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Autore: __EleKtra__    13/01/2013    0 recensioni
"Un’occasione, è un’occasione per cambiare, per variare il corso degli eventi, per variare chi sono io, per ribaltare una realtà." Una debolezza può nascondere mille e un tormento, un vizio cela insicurezza e dolore. Un viaggio nel labirinto oscuro e interiore, un viaggio per trovare la forza di scommettere su se stessi e cambiare la propria vita.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rumore delle macchine che sfrecciano  a tutta velocità sulla strada nera e liscia, portando via con sé un turbine di foglie dai mille colori che dipingono di tramonto l’asfalto nero.
 Sembrano aver ben chiara la loro meta.
Un semaforo lampeggiante che periodicamente si accende e spegne, accende e spegne, accende e spegne…un momento:  sembra rallentare! No, no….un’impressione.
Questo pomeriggio il cielo è terso, è di un azzurro speciale, quasi uscito da un dipinto. Persino le montagne in lontananza sembrano così chiare e nitide e la Luna è lì, disegnata come un perfetto sorriso lattiginoso.
Ebbene sì, questa volta la mia perpetua e inesorabile ‘ritardatarietà’ mi ha giocato un brutto scherzo e ho perso il treno.
No, non è divertente aspettare, sì, ammetto di odiarlo.
Risulta quasi divertente sentir dire da un’incurabile ritardataria che non ama aspettare, ma in effetti è così.
Ho letto, non ricordo esattamente dove, che da un recente studio scientifico si è giunti alla conclusione che in effetti i ritardatari persistono con il loro caratteristico atteggiamento proprio perché non amano aspettare, perché aspettare significa restare soli, perché significa rimanere soli con sé stessi ,e, dunque, ritengono utile arrivare dopo l’orario prestabilito per avere la certezza che effettivamente ci sia qualcuno ad attenderli.
Sarà…
Fatto sta che il prossimo treno è tra un’ora e io dovrò star qua seduta su questa panchina gelata ad aspettarlo!
Nessuno intorno a me.
 Mi diverte guardare le persone all’interno delle loro auto. Mi sembra di cogliere un pezzetto del loro mondo; mi sembra di entrare di soppiatto in una realtà parallela, cogliendoli di sorpresa.
È così strano vedere come si sentano a loro agio all’interno di una scatola di lamiera, lontani da tutti e intenti solo a raggiungere di corsa la loro meta. Meno tempo impiegano per raggiungerla e più saranno soddisfatti. Ormai il tempo è così prezioso, ormai nessuno ne ha più. In effetti c’è la crisi, c’è crisi anche sul tempo.
Il vento sussurra come fosse un’entità fisica e reale tra gli edifici, sulle lucide macchine in corsa, tra le panchine della stazione. È strano pensare che esista qualcosa quando non la si vede.
È strano immaginarci dentro la natura, in effetti sembrerebbe lei l’intrusa, quando invece siamo noi i suoi assassini.
Il freddo sembra penetrarmi nelle ossa come fosse dotato di milioni di martelli pneumatici con lo scopo di 
trapassarmi la carne.
Cerco nella mia borsa di finta pelle nera il cellulare.
Incredibile quanto enorme sia in realtà l’interno della borsa di una donna: ci si trova di tutto.
Scorro tra i messaggi ricevuti alla ricerca di un pensiero, un discorso su cui riflettere.
Hei, un attimo. Perché ho bisogno di qualcosa per distrarmi?.
Ricaccio il cellulare nella borsa tra le altre mille cose meno importanti , ma che ritroverò di certo prima di esso alla prossima immersione ignota.
Ho sempre bisogno di avere la mente al lavoro, avere la mente occupata… occupata dal pensare!
Essendo sempre di corsa non riesco mai a fermarmi a pensare alle cose veramente importanti. Penso piuttosto a cosa dovrò fare, a chi dovrò sentire; a cosa vorrei fare e a chi vorrei sentire; a cosa dovrei fare e chi dovrei sentire…
Vagone dopo vagone i pensieri si susseguono , trainati da una parola motrice. Un treno diretto verso il nulla.
A pensarci bene la maggior parte dei pensieri sono vani o sono pragmatici, nessuno è realmente importante.
Importante, beh cos’è veramente importante?.
“Qualcosa che possa fruire dell’altro, qualcosa che ti dia una sicurezza, una stabilità… “ questo è ciò che dice mio padre.
Ma è vero che le cose importanti devono sfociare in qualcosa di pragmatico?
Una volta una persona mi disse che sono le cose che all'apparenza sembrano più inutili che in realtà servono di più.
Ascoltare una canzone ripetutamente, volta dopo volta, non è utile. Qualcuno la definirebbe una perdita di tempo, eppure lascia qualcosa dietro di sé.
Guardare un quadro non rilascia nulla di ‘utile’ eppure dentro di noi proviamo qualcosa.
