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Autore: SylviaGreen    14/01/2013    1 recensioni
Si possono dire tante cose su Sylvia Green: dormigliona, golosa, chiacchierona, irriverente, pigra, incontrollabile. Ma su due cose si può andare sul sicuro: non è una strega e non ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts.
Eppure, per una strana successione di eventi, Sylvia Green si ritrova a bordo dell'Hogwarts Express, a chiacchierare tranquillamente con Harry e Ron. L'autrice si sarà bevuta il cervello? Probabile.
Ma allora, cara Sylvia Green, che cosa sei?
«Una wimag», risposi automaticamente. «Cioè qualcosa di strano, complicato e ignoto».
STORIA INTERROTTA
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Qualcosa che davvero non sarei mai stata in grado di immaginare





Chi cavolo sta dicendo una stupidata del genere? Pensai sbalordita, e rimasi di sasso quando lo seppi.
Si trattava di quel ragazzino che avevo intravisto sul ponte poco prima.
Ora potevo osservarlo molto meglio, anche se non riuscivo a capire da dove venisse quella strana euforia, e lo feci. Notai che aveva gli occhi azzurrissimi (e meravigliosi, ma quelli erano dettagli assolutamente irrilevanti), circondati da un paio di occhiali con le lenti rotte e tenute insieme da un pezzo di nastro adesivo, e un ciuffo disordinato sulla fronte, che però non riusciva a nascondergli una strana cicatrice rossa, stretta stretta, a forma di saetta. Chissà come se l'era procurata.
Tutto solo, trascinava con fatica un carrello pieno di scatole di cartone imballate, sulla cui cima si trovava una gabbia con una civetta delle nevi che si beccava le ali con scarso interesse. Era un bagaglio molto simile a quello dell’uomo con il turbante di poco prima, ma con meno oggetti ammonticchiati.
Una civetta? In stazione? Ma gli animali non erano vietati?
«Binario nove e tre quarti … vuoi fare lo spiritoso, non è vero?», ribatté con un sorriso forzato il controllore, e si allontanò.
In effetti, si trattava di una domanda alquanto bizzarra: in tutte le stazioni di questo mondo, chissà perché, c’era il binario nove e il binario dieci, ma di binari nove e tre quarti neanche l’ombra. Forse chi le aveva inventate non conosceva le frazioni, forse era costoso scriverlo sul binario, forse era qualcos’altro, ma quella era la verità: era piuttosto nonsense che invece quel ragazzo avesse stampato un volto uno sguardo profondamente deluso e smarrito, come a chiedersi "e ora cosa faccio?". Mi sembrava se la prendesse troppo per uno scherzo mal riuscito.
Eppure mi ricordavo le sue parole e il tono utilizzato … e comunque quello sguardo triste …
No, mi ripetei convinta. Quel ragazzo non sta mentendo. Per niente. È serio. Ci crede davvero.
Ma come? Perché? Che cosa gli è saltato in testa?
Perché è in giro da solo con questo carrello? Dove vuole andare?
Qui sono tutti matti, pensai avvilita. Prima quello con il turbante che mi fissa, ora il ragazzo con la cicatrice che si offende se non esistono i binari nove e tre quarti … non ci si può neanche divertire un po' a spiare chi inveisce per niente. Meglio andarsene.
Stavo per girare i tacchi quando dal nulla spuntò una signora corpulenta dai capelli corti riccioluti di un bel rosso vivo e dall'aria gentile ma un po' seccata, che camminava a passo svelto verso una direzione a me ignota.



