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Autore: EmmaAlicia79    17/01/2013    2 recensioni
"C'era una volta una Fatina che girava il Mondo alla ricerca… Di cosa, direte voi?
Non lo sappiamo, non lo sapeva nemmeno la Fatina stessa."
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta una Fatina che girava il Mondo alla ricerca… Di cosa, direte voi?
Non lo sappiamo, non lo sapeva nemmeno la Fatina stessa.
Sapeva solo che la Regina Delle Fate l'aveva mandata in missione, e lei doveva cercare e cercare e cercare.
La Regina Delle Fate le aveva detto che non poteva rivelarle cosa dovesse cercare, ma che quando l'avesse trovato, se ne sarebbe accorta da sola.
E fu così che la Fatina cominciò a girare il mondo, esplorando, vedendo, guardando, conoscendo, assaggiando, ridendo, giocando e… Cercando.
Ma tutte le volte in cui si fermava da qualche parte, la Fatina sentiva che non era arrivata, capiva che non aveva ancora trovato quello che stava cercando.
Il più delle volte la Fatina aiutava le persone e gli esseri magici che incontrava sulla propria strada, facendosi così un sacco di amici, che la salutavano sempre con le lacrime agli occhi quando se ne doveva andare perché si erano affezionati a lei, e dispiaceva loro vederla partire.
Anche la Fatina se ne andava sempre via col cuore spezzato, ma voleva portare a termine la propria missione per cui, a malincuore, sbatteva le piccole ali e prendeva il volo, lasciando dietro di sé una scia dorata.
Quando la Fatina arrivò nella Città Oscura, ebbe una bruttissima sensazione.
Quel posto era freddo e buio: le sue ali percepivano il peso di una grande malvagità.
Volò alta sulle case e sulle vie, cercando di non farsi notare, percependo che per una volta non era la benvenuta.
Questo però servì a renderla ancora più determinata: in un luogo dove c'erano tali tristezza e grigiore, lei era decisa a portare un po' di sollievo.
Stanca per il troppo volare e infreddolita per le correnti gelide che sovrastavano la Città Oscura, la notte la Fatina si infilò nel camino di una casa che sembrava la più diroccata e squallida tra tutte quelle che la circondavano.
Qualcosa però le disse di entrare lì: un fremito, una carezza di calore percepita per caso tra le folate di vento gelido.
Si fece coraggio e si infilò nel camino.
Uscì in una stanza tetra, levitando ferma a mezz'aria, dove rottami di tutti i tipi la circondavano polverosi.
Improvvisamente, mentre si concentrava per cercare di percepire ancora quel battito di bontà che aveva sentito prima, l'istinto le disse quale direzione prendere in quel labirinto di sporco e umido.
Volando fra le stanze, ad un certo punto udì un flebile "aiutami!" provenire da un angolo.
Battendo le ali, inquieta, con cautela si avvicinò a quel punto, e scorse una testa di legno; la testa di legno di una marionetta.
La marionetta sbatté gli occhi di vernice un paio di volte e poi parlò:
- Ciao Fatina. Non avere paura di me. Avvicinati.
La Fatina, sempre titubante ma un po' meno intimorita, volò più vicino a lui.
- Sono il Ragazzo Marionetta. Il Malvagio Dittatore mi ha ridotto in mille pezzi perché mi ribellavo alla sua tirannia. E se mi ribellavo io, anche gli altri Cittadini lo facevano. Allora ha provato a ridurmi al silenzio.
- Ragazzo Marionetta, ma come fai a parlare e ad essere ancora vivo?
- Sua Immensa Ottusità non sa che per far morire noi Ragazzi Marionette, oltre a spezzarci, devono anche bruciare il nostro legno nel fuoco; ma questo fortunatamente non è stato fatto, quindi sono ancora qui.
E le strizzò un occhio bordato di ciglia di seta nera inamidata.
- Aiutami - ripeté.
La Fatina, capendo che il Ragazzo Marionetta era buono, decise di fare di tutto per dargli conforto.
Volando più dolcemente intorno alla testa, chiese:
- Come posso farlo?
- Sai, i pezzi del mio corpo sono sparsi per tutta la casa. Gli sgherri del Malvagio Dittatore li hanno sparsi un po' ovunque. Anch'essi sono ancora vivi, e parte di me, ma se non ho qualcuno che me li porta e li riattacca a me, non potrò più fare niente. Sarei condannato all'immobilità eterna!
La Fatina stava per piangere. La sorte che era toccata al Ragazzo Marionetta era forse più terribile dell'essere bruciato: essere diviso in mille pezzi e poter continuare a pensare, a soffrire… Doveva essere terribile!
- Cercherò i tuoi pezzi per la casa, te li porterò, e li riattaccherò, così potrai tornare intero!
Un sorriso dipinto col pennello si distese sul volto del Ragazzo Marionetta.
- Grazie, grazie Fatina!
