Questa è la mia normalità
Primo Capitolo:
Città vecchia...
La cittadina era come dormiente, nessuno ormai parlava più
dell’arrivo di quei strani ragazzi dai capelli dai colori sgargianti e
bizzarri, del loro modo di parlare ( infatti il Bepi, chiamato anche nonno da
bar, nonché “Ahooo, Lello! N’altra bottiglia de grappa!”, aveva addirittura
biascicato qualche parola al riguardo, eccessivamente impastata di alcool e
quindi incomprensibile) e per non parlare del loro modo di vestire: in un paese
dove la gente indossava abiti piuttosto banali, a tinte unite o fiori
psichedelici, vedere dei ragazzi con una bizzarra camicia da notte bianca dai
bordi viola (secondo Cospitù, l’anziano più anziano di tutti) oppure con
indosso un singolare accappatoio bianco e blu rubato ad una bancarella dei
cinesi (altra perla di saggezza del sopraccitato veterano del paese, famoso per
la sua incredibile vista) e ragazze
che indossavano delle divise fuori dal comune o un abito nero con una
spaccatura insignificante (per i vecchi) o da rinchiudere ad Auschwitz con
l'accusa di oltraggio alla decenza, (per le vecchie) davano molto nell’occhio.
Ormai era sera inoltrata per la cittadina (ovvero
all’incirca le nove) e alla televisione si disputava la partita di calcio
decisiva fra Milan e Juventus, quindi nessuno si azzardava a staccarsi dallo
schermo ipnotico, seguendo con attenzione ogni sbaglio, ogni movimento, ogni
tensione di muscoli dei vari calciatori. Più di una volta si udivano i commenti
non molto... ehm... diciamo che più di una volta veniva nominato Dio, oppure la
Madonna.
Persino Lello, storico proprietario del bar Da Lello era concentrato ad osservare
le immagini in movimento annuendo oppure imprecando o insultando il
giocatore di turno muovendo straccio e bicchiare in ampi e ben comprensibili
gesti.
Fu allora che la porta del locale si aprì e fece capolino il giovane in camicia da notte.
Nessuno lo degnò di uno sguardo, finché la partita non
s’interruppe per una lunga pausa, dove veniva mostrata ogni sorta di
pubblicità, dalla lattina cancerogena alla medicina che curava ogni male.
Lello osservò lo straniero: aveva dei lunghissimi capelli di
un viola intenso, del medesimo colore degli occhi dai tratti tipicamente
orientali, come il viso del resto; non era eccessivamente alto ed era anche ben
proporzionato... insomma, le classiche braccia levate all’agricoltura.
<< Che vuoi?>> domandò il proprietario,
appoggiando il boccale lindo sul bancone non altrettanto pulito.
<< Buonasera,
volevo delle informazioni...>> disse in un inglese molto
maccheronico.
Gli anziani cominciarono a scambiarsi sguardi dubbiosi.
<< In che lingua borbota chesto che?>> domandò
Vecio Seduto, chiamato così perché non si muoveva mai dallo sgabello del bar.
<< Assolutamente greco>> gli rispose Cospitù,
annuendo più volte << Ho sentito il nipote di Lello parlare
così...>>
<< Quello non è altro che un bastardo tedesco, te lo
dico io! >> esclamò Lampiù, famoso per aver disintegrato un Ciao contro l’ultimo lampione
funzionante davanti al locale << Alle armi!>> detto ciò prese il
deambulatore e, a velocità di un bradipo morto, cominciò ad andare incontro al
ragazzo.
Lello, l’unico sano di mente, fece segno all’estraneo di
aspettare e poi raggiunse l’appartamento sopra alla locanda. Diede un colpo di
chiave ed entrò, trovando il nipote quindicenne intento a giocare al computer.
Il modesto salotto era nel buio più
totale, soltanto la spettrale luce del monitor illuminava appena il viso
occhialuto del ragazzo. I capelli castani erano corti alla lunghezza delle
spalle, bagnati fradici, segno che era appena uscito dalla doccia, mentre gli
occhi erano grigi con qualche striatura verde smeraldo. Era mingherlino e non
molto alto, a stento raggiungeva il metro e sessanta, mentre la carnagione era
piuttosto abbronzata, visto che passava le vacanze estive sempre in spiaggia.
