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Autore: ChelseaH    03/08/2007    10 recensioni
Se Tom e Bill fossero cresciuti separati, ignari o quasi delle reciproche esistenze, il loro legame sarebbe ugualmente così forte?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Importante: I Tokio Hotel non mi appartengono e questa è una storia di pura finzione che non intende dare rappresentazione reale dei loro caratteri/azioni. Anche se non mi spiacerebbe possedere i gemelli *.* cuccioli loro <3

.°*Du Bist Nicht Alleine*°.

Capitolo 2

17 anni dopo

Magdeburg

Bill giocherellava distrattamente con la matita mentre il professore di matematica riempiva la lavagna di numeri e simboli che a lui non dicevano assolutamente nulla. La scuola era una vera agonia, odiava le lezioni e odiava i suoi compagni sempre pronti a sfotterlo per qualunque cosa. Il suo look particolare era ciò che prendevano più di mira, fin da piccolo si tingeva i capelli di nero per nascondere il suo biondo naturale che odiava e li aveva fatti crescere, in seguito aveva aggiunto delle ciocche bionde qua e la, spesso li teneva sparati per aria fissandoli con la lacca e già questo lo rendeva facilmente identificabile… aveva inoltre la mania di truccarsi pesantemente gli occhi con matita e ombretto rigorosamente neri, adorava smaltarsi le unghie di nero e provava un amore sconfinato per qualunque cosa avesse sopra un teschio: maglie, bracciali, collarini… Curava tantissimo la parte accessori del suo guardaroba, aveva un numero infinito di cinture, polsini, collane e altre cose del genere e anche per quanto riguardava l'abbigliamento vero e proprio portava una cura maniacale per i dettagli. Non era raro che comprasse un paio di comunissimi jeans tinta unita (ma rigorosamente di marca) e in due giorni li trasformasse con le sue mani in un capo unico al mondo aggiungendoci toppe, disegni e altra roba fai da te. Lo stesso accadeva per le maglie, adorava disegnarsele da solo così nel suo armadio accanto alle mille maglie comprate qua e la, ma prevalentemente della Diesel e della Fallen, ne aveva altrettante firmate Bill Kaulitz. Un'altra mania radicata in lui era quella per le giacche di pelle, ne aveva di ogni tipo e colore e anche queste ogni tanto le personalizzava con le sue manine. Ovviamente tutti i suoi capi erano taglia extra small, parevano fatti apposta per valorizzare il suo fisico magro e slanciato. Stessa cura dedicava alla scelta delle scarpe anche se sostanzialmente era fossilizzato su due tipi di calzature: le sue inseparabili adidas bianche oppure vari tipi di stivali con un po' di tacco che lo rendevano ancora più alto di quanto già non fosse di suo. Per finire si era fatto un piercing al sopracciglio e uno alla lingua e aveva due tatuaggi, una tripla stella concentrica sull'addome spostata di lato e il logo della sua band dietro al collo. Ok non erano propriamente una band ma i Tokio Hotel erano a tutti gli effetti il suo mondo. Per dirla tutta non si chiamavano nemmeno Tokio Hotel ma Devilish… il primo era il nome che avevano deciso avrebbero adottato se mai fossero riusciti a sfondare ed uscire dal garage delle loro case.

I suoi unici due amici erano di qualche anno più grandi e avevano finito le scuole ed infatti ogni giorno non vedeva l'ora che la campanella suonasse per correre da loro. Condividevano la passione per la musica e quasi tutti i pomeriggi si trovavano per buttare giù qualche testo o qualche accordo. In realtà lui se ne intendeva ben poco di spartiti e roba simile ma aveva un talento naturale nello scrivere i testi e immaginarsi le possibile melodie che poi gli altri due, Georg e Gustav, tentavano di trasporre in note. Bill non aveva mai capito da dove gli provenisse esattamente l'ispirazione, era chiaro che i suoi testi fossero tutti dedicati a qualcuno ma gli era impossibile capire chi. Ad essere del tutto sinceri, una mezza idea ce l'aveva ma era talmente assurda che non ne aveva mai fatto parola con nessuno.

