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Autore: ziamslies    13/01/2013    1 recensioni
Louis scoppiò in una fragorosa risata “bunanotte Alex”
“si si come vuoi” e gli attaccò il telefono in faccia. Il ragazzo rimase a fissare l’apparecchio muto con un mezzo sorriso sulle labbra e poi si rimise a letto ripensando a quella ragazza così fragile come un pezzo di cristallo finissimo ma con l’aspetto di una leonessa.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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> una mano non molto delicata si poggiò sulla scatola infernale, diversamente denominata sveglia, spegnendola bruscamente e un groviglio di lenzuola, coperte e cuscini emise una mugolio esasperato. Una ragazza con i capelli scompigliati e gli occhi serrati si rigirava placidamente nel letto per cercare di riprendere il sogno da dove si era interrotto.   
 Le labbra del ragazzo si avvicinavano lentamente ma inesorabilmente, riusciva  già a distinguere l’aroma dolce ma deciso del suo profumo e pregustava in una trepidante attesa le labbra di lui sulle sue. Pochi centimetri a separarli, duo o tre al massimo, ma sembravano chilometri, si umettò le labbra e socchiuse gli occhi sporgendosi un po’ in avanti e finalmente lo baciò… ma il bacio fu diverso da come se lo aspettava, era troppo umido e peloso, spalancò gli occhi e si staccò urlando.
“cos’è successo cocca?” chiese sua nonna trafelata entrando nella camera dove la ragazza se ne stava in piedi sul letto con guardo schifato verso un ammasso di pelo che sbavava sul suo cuscino. Un attimo, sul SUO cuscino? si affrettò a strapparlo dalle grinfie di Pegasus ma ormai era troppo tardi, il danno era fatto. Ringhiò esasperata lasciandosi ricadere  a peso morto sul materasso ad acqua.
“hai rifatto quel sogno bambina?” chiese premurosa l’anziana nonna Rose sedendosi accanto sua nipote ed accarezzandole una gamba. Per tutta risposta la ragazza su limitò a sospirare e annuire. Era la terza volta che quella settimana sognava quel  bacio e considerando che era mercoledì era preoccupante la cosa. “pegasus ha avuto un altro bacio del buongiorno allora!” rise Rose prendendosi gioco della ragazza
“ridi pure nonna, non sei tu che tutte le mattine ritrova il muso peloso e l’alito pestilenziale di quel cane inutile sulle labbra” rispose allora lei leggermente inacidita.
“cosa vuoi che sia Alexandra, io dormo con tuo nonno tutte le notti da quasi quarant’anni”
“nonna!!!” sbuffò Alex esasperata
“ok ok, so quanto ci tieni al tuo adorato nonnino, ma la notte una motosega poggiata sul cuscino affianco a me farebbe meno rumore” liquidò la questione la donna alzandosi e sistemandosi le pieghe del vestito, per poi uscire dalla camera. Tre secondi dopo urlò dalle scale che mancava un quarto d’ora all’arrivo dell’autobus.
Alex spalancò gli occhi e riemerse dallo stato comatoso del post-sonno, imprecando a bassa voce si catapultò in bagno per rendersi quanto meno presentabile.
dopo essersi fatta una doccia breve prese le prime cose utili che le si presentarono nell’armadio a muro di camera sua, un jeans scuro e stretto e una maglia di due taglie più grandi della sua, un ricordo della vecchia lei. Infilò un paio di amabili anfibi neri e ricoprì gli occhi con un abbondante strato di matita anch’essa nera, poi indossò i suoi inseparabili polsini borchiati che ricoprirono alla perfezione le due cicatrici bianche e in rilievo che aveva su entrambi i polsi.