<< Francesco, devi aiutarmi con il bar>> disse
Lello.
<< Sì, nonno... aspé che devo fare il cinque percento
del boss>>
<< No, tu scendi ADESSO>> gli rispose il nonno,
staccando la ciabatta alla quale erano collegate la maggior parte delle prese
del computer.
Il giovane osservò con orrore lo schermo divenuto nero, poi
posò lo sguardo sul parente. Tuttavia, appena stava per aprir bocca, venne
percosso più volte con la scopa appoggiata al muro.
<< Ho capito, ho capito! >> sbuffò allora
l’adolescente, scendendo le scale quattro a quattro.
Appena vide il nuovo cliente, rimase a fissarlo per qualche
minuto. Dove l’aveva già visto?
Fece mente locale, poi un’immagine alquanto inquietante gli
balzò nella testa: la camera di sua sorella. Già, perché lei adorava tutto ciò
che riguardasse il Giappone e fra le migliaia di immagini di personaggi reali o
surreali che le tappezzavano le pareti, sovrastava il poster di un gruppo
chiamato Vocaloid. E fra i cantanti
dai capelli dalle tinte allucinogene, si trovava anche un certo Gakupo, ovvero
il tizio che stava combattendo contro Lampiù.
Il vecchio infatti per qualche arcano motivo l’aveva confuso
per un tedesco, quindi, non avendo per niente in simpatia quella razza a causa delle due Guerre Mondiali,
ogni volta che incontrava un turista iniziava a urlare come posseduto, oppure a
lanciare oggetti ad una velocità pari ad una mitragliatrice.
<< Lampiù, Lampiù! Finiscila! Non è tedesco, se mai è
giapponese!>>
<< Era un alleato dei tedeschi! A morte!>>
purtroppo l’anziano pronunciò l’ultima parola con troppa enfasi, così la sua
dentiera venne sparata, colpendo in pieno Francesco, il quale la raccolse da
terra e la rilanciò al mittente.
<< Primo: la guerra è finita. Secondo... POSA SUBITO
QUEL FUCILE!>>
A calmare le acque fu il termine della pubblicità, così
tutti ritornarono nuovamente davanti alla televisione e si dimenticarono
facilmente dell’accaduto. Tutti, tranne Francesco, Gakupo e Lello, il quale era
finalmente riuscito a scendere le scale. Il primo, dopo un profondo sospiro di
rassegnazione, portò fuori dal bar il cantante giapponese alquanto
traumatizzato.
Si fermarono davanti al lampione distrutto, poi il ragazzo
italiano dovette scavare nei suoi anni precedenti di inglese, per cercare di
formulare una frase di senso compiuto.
<< Scusa, nel
nord Italia i vecchi non sono famosi per l’ospitalità>> rise, poi
aggiunse << Che ci fa un famoso
cantante giapponese in un paese sperduto?>>
<< Eravamo in
tour, ma alla fine per...>>
Francesco ormai non ascoltava più. Era troppo concentrato
sulla figura femminile che si stava avvicinando. A dir la verità erano tre, ma
lui si concentrò soltanto sulla prima. Aveva i capelli verdi, lunghi poco prima
delle spalle, con le due ciocche che le incorniciavano il viso dai tratti dolci
erano qualche centimetro più lunghe e gli occhi erano grandi, tondi e del
medesimo colore.
Come un ebete il giovane restò a guardarla, mentre Gakupo
continuava imperterrito il racconto. Quest’ultimo si fermò unicamente quando
arrivarono le tre ragazze ed una di queste lo percosse con un pesce.
<< Ciao!>>
disse la fanciulla dai capelli verdi.
<< C... c...
ciao>> Francesco cercò in tutti i modi di sistemarsi i capelli
umidicci e di nascondere la fantasia del suo pigiama, ma con insuccesso, poiché
i suoi ciuffi ribelli non riuscivano a stare dritti, preferendo invece seguire
una piega ad onda e poi era praticamente impossibile nascondere un grande orso
sulla maglia e centinaia sui pantaloni.