Non c'era mai stata una ragazza particolarmente importante nella sua vita ma c'era una persona astratta a cui si sentiva particolarmente legato.

Un sogno.

Si, detto così poteva suonare da psicolabili ma a lui capitava da anni di sognare una persona, un volto indistinto per dirla tutta ma era questo che probabilmente lo ispirava. Questi sogni erano iniziati quando aveva sei o sette anni, magari anche prima, ma lui ne aveva memoria da quel periodo. A quei tempi questa persona era un bimbo della sua stessa età dai lineamenti non bene accennati ma molto simile a lui, man mano che cresceva anche il bimbo del suo sogno lo faceva ma la sua immagine, per quanto sfocata, diventava sempre più dissimile a lui. Si faceva crescere i capelli, li raccoglieva in rasta, adottava un look assolutamente orrido fatto di taglie extra large, pantaloni a cavallo basso, cappellini assurdi… tutto molto hip hop. Bill detestava l'hip hop e tutti i suoi seguaci con tutto se stesso ma il sogno persisteva e con esso l'ispirazione.

Più volte aveva tentato di spiegarsi questo fenomeno ed era giunto alla conclusione che tutta la faccenda doveva avere a che fare con Tom, il fratello gemello che non aveva mai conosciuto perché morto a soli due giorni di vita in circostanze tragicissime. Questo episodio aveva portato anche il disgregamento della sua famiglia, il padre aveva abbandonato lui e la madre quando lui aveva pochi mesi e quest'ultima l'aveva cresciuto da sola infarcendogli la testa di mille storie su Tom dalla mattina alla sera.

Si, doveva essere per questo che ogni santissima notte lo sognava.

O per meglio dire si era convinto di sognarlo.

Aveva deciso a tavolino che quella era l'immagine del gemello defunto, come se lui avesse voluto che crescessero insieme anche se la sorte l'aveva reso impossibile.

Ma se quello era davvero Tom, allora perché era così diverso da lui?

E soprattutto perché il suo volto rimaneva sempre offuscato?

Non doveva essere poi tanto difficile dare un volto ad una persona che teoricamente era la propria immagine riflessa nello specchio…

Scrollò la testa scacciando quei pensieri, odiava imbarcarsi in simili ragionamenti, gli sembrava di essere pazzo! Ma la cosa che lo preoccupava di più era che a furia di farci castelli per aria era finito con l'affezionarsi a questo “sogno”. E, peggio ancora, aveva iniziato a convincersi che Tom esistesse davvero, anche se la sua lapide testimoniava chiaramente che era morto il 3 settembre del 1989.

Berlino

Tom aprì gli occhi pochi minuti prima che suonasse la sveglia, aveva fatto il solito sogno, quello in cui c'era uno strano ragazzo senza volto, senza nome, il cui unico dettaglio rimarcabile erano i lunghi capelli neri. Lo sognava pressoché ogni notte da quando ne aveva memoria ma la cosa più buffa era che quando era più piccolo lo sognava bambino e man mano che cresceva anche il sogno cresceva con lui. Era come se il ragazzo sognato fosse una specie di suo alter ego o roba simile, ma questo non era tutto… spesso gli capitava di percepire le emozioni di questo “sogno” anche ad occhi aperti. Gli capitava di captare la sua tristezza, la sua gioia, la sua indifferenza, come se quel ragazzo moro esistesse realmente, come se fosse qualcuno che in qualche maniera era legato a lui da un filo invisibile.