Scese le scale di corsa rischiando di rompersi l’osso del collo almeno una decina di volte e urlando un a dopo si catapultò fuori di casa con lo zaino in spalla, correndo come una forsennata per arrivare in tempo a prendere l’autobus. Arrivò un secondo prima che le porte si chiudessero e dopo aver rivolto uno sguardo veloce al suo interno  trovò un posto vuoto affianco a un finestrino e vi si sedette.  La sua famiglia non era povera, affatto, era sicuramente abbastanza ricca da comprarle una machina o una limousine o un jet privato, forse, per andare a scuola, ma il problema era lei e i suoi genitori non avevano alcun rapporto da, più o meno, sempre. Per questo sfortunato motivo era costretta a prendere l’autobus di linea ogni mattina e puntualmente, ogni mattina, era in ritardo. La scuola distava da casa sua una mezz’oretta e lei passava tutto il tragitto in autobus con l’ipod e un libro letto e riletto così tante volte da saperne tutte le parole a memoria. Era inizio novembre, a Londra si moriva di freddo e Alex ringraziò tutti i santi del paradiso per aver preso un cappotto di lana uscendo da casa. Fuori pioveva, come al solito e lei si perse a seguire le goccioline che scivolavano sul vetro del finestrino, per questo motivo sobbalzò quando l’autobus si fermò davanti a scuola; sbuffò e scese precorrendo poi di corsa il grande cortile diretta verso l’ingresso dell’imponente edificio di mattoni rossi. Appena entrata un senso di nausea le riempì lo stomaco e si maledisse per non essersi trasferita con i suoi genitori a Madrid anche se, in effetti, non gliel’avevano mai proposto.
 In quella scuola non aveva nessuno, nessun amico, nessuno con cui parlare e nessuno con cui sedersi a mensa.  “cosa c’è Manson, oltre al peso hai perso anche il cervello?” sghignazzò una raggazza con un chilometro di ricrescita della quale in quel momento non si ricordava il nome. Si rese conto di essersi fermata in mezzo al corridoio a fissare il vuoto con uno sguardo vitreo e si morse la lingua per non mandare allegramente a quel paese la “bionda”. Ignorando le risatine e i sussurri dietro di lei camminò fino all’ armadietto dove prese il necessario per la prima ora di lezione  si recò a passo di marcia nell’aula di biologia. mentre la professoressa ciarlava di cose inutili come i cromosomi e la genetica la ragazza si perse a ricordare da quanto tempo non entrava in quell’aula. Erano passati più o meno sei mesi dall’ultima volta che era andata a scuola. I sei mesi più difficili della sua vita, e non che fino a quel momento fosse stata facile. Ora si sentiva persa, di nuovo, mentre la campanella spezzava il suo momento di riflessione, si sentiva come su una zattera alla deriva in un mare agitato e scuro, lontanissima da casa. Forse quella casa non ce l’aveva mai avuta.
“sono tornata!!!” urlò aprendo la porta e lasciando che un ondata di calore la investisse, finalmente dopo otto noiossissime ore di lezione di cui aveva seguito si e no una mezzoretta durante l’ora di inglese in si cui parlava di Shakespeare,  ma poi la voce monotona del signor Smith le aveva fatto perdere di interesse anche nel suo autore preferito. “ciao tesoro, come è andata a scuola oggi?” domandò suo nonno dalla cucina, sorrise e si avvicinò alla voce stampando un grosso bacio sulla guancia dell’anziano signore.
“il solito”
“hai mangiato?” domandò perentoria sua nonna comparendo all’improvviso con un cesto di panni puliti e stirati in mano
“certo” mentì sorridendo
“ne sei certa? Non mi stai dicendo una bugia vero? Perché ti vedo un po’ sciupata bambina”
“no nonna, non ti dico bugie e poi, che sciupata? sto benissimo… tranquilla” sorrise cercando di ignorare la vocina acida nella sua testa che le diceva di smetterla di mentire ai suoi nonni, infondo si preoccupavano della sua salute. Salita in camera fece la metà di quanto le era stato assegnato come compiti a casa e poi si perse a guardare fuori dalla finestra. Era spuntato un pallido sole che sembrava sul punto di morire, ma andava bene così, meglio della pioggia di quella mattina. Decise di uscire e di andare al parco per godersi quei pochi raggi malaticci e leggere un po’..
