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Autore: Glirnardir    18/01/2013    1 recensioni
Quel famoso scontro all'ultimo sangue tra Éomer e Uglúk, visto dalla prospettiva di Uglúk.
Storia completa.
Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/2326629/1/Last-Stand
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eomer, Uruk-hai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N.d.T.: Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: 
N.d.A.: Questa è una storia ambientata nell'universo letterario, il che significa che gli Uruk-hai nascondo in modo naturale (o comunque quello che per gli Orchi è il modo naturale), anziché essere estratti da pozze di fango. Ho usato un bel po' dei dialoghi originali tratti dal capitolo Gli Uruk-hai de Le due torri. La mia intenzione era quella di mostrare fondamentalmente gli stessi eventi dal punto di vista del nemico.
 
Parte 1
 
...............
 
     Fu così che non assistettero all'ultimo atto, durante il quale Uglúk fu raggiunto e accerchiato proprio ai margini di Fangorn. Ivi fu infine ucciso da Eomer, Terzo Maresciallo di Rohan, che smontò da cavallo e si batté con lui, spada contro spada. E dovunque, sulle ampie praterie, i Cavalieri dallo sguardo penetrante inseguirono i pochi Orchi scampati che ancora avevano la forza di correre.
 
 
Le Due Torri (Capitolo 3: Gli Uruk-hai)
 
...............
 
     Correvano sui campi verdi dei Signori dei Cavalli da quella che sembrava un’eternità - sin da quando avevano ucciso il grande guerriero di Gondor. Man mano che procedevano, Uglúk era sempre più preoccupato. Non si fidava dei piccoli porci di Lugbúrz, e men che meno di quel Grishnákh. Sapeva che l’altro Orco si sarebbe preso i preziosi prigionieri e sarebbe scomparso con loro oltre il Fiume e in direzione di Lugbúrz, se ne avesse avuta l’opportunità, e così avrebbe ottenuto il merito delle valorose gesta degli Uruk-hai lottatori, nelle quali non aveva svolto il benché minimo ruolo.
     Uglúk odiava e disprezzava tanto gli Orchi delle Miniere del nord quanto quelli di Lugbúrz. Era il capo degli Uruk-hai, il primo dei servitori di Saruman il Saggio, orgoglioso portatore della Bianco Mano che dava loro carne umana per renderli forti. Era più forte, più abile e più astuto di quei ratti delle gallerie. Non avrebbe permesso a quella feccia di tradirlo.
     Ma doveva essere cauto. I campi verdi del Paese dei Cavalli erano pericolosi; rigurgitanti di guerrieri bene addestrati, nemici del suo signore. Lui e le sue truppe erano partiti da Isengard con il compito di catturare i Mezzuomini e di riportarli allo Stregone Bianco. Vivi e incolumi - questi erano gli ordini, e sarebbe stato più facile portarli a termine senza due bande di infidi, sporchi idioti che cercavano di mettere le loro avide manacce sulla ricompensa. Tuttavia non poteva nemmeno permettersi di avere alle spalle quei porci, o i cavalieri li avrebbero potuti individuare da un momento all’altro.
     Era già stato costretto ad ammazzare qualcuno dei Nordiani, e avevano percorso un bel po’ di strada quando, giunta da poco la notte, le vedette finalmente tornarono. L’esile luna calava ormai verso occidente, ed erano appena giunti sull’orlo di una parete rocciosa che pareva dominasse un mare di nebbia biancastra. Nelle vicinanze si udiva scrosciare dell’acqua, e Uglúk sapeva di trovarsi nei pressi del burrone che li avrebbe portati verso la pianura sottostante.
     Lugdush trascinò uno dei vermi delle montagne al suo cospetto, e nel crepuscolo Uglúk abbassò sulla gracile vedetta uno sguardo disgustato.
     “Ebbene?” domandò. “Che cos’avete scoperto?”
     Il piccolo Orco si contrasse dalla paura. Bene. Dovevano temerlo.
     “Null’altro che un cavaliere solitario,” riferì la vedetta con uno squittio, “che galoppava verso ovest. Ora tutto è deserto.”
     “Ora, forse,” sbuffò Uglúk. “Ma per quanto ancora? Idioti!” Sferrò un tremendo calcio nelle costole della vedetta, e udì con soddisfazione lo scricchiolio delle ossa che si spezzavano. “Avreste dovuto ucciderlo. Darà sicuramente l’allarme. Quei maledetti allevatori di cavalli sapranno della nostra presenza prima di domattina. Ora dovremo raddoppiare l’andatura.”
