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Autore: Cialy    02/08/2007    5 recensioni
È come un gioco, tutto questo. Un gioco intrapreso da qualche anno, da quando sono giunti ad Hogwarts, probabilmente, e si sono resi conto che nessuno dei due può sottostare all’altro, che sono troppo simili e troppo arroganti e troppo viziati perché uno dei due si riduca a leccapiedi alla stessa stregua di Tiger o Goyle.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Theodore Nott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi della storia non mi appartengono. Sono di proprietà di J.K.Rowling, per tanto completamente frutto di fantasia, e vengono da me utilizzati non a scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.
 

Attenzione: Pre-Slash, Linguaggio

Doverose note iniziali:

La scena del cortile di Malfoy Manor tagliata dalla Rowling e da me personalmente rivista e interpretata come pre-slash. Era da tanto che volevo scriverla e, ora che l’ho fatto, con non poca difficoltà, mi sento soddisfatta.

È ambientata all’inizio del quarto libro e poco prima che cominci il quarto anno, durante l’estate. Theo e Draco hanno quattordici anni e Theo fuma, sì. Probabilmente questo non è adatto all’ambientazione, all’età e all’essere maghi, eccetera, eccetera, ma era necessario che lo facesse. Questo Theo è un po’ diverso dal solito che descrivo e la sigaretta che stringe tra le dita, senza dubbio, è stata necessaria a completare questa immagine. Il risultato non sarebbe stato tanto soddisfacente per me, altrimenti. Perdonatemi questa piccola libertà, quindi.

Grazie, grazie, grazie a ZuccheroAmaro e Changingroom per averla betata, per il titolo, per l’incoraggiamento, per aver ascoltato i miei deliri su Theo e per la vostra presenza. Vi adoro, tantissimo. E mi mancherete da domani *sigh*.

Altre due piccole parole sul titolo: suggerito da Changingroom, significa Lo specchio differente ed è perfetto, anche se non sembra. Per me è perfetto.

 

 

 

 

 

 

Le miroir étranger

 

 

Il giardino di Malfoy Manor potrebbe essere paragonato ai più intricati labirinti della mitologia classica babbana. Le tipiche pareti di pietra sono sostituite da alte siepi di un verde brillante e gli intricati disegni dei pavimenti cedono il posto ad aiuole di fiori rari, tinti di rosso, giallo, bianco. La passione per le decorazioni di Narcissa ha trovato piena applicazione nel cortile che circonda il Maniero e qualsiasi sprovveduto visitatore si perderebbe senza un’efficiente guida.

Ma non Theodore.

Lui sa perfettamente dove andare, perché sa perfettamente dove trovare Draco.

 

Si dirige verso quella panchina in marmo bianco, sotto il salice che svetta nei pressi del muro di cinta posteriore, che in tempi più lieti e innocenti, è stata parte fondamentale dei loro giochi. Theodore, con un sorriso appena accennato, ricorda le corse sulla scopa giocando a raggiungerla per primi, ricorda che, spesso, quel marmo bianco era stato la base dei loro fortini e, persino, di quella volta che, salendo sulla panchina, erano riusciti ad arrampicarsi sul salice, celandosi alla vista dei rispettivi genitori per due ore buone.

 

Trovarlo esattamente dove e come lo aveva immaginato gli dilata lo stomaco dal piacere e trascina sulle sue labbra un altro sorriso che, però, si affretta a far scomparire.

Si sofferma ad osservare, per un momento, la curva della schiena di Draco, la sua camicia bianca e leggera, che finisce con l’intonarsi perfettamente al paesaggio circostante, i capelli, di poco più lunghi rispetto all’ultima volta che si sono visti, fermati dietro l’orecchio sinistro e le mani, pallide e magre, strette attorno alla copertina di un libro, su cui, anche se non può ancora vederli, Theodore sa essere fissi i suoi occhi.

Si avvicina silenziosamente alla panchina e vi si lascia cadere a cavalcioni con un leggero sbuffo a cui è affidato il compito di attirare l’attenzione. Ma ciò non accade e gli occhi di Draco restano fissi sul libro, senza dargli alcuna soddisfazione.

Theodore non demorde. Sposta il peso del corpo all’indietro e si puntella sulla mani, fissando i suoi occhi scuri sul profilo dell’altro con un mezzo sorrisetto di scherno stampato sul volto. Attende.

Ancora nulla.

La sua mano, allora, scivola nella tasca dei pantaloni e ne estrae un piccolo pacchetto di cartone rettangolare, insieme ad un accendino di ottone rubato dalla collezione di famiglia. Ostenta perfetta noncuranza e naturalezza, ma, in realtà, non perde di vista nemmeno per un attimo l’espressione di Draco. Nota, infatti, la leggera contrazione del suo sopracciglio nel momento in cui, dalla piccola scatoletta, tira fuori un cilindro di carta bianco e se lo porta alle labbra.

 

Draco cede definitivamente quando l’accendino scatta e la fiamma incendia l’estremità della sigaretta. Si volta con un movimento improvviso – il libro finisce con un tonfo sul selciato – e il suo sopracciglio sinistro quasi raggiunge l’attaccatura dei capelli, tanto si solleva.

“Cosa diavolo stai facendo?” sbraita verso Theodore.

Lui, per tutta risposta, allontana la sigaretta dalle labbra e soffia fuori il fumo, “Ciao Draco.”

