suggestivi nelle serate libere, quando non era costretto a stare in ufficio davanti al computer a rafforzare la protezione del sistema informatico o a scovare l'hacker di turno. Per questo, quella sera – che sarebbe dovuta essere la sua serata di libertà – entrando nel parco, sentì un peso all'altezza dello stomaco: per la prima volta, non si sarebbe sentito a suo agio in mezzo a tutte quelle persone.

Il punto d'incontro era stato stabilito il giorno prima: Leeteuk si sarebbe dovuto incontrare con il collega al chiosco della cioccolata calda. Da lì, avrebbero iniziato a camminare per il parco, dirigendosi “involontariamente” verso la zona est, molto frequentata – di conseguenza perfetta per un incontro segreto – dove i due, apparentemente dei criminali, si erano dati appuntamento. Non appena il chiosco entrò nel suo campo visivo, la figura di Kim Kangin si mostrò a sua volta, poggiata al tronco di un albero, mentre gli occhi del giovane uomo osservavano tranquillamente il display del cellulare. Leeteuk lo raggiunse con tranquillità, sorridendo come se fossero due vecchi amici del liceo. Dopo essersi scambiati i soliti convenevoli, iniziarono a camminare verso la loro destinazione:

-Di chi si tratta?- domandò Leeteuk, guardando una luminaria avvolta attorno al tronco di un albero.

-Non si sa esattamente di cosa si occupino. Si chiamano Park Seongha e Lee Jiwoo, ma crediamo che siano degli pseudonimi. Si sono già incontrati una volta, in questo stesso posto.

-Devono essere dei dilettanti. Non è sicuro organizzare incontri sempre nel medesimo luogo.

-Già, ma magari c'è qualcosa sotto. Eccoli...

Kangin si avvicinò ad un cestino, gettandovi un fazzoletto, mentre diceva, nello stesso modo in cui avrebbe detto “Che carino quel cucciolo di labrador!”:

-Seconda panchina a destra, sotto la quercia. Quello con i cappelli ossigenati e quello con gli occhiali da nerd.

-Dobbiamo avvicinarci?- domandò Leeteuk. Era alquanto frustrante non sapere cosa fare: era stato avvertito all'ultimo momento di quel lavoro e non gli erano stati dati molti dettagli. Sapeva solo che doveva pedinare due persone. Ma, a quanto pare, il signor Kang era troppo preso da cosa regalare alla moglie per l'anniversario – di cui si era puntualmente dimenticato – così era finito per fraintendere lo scopo del lavoro.

-No, dobbiamo mettergli addosso dei dispositivi, poi potremo levare il disturbo. C'è già una squadra pronta ad ascoltare la conversazione.

-Perché ho dovuto partecipare anche io?- chiese nuovamente Leeteuk. Non capiva il motivo per cui si stesse giocando la nottata libera: dovevano solo piazzare dei dispositivi, era necessaria solamente una persona. Specialmente se, quella persona, faceva di nome Kim Kangin. Questi si voltò a guardarlo, con l'ombra di un sorriso sul volto:

-Lavoro sul campo, Park. Non starai per sempre dietro alla tua scrivania aspettando di diventare strabico a furia di tutto quel battere sulla tastiera, o per colpa degli innumerevoli monitor che sei costretto a guardare ogni giorno.

-E' il mio lavoro, non posso far--

-Beh, 'sta sera il tuo lavoro è piazzare questo dispositivo- tagliò corto Kangin, passandogli in mano l'oggetto in questione. Come se avesse sentito il più grande, il ragazzo dai capelli ossigenati si voltò nella loro direzione, per poi girarsi nuovamente.

Leeteuk sospirò: -Su chi?

-Sul nerd.

-Ok- disse, annuendo.