La sveglia suonò e il ragazzo si decise ad alzarsi ben sapendo che la colazione sarebbe stata servita a breve nella sala comune. Si fece rapidamente una doccia e poi indossò un paio di jeans larghissimi a cavallo basso, una maglia stile hip hop di quattro o cinque taglie più grande con sopra una felpa anch'essa enorme. Il suo corpo magrissimo e slanciato ballava amabilmente dentro quei capi ma lui ci si sentiva a suo agio. Per finire raccolse i lunghi rasta biondi in una coda e si infilò in testa una fascia e un cappellino per contenerli meglio. Una rapida occhiata allo specchio decretò che era perfetto e così si avviò a fare colazione dove trovò i suoi amici già tutti seduti al solito tavolo.

Viveva ancora in orfanotrofio e non si era mai dato troppa pena per cercare i suoi veri genitori convinto com'era che se l'avevano abbandonato era perché evidentemente non erano interessati a lui. L'unica cosa che vagamente lo legava a loro era la copertina nella quale era avvolto quando era stato trovato e sulla quale erano ricamate le iniziali “T & B”. “T” di Tom, ma la “B”? Si era chiesto più volte che significato potesse avere ma era sempre giunto alla conclusione che non sempre vale la pena scavare nel passato. Non aveva idea di quale fosse il suo cognome o la sua effettiva data di nascita, per comodità festeggiavano il suo compleanno il 3 settembre, giorno del ritrovamento.

Era stato affidato almeno ad una quindicina di famiglie diverse ma non era mai arrivato alla fine del periodo di prova. Non perché fosse un cattivo ragazzo ma semplicemente perché gli riusciva impossibile integrarsi, era sempre a disagio, come se il suo posto non dovesse assolutamente essere lì ma altrove. A quel punto preferiva starsene in orfanotrofio dove i ragazzi più piccoli lo adoravano e quelli della sua età lo avevano eletto a “capobanda” e soprannominato “sex gott” per via del suo successo con le ragazze. Gli erano tutti amici, la sua capacità di socializzazione era pressoché infinita e grazie al suo carattere aperto non aveva alcun nemico. Inoltre la vita lì non era poi tanto male, le camere erano pulite, il cibo mangiabile, il personale simpaticissimo e le uniche cose che gli venivano richieste erano una buona condotta, dei buoni voti a scuola e non rientrare troppo tardi la sera, per il resto era libero di fare ciò che meglio riteneva opportuno, come ad esempio imbarcarsi nei lavoretti part time più improbabili pur di pagarsi le lezioni di chitarra e per l'appunto le chitarre. Aveva un amore inconsulto per quello strumento, quasi più che per le belle ragazze, ogni suo momento libero lo passava suonando e inventandosi melodie sperando che un giorno qualcuno fosse in grado di scriverci sopra un testo adeguato. Jan, un ragazzo di un anno più giovane di lui nonché suo migliore amico e ospite come lui dell'orfanotrofio dalla nascita, era un poeta nato ma nonostante ciò non era mai riuscito a comporre qualcosa che lo soddisfacesse. Era bravissimo ma il punto era che non riusciva ad esplicitare a parole quello che nella sua mente avrebbe dovuto essere il senso della canzone.

Il fatto più strano di tutti era la netta sensazione che quando componeva musica la sua principale fonte di ispirazione fosse il ragazzo dei sogni. Era assurdo, lo sapeva bene, ma più passavano i giorni e più si convinceva del fatto che in qualche maniera lui e quel ragazzo erano strettamente connessi l'uno all'altro.

NOTE: E rieccomi *.* Credo che andrò abbastanza spedita nel postare questa fic^^
Volevo ringraziare immensamente Elettra, Keloryn, Castalia, Auty91, Elychan, Gufo, Naysha13, Darkness, Judeau, Leara89. MissZombie, gleen, mY LadY oF SoRRoW per le recensioni *.*
Ma un ringraziamento generale a tutti quelli che hanno letto ed apprezzato :)
Per quanto non molto impegnata come trama devo ammettere di essermi affezionata a questa storia mentre la scrivevo *.*

Le recensioni le gradisco molto *.*

   
 
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