Ma che cos’è questa cosa pesantissima
che ho scritto?!
Madre, mi spavento da sola!
Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaallora, innanzitutto
voglio dire alla mia piccola Cuppycake dolciosissima che la adoro e che è una
Cuppycake dolciosissima e che la adoro perché è una Cuppycake dolciosissima
#Miao ^_^
Poi voglio dire a Sissì che è stupenda e che se potessi la abbraccerei ogni
istante della mia vita, perché di persone così stupende ce ne sono veramente
poche al mondo!
Detto questo, vorrei precisare il fatto
che bisogna usare sempre le precauzioni quando si fa sesso, a meno che non si
voglia fare un bambino, in quel caso è un altro discorso, e nel caso in cui
siate donnine, prendere la pillola va bene, ma non protegge da varie ed
eventuali malattie.
Insomma, per dirla alla Mean Girls (Se non l’avete mai visto, SHAME ON YOU!):
“DON’T HAVE SEX, ‘CAUSE YOU’LL GET PREGNANT AND DIE!”
Bene, l’angolo dell’educazione sessuale è finito! Spero che vi piaccia e se
vorrete insultarmi perché vi fa schifo, vi capirò!
Quindi, vi lascio a questa sottospecie
di One Shot che ho scritto, e….Niente…
Tanti cari saluti e tanto amore (:
Louis Tomlinson, 21 anni di occhi
azzurri e di mura costruite per ripararsi dall’amaro della sua esistenza, era arrivato
ad un punto di non ritorno.
Viste le esperienze di sua madre,
credeva di aver capito che nella vita o si ama, o non si ama. E gli sembrava
una cosa tristemente buffa, dato che non faceva altro che “amare” una ragazza,
e “non amare” il suo migliore amico. Ormai, però, aveva imparato a memoria il
rumore che faceva il suo cuore quando incontrava lo sguardo del riccio. Era il
rumore della bugia più grande che avesse mai potuto raccontare e vivere.
Più andava avanti, e più quel rumore diventava
assordante.
Faceva finta di nulla, cercava di
convincere tutti, ma chi lo conosceva bene non poteva far a meno di accorgersi
che i sorrisi che dispensava non arrivavano mai agli occhi. Chi lo conosceva
bene sapeva che quei cristalli azzurri non mentivano mai. Chi lo conosceva
bene, conosceva bene anche il suo dolore.
Zayn Malik, 20 anni di sguardi
profondi, aveva osservato per molto tempo il ragazzo di Doncaster, e aveva
imparato a memoria la sua malinconia.
Per questo, in quella fredda giornata
di Gennaio, aveva deciso di farlo sfogare un po’.
“Ehi Bro! Che ne dici di farci quattro
chiacchiere?”, gli aveva detto, mentre si rilassavano un attimo su uno dei
divani della sala prove, lontani (o almeno, così gli pareva) dagli altri tre.
Il castano sospirò, regalandogli poi
uno dei suoi sorrisi finti: “Cosa vuoi che ti dica, Zay? Sto male.”
Harry Styles, quasi 19 anni di
eccessivo senso del dovere, aveva passato gli ultimi cinque minuti nascosto
dietro la porta di una sala prove, a spiare due dei suoi migliori amici, o
presunti tali. E ci aveva provato a non intromettersi, combattendo l’istinto di
uscirsene con una risata e dire a Zayn che non conosceva Louis, non quanto lui.
Ci aveva davvero provato a dar retta alla sua coscienza, quella che stava
urlando nel suo cervello di andare via, di non ascoltare niente, che quella
conversazione avrebbe provocato solo altre ferite al suo cuore, già stracciato
da quel buon senso che lo distingueva dagli altri ragazzi della sua età. Ci
aveva provato sul serio, ma quando le ultime due parole gli arrivarono alle
orecchie, i suoi piedi si azionarono da soli, così come le sue corde vocali,
facendolo uscire allo scoperto e dire: “E allora parlami!”.
Il ventunenne sbarrò gli occhi e il
riccio chiese al moro di lasciarli soli, che gli altri erano usciti per andare
a pranzo, che li avrebbe trovati al Nando’s dietro l’angolo e che le prove del
pomeriggio erano state annullate, rassicurandolo del fatto che aveva le chiavi
e che avrebbe chiuso tutto lui.
Non appena il loro amico fu uscito,
Harry posò di nuovo le sue pozze verdi su Louis, chiedendogli di nuovo di
parlare.
Non ricevendo risposta, si avvicinò
ulteriormente, alzando il viso del più grande, tenendogli il mento tra l’indice
e il pollice della mano destra.