Si guardò attorno, aspettando l'occasione perfetta, che si presentò pochi secondi più tardi. Scorse una bicicletta venire verso la sua direzione. Sorridendo appena, riprese a camminare sul sentiero, verso la bici e la panchina, guardando a terra. Era ormai troppo tardi, quando il ciclista iniziò a suonare il campanello. Leeteuk non riuscì a spostarsi in tempo e finì per perdere l'equilibrio, aggrappandosi al giubbotto azzurro di quello che, apparentemente, era il più giovane, mentre il ciclista gli ordinava di darsi una svegliata.

-Oh, mio Dio!- esclamò Leeteuk, rialzandosi e inchinandosi profondamente: -Scusami, scusami tanto!

Il ragazzo sorrise timidamente: -Non fa nulla.

Leeteuk sorrise, tornando verso Kangin, che gli rivolse un cenno del capo per mostrare la sua approvazione:

-Brillante- commentò.

-Lo so- sorrise il più piccolo, superandolo e tornando verso l'entrata del parco.

Il suo lavoro lì era finito.

 

Kyuhyun.

 

-Li vedi quei due?- domandò a Eunhyuk. Faceva freddo, quella sera, nel centro di Seoul. Era stretto nel suo giubbotto, il volto arrossato a causa del gelo e, nonostante fosse stata una sua idea, iniziava ad avere dei ripensamenti riguardo a quell'uscita. Eunhyuk lo guardò con scetticismo, dopo aver udito quella domanda:

-Ci sono almeno trenta persone qua attorno, Kyuhyun-ah. Come credi che possa sapere a chi ti stai riferendo?

Il più piccolo alzò gli occhi al cielo, evitando di rispondere con il suo solito tono saccente: Eunhyuk era un elemento da tenersi stretto.

-Quelli vicino al cestino, che stanno amorevolmente parlando come una coppietta.

Eunhyuk si girò in quella direzione, guadagnandosi un insulto da parte del genio del crimine:

-Idiota! Cosa stai facendo?! Non puoi semplicemente girarti e guardarli!

-Come dovrei fare, scusami?!

-Superfici riflettenti, specchi e specchietti, inventati qualcosa, ma non puoi girarti e fissare.

-Ok, ok... scusami- borbottò l'altro, abbassando la testa bionda. Kyuhyun sospirò, passandosi una mano sul volto dalla disperazione, per poi riprendere a parlare:

-Metteranno addosso un dispositivo ad uno di noi. Nel caso lo mettano su di te, non toglierlo. Per nessuna ragione al mondo. È fondamentale.

-Capito.

-Almeno questo...- mormorò Kyuhyun, sistemandosi gli occhiali sul naso e stringendosi le mani l'una con l'altra: erano entrambe gelate. All'improvviso, sentì una presa sul collo e venne leggermente tirato indietro. Quando si voltò, si ritrovò ad osservare sue occhi allegri e dei lisci capelli castani. Lo sconosciuto si scusò, ma lui non diede segno di essersela presa. Gli sorrise, tranquillizzandolo, e l'altro si allontanò. Quando Kyuhyun si voltò ad osservare il più grande, questo aveva chiaramente un'espressione sollevata in volto.

-Quindi toccherà a te- disse, infatti.

-Già- rispose il giovane. Aspettò che anche l'altro agente si allontanasse, prima di alzarsi:

-Torna a casa, Eunhyuk. Per qualche giorno siamo a posto.

-A quando il prossimo incontro?

-Ti farò sapere.

-Sempre qui?

-Ovviamente.



Angolino.--
Buonasera.-
Scusate il ritardo nell'aggiornare, ma la scuola è ripresa e negli ultimi giorni di vacanza ho dovuto fare i compiti perché ero rimasta un po' indietro *coff coff*. Volevo aggiornare in settimana, ma è appena iniziato il pentamestre e siamo già pieni di compiti.
Comunque, sono tornata. Questo capitolo è un poco più lungo dei precedenti e i prossimi saranno ancora più lunghi, in quanto aggiornerò una volta a settimana.
Spero che vi sia piaciuto, ma vi confesso che non mi convince per niente.
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima.-- (:

 

   
 
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