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Autore: Ryo13    13/01/2013    3 recensioni
Storia della follia a cui può spingere l'amore, narrata nella forma di un racconto. Adam e Amelia non possono vivere l'uno senza l'altro, ma questo li spingerà ad intraprendere un cammino oscuro, che rompe i limiti della vita, della morte, della morale.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
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Con la speranza che vi piaccia e che alimenti ancora la vostra curiosità sugli eventi, oltre a darvi qualche piccola risposta :secsi: eheh
Avviso per tutti: Da ora i toni diventano di nuovo un po' cupi ù.ù Abbiate pazienza e stringete i denti... e ricordate: non sono io a essere sadica è la storia che lo esige! :lite:
Grazie infinite a chi legge questa storia! <3


 

Capitolo08_zps2a45ec77

 

Adam cominciò ad attaccare degli elettrodi sulla fronte di Amelia e sui polsi, le caviglie e sopra il cuore. Alcuni monitoravano la sua frequenza cardiaca, tracciandone gli alti e bassi in una serie infinita intervallata da ‘bip’ non sempre regolari, mentre altri tracciavano la sua attività cerebrale.
Dopo qualche minuto, la ragazza si rilassò perché comprese che non si trattava di nulla di doloroso: si era aspettata di peggio.
«Cosa devo fare?» chiese incuriosita. Adam guardava gli schermi e schiacciava, ogni tanto, qualche tasto del computer, fermandone le immagini e archiviandole.
«In questo momento nulla. Stai solo ferma.» Continuò nel suo lavoro nel completo silenzio.
Amelia si distrasse, pensando a quanto fosse assurda quella situazione.
“I miei compagni di classe mi prenderebbero in giro se sapessero che mio padre fa dei test su di me!”
Doveva sembrare una cosa abbastanza strana e fuori dal normale: dopotutto Amelia non aveva mai sofferto di alcuna malattia, quindi non c’era affatto motivo per tutte quelle analisi. Ma del resto, suo padre era uno scienziato molto intelligente: gli si poteva far passare qualche stranezza.
Chissà, forse lui si aspettava un medesimo potenziale anche in lei ed era deciso a scoprirlo? Ma Amelia non si era mai sentita in nessun modo speciale, anzi, era molto ordinaria come ragazza, se si escludeva il suo aspetto fisico piuttosto esile, la pelle quasi diafana e i capelli rossi, di una tonalità piuttosto rara da trovare. Ma quanto alle sue doti intellettuali… ebbene, non si riteneva al di sopra della media. Non era una stupida, certo, e avendo avuto un genitore colto come Adam, era praticamente impossibile non conoscere certe nozioni specialistiche sconosciute alla maggior parte dei suoi coetanei.
Adam, poi, l’aveva sempre incoraggiata a interessarsi alla scienza, alla matematica e alle discipline scientifiche in generale. Lei, però, non aveva proprio l’interesse per certe cose; al contrario, apprezzava l’arte e la letteratura e l’unico luogo dove si sentiva capita era a scuola. I suoi insegnanti di quelle discipline, l’avevano sempre incoraggiata a sviluppare i suoi talenti artistici e l’avevano edotta sui libri più importanti e interessanti.
Adam era sempre stato un buon padre, premuroso e attento, tuttavia sembrava quasi che per lui fosse impossibile comprendere la bellezza che poteva ispirare un dipinto o una scultura di marmo, l’emozione che suscitava un libro e la traccia che ti lasciava dentro anche quanto lo si era finito di leggere. A volte, da quel punto di vista, non sembravano nemmeno parenti!
«Bene, i parametri sono ottimali!» esclamò Adam.
«Veramente? Ho un bel cervello?» scherzò Amelia, più tranquilla.
«La tua materia grigia è come deve essere. Le tue risposte sono sulla norma… penso che possiamo procedere.» rispose serio.
Amelia non ci fece caso, c’era abituata.
«Procedere come? Ora che devo fare?»
«Voltati a pancia sotto.»
La ragazza ubbidì prontamente.
Adam le spostò i capelli da un lato e li legò con un elastico per impedir loro di mettersi in mezzo. Poi trafficò con degli strumenti e verso la fine, Amelia si accorse di cosa teneva in mano…
