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Autore: Keyth    15/01/2013    1 recensioni
[Il Seggio Vacante ]
La vita, a Pagford, non è finita con un funerale. Dieci anni dopo ritroviamo i nostri personaggi di nuovo a Pagford, qualcuno cambiato, qualcuno no. Alcuni cercano ancora tracce del loro passato, altri cercano un futuro. E di nuovo le storie dei cittadini si intrecciano, e si ripetono gelosie, trame e incomprensioni che avevano logorato, o altre volte intrecciato, le vite della scorsa generazione. Ci sarà almeno un nuovo personaggio, e si vedrà una versione più cresciuta di quelli che abbiamo amato nel libro della Rowling, da Ciccio a Andrew, da Gaia a Cincia. Questo è il mio seguito.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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«Katherine? Kathrine sei lì dentro?» chiese Rose bussando più volte alla porta.
«Sì, arrivo, arrivo!» rispose Katherine spazientita. «Che c’è?» chiese aprendo la porta e lasciando entrare Rosamunde.
«Sono stata al cimitero a trovare Terry..».
«Oh, brava. E allora?» sul viso di Katherine comparve un’espressione perplessa.
«Be’, poi per curiosità sono andata a cercare Robbie, suo figlio».
«Il tuo fratellastro, intendi?» chiese Kath cauta mentre tornava a sedersi alla sua scrivania.
«Sì, lui…» rispose Rose prendendo tempo.
Si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania, e cominciò a giocherellare con la targa “Lux, psicoterapeuta” di Katherine. «Be’, ho visto un uomo. Cioè, un ragazzo. Sai chi potrebbe essere? Aveva più o meno la mia età, non può essere stato amico di Robbie, no?».
Kath tirò un sospiro «Non lo so Rosie, ha importanza?».
L’amica chiamava sempre Rosamunde “Rosie” quando provava a farla ragionare.
«No, non ce l’ha, ma mi ha sconvolto sapere che la famiglia Weedon per qualcuno è ancora… viva. Oltre che per me, intendo».
«Capisco» ponderò Katherine «non lo so, sinceramente. Sono passati almeno cinque anni dall’ultimo ricovero di Terry, non ricordo le nostre sedute così nitidamente. Se vuoi posso dare un’occhiata alla sua cartella, magari c’è qualcosa».
«Davverò?» si illuminò Rose «grazie Kath, sei un’amica!».
«Tranquilla» scrollò le spalle la psicologa alzandosi dalla sedia «scusa, Rosie, ma tra poco ho un paziente, ti dispiace se ci sentiamo più tardi?».
«Nessun problema, tranquilla, tanto devo tornare al lavoro…». Si salutarono sulla porta, e Rose imboccò quel corridoio bianco e sterile che l’aveva tanto intimorita nella sua prima volta a Bellechapel.
«EHI ROSIE?» la fermò Kath «me la dici una cosa? Perché ti interessa sapere chi è quel tizio?». Nella domanda non c’era malizia, ma pura curiosità, Rose ne rimase colpita.
 «Niente Kath, pensavo che magari…» sospirò «magari non tutti i miei fratellastri sono poco di buono… magari ho ancora qualche parente da qualche parte».
Rose si voltò, e tirò dritto verso l’esterno dell’edificio.
 
In realtà Rosamunde non aveva altro da fare. Da mesi il suo posto di giornalista all’Indipendent di Londra era diventato una misera collaborazione saltuaria. Che non era più una redattrice, però, a Kath non aveva avuto il coraggio di dirlo. Forse non c’era nemmeno bisogno, visto che se fosse stata ancora nella cronaca del giornale a quest’ora non avrebbe avuto tempo di passare dall’ufficio di nessuna amica. 
Salì i gradini della sua villetta a schiera, un regalo che le avevano pagato i suoi genitori adottivi, i Chat, con i risparmi di una vita. Girò la chiave nella toppa della porta in legno viola ed entrò in casa. Spike, il cucciolo di carlino preso qualche mese prima come consolazione di una storia e un lavoro finito, le andò incontro abbaiando «Shh, piccolo mostriciattolo, o farai arrabbiare i Devils» disse Rose ridacchiando, e battendo una mano sul tronco grasso di Spike. Si tolse la giacca, la sciarpa e si piegò a raccogliere la posta. Tre buste e un mare di pubblicità. Percorse l’angusto corridoio, superando la scala che portava alle camere da letto, e raggiunse la cucina. Sulla sinistra, un tavolo ancora apparecchiato per la colazione aspettava di essere ripulito da un paio di giorni. Rose si sedette sulla sedia a capotavola, e iniziò ad aprire le lettere. Quei tre mesi da disoccupata l’avevano fatta diventare una povera illusa. Ogni volta che riceveva una telefonata, raccoglieva la posta o apriva la mail aspettava qualche minuto per raccogliere le energie positive e riversarle sulle eventuali novità che il contatto aveva per lei. La prima lettera era una bolletta «CENTOTRE’ STERLINE per la luce?» tirò via il bollettino postale, e passò alla seconda. La busta conteneva almeno un paio di fogli, era spessa e scritta a mano. La aprì con il cuore in gola. Era del Yarvil and district Gazzettine. Non poteva essere. Allo Yarvil aveva mandato una lettera sei mesi fa, quando le cose all’Independent si stavano mettendo male e aveva cominciato a cercare disperatamente un altro lavoro. Non potevano averle mandato la lettera di rifiuto ora, dopo sei mesi. La aprì con cautela, ma ne strappò comunque un angolo «Accidenti». Era piegata in quattro.
 
Gentile signora Chat,
 
ci scusiamo per il ritardo nella risposta, ma la Redazione tutta dello Yarville and District Gazzettine spera non sia troppo tardi. Abbiamo letto con interesse il suo curriculum vitae, e pensiamo che lei sia più che idonea per ricoprire un posto vacante nella nostra squadra. Se la sua candidatura è ancora valida, la preghiamo di contattarci. Alla segreteria (055 8676) faccia il mio nome.
 
Cordiali saluti,
 
Andrew Price
 
Gli altri fogli erano tenuti insieme da un punto di spillatrice. Una era una pagina di Wikipedia con la storia del Yarville and district Gazzettine, la seconda un memorandum sulle regole dello Yarville, la terza un elenco di nomi dei redattori del team. «…nella nostra squadra» rilesse con aria sognante Rose. «Ommioddio, è un miracolo!». Rovistò in fretta nella borsa, e tirò fuori il suo caro vecchio Nokia, qualche squillo, e poi la risposta «Rose? Che succede?» «Kath, non puoi capire! Mi hanno presa allo Yarville and district Gazzettine!». «Oddio. Davvero? E il tuo posto all’Independent?». Calò qualche secondo di silenzio «Be’, mi ha stufato, in fondo scrivevo solo brevi e didascalie…». «Ehm, sì, ok. E allora quando inizi?» chiese Kath leggermente confusa.«Non so ancora, adesso chiamo. In effetti devo ancora fare il colloquio, però mi considerano interessante e più che idonea! Sono dentro, me lo sento!». Kath sorrise. Non era da Rose farsi prendere dall’entusiasmo prima del tempo. 
  
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