     Non parlò agli altri della visione che continuava ad avere sin da quando avevano catturato i Mezzuomini. In questo modo avrebbe rivelato una debolezza, e qualsiasi debolezza non gli avrebbe fruttato che una rapida morte per mano dei suoi ragazzi. La sola cosa che gli Uruk-hai lottatori rispettavano era la forza - venivano procreati per questo, e lo stesso Uglúk era il risultato di generazioni di meticolosi incroci genetici. Era destinato aessere più forte, più abile, più veloce degli altri Orchi, persino più dei suoi stessi simili. Era destinato a mettere al mondo una generazione ancora migliore, alla fine di quello scontro.
     Era in grado di correre giorno e notte senza dormire e senza mai stancarsi. L’unica cosa che non riusciva a scuotersi di dosso erano quelle strane immagini mentali - una specie di oscuro presagio. Tutto considerato non era affatto una cattiva cosa, poiché serviva spesso ad avvertirlo di pericoli incombenti, ma a volte poteva essere… inquietante. E infatti Uglúk continuava a vedere quel liscio volto senza età, incorniciato da lunghi capelli ramati, e quei vividi occhi verdi che studiavano senza posa le loro tracce.
     Sapeva che li stavano inseguendo, e sapeva che almeno uno dei cacciatori doveva essere un Elfo. Non aveva mai visto un Elfo - erano diventati qualcosa di raro in quella parte della Terra di Mezzo, salvo nel Bosco d’Oro, dove nessun Uruk-hai sano di mente avrebbe mai osato metter piede. Non ancora, almeno, non prima di essere sufficientemente numerosi da poter sopraffare quei maledetti arcieri elfici che erano capaci di colpire l’occhio di un uccello a cento passi di distanza, giorno o notte che fosse. Non prima che Saruman divenisse così forte da schiacciare quella fattucchiera elfica che esercitava il proprio dominio sui boschi.
     Ma Uglúk li percepiva. Non molti Uruk-hai erano dotati di questa capacità. Erano stati generati a troppa distanza dalle loro radici. Ma alcuni di essi la possedevano ancora, e Uglúk era uno di quei pochi eletti.
     Aveva percepito l’Elfo già in prossimità di Rauros. Aveva anche notato che parecchi dei suoi ragazzi abbattuti erano stati trafitti da una freccia elfica. Il pensiero di avere un Elfo alle calcagna lo metteva a disagio. Non aveva certo paura di un singolo Elfo - in ogni caso, non prima di trovarsi a portata del suo arco elfico - ma sapeva bene che non si sarebbero sbarazzati di quell’Elfo tanto facilmente, come se fosse stato un Uomo. I sensi degli Elfi erano più penetranti addirittura di quelli degli Orchi - impossibile trarli in inganno.
     Per questo motivo, dovevano affidarsi alla velocità.
     Sfortunatamente, l’intera faccenda stava cominciando a generare una certa impazienza perfino nei suoi ragazzi.
     “Ne abbiamo abbastanza di trascinarci dietro i prigionieri,” ringhiò Lugdush. “Se dobbiamo scendere da questa cresta, anche a loro toccherà adoperare le gambe.”
     “Scapperebbero appena gliele liberassimo,” protestò una delle guardie. “Saranno anche piccoli, ma le creature piccole sono le più furbe.”
     “Loro non sono i soli,” ghignò malvagiamente Lugdush. “Inoltre esistono dei metodi per rintuzzare i loro scherzi che certo non gli piacerebbero, e che non diminuirebbero affatto la loro utilità per il Padrone.”
     Uglúk gettò su Lugdush un rapido sguardo pieno d’ammirazione. Era incredibilmente spietata, anche per essere una femmina, sebbene nessuno tranne un altro Uruk-hai sarebbe riuscito a stabilire il suo sesso; forse nemmeno un altro Orco. Uglúk era sfiorato dall’idea di accoppiarsi con Lugdush, alla fine di quello scontro. Vantava tratti eccellenti e un buon sangue. Insieme avrebbero potuto generare una prole invidiabile.
     Ora, tuttavia, altri piani più urgenti necessitavano di essere approntati. Uglúk aveva bisogno di velocità, e doveva compiacere dei seguaci recalcitranti. Non che i suoi Uruk si sarebbero ribellati contro di lui, perlomeno non prima di un suo eventuale errore, ma era necessario tenere sotto controllo i Nordiani e la lurida marmaglia di Grishnákh.