“Devi parlare con me. Io ho bisogno di
sentirti parlare, di sapere come stai. Rivoglio il mio…migliore amico…Dimmi
quello che senti, come ai vecchi tempi. Parlami!”.
Sfuggì alla presa del più alto,
riuscendo finalmente a trovare il coraggio di guardarlo.
“Come? Come posso parlare con te? Come
faccio a parlarti, a dirti come sto, a dirti cosa sento?”.
Louis e Harry, due anni e poco più di
conoscenza, avevano passato i primi nove mesi vivendo in simbiosi.
Si erano conosciuti ad X-Factor, e già
dal primo incontro nei bagni avevano capito che qualcosa di incredibilmente
profondo li legava. Si erano ritrovati nello stesso gruppo, avevano iniziato a
conoscersi e avevano scoperto che, qualche tempo prima, erano addirittura stati
allo stesso identico concerto. E proprio la sera di quella scoperta incredibile,
si erano dati il primo bacio. Erano arrivati terzi, ma a loro non importava,
perché uno aveva l’altro, e non c’era bisogno di ulteriori cose. Erano persino
andati a vivere insieme!
Però le fans avevano iniziato a capire,
e i Managers a lamentarsi, e così era saltata fuori l’idea di Eleanor.
Louis, pur di non perderlo, avrebbe
accettato qualsiasi condizione: avrebbe finto di amare una ragazza, avrebbe
mentito al mondo, avrebbe fatto carte false pur di stare con il suo uomo.
Harry, invece, non sarebbe mai riuscito
a sopportare le bugie e il nascondersi. Era intelligente, era maturo, ma quel
mondo, fatto di soldi e fama, non lo conosceva affatto. Non come ora almeno.
Adesso aveva capito perfettamente che tutto quello sbrillucicare non era oro,
ma solo un modo colorato di nascondere infinite menzogne. E, purtroppo, l’aveva
provato sulla sua pelle.
Tutti li vedevano semplicemente come
cinque ragazzi fortunati, partiti da un talent show e arrivati in cima al
mondo. Cinque ragazzi tranquilli e felici del loro lavoro, ognuno con
un’etichetta stampata in fronte: Liam il più maturo, Zayn il riflessivo
vanitoso, Niall l’Irlandese confusionario.
E poi c’erano loro due.
Louis, a volte scontroso, saccente ed
eterno bambino.
Harry, il puttaniere senza cuore.
Nessuno cercava di più. Al mondo, ai
Managers, bastava questo. Poco importava se qualcuno stava male. Poco importava
se le vite di due ragazzi stavano cadendo a pezzi.
In quei novi mesi, Louis, aveva capito
che la vita senza Harry faceva schifo.
In quei nove mesi, Harry, aveva capito
che senza Louis la sua vita non avrebbe avuto più senso.
Eppure con l’arrivo della copertura, il
piccolo non aveva retto e l’aveva lasciato, dicendogli che lo amava ma che lo
faceva per il loro bene, che era giusto così, perché due persone non dovrebbero
mai nascondersi e che forse, come per il loro incontro, il destino stava
giocando le sue carte.
Gli aveva chiesto di rimanere amici,
non solo per l’integrità della band, ma anche perché sperava seriamente di
potergli stare vicino, almeno in quel modo.
Continuava a cercarlo, provava a
parlargli, ma le uniche volte che Louis lo assecondava, era davanti alle
telecamere e durante le uscite in pubblico, perché doveva fingere che tutto
fosse al suo posto, che la loro amicizia fosse stabile.
E poi c’era stata la volta in cui
avevano vinto il Brit, e il compleanno di Harry, e i VMAs, e la notizia della
finta relazione con Taylor Swift, l’esibizione al Madison Square Garden e la
festa per i 21 anni di Louis che il riccio aveva organizzato in anticipo perché
sapeva che avrebbe passato il Natale negli States.
E ci erano ricascati.
Si erano ritrovati nudi, abbracciati ed
ansanti, promettendosi che quella sarebbe stata l’ultima volta, che poi basta,
che non era giusto, che non potevano fare così.
Harry si era ripromesso di non farlo
più, che avrebbe resistito a qualsiasi costo, ma poi la sera della festa
l’aveva visto così felice per quello che aveva fatto per lui e aveva calato
totalmente le difese, regalandogli e regalandosi una delle notti più belle
della sua vita.