L’aria pungente le pizzicava il viso arrossandole le guance e il naso, il suo respiro si condensava in nuvolette che salivano lente per poi confondersi nel grigio del cielo e gli anfibi schiacciavano pozzanghere scure, c’era ancora odore di pioggia. Arrivata al parco vicino casa sua si sedette su una panchina scolorita e prese il libro per iniziare a leggere con le auricolare nelle orecchie. Rimase su quella panchina per un’oretta e lesse cento pagine del libro che aveva portato con sé e che, doveva ammettere, non era niente male, e mentre si accingeva a leggere la centounesima pagina una pallonata glielo fece volare dalle mani. Alzò lo sguardo infuriata e i suoi occhi rimasero intrappolati in due pozzi color cioccolato che la guardavano mortificati. Si tolse le auricolari giusto in tempo per sentire il proprietrio degli occhi, un ragazzo alto, con le spalle larghe e i capelli miele un po’ arruffati chiederle scusa per poi sorriderle “io e i miei amici stavamo giocando a calcio e non siamo riusciti a fermare la palla, mi dispiace” La ragazza spostò la sua attenzione sugli altri quattro che se ne stavano a fissare la scena da lontano, codardi. Li esaminò uno a uno: c’era un biondino con gli occhi colore del cielo che aveva le guance rosse e che aveva abbassato lo sguardo immediatamente dopo che lei lo aveva alzato, sembrava un bambino che si è reso conto di aver fatto una cazzata e che adesso ha paura di essere rimproverato, si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, non se la sarebbe presa con lui; un ragazzo con i capelli castano scuro, ricci, che gli coprivano un po’ la fronte e gli occhi verde smeraldo, sorrideva senza un minimo di imbarazzo mostrando al mondo le sue fossette, era il più alto di tutti e aveva le spalle un po’ spioventi ma era bellissimo e sicuramente il più sfrontato;poi c’era un ragazzo dagli occhi di un colore indefinito tra l’azzurro del cielo e il verde delle foglie appena nate, sembrava il colore del mare in tempesta, si… Proprio del mare in tempesta, che le fece un occhiolino, poteva qualcuo essere così deficiente? insomma, le avevano appena distrutto il libro e invece di mostrarsi anche solo un po’ dispiaciuto le faceva un occhilino?!? Non sarebbero mai andati d’accordo loro due, non che avesse voluto; e infine c’era un ragazzo che se ne stava un po’ indietro rispetto agli altri e che la fissava intensamente, aveva la pelle ambrata e i capelli castani scurissimi,  molto vicini al nero, tirati su in un ciuffo perfetto  e i suoi occhi erano caramello fuso, di un colore a metà tra il dorato e il castano chiarissimo, il colore del deserto, pensò. Rimase a fissarlo senza abbassare lo sguardo, “mi dispiace” mormorò lei ancora fissa un quegli occhi così profondi e limpidi ripetendo le paroloe che il castano eaveva appena detto.
“cosa?” il ragazzo davanti a lei si grattò una guancia imbarazzato
“ehm… mi dispiace ma dovevate stare più attenti, ora il mio libro è rovinato” disse, dopo essersi ripresa e aver riposato gli occhi in quelli dell’unico che aveva avuto il coraggio di parlarle, sembrava tenero e di sucuro non centrava niente con la pallonata, assunse un tono incazzato guardando il libro che era finito in una pozzanghera. lui seguì il suo sguardo e fece una smorfia strana guardando i resti del romanzo. Si chinò a raccoglierelo da una pozzanghera, ormai sgocciolava acqua sporca di fango.
“ehm” mormorò dispiaciuto “te lo ricompro” propose illuminandosi
“ma non dire cazzate!”  sbuffò Alex
“no, sono serio, te lo ricompro… dimmi dove te lo porto e te lo do domani, promesso!”
“senti non ho tempo da perdere” la ragazza prese l’ipod e si alzò dalla panchina rendendosi conto che era abbastanza tardi e che probabilmente sua nonna avrebbe dato in escandescenze se avesse saltato un’altra cena; fece per andarsene ma una mano la blocco prendendola per il polso. La mora spostò lo sguardo sul suo braccio come a volerlo incenerire con la vista e lui la lasciò immediatamente facendo un passo indietro e arrossendo. Che tenero… no, non tenero, che andava a pensare? doveva essere il freddo, si, sicuramente il freddo che le metteva in testa certi pensieri stupidi. Non lo conosceva.