     Gli altri continuavano a litigare, e gli umori cominciavano già a scaldarsi.
     “Non c’è tempo per un assassinio in piena regola,” disse Lugdush, cercando di placare la sete di sangue degli altri. “Niente giochi, in questa spedizione.”
     “È inevitabile,” borbottò Grúbburz, un tipo piuttosto insipido che gli altri chiamavano lo Sfregiatore. “Ma perché non ucciderli presto, o subito? Sono una maledetta seccatura, e noi abbiamo molta fretta. La sera sta per arrivare, e dovremmo rimetterci in marcia.”
     “Ordini,” disse Uglúk in un profondo ringhio, seccato dal fatto che neanche i suoi compagni più stretti capissero l’importanza della loro missione. “Uccidete tutti ma non i Mezzuomini; devono essere riportati vivi al più presto. Questi sono gli ordini.”
     “A che cosa servono?” chiese Bâshdûl, una femmina particolarmente brutta che si era guadagnata il soprannome ‘la Sbavatrice’. “Perché li vogliono vivi? Forse sono divertenti?”
     “No!” A rispondere non era stato Uglúk, ma Grothrásh, uno dei più grossi componenti della banda Uruk-hai. “Ho sentito dire che uno di loro possiede qualcosa, qualcosa ch’è necessario per la Guerra, qualche gingillo elfico o roba del genere. Comunque saranno interrogati separatamente.”
     Uglúk roteò gli occhi. Di tutti i possibili individui, era stato Grothrásh a origliare il suo colloquio con il Padrone. Peccato che Grothrásh fosse un idiota; inoltre era un tipo che non sapeva mai tenere la bocca chiusa. Comunque era uno dei guerrieri migliori; non poteva permettersi di lasciarlo indietro.
     “È tutto quel che sai?” chiese Bâshdûl in tono petulante. “Perché non frugarli, e scoprire la verità? Potremmo trovare qualcosa di utile per noi.”
     “Questo è un commento molto interessante,” ghignò la voce bassa e lamentosa di Grishnákh, il capo di quella maledetta banda proveniente da Lugbúrz. “Potrei riferire ciò ch’è stato detto. I prigionieri non devono essere frugati né derubati: sono questi i miei ordini.”
     “E anche i miei,” ribatté Uglúk, detestando il fatto che quella misera sottospecie di Orco stesse cercando ancora una volta di scalzarlo dal posto di comando. “Vivi, e nello stato in cui sono stati catturati: guai a torcer loro un capello. Ecco i miei ordini.”
     “Ma non i nostri!” disse uno dei Nordiani con aria belligerante. “Siamo venuti sin qui dalle Miniere per ammazzare, e per vendicare il nostro popolo. Voglio uccidere e poi tornare al Nord.”
     Uglúk fece un sorriso minaccioso, scoprendo una fila di zanne luccicanti nella luce rossa. Alcuni dei Nordiani si contrassero e si fecero da parte.
     “E allora continua pure a volere,” ringhiò. “Io sono Uglúk. Io comando. Io torno a Isengard per la via più breve. Se non siete d’accordo, nessuno vi obbliga a restare. Andate!”
     Il Nordiano gli scoccò un’occhiata carica di odio.
     “Se fossi libero di fare a mio modo, sarebbero morti da un pezzo,” disse, “e anche voi. Voi Uruk vi comportate sempre come se foste speciali, mentre non siete altro che i raccatta-letame di un piccolo e sporco stregone.”
     Uglúk gettò indietro la testa e rise - era un suono terrificante, e non solo per i prigionieri. Vide i Nordiani farsi piccoli ancora una volta, e persino i ragazzi di Grishnákh - creature tozze dalle gambe arcuate, larghe quasi quanto erano alti, e dalle lunghe braccia che sfioravano quasi terra - arretrarono con una certa cautela. Era indubbiamente un bel vantaggio essere un massiccio Uruk nero, ancor più grande di un Uomo; bastavano le dimensioni a spaventare i più piccoli goblin, riportandoli all’obbedienza. O perlomeno bastava nella maggior parte dei casi.