Quando però, la mattina dopo, se ne
stava per andare, lasciandolo solo nel letto, Louis si era voltato e gli aveva
detto: “Se te ne vai adesso, non ti sforzare di parlarmi per il resto dei tuoi
giorni.”. E lui si era chiuso la porta alle spalle, sperando di fare la cosa
giusta, credendo di poterlo far stare meglio.
Non era stupido, sapeva che
nell’immediato sarebbero stati male entrambi, ma con il tempo era certo che la
cosa sarebbe migliorata: il ragazzo di Doncaster sarebbe andato avanti, avrebbe
trovato qualcun altro e lui l’avrebbe visto finalmente felice.
E quell’idea era ciò che l’aveva
mandato avanti per tutto il tempo.
Non aveva più risposto alle sue
chiamate, né ai messaggi che gli lasciava in segreteria. Non lo guardava
neanche più negli occhi. Gli aveva scritto gli auguri ovunque, senza ricevere
nient’altro che il nulla.
Era riuscito ad andare avanti, a non
crollare.
Quel giorno, invece, la conversazione
che aveva origliato, l’aveva letteralmente distrutto.
Si era definitivamente reso conto di
quanto lo avesse ferito, di quanto gli
mancasse e di quanto avesse bisogno di lui.
“Lou…”, cercò di dirgli, ma fu
interrotto.
“Louis. Mi chiamo Louis. Hai perso la
possibilità di dimostrarmi affetto la mattina in cui mi hai lasciato da solo in
quella camera.”
Lo sguardo che gli riservò era così
carico di dolore che non riuscì a far altro che scoppiare a piangere,
buttandosi tra le sue braccia, implorando di perdonarlo.
Il più grande lo lasciò sfogare, senza
però riuscire a toccarlo. Quando percepì, dopo qualche minuto, che i singhiozzi
si erano calmati, cercò di allontanarsi, senza alcun risultato.
“Non ce la faccio più a stare senza di
te! Mi manca l’aria! È come se dovessi vivere con le braccia e le gambe
attaccate al corpo ma senza poterle usare! Sento il sangue scorrere nelle vene
senza riuscire ad avvertire il battito del mio cuore! Mi sento vuoto, senza
senso! Prima riuscivo a combinare qualcosa perché di tanto in tanto mi parlavi,
o ti scoprivo a guardarmi di nascosto! Ora non mi consideri, neanche per un
secondo! E mi manchi, Louis! Mi manchi e sto impazzendo senza di te!”. Sciolse
la morsa in cui l’aveva stretto solo per poterlo guardare negli occhi, per poi
riprendere a parlare. “Io ti amo! Ti amo così tanto che sarei pronto a lasciare
tutto se solo tu me lo chiedessi! Scappiamo, lo urliamo al mondo, o ce lo
teniamo per noi. Facciamo tutto quello che preferisci tu, ma non lasciarmi di
nuovo, ti prego!”, cercò di continuare, ma le labbra sottili del ventunenne glielo
impedirono. Rimase stupito per una frazione secondo, rispondendo però istintivamente
al bacio.
Lo accarezzò con la lingua, cercando la
sua, trovandola pronta alla sua volontà. Gli prese la mano, facendo intrecciare
le loro dita, e gli sembrò di tornare a respirare dopo essere stato per
un’infinità di tempo sott’acqua, senza ossigeno.
Quando gli si sedette sopra, credette
di impazzire.
Lo guardò mentre gli sbottonava la
camicia, sfiorando le due rondini che aveva sul petto, quelle che si era
tatuato pensando alla loro storia. Erano il simbolo di un amore eterno, di due
entità che si ritrovano, sempre e comunque. E quando se le era fatte disegnare
sulla pelle, lo aveva fatto perché sentiva che, nonostante la situazione, il
suo cuore sarebbe appartenuto a Louis fino alla fine dei suoi giorni.
La dolcezza e l’attenzione con cui
stava compiendo quei gesti lo fecero sentire ancora più in colpa, non solo nei
suoi confronti, ma anche verso sé stesso. Si era privato di una felicità
immensa, di un amore indescrivibile. Aveva fatto del male ad entrambi e tutto
per paura di rovinare un qualcosa che, in quel momento preciso lo vedeva, poteva
essere solo perfetto.
Ritornò al presente quando avvertì le cosce
del più grande stringersi intorno al suo bacino, creando una frizione che lo
fece tremare dal piacere.
Tirò indietro la testa, lasciando
scoperto il collo che fu subito attaccato dal castano. Sentiva le sue labbra
poggiarsi sulla pelle, e ogni bacio bruciava come fuoco: partiva dall’epidermide
e arrivava al cuore. E Harry lo sentì chiaramente che stava tornando a
percepire i suoi battiti, perché erano sempre più accelerati e si rincorrevano
come in una gara di velocità.
