Rugiada
Plin.
Una
goccia, niente altro che una goccia.
Plin.
Cadeva
inerme sulla foglia, incessante, sgorgando dalla campanula sopra d’essa.
Plin.
La
rugiada di quella notte aveva fatto il suo lavoro, come da secoli, millenni,
perfino da ere faceva.
Una
goccia per volta, pian piano, ogni mattina rinfrescava la piccola foglia che il
fiore portava sotto di sé. Anche nell’inverno gelido, la brina, al contatto
con esso, si scioglieva, mutandosi in gocce tiepide. E naturalmente, ogni goccia
racchiudeva infinite storie, infiniti racconti, infiniti avvenimenti che aveva
visto scorrere di fronte a sé, mentre cadeva.
Un
fiore, con la sua goccia, può significare molto più di quel che sembra, nel
suo piccolo, e può avere molto da raccontare.
Soprattutto
quando la sua corolla è tanto particolare da essere vista con gran rispetto
dagli spiriti della natura: Ninfe, Fate, Folletti, Gnomi, ed altri ancora di cui
or si sono persi i nomi; tutti legati incondizionatamente a quella Madre comune,
che aveva loro donato un fiore di tale rara bellezza; Sacro Stelo era da loro
chiamato.
I
suoi petali riflettevano i raggi del sole che filtravano in quella radura, verde
posto ove dimorava e veniva visitato dalle Creature del Bosco. Ogni raggio di
luce risplendeva sulla sua corolla, colorandola dei colori più vivaci e sereni,
che poi custodiva in sé, per i giorni in cui il sole non c’era o per le notti
senza Luna.
Un
bene prezioso per tutti gli abitanti di quel loco, le cui storie conosceva a
menadito, dal più venerando al più giovane. Le cose andavano splendidamente, e
sempre ordinariamente, di giorno in giorno.
Finché,
un dì, non accadde un fatto insolito.
Le
gocce di rugiada che scendevano dai petali del Sacro Stelo da qualche tempo non
facevano altro che raddensarsi sulla sua foglia, invece di scorrere al suolo
verso le radici, come da sempre facevano.
Preoccupati,
i saggi eruditi delle Razze decisero di riunirsi attorno ad esso, nel timore che
non ricevendo più la rugiada che lo dissetava e gli permetteva di sopravvivere
tanto a lungo.
Ma
proprio mentre tergiversavano sul da farsi, discutendo tra loro, un leggero
brillio proveniente dalla foglia del Fiore suscitò la loro attenzione: le gocce
che si erano lì condensate, ora, stavano prendendo una forma vera e propria,
simile a quella di un essere vivente come loro, con due gambe e due braccia,
orecchie piccole leggermente a punta, un volto di indefinita profondità, due
riflessi incastonati in esso come chiarissime iridi; una piccola, delicata
figura femminile.
Non
poteva essere certo una Creatura di quali se n’erano viste, anche se era nata
da un organo di Natura. Qualcuno avrebbe osato dire che aveva sembianze più
umane che eteree come quelle degli Spiriti dei Boschi, ma sarebbe stato nel
torto.
Eppure,
era reale, non v’era dubbio. Come era vero che si mosse dalla foglia,
rivolgendo un suo sguardo a coloro che tentavano di capire qualcosa di più
sulle stranezze della Pianta sua Madre.
Ed
ecco, le gocce ripresero ad oscillare sul lembo della foglia del Fiore, e a
cadere normalmente, dissipandone la sete.
La
creatura fu allevata come una bimba normale, seppure con maggior riguardo, in
quanto era nata dall’acqua della rugiada e quindi non solo figlia del Sacro
Stelo, ma anche di consistenza fragile.
I
piccoli delle razze la osservavano spesso, curiosi di sapere cosa fosse davvero
quella piccola; era gentile e bella, e suscitava nelle persone che la
circondavano un senso di benessere e serenità che li faceva sentire in pace.
Fu
nel crescerla che gli Anziani si resero conto che non era stato casuale
l’operato del Fiore: esso aveva voluto mandar loro un dono per la cura e la
dedizione con cui lo onoravano ogni giorno.
