Elegia
L'umanità risplende;
questo è uno dei suoi momenti più gloriosi, e non
verrà
dimenticato molto presto.
Quando si rivedono di
nuovo, non-io ha un altro nome e guance rosse e
occhi
splendenti e una corona di edera e vite sul capo. Si fa accompagnare
da donne danzanti e folli che ricordano a tutti questo
è
necessario. Non-io è necessario. Sono in ognuno di voi. Non
potete
ignorarmi. Accettatemi o perite. Le persone hanno ucciso in
suo
nome; a volte uccidono ancora.
Io invece
è saggio, per una volta. Per una volta è il dio
(la parola è nata,
finalmente, qualche tempo fa) della guerra e della bellezza,
perché
la guerra è la
bellezza. E sa, e
capisce; questo è
nuovo. Ma è sempre irruento ed appassionato. È
sempre dalla parte
dell'ordine. Certe cose non cambiano mai.
"Mi
piace questa forma", dice l'altro,
facendo conversazione. "Questi uomini si rendono conto che siamo
opposti ma necessari e che nessuno di noi è negativo per sua
natura.
Daranno questi nomi, i nostri, alle due parti eternamente in lotta
nell'animo umano. Sono saggi, a modo loro".
"Animo
apollineo e animo dionisiaco", dice io
–
si chiama Apollo, adesso – e fa una mezza risata. "Hai
ragione. Tu sei la follia e io sono l'intelletto, tu sei l'inganno e
io sono l'onestà, io sono l'ordine e tu sei il caos. Ha
senso".
Una pausa.
"Hanno
anche trovato un nome per quella cosa, sai. φθόνος
τῶν θεῶν. Invidia degli
dèi. Invidiamo gli uomini perché,
a differenza nostra, hanno la possibilità di essere felici.
Per
questo li tormentiamo".
Io
ride
di nuovo. "Beh, su questo invece si sbagliano. Tu
li
tormenti. Io lo faccio solo quando se lo meritano. Per il resto me ne
sto qui e li osservo e mi crogiolo nella tua assenza".
L'altro
sorride;
è ancora un sorriso diverso. Non è quello giovane
e quasi sincero
degli inizi, né quello saggio e materno dell'ultima volta
che si sono visti. Io
sospetta
che non-io
sia
invecchiato molto più di lui nello stesso periodo di tempo.
"Neanch'io
lo faccio per invidia", dice a bassa voce. "Lo faccio
perché è necessario".
Io
gli
passa un metafisico braccio intorno alle spalle; è un
conforto
infimo, e farà molto più male quando dovranno
separarsi, ma almeno
è qualcosa.
"Lo
capisco", sussurra. "Non ho dimenticato".
"Ma
lo farai", e la sua bocca ha preso una piega amara, "e lo
faranno anche loro. Mi temeranno e mi odieranno e non capiranno che
sono necessario.
E
poi lo farai anche tu".
Io
non
ribatte; sa che è vero. Quello che fanno loro, fa anche lui,
e
viceversa.
"Ti
chiedo di perdonarmi in anticipo", dice solennemente. L'altro
ride.
"Lo
farò anche se non me lo chiedi. Cos'ho da perdonarti? Anche
questo è
necessario".
E
anche questo è vero.
"Ma
non oggi. Oggi capiscono, e capisci anche tu. Oggi sono più
vecchio
di te, e più naturale; tu, con la tua saggezza, il tuo
ordine e la
tua bellezza, vieni dopo.
Sei
un'evoluzione. Io sono la base, la radice, e loro non se ne sono
ancora dimenticati. Venite,
Baccanti! Venite
Baccanti, nello splendore del Tmolo dall'aurea corrente, celebrate
Dioniso con i timpani che fremono cupi, onorando di evoè il
dio
dell'evoè tra strepiti frigi e grida, quando il sacro flauto
dal bel
suono risuona fremendo di sacre melodie scherzose, che si accordano
alle erranti sul monte, sul monte; godendo, allora, come una puledra
con la madre al pascolo, muove il piede veloce saltando la
Baccante!"¹
La
risata di non-io è
troppo forte per le orecchie umane, ma qui non lo sentirà
nessuno.
Qui nessuno osa
avventurarsi, perché qui è
la dimora degli dèi, tra la Tessaglia e la Macedonia, sopra
al mare,
qui dove (non) si consumano nettare e ambrosia e (non) suonano le
Muse. Qui ci sono solo
due esseri immensamente vecchi e immensamente giovani che si amano
troppo e sono troppo, troppo diversi,
e dai quali dipendono le sorti dell'umanità.
Non-io
corre sui
fianchi del monte, e
ride, e getta la testa all'indietro, e annega il lutto nella follia.
Questa notte, durante i riti, indurrà l'ekstasis
e
l'enthusiasmòs nelle
sue menadi, e forse reclamerà la vita di qualcuno, e
sarà
bellissimo e terribile come al solito.
Io
lo guarda
allontanarsi, come al
solito; come ha sempre fatto e sempre farà. Non è
felice; tutto è
pieno di dèi, e gli dèi non sono felici.
1: Euripide, Baccanti
NdA:
MISCHIARE
CULTURA GRECA
E MITOLOGIA NORDICA MALAMENTE RIVISITATA ARGH ARGH ARGH. Non so che
dire. I have lost control of my life. (Però Dioniso
è un dio figo.)
Fatemi sapere che ne pensate! Cheers :D
~
Callie
P.S:
φθόνος
τῶν θεῶν si pronuncia circa
“fthònos tòn
theòn”.
Molto circa. Also, questo
è il motivo per cui non-io
continua a ripetere che "è necessario" (e non
smetterà molto presto, temo). Ananke esti etc.