Si trascinava dietro una schiera di cinque ragazzi: quattro maschi di età diversa (due gemelli perfettamente identici; uno più grande che camminava tutto impettito come un tacchino e uno della mia età che pareva voler scappare via) e una ragazzina che doveva avere un anno meno di me. Avevano tutti gli stessi capelli rossi e gli stessi carrelli, tutti ugualmente grossi e caricati all’inverosimile - proprio come quelli del tipo con il turbante e del ragazzo che era ancora vicino a me. La donna, che pensavo fosse la madre di tutti, era molto agitata e ogni tanto osservava nervosamente l'orologio della stazione; ogni tanto incitava i suoi ragazzi che li seguissero, e continuava a borbottare tra sé: «La stessa cosa tutti gli anni: tutto pieno di babbani!». Poi gridava di nuovo: «Avanti, ragazzi! Il binario nove e tre quarti è di qua!».
Non appena captai quelle parole, mi si accesero gli occhi come due fari.
Babbani? Ma di che diavolo parla? Cosa sono?
Binario nove e tre quarti? Esiste!?
Il ragazzo dai capelli neri si voltò a guardarla. «Babbani?», ripeté estasiato. Nella sua voce non c'era un filo di stupore che invece avrebbe dovuto esserci. Tirò un sospiro di sollievo e la seguì correndo.
Rimasta sola, lo osservai che si allontanava. Sospirai, pensando che sarebbe potuto diventare un amico per me, se solo …
… se solo …
Se solo cosa?
Se solo io non fossi così stupida da lasciarlo andare via così, senza neanche una spiegazione!
E così presi a seguirlo a rotta di collo. Mentre mi affannavo per raggiungerlo - correva molto veloce, accidenti - tentai di riflettere sul termine che aveva pronunciato quella signora e che aveva richiamato il ragazzo.
Babbano.
Non l’avevo mai sentito o letto in vita mia, e dire che leggevo molto; nessuno l'aveva mai pronunciato ed ero pronta a scommettere per davvero le cinque sterline che avevo che quella parola non si trovava sul vocabolario.
Allora da dove veniva? E, soprattutto, che cosa significava?
Anche quella storia del binario era sospetta: non esisteva, ne ero più che sicura, però il fatto era che a Londra vivevano delle persone che credevano che davvero ci fosse nella stazione di King’ s Cross un binario nove e tre quarti; e probabilmente quella conoscenza si era diffusa anche in altri paesi, perché il treno che si trovava sopra doveva pur portare da qualche parte.
Inoltre avevo notato altre sei parole che mi avevano incuriosito: la stessa cosa tutti gli anni.  Doveva quindi trattarsi di un qualche cosa che ogni anno si ripetesse, nello stesso periodo addirittura, e che spingesse delle persone a recarsi in una comunissima stazione di Londra e a salire su un binario sconosciuto per prendere un treno non segnato sui tabelloni elettronici per andare chissà dove.
Wow … che figata.
Era qualcosa di troppo strano per lasciarmelo sfuggire così, anche se poteva risultare pure pericoloso.
Avevo infatti imparato, da quando i miei genitori se n’erano andati, a sviluppare un senso di responsabilità e una conoscenza del pericolo che forse non si addicevano molto alla mia età: erano però entrambi necessari per coltivare la mia inguaribile curiosità senza finire nei guai. Mi ritenevo anche abbastanza coraggiosa, a parte le vertigini e i ragni, beninteso: a differenza di molti altri bambini, però, non temevo né il buio né l’incognito, perciò non potevo permettermi di lasciar andare la famiglia e il ragazzino senza capire nulla, per poi crogiolarmi nel dubbio e nella miriade di ipotesi che potevo formulare.
Magari avrei potuto anche farmi un giretto su quel treno sconosciuto, quando avrei capito dove portava, come si raggiungeva quel diavolo di binario, quanto costava il viaggio, a che ora partiva e dove si compravano i biglietti.
Dopo quei pensieri, ero più che risoluta a trovare il bandolo di quella matassa.
Raggiunsi la compagnia appena in tempo. Il ragazzino si era nascosto come me, per osservarli e, probabilmente, imitarli poco dopo. Era incredibile quante cose avessimo in comune. Davvero incredibile.