«Una siringa!!! No, Adam... no! Dove vuoi piantarmela?!» si allarmò, divincolandosi.
Lui la tenne ferma, bloccata sulla lettiga e rispose: «Stai tranquilla, durerà solo un momento. Ora sta’ ferma, se no potrei farti più male del necessario.»
Amelia non era molto convinta ma fece come le veniva detto. Chiuse gli occhi mentre contava i battiti frenetici del suo cuore e attendeva in una tensione venata di paura, che la pungesse al collo, dove aveva appena sentito passare il disinfettante.
Pochi altri momenti e sentii pungere e poi un bruciore. Trattenne le lacrime la le sfuggì un singhiozzo angosciato.
«Tranquilla, tranquilla, sta per finire…» la calmava intanto la voce bassa di Adam.
Poi sentì estrarre l’ago e a poco a poco il bruciore diminuire. «Hai finito?»
«No. Non ancora.»
Lo sentì armeggiare con qualche attrezzo. Non vedeva nulla perché continuava a tenere gli occhi chiusi quasi nella convinzione che se non vedesse, allora non avrebbe avuto paura.
Si percepì toccare la zona offesa e… non sentì nulla: l’aveva anestetizzata.
«A-adam… che… che stai facendo?»
«Aspetta ancora qualche attimo, per piacere.»
Fulmineamente, le aprì una piccola ferita e inserì al suo interno qualcosa, controllò con un’occhiata lo schermo del computer e, quando fu soddisfatto, la ricucì con pochi punti. Era successo tutto troppo velocemente perché Amelia avesse avuto il tempo di capire o di farsi e fare delle domande.
Era attonita: cosa mai le aveva messo in corpo? E perché ancora non le spiegava nulla? Aveva promesso che avrebbe dato una risposta a ogni sua domanda!
Cominciava sul serio ad arrabbiarsi con lui! L’aveva manomessa senza nemmeno chiederle il permesso! Questo era davvero troppo!
«Adam! Spiegami subito cosa diavolo stai combinando! Non mi avevi detto che… che avresti dovuto tagliarmi! Hai superato il limite questa volta…!»
«Andava fatto.» rispose semplicemente questi, facendo irritare ancora di più la ragazza.
«Senza chiedermi un parere?! Il corpo è mio e fino a prova contraria, dovrei decidere io cosa farne!»
«Il corpo non ti appartiene, così come non ti appartiene la tua vita.»
«Ma che vuoi dire!?!» sbottò frustrata.
«Guarda che se è tutto un giro per dirmi che potrò decidere da me solo quando avrò diciotto anni, sappi allora che…»
«Non mi riferivo a questo. È indipendente dalla tua età.» le spiegò prima che concludesse il suo pensiero o la sua intimidazione, che dir si voglia.
«Ma allora di che parli? La vita e il corpo non sono miei? Tu…»
«Esatto.»
«E perché, sentiamo?» sbuffò e si mise a braccia conserte in atteggiamento di sfida. Adam non vi badò.
«Perché appartengono a me.» disse con tutta la calma e la semplicità di una constatazione così ovvia, che era quasi ridicolo stare a discuterne.
Amelia boccheggiò senza riuscire a proferire parola. Poi scoppiò in una risata argentina, abbandonando del tutto la rabbia.
«Ahahah! Adam, non sono più una bambina! Sai, ho superato la fase in cui volevo sposare il mio papà! E non occorre che drammatizzi in questo modo… mi hai fatta veramente arrabbiare, non avevi il diritto di farmi una… un’operazione senza il mio consenso! Che poi, cosa cavolo mi hai infilato dentro? Mi prude…»
Allungò una mano a toccarsi la zona protetta da una garza.
«Ferma, non toccarla. Altrimenti si cicatrizza male.» le allontanò prontamente la mano. «E per rispondere alla tua affermazione: certo che ne avevo il diritto. Te l’ho detto, tu mi appartieni.»
Amelia perse parte del suo sorriso e si adombrò.
«Papà non è divertente questo scherzo.» si lamentò.
«Io non sto scherzando, Amelia.»
All’improvviso la ragazza avvertì correrle sulla schiena un brivido di sudore freddo che la scosse in tutto il corpo. Possibile che non scherzasse? Che fosse serio?