Leggere un libro è solo una perdita di tempo, eppure dopo averlo fatto non si è più gli stessi.
L'arte in generale non è essenziale per la sopravvivenza dell'uomo, eppure senza di essa non sarebbe potuto migliorare.
“l’essenziale è invisibile agli occhi” così diceva il Piccolo Principe.
La musica sarà anche inutile, ma è la più grande ragione di vita, è la mia ragione di vita.
Già…dietro lunghi capelli neri e grandi occhi scuri nascosti da folte ciglia nere si nasconde l’animo di un artista. Beh, artista…. Artista è ciò che vorrei diventare.
Gli uccelli planano nel cielo rigato di granelli di pulviscolo gelato.
A volte vorrei essere un uccello. A volte vorrei avere la capacità di aprire le ali e gettarmi a capofitto giù da un burrone, avendo la certezza di non farmi male. A volte vorrei lasciare tutto e tutti e fuggire via. A volte vorrei cancellare ogni cosa e riscrivere la mia storia dalla prefazione.
Già, vorrei.
Ma c’è una fregatura: sì, io devo buttarmi giù in continuazione da burroni,  devo continuamente imbattermi in scelte difficili, rischiose, ma non ho le ali, non ho la certezza dell’incolumità. Sì, posso prendere un aereo, una nave, un treno, per fuggire, ma c’è qualcosa che me lo impedisce. Sì, posso far finta che non sia successo nulla,posso far finta di non aver scelto, ma non posso tornare indietro, non posso cancellare ciò che è stato.
Fuggire, creare una nuova storia da capo. Sì, sarebbe bello. Ma so che guardando il cielo tempestato di stelle riconoscerei qualcosa di già noto, e tutte le mie ferite si riaprirebbero, perché, in fondo, posso cambiare ogni cosa, abbandonare chiunque, ma non potrò mai separarmi da me stessa.
Strofino le mani l’una contro l’altra, cercando di creare calore con l’attrito. È assurdo come le dita si incastrino perfettamente tra le dita.
Il coraggio di una scelta, il coraggio di lottare per sé stessi, per i propri sogni, è questo ciò che bisogna avere, ciò che ho sempre avuto. Ma ora che il gioco si fa duro, ora che non basta più solo sognare, devo comprendere se sia legittimo credere, se sia razionare combattere. Combattere per cosa? Ho quello che serve? È inutile mandare un esercito in battaglia per salvare un castello di carte.
Con l’impegno creerò un buon regno, con l’intelligenza lo amministrerò e con la forza e il coraggio lo difenderò. Esso andrà avanti grazie alla passione e alla fede.
Credere.
Io credo che ogni cosa abbia un suo scopo, io credo che ogni pezzo di realtà debba incastrarsi perfettamente con un altro, un po’ come le dita delle mani, a creare un puzzle raffigurante la nostra vita ed ogni puzzle è legato ad un altro e un altro ancora, fino a rappresentare l’umanità intera.
Ogni singolo pezzo rappresenta una scelta, e ogni pezzo è unico e inimitabile, senza uno di essi il puzzle non potrebbe essere completo, è per questo che è complicato scegliere.
Bisogna scegliere di prendere il proprio treno oppure si rimarrà per sempre nella propria stazione, fermi, soli, ad aspettare, aspettare che le cose accadano, aspettare che ‘noi stessi’ scenda da quel treno e venga a rivelarci, sussurrando ad un orecchio, che decisione prendere, ma i treni hanno orari fissi, i treni viaggiano anche se noi non saliamo a bordo.
Alcune persone confidano in un destino e attendono, attendono in eterno, spolverandosi di dosso la responsabilità che hanno con loro stessi. Ma il destino è per i perdenti. E' solo una stupida scusa per aspettare che le cose accadano invece di farle accadere.
Non dico sia facile scegliere, anzi, credo sia la cosa più difficile al mondo, un po’ come quando la mattina suona la sveglia: si fa una fatica immane a tirarsi giù dal letto, ma quando si è in piedi si agisce; ecco bisogna convincersi che ciò che si sta facendo sia la cosa migliore e lottare contro chiunque per portarla a buon fine. Perché siamo noi contro tutti alla fine, soli contro il mondo intero.
Quindi bisogna correre, correre verso il treno che abbiamo scelto e non è detto che sia quello giusto, ma è quello che noi abbiamo deciso sia giusto per noi.
Ogni passo che facciamo potrebbe essere il nostro più grande errore: potrebbe guarire o rompere, è questo il rischio che corriamo.
Ma è meglio sbagliare che rimpiangere di non averci provato. In fondo che abbiamo da perdere?
Eppure, ho paura. Ho paura di prendere il treno sbagliato ho paura di sedermi su un sedile polveroso a attendere di giungere in un luogo inesplorato e ‘sbagliato’ per me.
Le ruote del treno corrono inesorabili e inarrestabili e io, costretta con il naso appiccicato al vetro macchiato dalla polvere, osservo con angoscia il paesaggio che corre via irraggiungibile.
 