Ed era altrettanto stupido sforzarsi di notarle.
La signora panciuta si avvicinò ad uno dei pilastri che reggevano la tettoia della piattaforma dei binari tra il nove e il dieci e poi sospirò: «Avanti, Percy, prima tu».
Un ragazzo alto, allampanato, tra i sedici e i diciassette anni, si fece avanti. Era quello che camminava tutto impettito e orgoglioso, con il petto in fuori come un tacchino, e aveva appuntata sulla giacca sciupata una spilla viola splendente con la lettera P: probabilmente si trattava del suo nome, ma non ne ero certa. Trascinava lo stesso solito carrello pieno di scatole imballate ma, al posto della civetta delle nevi che apparteneva al ragazzino che ora si era nascosto, c’era un gufo reale che dormiva, con il capo sotto una grossa ala.
Era proprio una giornata strana: non avevo mai visto un gufo, tantomeno di giorno, e tantomeno in una stazione!
Percy fece un lungo respiro e poi svolse l’ultima cosa che mi sarei aspettata da uno sguardo intelligente, anche se gradasso, come il suo: prese a correre verso il pilastro. Ma era scemo?
Ma no, non poteva esserlo … l'aveva detto pure la madre: avanti, Percy, prima tu. Lei si aspettava che ci corresse contro … e lui pure, dato che si era preparato. E a quanto pare nessuno si era preoccupato della solidità di quei mattoni di cui era fatto.
Il mio intuito femminile mi diceva che non ero finita in una famiglia di fuori di testa che mi aveva fatto perdere la ragione.
Ci doveva essere un senso in tutto questo. Assolutamente.
Ma non riuscivo proprio a capire quale potesse essere.
Tenni gli occhi bene aperti, cercando di capire che cosa sarebbe successo in seguito: si sarebbe schiantato contro il muro, su quello non ci pioveva … e poi? Cosa avrebbe detto la madre? Praticamente lei gli aveva chiesto di correre contro quella colonna, come se lo volesse rassicurare che non fosse doloroso … ma lui perché voleva farlo?
E cosa c'entrava tutto questo con il binario nove e tre quarti e con quel bagaglio stracarico?
Avevo quasi la tentazione di non voler guardare, per non assistere all'autolesionismo di Percy di mia volontà, e per poco non mi coprii gli occhi con le dita.
Feci bene a non arrivarci, perché poco dopo accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
Qualcosa che si faceva beffe in una volta sola di ogni legge fisica valida sulla terra.
Percy scomparve nel muro.
Pareva che se lo fosse mangiato.
Mi stropicciai gli occhi ancora una volta, ma non stavo sognando, perché il ragazzino che li stava spiando come me aveva la mia stessa aria attonita. Evidentemente non si aspettava una cosa del genere.
Inutile dire che questo provocò in me un altro scoppio di gioia.
La signora si rivolse a uno dei due ragazzi identici che si trovavano poco dietro di lei. «Dai, Fred, vai tu!».
«Io non sono Fred!», si lamentò quello, emergendo dalla fila dei figli.
«Parola mia!», assentì l’altro indignato. «E poi dici di essere nostra madre».
«Oh, scusami George», mormorò desolata la donna.
Quello che era George si avvicinò al binario con lo stesso ghigno furbo del gemello, trascinando lo stesso carrello con le stesse scatole e la stessa gabbia. «Te l’ho fatta, io sono Fred!», esclamò prima di sparire nel muro. Suo fratello lo seguì subito dopo, impedendosi di vedere lo sguardo arrabbiato che la madre gli stava lanciando.
Sorrisi, divertita, e pensai che, se fossi riuscita a raggiungerli, sarebbe stato uno spasso conoscerli.
Sempre che quel muro fosse stato clemente anche con la sottoscritta.