Lo osservò per un lungo minuto, lei seduta sulla lettiga, lui in piedi di fronte a lei. Nessuno dei due proferì parola. Lei era sempre più ansiosa e cominciava a turbarsi, Adam semplicemente stava lì, fermo immobile, in attesa che Amelia parlasse o capisse: non sembrava comprendere la spaventosità delle parole che aveva detto. Sembrava del tutto ignaro dell’effetto che stava avendo su di lei. Però, in fondo, tanto ignaro non era poiché le chiese:
«Perché tremi? Di cosa hai paura?»
«Mi… mi fanno paura le… le parole che hai detto. Dimmi che non sei serio, per favore.»
«Al contrario. Sono serissimo.»
Un’altra lunga occhiata.
«Tu sei mio padre.» proruppe Amelia, come se quelle parole potessero fermare qualunque cosa stesse succedendo tra di loro.
«Tu sei mio padre!» ripeté con una punta di disperazione.
«No, non lo sono. E tu sai che è come dico.» disse.
«Ma… ma…»
Amelia tacque, sempre più confusa e in preda a cupe emozioni. Era vero che Adam le aveva insegnato a non chiamarlo “papà”, ma lei aveva sempre pensato che non gradisse molto essere chiamato il quel modo. Chissà, forse per fare il padre “moderno”, amico dei propri figli… certo, se ci pensava era un’idea piuttosto ridicola, ma lei vi aveva sempre pensato con affetto, come a un tratto caratteristico del suo “papà”: solo lei, tra tutti i bambini, aveva il privilegio di chiamarlo per nome… come se fossero sullo stesso piano, padre e figlia. Ora, riflettendoci, non sapeva più se questo ragionamento fosse nato più per la delusione di non poter appellare come “papà” qualcuno, come facevano i suoi amici, che da reale convincimento.
Ripensò al fatto bizzarro delle sue parentele, del fatto che non avesse nessuno a parte Adam e non sapesse quasi nulla di chi era stata sua madre o i parenti di lei. Ripensò alla sensazione di sentirsi estranea nella propria casa, quando invece avrebbe dovuto sentirsi al proprio posto e al sicuro; la paura, l’agitazione dell’attesa del grande “avvenimento”...
Possibile che la grande scoperta sarebbe stata questa? Che lei non era figlia di Adam? Che fosse stata adottata o qualcosa di simile?
Le girò la testa e inspirò, più profondamente possibile, un po’ d’aria senza che però ciò l’aiutasse a riprendersi o a fare chiarezza nelle sue emozioni.
Ora che ci pensava… che significava poi quell’assurda operazione che aveva appena subìto?
«Io… che cosa mi hai fatto?»
«Ho installato un micro sensore che in questo momento si sta sincronizzando con i tuoi impulsi nervosi e con le onde cerebrali. In pochi minuti sarà funzionante.»
«Che… che cosa?!» boccheggiò atterrita Amelia, nonostante non capisse pienamente il significato di quanto le era stato detto. Sapeva soltanto che, a questo punto, doveva aver terrore di tutto!
«E… e che dovrebbe fare questo coso?»
«Una volta che la connessione sarà avvenuta, potrà lavorare in input e output.»
«Output? Che significa…?»
«Che posso registrare su una memoria esterna i collegamenti del tuo cervello, la tua “traccia” e quelli che definisci come “ricordi”.»
Sgranò gli occhi, incredula. «Ma è quella tecnologia che usano impiantare agli OC¹ per trasferirla poi a un drone! Perché mi hai sottoposta a una cosa del genere?! Io non voglio che i miei ricordi siano… “copiati”! È assurdo, e io sono contraria! Si tratta di cose personali…!»
«Non sarà necessario occuparsi degli output. Ho già la mia memoria originale con cui lavorare.»
«Allora non capisco… a che ti serve…?»
«Quello per cui mi sarà utile, sono piuttosto gli input.»
Di nuovo Amelia ebbe paura, si agitò sulla lettiga e allungò ancora una volta la mano verso la base del collo, ricordandosi, tuttavia, di non toccare la ferita, anche se lo fece più per una sorta di disgusto che per l’ammonimento di Adam.
«Gli input? Vuoi dire che…?» la voce le si spense, troppo atterrita dal pensiero che aveva concepito.
«Invece di raccogliere i dati dal tuo cervello, noi ce li metteremo.» spiegò freddo e asettico l’uomo che quasi non riconosceva più. Le pareva di vivere un incubo!