“almeno dimmi come ti chiami” chiese timido
“perché dovrei?”sbottò acida “devo andare” e senza lasciargli il tempo di replicare ricominciò a camminare a passo di marcia verso casa senza voltarsi indietro.
“io sono Liam” sussurrò il ragazzo fissando le spalle della mora allontanarsi velocemente e con in mano ancora il libro gocciolante. Un braccio gli si poggiò sulla spalla “lascia stare amico, vedrai che non se l’è presa” disse rassicurante Niall che però non era convinto delle sue parole
“già…” poi si girò verso i quattro che gli si erano avvicinati “brutti dementi, mi avete fatto fare una figura di merda!!” esclamò rosso per l’imbarazzo e per la rabbia.
“ma sei tu quello delle scuse, noi facciamo i casini! Dai Daddy, non ci tenere il muso” affermò Louis con il labbruccio in fuori e sbattendo le ciglia, la tipica faccia da cucciolo, la usava sempre, tutti gli atri seguirono l’esempio del maggiore, facendo ridere  Liam. “smettetela deficienti, andiamo a casa che è meglio” si incamminò nella direzione opposta a quella presa dalla mora.
“carina la ragazza” disse Harry dopo qualche minuto di silenzio
“già, ma non è roba per te Styles” ribatté Liam
“e perché scusa?” sbottò irritato, se c’era una cosa che lo faceva incazzare era la gene che dava per scontato che non sarebbe riuscito a fare qualcosa.
“perché si è incantata a guardare Zayn per tre minuti buoni, le mancava solo la bava alla bocca” scoppiò a ridere Louis trascinando con sé Liam e Niall
“cosa?” sussurrò il diretto interessato
“ma sì, non dire che non te ne sei accorto?!” ribadì Liam. Zayn fissò il suo sguardo sull’asfalto e sorrise imbarazzato. Doveva ammettere che quella ragazza non era affatto male.
“buongiorno bambina” la saltò sua nonna con tono squillante la mattina seguente quando la vide apparire come uno zombie nella cucina ordinata di casa; l’unico pensiero di senso compiuto che si face strada nella mente di Alex, annebbiata dall’ultimo sogno che aveva fatto alle sei di mattina, quando finalmente era riuscita a prendere sonno, i quali protagonisti erano stati un paio di occhi dorati, delle fossette sfontate, un occhilino inappropriato, capelli biondi e spettinati e un sorriso imbarazzato, fu una domanda:  come faceva una donna di settant’anni ad essere così pimpante alle sette di mattina? sbiascicò un ciao appena accennato e si stravaccò sulla sedia guardando con odio la tazza di cereali che Rose le aveva messo davanti. Quella notte non era riuscita a dormire bene a causa di un maledetto gufo che aveva deciso di appollaiarsi sul ramo davanti alla sua finestra e che per tutta la notte aveva tenuto un interessante comizio per gli altri gufi, o forse per qualche altro animale; doveva ammettere di essersi persa tra il quarto uhu e il settimo e di non essere più riuscita a seguire l’importante discorso dopo. E sempre a causa di quel gufo aveva rimpianto di non avere con se il suo libro e conseguentemente maledetto quei cinque ragazzi.
“non hai scuola oggi?” le domandò suo nonno
“certo che ho scuola, che domande…”
“allora dovresti sbrigarti perché l’autobus arriva tra cinque minuti” spiegò l’anziano senza staccare gli occhi dal giornale che stava leggendo
“cazzo!” sbottò correndo sulle scale per lavarsi i denti. Non era normale che facesse ritardo anche se era sveglia praticamente da tutta la notte. Prese il suo zaino e mise i polsini dopo aver infilato gli anfibi neri e corse fuori di casa per riuscire a prendere l’autobus.