“Nott. I tuoi metodi di distrazione stanno diventando sempre più patetici,” brontola, chinandosi a raccogliere il libro. “Cosa diavolo ci fai con quella roba babbana?”

“Non fare la nonnetta. Questa roba babbana è FORTE! Vuoi provare?” le sue dita sottili tendono il cilindro verso Draco che indietreggia con un’espressione disgustata sul volto.

“Neanche per sogno,” risponde atono. “Piuttosto, se tuo padre ti beccasse con qualcosa del genere, sarebbero guai. Idiota!”

Theodore emette uno sbuffo leggero. “Figurati, non succederà mai,” e aspira un’altra boccata di fumo.

Si guardano negli occhi per un momento, Theo che fatica a trattenere il divertimento e Draco con un cipiglio capace di esprimere tutta la sua disapprovazione.

“Cosa vuoi, comunque?” chiede quest’ultimo, spostando lo sguardo.

“Mio padre è qui per parlare con il tuo; affari, come al solito,” sbuffa l’altro, levando gli occhi al cielo. “Così sono venuto a vedere che facevi.”

“Bene. Ora che l’hai visto, puoi anche andartene,” ribatte Draco, aprendo nuovamente il libro sulle sue gambe e rimettendosi a leggere.

Nott ridacchia. Passa la gamba destra dall’altro lato della panchina, ritrovandosi seduto nello stesso verso di Draco, e poi si sdraia sulla schiena, allungando le gambe sul marmo restante. La sua testa è poggiata a pochi centimetri dalla coscia di Draco e, con la sigaretta ferma tra le labbra in un atteggiamento da grande fumatore, non accenna a spostare i propri occhi dal suo viso. Ripassa i lineamenti che conosce già fin troppo bene e attende che l’altro abbia una reazione, perché sa che non può restargli indifferente a lungo.

È come un gioco, tutto questo. Un gioco intrapreso da qualche anno, da quando sono giunti ad Hogwarts, probabilmente, e si sono resi conto che nessuno dei due può sottostare all’altro, che sono troppo simili e troppo arroganti e troppo viziati perché uno dei due si riduca a leccapiedi alla stessa stregua di Tiger o Goyle. E allora giocano, a distrarsi, a provocarsi, parole e sguardi taglienti per nascondere che, tutto sommato, sono uno dipendente dall’altro.

Draco, finalmente, incrocia il suo sguardo e Theodore è costretto a reggere la sigaretta con le dita – un movimento lento e calcolato, comunque – perché non cada a causa dell’irrimediabile sorriso che gli spunta sulle labbra. Non un ghigno, questa volta, ma quasi un vero e proprio sorriso a cui Draco stesso non può restare indifferente. È costretto a voltare la testa per non mostrarlo troppo, chiudendo il libro e poggiandolo a terra.

“Hai sentito del Torneo Tremaghi?” chiede con tono casuale, tornando a guardarlo.

Una boccata di fumo e, “Ovvio,” risponde Theodore. “Ma tanto con quella vecchia scopa di Silente non sarà per niente divertente come dovrebbe.”

“Vero. Mio padre dice che metteranno un limite d’età. Peccato.”

Theodore ride. “Peccato?! Perché, tu parteciperesti?”

“Perché no? Ne sarei perfettamente in grado!”

“Certo. E scapperesti a gambe levate alla prima prova.” Si interrompe per schiacciare il mozzicone di sigaretta sul fianco della panchina, poi torna a guardare Draco con uno dei suoi ghigni di scherno. “Codardo.”

“Stronzo.”

“Sì, effettivamente sì,” è la sua candida ammissione e Draco, ancora, volta la testa per non guardarlo troppo.

“Sai chi ci vedo a partecipare, invece?” comincia Theodore, dopo qualche attimo di silenzio. “Quel coglione di Potter.”

L’altro ha uno scatto nervoso nel voltarsi. “Magari. Sarebbe un ottimo modo per divertirsi a vederlo crepare. Maledetto il giorno in cui è sopravvissuto.”

Cala di nuovo il silenzio e lo sguardo di Theo si fa più intenso.

“Mi dà fastidio,” dice, la voce asciutta e priva di qualsiasi inflessione scherzosa.

“Anche a me.”

“No, non Potter. Mi dà fastidio quando parli di lui.”

Draco ricambia lo sguardo, ma il dubbio aleggia nei suoi occhi. “Che significa?”

Theodore fa per parlare, ma la voce di suo padre, amplificata tramite un Sonorus, lo richiama in casa. Fissa ancora per un attimo l’altro ragazzo, poi si mette in piedi.

“Te lo spiego un’altra volta,” e, con la sua solita camminata lenta e cadenzata, si dirige verso la casa, mormorando un leggero “Ci vediamo”.

 

Draco guarda la sua schiena allontanarsi finché non sparisce dietro una siepe e pensa che è allo stesso tempo rassicurante e spaventoso avere Theodore accanto, a volte irritante, sfiancante, altre divertente, e altri milioni di cose.

E poi sa di aver capito cosa Nott volesse dire, ma fingerà di no, fingerà di non averlo provato anche lui, quel fastidio, di tanto in tanto. Perché, nel loro caso, c’è un gioco da mandare avanti e l’esteriorità è più importante.

 

 

 

  
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