E sorrise.
Louis era tra le sue braccia, lo stava
facendo sentire bene e quello era l’importante.
Basta Management, basta fans, basta
stronzate, basta solitudine, basta finzione, basta dolore.
Felicità.
Gioia.
Amore.
Accarezzò il viso del suo ragazzo,
baciandolo subito dopo e togliendogli la maglietta, facendo poi toccare i loro
petti nudi, ansimando pesantemente per il calore improvviso.
Quando la mano del ragazzo di Doncaster
arrivò al cavallo dei suoi pantaloni, temette seriamente di poter morire.
Louis prese a massaggiarlo piano, con
delicatezza, per poi togliergli anche i boxer e riprendendo il lavoro che aveva
iniziato, ma pelle contro pelle.
Quando si rese conto che era quasi al
limite, si fermò, sentendo un sospiro di protesta levarsi dalle labbra della
meraviglia che aveva sotto. Lo baciò per poi alzarsi e finire di spogliarsi.
Per quante volte Harry l’avesse visto
nudo, mai e poi mai si sarebbe rassegnato alla sua bellezza.
La pelle ambrata, i bicipiti scolpiti,
la pancia leggermente accennata, il sedere sodo e perfetto. Quel corpo per lui
era meglio di qualsiasi opera d’arte.
Quando gli si sedette di nuovo sopra,
lo fece prendendogli una mano e portandola alla bocca. Iniziò a far strusciare
le loro erezioni già formate, mentre leccava e inumidiva ripetutamente le sue
dita. Nel momento in cui si ritenne soddisfatto di ciò che stava facendo, portò
la mano del più piccolo a prepararlo.
Non riuscì a nascondere il fastidio che
provò, così il riccio si fermò a guardarlo, spaventato dal gemito di dolore che
si era lasciato sfuggire.
“Scusa”, gli disse, ma il più grande si
spinse verso la sua mano e, mordendosi le labbra per non urlare, lo lasciò
fare. Poco dopo il piacere iniziò a farsi strada. Harry conosceva a memoria anche
il suo corpo, tanto che, poco dopo, Louis sentì i polpastrelli delle due dita
che aveva dentro arrivare a toccare la sua prostata.
Sussurrò il suo nome e il piccolo avrebbe
potuto giurare di non aver mai sentito niente di così sensuale in tutta la sua
vita. E quando, avvicinandosi al suo orecchio, lo pregò di farlo suo, un lungo
brivido gli attraversò la spina dorsale.
Tolse le dita e lo guardò negli occhi,
rendendosi conto di un dettaglio non poco importante.
“Lou…”, lo richiamò. Il ragazzo riprese
a torturargli il collo, lasciandogli piccoli morsi qua e la. “Lou, non ho un
preservativo!”, lo avvertì.
E allora, nonostante il dolore che gli
aveva causato, nonostante il tempo passato separati, nonostante tutto, lo stupì
per l’ennesima volta.
Prese l’erezione in mano e la spinse
verso la sua apertura, lasciando il riccio a bocca aperta. Quando le sue
natiche arrivarono a poggiarsi sui testicoli dell’altro, lo guardò.
“Non ho bisogno di protezioni. Voglio
sentirti.”, si avvicinò all’orecchio destro, mordendogli il lobo ed iniziando a
muoversi.
“Mi fido di te.”, e Styles non riuscì a
fermare le lacrime che ripresero a scorrere sulle sue gote e che Louis asciugò con
baci leggeri come farfalle.
Continuò a prenderlo per qualche
migliaio di battiti ancora e quando l’intimità del piccolo toccò il suo punto, venne
copiosamente tra i loro petti. La contrazione dell’anello di muscoli non fece
resistere l’altro, che si svuotò dentro la ragione della sua esistenza,
riempiendolo.
Fu allora che si abbracciarono, ancora
incastrati e sudati, stringendosi più forte che mai.
Ed Harry nascose il suo viso tra la
spalla ed il mento del castano, poggiandogli le labbra sul collo ed inspirando
il suo profumo.
Quell’odore di dolcezza, di casa, di
sicurezza, di tutto, gli fece ricordare quanto non avesse bisogno di credere in
Dio.
Le porte del Paradiso per lui si erano
aperte quando, per la prima volta, aveva incontrato l’azzurro degli occhi di
Tomlinson.
Aveva Louis.
Aveva tutto.
January 13th,
2013
@Harry_Styles
Today was the most amazing day I've
had so far.. In my life ever.