si sedette al solito posto ben schiacciata tra il finestrino e lo zaino che aveva poggiato sul sedile accanto al suo per  evitare spiacevoli vicini di posto come qualche anziana signora che cominciasse a blaterare dei suoi nipotini adorabili, oppure qualche ragazzino brufoloso e obeso che aveva l’alito pestilenziale e che voleva fare amicizia  parlando di cose inutili come il meteo o i videogame. Guardò fuori dal finestrino per tutto il tragitto, quel giorno fortunatamente non pioveva ma del sole non c’era traccia, pazienza, ci si doveva accontentare.
arrivata davanti all’imponente edificio sospirò e abbassò lo sguardo entrando e percorrendo velocemente il corridoio per arrivare al suo armadietto, urtò però qualcosa, o meglio qualcuno “scusami”  sussurrò senza però staccare lo sguado dalle sue scarpe, di colpo molto interessanti.
“perché non guardi dove vai Manson?” sibilò una voce talmente fastidiosa che sembrava che una martello pneumatico le stesse traforando i timpani. Alzò gli occhi carichi di rabbia e di odio e il suo primo istinto fu quello di prendere la testa bionda che si ritrovò davanti e sbatterla sul primo armadietto disponibile. “cos’è, hai perso la lingua?” chiese ancora quella specie di cheerleader. Tentò di dire qualcosa ma una mano le si posò sulla spalla, la mano dell’oca “il fatto che tu abbia perso peso non implica che tu adesso sia più carina. Eri sola prima e sarai sola per sempre balenottero” poi girandosi si allontanò sculettando.
balenottero, quanto faceva male quella parola, quante volte aveva cercato di dimenticarselo. Troppa gente l’aveva derisa, troppa gente l’aveva guardata morire giorno dopo giorno. Era vero, non aveva amici e sicuramente era abbastanza sola da quando l’unica persona che la capiva era partita, ma era l’ultimo anno di liceo e lei avrebbe tenuto duro. Doveva solo far passare quel periodo e poi sarebbe andata via.
le ore di lezione passarono uguali e monotone, come sempre d’altronde. Durante le lezione di filosofia riuscì persino a schiacciare un pisolino e subito si sentiva un po’ meglio. Era giovedì, questo voleva dire che il weekend si stava avvicinando, mancava solo un altro misero giorno di tortura. L’ultima campanella sembrò la sinfonia più bella dell’universo e si lasciò andare ad un sorriso appena accennato uscendo dal suo carcere personale. Non aveva voglia di tornare a casa ma non voleva nemmeno andare nel parco del suo quartiere anche per non rincontrare quei ragazzi che le volevano ricomprare il libro; non che credesse davvero che lo avrebbero fatto anche perché quale persona sana di mente fa una cosa del genere per una perfetta sconosciuta? Iniziò a vagare senza meta per le strade di Londra  fino a che non si ritrovò davanti ad un altro parco, molto più piccolo, dove tanti bambini giocavano sorvegliati dalle loro mamme; vi entrò e si sedette sull’erba umida sotto un albero e si perse ad osservare una scenetta strana che due bambine  stavano facendo con le loro bambole, sorrise involontariamente e poi chiuse gli occhi. Rimase in quella posizione per qualche minuto fin quando un colpo di tosse la fece tornare alla realtà. Lei si guardò intorno per vedere chi fosse e incontrò, di nuovo, un paio di occhi color cioccolato. Sbuffò contrariata. “ciao” disse lui allegro
“cos’è, mi pedinate tu e i tuoi amici?” indicò col mento gli altri tre che si stavano avvicinando
“eravamo da queste parti e ti abbiamo vista sotto l’albero e allora ho pensato di ridarti questo” e così dicendo le allungò una busta rossa che Alex guardò scettica “cos’è?” chiese senza prenderla
“il tuo libro, ci dispiace davvero” disse quello con gli occhi cielo e i capelli biondi. Lei inarcò un sopracciglio “ma vi drogate? Lo avete comprato davero?!” chiese poi incredula. Tutti e quattro scoppiarono a ridere “non ci sembrava  giusto lasciarti senza libro” spiegò mr ricci perfetti