E fu così che la Fatina cominciò a volare per tutta la casa, spostando mobili, sudiciume e rifiuti vari, trovando, lentissimamente, tutti i pezzi del Ragazzo Marionetta.
Fortuna che aveva dei poteri che le permettevano di fare tutto questo senza sforzo, altrimenti al primo braccio che avesse dovuto spostare con le sue sole forze, sarebbe stramazzata al suolo.
Quando trovava un pezzo, lo portava al legittimo proprietario e lo riassemblava al suo posto.
Senza troppe differenze con gli umani, anche il Ragazzo Marionetta aveva però bisogno di tempo affinché le giunture gli si rinsaldassero, e quindi la Fatina passò moltissimo tempo con lui.
Parlavano tanto, e ridevano.
Il Ragazzo Marionetta all'inizio era molto affaticato, perché servivano tante energie per guarire, ma nonostante la sofferenza aveva sempre un sorriso e un aneddoto per la Fatina, quando questa tornava dai suoi giri di ricognizione per la casa.
Passò del tempo, e la Fatina e il Ragazzo Marionetta si raccontarono tante cose: come lui fosse diventato un eroe senza volerlo, e come lei fosse stata mandata in missione alla ricerca di qualcosa che non sapeva nemmeno cosa fosse.
Una sera, dopo un pisolino, il Ragazzo Marionetta si svegliò in forma.
Stava bene, la Fatina aveva recuperato tutti i pezzi e glieli aveva riattaccati.
Tentò timidamente di muovere un braccio, e funzionava. Una gamba, e funzionava. La testa sul collo, e funzionava.
- FATINA! FATINA! - chiamò il Ragazzo Marionetta a gran voce.
La Fatina accorse, preoccupata.
- Cosa c'è? Stai male?
- Tutt'altro, Fatina! Sto benissimo!!!
E, con un agile spinta, si alzò in piedi e fece una giravolta su se stesso.
La Fatina gli svolazzava intorno, felicissima.
- Che bello, Ragazzo Marionetta! Sei tornato intero!
- E tutto grazie a te, Fatina! - gli rispose l'altro, commosso.
- Sono stata onorata di aiutarti: hai un grande cuore e meriti di essere felice.
Il Ragazzo Marionetta la guardò, improvvisamente triste.
- Adesso che sono guarito, tu te ne andrai, vero?
Anche la Fatina si sentì triste all'improvviso.
Svolazzando mogia, rispose:
- Sì, devo portare a termine la missione.
Con gli occhi brillanti di smalto blu, il Ragazzo Marionetta domandò:
- E se… E se quello che dovevi cercare l'avessi già trovato e non te ne fossi accorta?
La Fatina aveva gli occhi pieni di lacrime.
Allungò un piccolo braccio la cui mano era lunga più o meno quanto un ago di pino, e la lasciò così, sospesa a mezz'aria.
Il Ragazzo Marionetta allungò la sua, grande circa dieci volte quella dell'altra, e delicatamente andò a toccare l'altra, così piccola e lucente.
Rimasero così, palmo grande contro palmo piccolo, per degli istanti infiniti, guardandosi negli occhi.
- Devo andare… - sussurrò infine la Fatina, con voce tremante.
Interrompendo il contatto, volò rapidamente verso il viso del Ragazzo Marionetta e depositò un piccolo bacio sulla sua levigata guancia di ciliegio.
Un'ambrata lacrima di resina vi scorse sopra subito dopo.
- Addio, Ragazzo Marionetta…
- Addio, Fatina, mia salvatrice. Ti ricorderò sempre nei miei sogni…
Con le ali improvvisamente pesanti, la Fatina si voltò senza guardarsi indietro e, per la stessa via per cui era entrata in quella casa, ne uscì, volando verso l'orizzonte.
Ancora non sapeva quello che stava cercando: dentro di sé, tuttavia, sapeva viceversa con certezza cosa invece non avrebbe più trovato: il suo piccolo cuore di Fata.
Sarebbe per sempre rimasto lì, in quella casa, nel taschino della camicia del Ragazzo Marionetta.



Ciao a tutti!
Questa storia/delirio è il risultato di un sogno di stanotte, la sua relativa elaborazione, e la mia passione per la scrittura.
Non ha né capo né coda, né tantomeno un senso.
L'ho scritta solo perché il sogno di stanotte è stato così poetico e tenero (contrariamente a tutte le mie produzioni oniriche, dove potrei in tutta tranquillità fare concorrenza a Tarantino), che sentivo il bisogno impellente di metterlo su carta (o byte) per non scordarmelo più. L'ho buttata giù d'impulso e la pubblicherò senza troppe riletture, per cui prendetela per quel che è.
In quanto simil-fiaba, dovrebbe avere una morale: io non lo so se c'è, a voi vedercela, se vi va.
Perdonate questa mia alzata di ingegno, e commentate, se volete.
Un abbraccio!
Cate
  
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