Cominciò ad ansimare sempre più freneticamente, il cuore le andava a mille a sentì la pressione salire fino alle stelle. Tremò, le mani agitate davanti a lei, senza riuscire a toccarsi il collo per strapparsi la benda: aveva troppo orrore dell’impianto dentro al suo corpo.
«Toglilo! Toglilo! Non lo voglio! Aiuto… Aiuto! Non voglio! Toglimelo subito! Subito!» cominciò a urlare in preda a una crisi isterica. «Non voglio che mi tocchi il cervello! Non voglio che mi si scombussolino i… i ricordi! I-io… non voglio nozioni che non ho imparato studiando! Toglimi questa cosa! Toglimela subito! Toglila!»
Adam che assistette a questo sfogo non comprese il suo terrore e definitivamente la mise a tacere.
«Vedrai che non farà male… forse solo un po’ all’inizio. Ma poi ti abituerai e passerà presto. Stai calma, stai calma…»
Cercava di abbracciarla e carezzarle i capelli, ma Amelia era ancora troppo scossa per accettare di rimanere immobilizzata tra le braccia di chiunque: sentiva di non riuscire a respirare bene, come se le mancasse l’aria o non ne entrasse mai abbastanza nei polmoni. In questo momento, era meno che mai disposta a fidarsi di Adam, dopo quello che le aveva fatto.
«Perché l’hai fatto?! Perché?!!» gridava e piangeva spaventata come una bambina. Ora singhiozzava senza più freni.
«Che cosa… che cosa vuoi mettermi nel cervello?!» chiese infine, e questa volta, si fermò abbastanza da farsi dare una risposta coerente.
«Ti mancano. Mancano i ricordi…» disse Adam.
«Che ricordi? Di cosa parli?» sbottò spazientita lei, quasi aveva voglia di ferirlo col suo orrendo bisturi.
«I ricordi di Amelia. Ti mancano i ricordi di Amelia.»
«Sono IO Amelia, si può sapere cosa stai farneticando?! Ce li ho già i MIEI ricordi!»
«No, non ancora. Ma presto lo sarai… sarai davvero lei. La mia Amelia.»
La ragazza, incerta sulle proprie gambe, scese dalla brandina e si allontanò più in fretta che poté da quell’uomo. Non gli diede mai le spalle.
«A-Adam… di che stai parlando? Io… sono io Amelia. Non ho bisogno di altri ricordi che me lo confermino.»
«Tu hai quasi le sue stesse fattezze fisiche, ma non sei ancora la mia Amelia. Ti mancano i ricordi per capire chi sei: per comprendere chi tu sia per me e chi io sia per te. E poi saremo di nuovo assieme, questa volta per sempre. E non ci separerà mai più nessuno.»
«Tu… tu sei pazzo! Dimmi che tutto questo è uno scherzo!»
«È la verità. Io non mento.»
Amelia gemette e si passò una mano sulla fronte. Si scosto i capelli dal volto e dagli occhi le scorsero altre lacrime di dolore.
«Non capisco… perché mi hai fatto questo?» mormorò chiudendo gli occhi e sperando quasi che si trattasse solo di un brutto incubo. Ma quando li riaprì trovò Adam nella stessa posizione, erano ancora nel medesimo laboratorio. Tutto quello era tragicamente reale.
«Il processo è quasi avviato. Presto capirai.»
La ragazza non ebbe il tempo di replicare che un’improvvisa forte fitta la colpì alla testa. Barcollò in precario equilibrio.
«C-che cosa…?» Ma non concluse la domanda. La prima ondata di ricordi le si riversò nella mente e ciò la scombussolò così tanto che svenne e cadde per terra.
Adam allora le si avvicinò e la raccolse, mettendosela in braccio. Lasciò il laboratorio, trasportò la fragile ragazza su per le scale e la stese sul proprio letto. Con dita leggere, le aggiustò le ciocche ribelli e gliele mise ai lati delle orecchie, liberando il volto alla sua vista.
Si chinò a baciarla su una guancia ancora umida delle sue lacrime.
«Non avere paura, Amelia. Presto saremo di nuovo insieme, com’è giusto che sia.»

 

[Continua...]



_____________________
¹ OC sta per “Original Copy”. La tecnologia introdotta da Amelia è stata nel frattempo sviluppata e questo termine è nato per indicare le “Copie Originali”, ovvero coloro i quali si prestano alla scienza per registrarne i comportamenti e i ricordi che verranno poi introdotti nel sistema computerizzato di base dei nuovi androidi.
   
 
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