     “Piccolo stregone?” ripeté Uglúk, continuando a ridacchiare con una malvagità tale da far rabbrividire alcuni dei più piccoli Orchi del Nord. “Idioti! Non sapete di cosa state parlando. Ma lo imparerete molto presto. Non c’è scampo da Isengard; e se porteremo allo Stregone Bianco ciò di cui ha bisogno, tutte queste terre saranno presto sotto il suo dominio, e noi cresceremo forti cibandoci di carne di cavallo… e qualcosa di meglio ancora.”
     “Sei molto sicuro di te, Uglúk,” ruggì Grishnákh, “ma non sei ancora arrivato a Isengard. E forse Saruman è diventato il padrone del Grande Occhio?”
     Uglúk snudò le zanne in un sogghigno privo di allegria. “Non ancora. Ma un giorno lo diventerà.”
     “Lo vedremo,” sbottò Grishnákh. “Lo vedremo, idiota!” Radunò intorno a sé i propri seguaci, mormorando sottovoce qualche imprecazione nell’idioma delle Terre Nere. “Uglúk u bagronk sha pushdug Saruman-glob búbhosh skai.”
     Gli altri ruggirono il proprio consenso, e ben presto entrarono in un’accalorata discussione che alle orecchie di Uglúk suonava come una serie di ruggiti e imprecazioni. Diversamente dagli altri Orchi, gli Uruk-hai lottatori di Isengard si servivano della Lingua Nera soltanto per trattare con i loro parenti più deboli. Fra loro adoperavano l’idioma degli Uomini - o meglio una sua versione modificata, piena di parole appartenenti a svariati dialetti orcheschi, ma pur sempre una lingua assai più avanzata.
     Ancora una volta, Uglúk maledisse il destino che l’aveva costretto a collaborare con quei ratti, ma non aveva altra scelta. Non prima di aver raggiunto Isengard. Allora avrebbe avuto l’occasione di ripagarli come meritavano. Ma ora bisognava accelerare le cose, se non volevano restare lì impalati ad aspettare l’arrivo dei cavalieri.
     “E va bene,” acconsentì con riluttanza. “Slegate le gambe a quei sottosviluppati, e dategli un goccetto di acquavite per rimetterli in piedi.”
     Lugdush sorrise malvagiamente e tagliò le cinghie che legavano gambe e caviglie del Mezzuomo più piccolo, trascinandolo per i capelli. La piccola creatura cadde nuovamente bocconi, con gran divertimento degli Uruk presenti; evidentemente aveva le gambe intorpidite. Lugdush bestemmiò e infilò a forza la propria fiaschetta rivestita di cuoio tra i denti del Mezzuomo, versandogli giù per la gola alcuni sorsi di preziosa acquavite ai quali fu alquanto penoso dover rinunciare. Quei piccoli conigli non erano degni di quella prelibatezza che avrebbe preferito conservare per se stessa, per lenire l’indolenzimento delle proprie membra, ma era un sacrificio necessario.
     E sortì esattamente l’effetto previsto. Dopo pochi istanti il Mezzuomo riusciva già a stare in piedi da solo, lanciando occhiate furibonde ai suoi rapitori, che gli fruttarono un altro scoppio di risatine da parte degli Uruk.
     Uglúk annuì, soddisfatto. “Adesso tocca all’altro!” disse. “E non sprecate altro tempo, dobbiamo rimetterci in marcia!”
     Lugdush si diresse verso il secondo sottosviluppato, ancora privo di sensi, e gli sferrò un calcio nelle costole - badando di svegliarlo soltanto, senza causargli seri danni. La creatura emise un gemito ma non si mosse.
     “Portamelo qui,” ordinò Uglúk. “Fammi vedere quella sua ferita.”
     Lugdush tirò su il Mezzuomo e lo gettò ai piedi di Uglúk, tirandolo su in una posizione seduta e strappandogli la fasciatura dalla testa. Uglúk esaminò lo sfregio sulla fronte del Mazzuolo - non aveva un bruttissimo aspetto. Era stato un peccato dover uccidere quell’idiota di Gâbhâk perché aveva danneggiato il prigioniero. Quello stupido era un combattente dannatamente bravo. Ahimè, Uglúk doveva imporre un esempio se voleva che i prigionieri arrivassero al suo Padrone tutti interi.
     “Vivrà,” valutò. “Dammi la medicina!”
     Lugdush gli porse la scatola di legno, e Uglúk spalmò un po’ di unguento nero sulla ferita. Sapeva che si sarebbe rimarginata prima del loro arrivo a Isengard; la medicina del vecchio Grúbkhash faceva sempre il suo lavoro.