“oh” fu tutto quello che lei fece uscire alla sua bocca, tornando a chiudere gli occhi
“ehm, allora te lo lasciamo qui?” chiese di nuovo quello dagli occhi cioccolato
“no”. I quattro ragazzi si guardarono spaesati attendendo qualche chiarimento che non arrivò. “allora dove?” domandò quello con gli occhi che sembravano un mare in tempesta
“non lo lasciate, semplice” aprì gli occhi di scatto fissandoli uno a uno “ora voi prendete il vostro libro e sparite”
“ma..” tentò il biondo
“niente ma, sparite” sibilò Alex innervosita. Sicuramente la stavano prendendo in giro, avevano saputo del suo passato, in una qualche maniera,avevano visto quanto schifo si portava dentro e volevano divertirsi un po’, come facevano tutti. Quella del libro era solo una scusa per poter iniziare a parlare e poi avrebbero sicuramente tirato fuori l’argomento della sua vita e poi avrebbero riso dandole della pazza, della balena, dell’anoressica, della suicida. Riaprì un occhio per guardarli andar via. il quinto dov’era finito? Il  ragazzo dalla pelle ambrata non c’era e uno stano senso di vuoto si impadronì dello stomaco della ragazza, Alex sbarrò gli occhi mettendosi una mano sulla pancia, no, non poteva sentire quel senso di vuoto, non lo conosceva nemmeno, doveva essere la fame.  Scosse la testa e richiuse gli occhi. Dopo un po’ sentì un vociare al suo fianco e si costrinse a voltare la testa per capire cosa fosse tutto quello starnazzare, ciò che vide non le fece piacere. Tre oche della sua scuola si stavano avvicinando a lei sghignazzando e parlando sicuramente di cose stupide come che vestito indossare ad una festa di cui lei, come al solito, non sapeva niente o che ragazzo farsi prima. Tentò di non farsi notare ma era troppo tardi, le tre arpie si fermarono appena la videro e sulle loro labbra si dipinse un sorriso bastardo. Le si avvicinarono con passo ancheggiante, attente a non rimanere incastrate con i loro stivali a tacco otto nel terreno umido, ma cosa ci trovavano di bello nel vestirsi da troie alzando la gonna della divisa al di sopra, molto al di spora, del ginocchio e slacciando la camicetta quasi fino all’ombellico? Alex non lo avrebbe mai capito. “Manson, che coincidenza, anche tu qui?” domandò Arper una delle tre
“già” sibilò evitando di darle retta e prendeno a frugare nella borsa in cerca di qualcosa che in quel momento non le serviva, ma almeno le evitava il contatto visivo
“ma sei tutta sola? Cos’è, nessuno ti vuole?” continuò poi lei. Alex si costrinse a serrare i denti e a non alzare lo sguardo; era sbagliato farsi sottomettere, ma quello che dicevano era vero in fin dei conti, e litigare per difendersi da una verità, per quanto dolorosa, ere stupido e poi non voleva altri problemi a scuola, ne aveva già fin troppi.
“certo che non la vuole nessuno Arper, chi vorrebbe per amica una ragazza acida e asociale” disse un'altra con tono squillante. Le tre scoppiarono a ridere mentre la crudeltà di quelle parole colpiva come uno schiaffo in faccia Alex che sentì mancarle il fiato e gli occhi inumidirsi. Mentre combatteva a testa bassa contro le lacrime un braccio le cinse le spalle e un sussurro le arrivò all’orecchio “lascia fare a noi” una voce calda e maschile, alzò lo sguardo e incontrò gli occhi verdi e profondi del riccio che le sorrideva rassicurante. “ciao piccola! Ecco dov’eri! Ti stavamo cercando dappertutto” disse il biondo rivolto ad Alex facendole l’occhiolino e sorridendole
“oh, ma sei in compagnia?” domandò poi quello con gli occhi cioccolato. Le tre arpie se ne stavano ammutolite a fissare la scena e quando i cinque ragazzi, si cinque, si era aggiunto anche quello con la pelle ambrata, alzarono lo sguardo su di loro sorrisero come se fino a quel momento fossero state a conversare tranquillamente con una loro amica, invece che a insultare un povera ragazza.