L'ultimo ragazzo rimasto probabilmente aveva il mio stesso dubbio, perché osservava quel muro con uno sguardo terrorizzato, come se davvero temesse di dover essere digerito da un momento all'altro. Sua madre si avvicinò quindi per rassicurarlo e la ragazzina per tormentarlo, causando un ritardo generale del passaggio completo della famiglia Incorporeo dall'altra parte del binario.
Doveva averlo compreso anche il ragazzino con la cicatrice a forma di saetta, perché mi si avvicinò distogliendo gli occhi dai tre rimasti. «Ehi, scusami …», mormorò con gli occhi bassi. «Tu sai come si fa ad entrare in quel binario?».
«Non ne ho la più pallida idea», risposi in un sussurro per non farmi scorgere dalla famiglia. «Sto appunto cercando di scoprirlo».
Emise un sospiro di sollievo. «Menomale, non sono l'unico che non ci capisce niente. Anche tu sei del primo anno a Hogwarts, vero?». Mi sorrise, incoraggiante (doveva aver notato il mio sguardo disorientato a quella parola) ma anche un po’ seducente, Sylvia, che caspita stai dicendo? «Pensa che io temo di essere l’ultimo della classe, non so niente di niente …». Gettò un’occhiata rapida alle mie spalle e s’incuriosì. «Ma non hai il gufo, tu... strano. Non hai letto la lettera?».
Dopo quelle poche frasi, pensai che io e lui abitassimo in due galassie differenti e che stessimo parlando per una sorta di comunicazione interplanetaria che presto si sarebbe interrotta lasciandoci nel dubbio. Per fare un breve calcolo, avevo captato circa una quarantina di parole da lui pronunciate, ma avevo capito il significato di solo la metà.
Quale lettera? Quale anno? Quale Hogwarts? Quale classe? Quale gufo? Di che cavolo stai parlando?
E cos'hai guardato dietro di me?
Oh, no … dimmi che non hai visto …
Chiusi gli occhi, con un misto di curiosità, spavento ed eccitazione, e guardai alle mie spalle, dove avevo già intuito ci fosse …
il solito carrello nero con sette – tre in più di tutti gli altri – scatole piene di chissà che, identiche precise a quelle del ragazzo e a quelle della famiglia Incorporeo.
Un immediato turbine di domande si affollò nel mio cranio. Da dove vengono fuori? Appaiono così, dal nulla? E cos'ho fatto per farle venire qui? E cosa devo fare adesso? Devo andare io su quel binario?
«Ci dev'essere sicuramente un errore», decisi in modo falsamente tranquillo (per non andare nel panico). «Queste cose non sono mie, o almeno … non credo».
Lui sorrise, di nuovo seducente - ehm … «Basterà controllare il nome scritto sopra, non credi? Come ti chiami tu?».
«Sylvia Green», mormorai con timore.
«Piacere», e mi tese la mano, «io sono Harry Potter». Lanciò un’occhiata veloce al carrello e poi mi guardò sorridendo. «Oh, indovina un po’ cosa c’è scritto su quell’adesivo?».
Non avevo bisogno di guardare un'altra volta per scoprire che su uno scatolone era incollato un biglietto con su scritto a chiare lettere, impossibili da fraintendere: Sylvia Green.
Ora ci sono dentro, pensai. E non posso tornare indietro.
Osservai Harry più disorientata di prima, e lui mi sorrise di nuovo, incoraggiante. «E ora che mi dici?».
Che gli potevo dire? «Beh, hai ragione», mormorai stupidamente. «Queste cose sono mie».
L'eco di quelle parole rimbalzò nella mia mente e mi mise k. o.
Era il mio nome. Quelle cose erano mie.
Ero proprio come gli altri passeggeri del treno sul binario nove e tre quarti. Forse avrei addirittura dovuto seguirli su quel treno e andare in quel posto in cui stavano andando loro. E magari restarci anche.
Ma che cos'erano loro? Dove stavano andando? Cos'era quel binario strano? Dove conduceva?