     Il Mezzuomo pareva meno convinto di lui riguardo all’utilità dell’unguento curativo del Vecchio Grúbkhash. Lanciò un urlo di dolore, avvertendo il bruciore dell’unguento sulla ferita, e si dibatté selvaggiamente, ma inutilmente, tra gli artigli di Lugdush che lo tenevano bloccato. Questo fatto divertì gli altri Orchi oltre ogni dire; essi presero ad applaudire e a fischiare.
     “Non è capace di prendere la sua medicina,” sghignazzò Bâshrat, un guerriero vecchissimo (almeno per essere un Orco), che non per niente era soprannominato ‘lo Sdentato’; la sua bocca spalancata somigliava a una caverna oscura piena di cose sporche. “Non capisce nemmeno quando una cosa gli fa bene. Eh! Ci divertiremo davvero, più tardi.”
     “Molto più tardi, dico io,” ringhiò Uglúk, mostrando  allo sdentato le proprie zanne, del tutto rispettabili. “Non abbiamo tempo per gli svaghi, ora come ora. Krumkû, taglia i legacci alle gambe e mettilo in piedi. Dobbiamo partire subito.”
     La sua prima guardia obbedì prontamente - potendo vantare il grado di capitano, Uglúk aveva parecchie guardie, e questa era una femmina, abbastanza feroce da farsi affibbiare il soprannome ‘l’Orrenda’ dalla sua stessa gente. Il Mezzuomo si alzò, dopo esser stato costretto a ingollare un sorso della preziosa acquavite; aveva un’espressione pallida, ma spavalda e risoluta. Bisognava riconoscere almeno questo merito a quel piccolo coniglio. Poteva anche essere un idiota, ma certamente non era un codardo.
     E questo avrebbe reso tanto più divertente il suo… interrogario, una volta che fossero giunti a Isengard. Krumkû se la sarebbe spassata un mondo. Lei adorava quel tipo di lavoro.
     “Ehi, voi!” disse Uglúk, trascinando il piccolo idiota lontano dal suo ancor più piccolo amichetto; blateravano qualcosa a proposito di letto e colazione! “Niente scherzi! Cucitevi la bocca. Non parlate fra di voi. Ogni fastidio che darete verrà riferito al Capo, e Lui saprà come ricompensarvi.”
     “Avrete letti e colazioni in abbondanza,” aggiunse Krumkû con un ghigno di spietato godimento; “più di quanti non possiate sopportare, piccoli conigli.”
     “Teneteli d’occhio,” ringhiò Uglúk a voce così bassa da farsi udire soltanto dai propri seguaci. “Non permettete ai porci di Grishnákh di avvicinarsi!”
     Krumkû annuì e ordinò a circa una dozzina dei ragazzi migliori di circondare i due Mezzuomini e di separarli l’uno dall’altro. Cominciarono a discendere uno stretto burrone che conduceva nella pianura nebbiosa sottostante. Raggiunto il fondo, si fermarono sull’erba. Uglúk trasse un respiro profondo. Avevano raggiunto le terre pianeggianti, il che significava che ora avrebbero corso con maggior velocità e facilità.
     Sfortunatamente anche i cavalli del Mark avrebbero goduto di questo vantaggio.
     “Ed ora dritto in avanti!” gridò. “Lugdush, guida tu, sei quella che conosce meglio questi campi. In direzione ovest, anzi leggermente verso nord-ovest. Tutti gli altri, seguite Lugdush.”
     Alcuni dei Nordiani parevano spaventati di fronte alle ampie terre brulle, ove non si sarebbero potuti nascondere dal sole.
     “Ma che cosa faremo all’alba?” domandò uno di loro; una piccola creatura ossuta, del tutto indegna del nome di Orco. Uglúk gli rivolse uno sguardo disgustato.
     “Continueremo a correre,” ruggì. “Che cosa credi?”
     “Forse vuole sedersi sull’erba ed aspettare che i Pellebianchi vengano a partecipare alla scampagnata,” suggerì Krumkû, evidentemente stuzzicata dall’idea di gettare i Nordiani tra le grinfie dei Signori dei Cavalli.
     “E lasciare che indichino ai cavalieri la nostra direzione?” grugnì Uglúk. “Non credo proprio. No, dobbiamo restare uniti.”