“eravamo venute a salutare la nostra cara compagna di classe” disse con tono sensuale quanto unghie che strisciano su una lavagna Arper
“oh, bè… io sono Louis, lui è Niall, lui Harry, poi Liam e infine Zayn” disse il ragazzo con il mare negli occhi indicando il biondo, il riccio, quello con gli occhi cioccolato e il ragazzo  dalla pelle ambrata. Ecco come si chiamavano.
“noi siamo Arper, Brittany, e Mercedes” si presentarono le tre streghe.
“sono tue amiche, piccola?” fece protettivo Zayn. Lo guardò, aveva un sorriso a illuminargli il volto ma gli occhi sembravano preoccupati.perchè si preoccupava per lei?
“certo che siamo sue amiche” si intromise Brittany
“avevo chiesto a lei, se non ti dispiace” spigò con tono glaciale lui
“bè…” iniziò Alex titubante
“noi andiamo, abbiamo un appuntamento importante. Ciao ragazzi e ciao Manson” se ne andarono sculettando da dove erano venute. Alex tirò un sospiro di sollievo. Perché lo avevano fatto? Soprattutto dopo come li aveva trattati... Il silenzio che era calato sul gruppo venne spezzato da Liam che si schiarì la voce “non dovresti permettergli di trattarti così” disse serio. La ragazza alzò lo sguardo ancora lucido e scrutò quelle facce una per una e nella sua mente una scritta lampeggiava a caratteri cubitali ma dalle sue labbra non uscì nulla del genere, solo uno sbuffo e poi, dopo essersi resa conto di riuscire a parlare senza che la voce le tremasse, rispose: “nessuno vi ha chiesto niente, anzi come vi è saltato in mente di immischiarvi? Queste cose non vi riguardano. Voi non mi conoscete!” nessuno la conosceva , continuò nella sua mente quel pensiero senza abbandonare l’aria da dura e ovviamente senza cedere alla tristezza, per quella ci sarebbe stato tempo una volta tornata a casa, al sicuro da sguardi carichi di pietà.
“noi volevamo solo aiutarti” sussurrò flebile Niall con gli occhi in un attimo più lucidi che però ritornarono normali subito dopo. era il più sensibile del gruppo e si era sentito ferito dalle parole pungenti che la ragazza gli aveva rivolto.
“bè, nessuno ve l’ha chiesto… potevo farcela da sola” lei ce la faceva sempre da sola.
“noi… scusaci, pensavamo fosse la cosa migliore da fare” disse Liam guardandola negli occhi, questa volta per niente dispiaciuto, Alex abbassò i suoi sentendoli bruciare… stava per cedere, non avrebbe retto ancora per molto. “devo andare” mormorò alzandosi e dando le spalle ai cinque
“almeno il tuo nome puoi dircelo!” le urlò dietro il riccio
“Alex mi chiamo Alex, ma voi non chiamatemi” gli rispose, alla fine se lo meritavano, almeno il suo nome potevano saperlo.
camminò a passo svelto e a occhi bassi per dieci minuti, fino alla fermata dell’autobus e attendese l’arrivo del mezzo pubblico fissando la sua attenzione in una foglia che galleggiava in una pozzanghera sul bordo del marciapiede “ei” una voce argentina la fece sobbalzare. Troppo presa nei suoi pensieri la mora non si era accorta dell’arrivo di Louis alle sue spalle, si voltò “tu che vuoi?” sibilò, più che una domanda sembrava una minaccia, ma il ragazzo non si fece intimorire, aveva intuito che dietro quella corazza dura come il marmo si nascondesse una ragazza insicura e sola. “hai dimenticato di prendere questa” le porse la busta rossa
“non ho dimenticato di prenderla, semplicemente non la voglio prendere”
“perché?”