Cos'erano tutti quei gufi? A cosa servivano? Cosa contenevano quelle scatole?
E soprattutto … perché tutto questo?
Ero sicura che Harry si mettesse a ridere per il mio stupore palesato, e invece non lo fece. Invece sorrise affabile. «Ti posso capire, anche io sono rimasto un po’ sorpreso quando ho saputo di essere un mago …». Mago? «… figurati quando poi mi hanno detto che dovevo andare a Hogwarts, manco sapevo cosa fosse …».Eh, pensa un po', neanche io … «… però, ecco, forse arrivare fin qui senza saperlo non è un po’ eccessivo?». Ma sapere cosa? «Dai, muoviti, tra dieci minuti il treno parte!». Quale treno? Da dove parte? Dove arriva? Perché parte? Perché tu parti, che forse potresti essere il mio unico amico qui a Londra?
Avevo capito una parola su dieci di quello che avevo detto; l'unica cosa che ero stata capace di intuire era che lui credeva che io dovessi partire con lui, e ora voleva aiutarmi a raggiungere il binario nove e tre quarti. Per quanto fossero gentili le sue azioni, e per quanto indubbiamente mi lasciassero assai lusingata, io non potevo partire: avevo una casa da mantenere, una scuola da frequentare e dei genitori da aspettare. E anche se avessi potuto, non avevo il biglietto e dubitavo che qualcuno mi permettesse di comprarlo gli ultimi cinque minuti … ma Harry non se ne curò: mi afferrò per il polso e mi trascinò di fronte alla signora panciuta che in quel momento, con fare tenero, stava cercando contemporaneamente di tranquillizzare il figlio e calmare gli strepiti della figlia più piccola, che voleva assolutamente vedere quel treno e che voleva anche tormentare il fratello fifone.
Io, molto coraggiosa, molto incosciente e molto cretina, presi l’iniziativa (e dovevo impegnarmi per benino a fingere, ora che c’era Harry a guardarmi): «Mi scusi, signora …». Lei si voltò subito a guardarmi, e mi sorrise cordiale (e anche un po' riconoscente, per averla distratta un attimo da quel casino di figli). «Non sappiamo come …». Le parole mi vennero meno. Come raggiungere Hogwarts? Come trovare il binario? Come prendere il treno? Come comprare il biglietto? Come fare in modo che Harry Potter si innamori perdutamente di me?
Ehm, no, quello non c'entrava niente.
In alternativa, indicai il pilastro.
Lei mi venne fortunatamente in soccorso, illuminandosi di un sorriso premuroso e dolce. «Come raggiungere il binario?». Annuii, sollevata. Beh, dai, non ci ero andata molto lontana. «Non preoccupatevi, anche Ron è qui per la prima volta», aggiunse, indicando il figlio che ci fece un sorrisetto di circostanza, ma che io non riuscii a ricambiare, tesa com'ero. «Non dovete far altro che correre verso quella colonna, tra i binari nove e dieci. Meglio che andiate di fretta se siete nervosi».
Ecco, l’aveva detto.
Correre lì in mezzo, dritti dritti verso quei mattoni solidissimi, sperando di passarci attraverso.
Un modo migliore di quello per rompersi il naso non esisteva.
Io lanciai ad Harry un'occhiata terrorizzata, e lui annuì. Poi deglutì e si avvicinò a me, a piccoli passi, trascinando il suo carrello. «Vado prima io», mormorò molto cavallerescamente, ma si vedeva che aveva una fifa dell'accidenti. Tutta giustificata, peraltro. Mi salutò con un «ci vediamo dopo», forzando le labbra in un sorriso per sdrammatizzare, e fece un lungo respiro.
La ragazzina più piccola, dai lunghi capelli rossi e dagli occhi verdi, sorridendogli, gli augurò: «Buona fortuna».
Lui ringraziò con un cenno del capo, fece un secondo sospiro, prese la rincorsa e corse velocemente verso il muro.