     “Ma non possiamo correre alla luce del sole,” protestò debolmente il Nordiano.
     “Correrete con me alle calcagna,” lo minacciò Thraknazh, la seconda guardia di Uglúk. “O altrimenti non vedrete mai più le vostre adorate caverne.” E per aggiungere ulteriore enfasi alle proprie parole, agitò minacciosamente lo scudiscio dalle numerose cinghie, facendo sobbalzare il piccolo Orco.
     Uglúk, esasperato, scosse la testa imponente.
     “Per la Bianca Mano!” ringhiò “A che serve mandare in giro dei vermiciattoli di montagna addestrati a metà in una missione così importante? Correte, maledetti! Correte finché fa notte, o assaggerete la frusta di Thraknazh.”
     A queste parole gli Orchi più piccoli si alzarono subito in piedi, e l’intera compagnia si mise a correre con i passi lunghi e saltellanti caratteristici degli Orchi. Non procedevano in ordine, eccezion fatta per la banda bene addestrata di Uglúk. I Nordiani e quelli di Lugbúrz si spingevano, si urtavano e imprecavano, e più lo facevano più la sferza di Thraknazh accarezzava loro le gambe. In questo modo riuscivano a mantenere una gran velocità, eppure Uglúk non era soddisfatto. Continuava a vedere il volto dell’Elfo e il suo capo curvo, intento a seguire le loro tracce, correndo dietro a loro, così leggero che l’erba si piegava appena sotto i suoi piedi.
 
 
     Avevano percorso circa un miglio dalla cresta con quell’andatura forzata, quando la campagna scese con lieve pendio sino a un’ampia e bassa depressione. Qui il terreno era soffice e bagnato, e le loro scarpe chiodate vi sprofondavano, e ogni cosa era immersa nella nebbia che scintillava con pallido bagliore agli ultimi raggi della luna calante. Innanzi a Uglúk, le scure sagome di Lugdush e di quelli che la seguivano più da vicino diventarono confuse, e quindi scomparvero del tutto, apparentemente ingoiate dal buio.
     “Ahi! State attenti adesso!” gridò Uglúk dal fondo della fila. “Non perdete di vista la testa del gruppo, ragazzi, o non vi ritroveremo mai più in questa foschia maledetta!”
     La stessa idea doveva esser balenata anche nella mente del Mezzuomo più piccolo, che si svincolò dalle guardie e fece un brusco scarto, tuffandosi dritto nella nebbia. Fortunatamente non riuscì a saltare molto lontano, poiché lo si poteva vedere ancora, lungo disteso per terra.
     “Alt!” urlò Uglúk. Il solo pensiero che avevano rischiato di perdere uno dei loro prigionieri lo inferociva. “Non fatelo scappare!”
     Seguì un attimo di baraonda e di confusione. Il Mezzuomo con un balzo fu in piedi e si mise a correre. Ma Thraknazh era già alle sue calcagna, maneggiando la frusta con un polso sorprendentemente sciolto per un grosso Uruk nero.
     Il piccolo sottosviluppato poté reprimere a malapena un grido allorché le cinghie dello scudiscio gli si avvolsero intorno alle gambe, fermandolo di colpo.
     “Basta così!” vociò Uglúk avvicinandosi a passo di corsa e afferrando il braccio di Thraknazh proprio mentre il mastro aguzzino si accingeva a vibrare la sferzata successiva. “Ha ancora un bel po’ di strada da fare. Che corrano ambedue! Adopera la frusta soltanto per rinfrescar loro la memoria.”
     Thraknazh annuì con aria risentita; non era un’idiota, e per questo comprendeva l’importanza della velocità. Si sarebbe divertito con quelle miserande creaturine una volta arrivati a Isengard. Oh, eccome si sarebbe divertito! Lui e Krumkû erano una gran coppia, non solo come compagni di fornicazione ma anche come inquisitori. Non vi era mai stato un prigioniero che, interrogato da loro, alla fine non cantasse come un usignolo.
     Non che gli Uruk si curassero del canto degli uccelli, beninteso. Questo paragone era stato inventato dal loro Padrone, il quale, per motivi che essi non erano in grado di comprendere, aveva qualche interesse nelle creature vive. Ma in fin dei conti nessuno aveva mai chiesto loro di capire. Solo di obbedire.