Mi scuoto moralmente da quell’idea affliggente e osservo i raggi del sole che creano un gioco di luci tra le foglie della siepe che contorna la stazione.
Il sole sta quasi tramontando e il cielo comincia a colorarsi di un tenue rosa che sfuma in candido azzurro.
La luce aranciata risplende sui polverosi binari e sulla ghiaia stazionata tra le due rotaie.
È triste il destino dei binari: vivono esattamente a  1,44 m di distanza; l’uno non ha fine senza l’altro e sono nati insieme, con lo scopo di essere affiancati, indivisibili, eppure non potranno mai incontrarsi.
Un pettirosso si posa placido sulla ringhiera della stazione cinguettando  un dolce suono. Nel silenzio della stazione il suo canto sembra fiabesco, quasi stendesse un velo magico sopra di essa.
Guardo l’ora: ancora un quarto d’ora abbondante.
Sento la punta del naso congelarsi lentamente. Con le mani formo un cantuccio dentro al quale racchiudere il viso.
Un’elegante auto grigia rallenta sulla strada ed entra nel parcheggio della stazione. Dopo non molto una donna sulla quarantina, si erge sui suoi tacchi a spillo neri di vernice lucida e si avvia verso di me.
I suoi lunghi capelli castani sono sciolti al vento gelato che li ondeggia con frenesia. La donna si stringe nel suo cappotto lungo grigio topo e regge, con i suoi guanti di pelle nera, la valigetta del lavoro, e appesa alla spalla una grande borsa.
Una donna distinta, non c’è che dire.
Si siede a due panchine di distanza da me.
La osservo incuriosita: il suo viso un po’ segnato dalla stanchezza e dagli anni, nascondono una donna molto curata e ancora bella con labbra sottili ma ben disegnate con una matita rossa. Gli occhi scuri sono sottolineati da un mascara nero e una matita marrone, lo stesso colore della terra che valorizza i suoi zigomi non più così alti.
Ho un po’ di pudore nel fissarla, ma mi accorgo che al suo orecchio vi è appeso un auricolare e che sta parlando con qualcuno.
Non si è nemmeno accorta della mia presenza.
Sembra molto occupata, molto attiva, con più cellulari e un tablet tra le dita lunghe e affusolate.
Una stacanovista di certo, una di quelle persone rigide e sempre in anticipo.
Lanciai un’occhiata all’ora sul tabellone della stazione: un quarto d’ora d’anticipo.
Un sorriso sghembo mi si disegna in viso, nonostante i muscoli si siano paralizzati a causa del gelo.
Sono persino più in anticipo di lei.
Un brivido mi percorre repentino.
Ma sì, ma sì, in anticipo! In anticipo per il nuovo treno! Dal punto di vista della stacanovista io sarei in anticipo.
Sempre se avesse tempo per guardarsi intorno e notarmi; sempre se avesse tempo per pensare.
Per lei io non sarei in ritardo, ma al contrario, sarei largamente in anticipo!. Tutta questione di punti di vista, di vedute.
Un’occasione, è un’occasione per cambiare, per variare il corso degli eventi, per variare chi sono io, per ribaltare una realtà.
Un nuovo treno, una nuova meta.
Il bello dei treni è che sai sempre quando partono, quando arrivano e dove si fermeranno. È la differenza che hanno dalla vita: facendo una scelta non saremo mai certi della nostra meta.
Entrambi, però, hanno un elemento in comune: quando scendiamo dal nostro treno non saremo mai come quando siamo saliti.
Le due luci rosse cominciano a lampeggiare alternativamente. Pochi minuti dopo, con un fischio, il grosso treno mi sfreccia davanti, provocando una folata di aria calda inquinata che mi pervade.
La stacanovista si posiziona alla mia destra a grandi falcate, continuando imperterrita a parlare e discutere, reggendo la sua valigetta scura in una mano e nell’altra la grande borsa grigia.
La osservo con la coda dell’occhio. Ancora non si accorge di me.
Schiaccio il bottone per aprire le porte del treno. La donna repentinamente sale senza nemmeno considerarmi. Io sospiro come per darmi coraggio: questo non sarebbe stato un semplice treno per me, ma IL treno, il treno che avrebbe segnato il mio cambiamento, avrebbe segnato la mia scelta.
Perché se ho veramente capito qualcosa dei treni è che non importa chi tu sia, cosa tu faccia o voglia, non importa dove ti portino, ma la cosa veramente importante è decidere di prenderli .
 
 
 
 
 
 
 
 
 

  
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