Col
passare del tempo, la Bimba cresceva, diventando sempre più simile alle razze
che la circondavano, sempre più concreta, e desiderava potersi muovere per i
Boschi liberamente, così da apprezzare meglio la Natura che le aveva dato così
generosamente vita.
Passeggiava,
accompagnata da un tutore, per i sentieri erbosi, per le radure limpide,
soffermandosi spesso in quella del Sacro Stelo.
Ma
ogni volta che tornava alle sue dimore, l’espressione diventava sempre più
mogia e abbattuta, iniziando a destare l’attenzione di coloro che
l’accudivano.
Dopo
molti tentativi di parlarle, di capire, nonostante le mancasse l’uso della
parola, cosa ci fosse che non andava, finalmente compresero che le mancava una
cosa piccola, ma essenziale ad ogni bambino: il gioco. Il divertimento semplice,
dei Piccoli compagni di gioco, lo svago. Cose che lei quando andava a
passeggiare notava sempre negli altri piccoli, passando di fronte alle dimore
nascoste ed ai loro spazi gioco preferiti: l’ombra degli arbusti, i rami più
bassi, le rive dei torrenti.
Ed
ogni volta, la osservavano con curiosità, senza poterla avvicinare.
Poco
tempo dopo, i suoi tutori discussero con gli Anziani per trovare una soluzione,
e con loro concordarono che ella sarebbe stata libera di svagarsi per almeno metà
di ciascun meriggio, tranne che in quelli di cattivo tempo.
La gioia della bimba al sapere questa notizia sfavillava dai suoi occhi cristallini, ridonandole spirito vitale. Il giorno dopo la lasciarono correre via per la prima volta, con i piccoli che non credevano nemmeno di esserle vicino, e che l’accompagnarono a vedere i loro nascondigli, molto più affascinanti di qualunque altro posto in cui fosse stata.
E
la portarono anche sulle rive del fiume, dove avrebbero potuto giocare
tranquillamente.
Le
insegnarono diversi giochi, tanti con la palla, tanti anche solo con canti e
danze e corse.
Mentre
si lanciavano una palla in cerchio, vicini ai sassi della riva, sotto i raggi
del sole, un bimbo Fatho appoggiò male il piede su una roccia, e cadde nel
ruscello. Annaspando, riuscì a malapena a tornare in superficie, ma la corrente
lo stava trascinando via in fretta.
Un
attimo, in cui la Bimba di Rugiada si lanciò dietro di lui. Un attimo quello in
cui non la videro più tornare a galla. Il piccolo Fatho però veniva trascinato
da una seconda corrente sempre più vicino alla riva, che lo traeva in salvo,
fino a condurlo ad una roccia abbastanza asciutta perché non vi scivolasse e
fosse tolto dall’Acqua. Due braccia lo sospinsero fuori dai flutti, quelle
della bimba.
Ma
non era più di consistenza solida. Ora infatti era tutt’uno con l’Elemento
da cui era stata creata.
Un
ultimo sguardo da quei due occhi di cristallo, che ancora si distinguevano
nonostante tutto, prima che svanisse del tutto, unendosi alle onde del ruscello.
Alla
notizia dell’accaduto, le Creature si spaventarono all’inizio, e pregarono
di fronte al Sacro Stelo perché restituisse loro salva la piccola.
Ma
oramai, non era possibile fare nulla, e questo purtroppo gli Anziani lo avevano
compreso: da Acqua era nata, e ad Acqua era tornata. Prima o poi, sarebbe in
ogni caso successo, o con i flutti, o con le piogge.
Era
solo questione di tempo.
Il
tempo di creare nuove gocce, il tempo di un’ennesima notte tiepida.
Questo
raccontano i Petali del Fiore.
Questo
il ricordo del loro unico frutto.
Plin.
Rugiada.
Plin.
Vita.
Vabè.. è un po' diversa dalle cose che si vedono normalmente qua ^^'
Diciamo
che era una fantasia sbucata fuori dal nulla, ok?? XD
Semplicemente avevo voglia di mettermi ad inventare qualcosa, ed ecco qua. Come
già pronta.
Riuscissi a fare così con tutto, ora sarei già chissà dove!
Spero che vi sia piaciuta ^^ Baci!