     Eppure Uglúk non si consolava pensando alla roccaforte del loro Padrone. Erano ancora troppo lontani dalla sicurezza che essa rappresentava - e i prigionieri causavano problemi. Era una cosa intollerabile.
     “Ma non te la caverai con così poco,” ruggì al tremebondo Mezzuomo, combattendo il violento impulso di squartarlo seduta stante, membro per membro. “Io non dimentico. Il saldo del conto è soltanto rinviato,” Afferrò il sottosviluppato per i corti capelli ricciuti, lo sollevò fino all’altezza dei propri occhi, e infine lo lasciò cadere rudemente. “Su, in marcia!”
     L’inseguimento proseguì per lungo tempo. Correvano e correvano, con la rapida Lugdush in testa, i Nordiani costretti a seguirla dallo scudiscio di Thraknazh, per il quale era esattamente lo stesso, che i lenti fossero Orchi o Mezzuomini. Maneggiava lo strumento della disciplina con destrezza, e Uglúk guardandolo si sentiva orgoglioso.
     L’altro Uruk era alto quasi quanto lui, e il torace ampio, le spalle muscolose, la pelle scura rilucente di sudore, i capelli arruffati che scendevano a ricoprirgli la schiena, gli conferivano un aspetto ancor più feroce. Ecco come doveva essere un Uruk lottatore. Forse doveva fare di Thraknazh la sua Seconda Guardia. Che prendesse pure il posto di Gâbhâk, quello sfortunato idiota, da quel momento in avanti. Con due compagni di coppia a proteggergli le spalle, Uglúk non avrebbe avuto ragione di temere per la propria posizione. Krumkû e Thraknazh non avrebbero mai permesso all’altro di uccidere il capo e insediarsi al suo posto. La competizione tra due compagni era una cosa potente - e che gli tornava estremamente utile.
     La seconda notte cominciò a crearsi un altro subbuglio tra i maledetti Nordiani. Il loro costante brusio crebbe in un violento clamore; molti di loro esigevano una sosta. Le truppe degli Uruk-hai si accalcarono intorno ai prigionieri, formando un cerchio protettivo, e Lugdush tornò indietro a gran carriera, furibonda per il ritardo.
     “Che cos’aspettate?” vociò. “Dobbiamo proseguire, altrimenti finiremo per farci catturare, maledetti idioti!”
     “Non possono proseguire, non ancora,” sghignazzò Krumkû. “Le loro deboli membra non resistono alle asperità del cammino, poveri vermiciattoli! Io dico di lasciarli indietro, affinché i cavalieri ci si divertano.”
     “No,” disse Uglúk, sebbene con una certa riluttanza, poiché il suggerimento di Krumkû era davvero allettante. “L’unione fa la forza. E dopo tutto anche i prigionieri hanno bisogno di una sosta. Breve, però. Riposiamo e rifocilliamoci finché possiamo - ma presto dovremo ripartire.”
     Si accasciarono tutti quanti sull’erba calpestata. Uglúk ordinò a Gâshag, una delle sue più fide seguaci, di sfamare i prigionieri. I piccoli sottosviluppati avrebbero necessitato di tutte le loro forze per riprendere la marcia. Era già mattino; gli alti picchi delle montagne che giganteggiavano innanzi a loro attiravano i primi raggi di sole. Sulle pendici alle falde delle montagne vi era una scura chiazza che Uglúk sapeva essere una foresta… una nella quale avrebbe preferito non entrare, tranne in caso di massima necessità.
     Lugdush andò a sederglisi accanto sulla riva del fiume rapido e stretto. Gli offrì un grosso pezzo di torta rahdak friabile e la sua fiasca di acquavite.
     “Ti servirà tutta la tua forza,” disse. “I vermiciattoli delle montagne e i maledetti idioti di Lugbúrz stanno per creare nuovi problemi. Devi essere rapido e forte per ucciderli prima che le cose si mettano… al brutto.”
     Uglúk accettò l’offerta dolce e appiccicosa - la torta non era soltanto deliziosa, ma conferiva una forza sufficiente per molte ore. Si diceva che gli Elfi avessero qualcosa di simile; uno snaga, una volta, aveva trovato un pezzo di pan di via accanto al cadavere di un arciere del Bosco d’Oro. Ma si trattava di una galletta calda e secca, aveva detto lo snaga, e sapeva di polvere; l’aveva quasi soffocato.