“non ho bisogno di nessuna carità” urlò senza riuscire a trattenersi, Louis chinò lo sguardo sulle scarpe per un secondo poi lo rialzò “nessuno di noi vuole farti la carità” le rispose calmo “vogliamo ridarti ciò che ti abbiamo rovinato e magari se ce lo consenti, esserti amici”
“si, certo, non mi conoscete neanche, perché dovreste volermi essere amici?” sussurrò tra i denti “non la voglio quella busta” aggiunse poi
“se non la prendi dovremo buttarlo, nessuno di noi si può definire un accanito lettore di romanzi rosa” le sorrise allungandogliela di nuovo. La ragazza rimase a fissarla per un po’, fino all’arrivo dell’autobus poi l’afferro “oh al diavolo!”sbottò irritata “lo faccio solo per il rispetto che nutro verso la lettura, non per voi”
“ciao Alex” la salutò il ragazzo con un sorriso enorme prima che le porte si richiudessero in faccia ad una Alex innervosita ma grata a quei cinque che, senza saperlo, o forse sapendolo, la avevano salvata dalla ennesima umiliazione.
arrivara a casa salì in camera, distrutta dalla lunga giornata e dalla notte insonne. Dopo essersi struccata e aver indossato una maglia slabbrata come pigiama si sedette sul letto con la busta rossa, ancora chiusa, in grembo. La osservò per un lasso di tempo indefinito e poi si decise ad aprirla; ne tirò fuori il libro che era andato distrutto nella pozzanghera e lo aprì alla prima pagina. Sul frontespizio c’era scritto in una calligrafia ordinata e precisa “siamo dispiaciuti per il tuo ormai defunto libro. Sperando che tu ci possa perdonare, cara anonima.
Liam, Harry, Louis, Zayn e Niall.”  La ragazza si lasciò sfuggire una risatina bassa e aprì il libro. Lo sfogliò velocemente e cadde un bigliettino con una serie di cifre scritte sopra, sembrava un numero di telefono. La curiosità si impadronì di lei e prese il suo cellulare componendo veloce il numero, premette il tasto verde e inoltrò la chiamata. Al terzo squillo una voce squillante rispose “pronto?”
“ah è il tuo numero” esordì la ragazza mal celando un  sorriso
“già!” Louis rimase in silenzio per un po’ e poi capì “Alex? Non pensavo avresti mai chiamato” disse urlando
“neanche io pensavo che l’avrei fatto ma volevo vedere chi di voi cinque cretini aveva lasciato il suo numero di telefono nel libro” disse fintamente scocciata
“in realtà lo volevamo lasciare tutti e cinque però abbiamo fatto a sorteggio e ho vinto io!” spiegò il ragazzo che nonostante il tono ostile della mora non riusciva a non essere felice della chiamata ricevuta
“bene, assodato questo volevo ringraziarvi per quello che avete fatto ma preferirei non incontrarvi di nuovo in un parco domani.”
“perché? Siamo così poco sopportabili? Ti stiamo antipatici?”
“non è questo, solo che mi farete venire la fobia dei parchi!”
“la fobia dei parchi?” chiese il ragazzo confuso
“si, la paura irrazionale di entrare in un parco e rivedere le vostre facce sorridenti. Che poi, ho un dubbio… perché sorridete sempre? È da stupidi!”
Louis scoppiò in una fragorosa risata “bunanotte Alex”
“si si come vuoi” e gli attaccò il telefono in faccia. Il ragazzo rimase a fissare l’apparecchio muto con un mezzo sorriso sulle labbra e poi si rimise a letto ripensando a quella ragazza così fragile come un pezzo di cristallo finissimo ma con l’aspetto di una leonessa. 





SPAZIO AUTRICE
buonsalve a tutti!!
allora, questa è la prima fanfiction che pubblico. mi auguro che qualcuno la legga e che possa piacere, se non succederà fa niente. mi sono divertita un mondo a scriverla, quindi va bene così. se qualcuno dovesse leggerla e volesse lasciare una recensioncina, anche ina ina va benissimo, ne sarei davvero felice. il primo capitolo, cioè questo, già non mi convince. e che cazzo la pubblichi? mi chiederete voi. eh, bo, minchia ne so. comunque ho scritto anche dei capitoli carini, ma verranno un pò dopo... quindi magari, se iniziate a leggerla, non lasciatela ai primi tre capitoli, grazie. 
 un bacio         Sofi
  
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