Assunse un colorito sempre più rosato, fino a raggiungere il
rosso più acceso quando lei si presentò: si chiamava Gumi. Lui invece non era
nemmeno riuscito a balbettare la prima sillaba del suo nome.
Quando la giovane venne trascinata via da una ragazza dalle
lunghe code turchesi, Francesco cominciò a torturarsi, dandosi mentalmente
dello stupido, più e più volte.
<< Conosci
magari un albergo?>> domandò la terza fanciulla, quella con i capelli
rosa. Al contrario degli altri, il suo inglese si poteva reputare persino
decente!
<< Beh, quasi
tutti quelli più belli ed esclusivi si trovano nella parte moderna della città,
a cinque minuti di macchina da qui. Se però volete un albergo vicino, io vi
consiglio quello di Pina, anche se la scelta delle camere è piuttosto
ristretta: ha principalmente camere matrimoniali e cam...>>
<< Accettiamo!>>
esclamò entusiasta Gakupo, ricevendo ancora una volta il tonno sulla testa.
Pina spolverava il bancone della reception, prestando
minuziosa cura al più piccolo granello di polvere. Era una di quelle sere tranquille,
dove non sarebbero giunti dei clienti nemmeno per sbaglio.
Poteva guardare la partita come tutti gli altri, ma in
sessant’anni non era mai riuscita a capire lo scopo del gioco. Così restava lì,
sola, perché i suoi dipendenti erano troppo presi dalla televisione, quindi
spolverava o rimaneva ad osservare le pale del ventilatore girare senza sosta.
Un tempo quel luogo era sempre pieno di clienti, ora si era
adattato al resto del paese vecchio, diventando incredibilmente vuoto e
desolato. Ma anche con ciò lei non demordeva: prestava sempre attenzione alle
camere, che tutto fosse in perfetto ordine e ben accogliente, nella speranza di
un arrivo di una famiglia numerosa, la quale avrebbe dato una botta di vita
alle sue finanze.
La modernizzazione di una parte della centro abitato aveva
fatto sparire i clienti, perché se una volta cercavano un posto tranquillo con
bei paesaggi, ora soltanto alberghi di lusso, discoteche e bar nuovissimi.
Mentre stava per prendere l’aspirapolvere e pulire il caldo
parquet, sentì il trillo della porta, segno che era entrato qualcuno. Sorrise
dolcemente: doveva trattarsi di uno dei nipoti di Lello o del Bepi, venuti lì
per fare quattro chiacchiere. Già, perché Pina era famosa per essere pettegola,
ma amava anche ascoltare i problemi altrui.
<< Sei tu Lucia?>> domandò, riemergendo dallo
sgabuzzino.
Quando vide chi era entrato quasi le cascò il pesante
aspirapolvere. Erano... erano... clienti!
Si sistemò gli occhiali più volte sul naso, perché non
credeva ai suoi occhi. Quasi scoppiò in lacrime, ma si trattenne, preferendo
dare un’aria più seria possibile.
<< Buonasera!>> disse, facendo un ampio sorriso.
<< Buonasera,
io sono Luka Megurine, mentre loro sono: Gakupo, Miku, Rin, Len, Kaito, Gumi,
Kaito e Meiko. Siamo qui per prenotare
delle camere...>>
La signora fece un ampio sorriso: grazie a loro, finalmente
avrebbe potuto permettersi la crociera che aveva da sempre sognato.
Fine Primo Capitolo!
Voi vi domanderete: che cos’è un Cospettone? Beh, dev'essere un pesce di lago, tuttavia è spesso usato per insultare una persona. Infatti dev’essere un pesce con -50 diottrie, visto che si dice appunto “orbo come un cospettone”.
Volevo fare un piccolo appunto: per chi non avesse capito, quando i dialoghi sono scritti in grassetto, vuol dire che stanno parlando in inglese, mentre se c'è sia il grassetto che il corsivo stanno comunicando in giapponese.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!
Un bacio da _ Lakshmi_ !