Nel momento in cui avrebbe dovuto toccarlo, la sua figura scomparve.
Ero rimasta sola con il mio carrello e con il mio corpo, che a toccarlo non sembrava assolutamente in vena di voler passare attraverso un muro.
«Tocca a te, cara», mi incitò dolcemente la signora.
Si prepari con il cellulare, pensai tristemente, dovrà chiamare presto un'ambulanza.
Con l'aria di una condannata a morte che si avvia verso il boia, avanzai trascinando a fatica il carrello.
Mi sistemai davanti alla colonna, guardandola fissa come se avesse gli occhi.
Ebbene sì, andrò a sbattere contro di te e non so nemmeno perché, sussurrai a voce bassissima, tanto che a malapena mi sentii.
Dovevo andare fino in fondo a quel casino e sbrogliarlo, perché ci ero dentro fin sopra i capelli.
E naturalmente, quando mi sarei spaccata la faccia contro il pilastro, la signora avrebbe capito che non ero una strega (o quel che era), e forse mi avrebbe ucciso perché mi ero infilata in segreti che non erano miei. Oppure mi avrebbe cancellato la memoria: chissà che cosa combinavano i maghi con casi di quel tipo …
… ma che ragionamenti stavo facendo?
Buttati, Sylvia, che è morbido!
Presi la rincorsa e feci l'ultimo respiro profondo.
All'attacco! Verso l'ospedale!
E presi a correre.
Nel momento in cui partii, mi pentii immediatamente dell'assoluta stupidaggine folle e insensata che stavo facendo.
Ma ormai non potevo più tornare indietro.
Ecco, avevo perso il controllo del carrello … che brutta idea … ero ad una spanna dal muro … due dita … un dito … chiusi gli occhi, sicura che la signora avrebbe dovuto chiamare il 999 e …
… e continuai a correre.
Non sentii dolore, mi sembrava proprio come se il muro fosse scomparso. Dov'ero capitata?
Aprii gli occhi...
... E mi ritrovai davanti l'ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere.
Un treno a vapore, di color rosso fuoco splendente, con alcuni inserti neri. La prima carrozza, scura come la pece, recava la scritta:
 
Hogwarts Express
5972.


 
Il cartello sporco e polveroso dove c'era scritto BINARIO 10 era stato magicamente sostituito da uno color porpora pulitissimo con una scritta dorata luccicante: BINARIO 9 E ¾.
Ce l’avevo fatta.
Ero passata attraverso un muro.
Menatela, fantasma di Canterville, menatelaaaa …



*Angolino autrice*
Ecco qui il secondo capitoloo :) Non si va molto avanti, ma poi è così prevedibile ... l'avete già visto tutti quanti un miliardo di volte minimo, ma che ci devo fare io? Amo quel film! <3
Se siete arrivati qui perché non ce la fate più a leggerla, lasciate un commentino lì sotto in cui mi dite: "Che palle, davvero, è illeggibile questa storia, è troppo lunga... o la dividi in più capitoli ancora, oppure veramente non verrà nessuno da te". O qualcosa del genere. Dite quello che vi pare. Ricordate solo che l'omicidio è punibile per legge ;)
Se invece siete arrivati qui perché avete un minuscolo parere diverso da "Fai schifo" o "non ce l'ho fatta a finirla", commentate lo stesso e ditemi cosa vi è piaciuto e cosa non vi è piaciuto ... mi aiuterà a migliorare!
Insomma, tutto questo per dirvi che ogni parere, positivo e negativo, è sempre ben accetto!
Grazie mille per le 8o visualizzazioni (mi sembra) del capitolo precedente ... e anche a The_Sound_Of_Rain e a Jinny_2000 per le due meravigliose recensioni! Mi ha fatto molto piacere riceverle! :D Grazie perché mi seguite, grazie, grazie, graziee! :)
Grazie per avermi letto e buona giornata! :)
   
 
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