     Fu tuttavia una sorpresa per Uglúk il fatto che Lugdush fosse disposta a dividere le preziose risorse con lui. Glielo disse. La femmina scoprì le zanne in un sorriso, scrollando quelle sue magnifiche, ampie spalle.
     “Preferisco te rispetto agli altri candidati,” disse. “Con un nuovo capo, dovrei ricominciare a lottare per conquistarmi una buona posizione. Per me è molto meglio se resti al comando.”
     Uglúk ricambiò il sorriso. “Sai, potresti rinforzare ulteriormente la tua posizione,” disse. “Voglio accoppiarmi con te, quando saremo tornati a Isengard.”
     “Ottima scelta.” Lugdush allungò con aria provocante il suo corpo sensuale, nero e lucente. “Ma non pensi che lo stregone s’infastidirebbe se io avessi dei cuccioli in pancia e non potessi più svolgere il mio ruolo di battitrice per qualche tempo?”
     “Lui vuole che ci accoppiamo,” disse Uglúk scrollando le spalle. “E anche noi vogliamo accoppiarci - non mi sembra che siano problemi. Inoltre una buona fornicata rimpolpa sempre il morale delle truppe, e lo stregone lo sa.”
     Lugdush fece un sorriso che le illuminò il volto da un orecchio all’altro, si mise carponi e prese a dimenare il sodo didietro in maniera allettante. “Ti va di rimpolparmi il morale adesso?”
     Uglúk l’avrebbe fatto volentieri durante la breve sosta. Sfortunatamente furono interrotti, poiché le truppe avevano ricominciato a gridare e a discutere animatamente. Pareva che stesse per scoppiare un’altra lite con i ratti delle gallerie. Alcuni di essi facevano cenni verso sud, alle loro spalle, altri verso oriente, mentre Thraknazh maneggiava la frusta e Krumkû giocherellava con il suo lungo coltello - quasi distrattamente, si sarebbe potuto pensare, ma Uglúk sapeva perfettamente che non era così.
     Gâshag e Krumluk si erano già piantati a piè fermo davanti ai prigionieri, pronti a uccidere chiunque tentasse di afferrarli, e Baghâk e Skraluk si stavano precipitando in loro aiuto, insieme al vecchio Bâshrat, lo sdentato, e a Ghashur, che era grande e grosso quasi quanto lo stesso Uglúk.
     D’un balzo Uglúk fu in piedi, emettendo un ringhio impaziente. Era il momento di fare i conti con quei vermiciattoli, ma per la Bianca Mano, cominciavano a stancarlo. Lo avevano appena privato del riposo più perfetto che un Uruk lottatore potesse mai sperare.
     “Volete tornarvene a casa, ai vostri fetidi buchi?” ringhiò. “Benissimo; lasciate i prigionieri a me, allora! Vietato ucciderli, come vi ho già detto; ma se proprio volete gettare via quel che siamo venuti a cercare sin qui, gettatelo pure! Me ne occuperò io.”
     “Ce ne occuperemo noi,” lo corresse Krumkû, accarezzando con un lungo artiglio ricurvo la lama del coltello affilato come un rasoio. “Gli Uruk-hai lottatori faranno tutto il lavoro, come al solito.”
     “Se avete paura dei Pellebianchi, scappate!” aggiunse Uglúk con un ghigno ferino. “Correte! Lì è la foresta,” gridò, puntando il dito innanzi a sé. “Rifugiatevi lì! È la vostra unica speranza. Fuggite! Ma fate presto, prima ch’io tagli qualche altra testa per mettere un po’ più di senno nelle altre.”
     Dopo un bel po’ di grida e imprecazioni, la maggior parte dei Nordiani si diede alla fuga, mettendosi a correre come impazziti lungo il fiume in direzione dei monti.
     “Quanti se ne sono andati?” chiese Uglúk, celando a stento il proprio disgusto.
     “Più di un centinaio,” riferì Thraknazh. “Con noi è rimasto soltanto un pugno di vedette. Non che gli altri usciranno mai vivi da quella foresta, beninteso,” soggiunse con un gran sorriso, decisamente sgradevole. “Ho sentito dire che gli alberi sono… tutt’altro che ospitali da quelle parti.”
     “Che bella liberazione,” ringhiò Uglúk. “Ora non dobbiamo far altro che fare i conti con Grishnákh e la sua canaglia.”
     “Non ne sarei tanto sicura,” disse Lugdush, volgendo a sud uno sguardo inquieto.
     “Lo so,” ringhiò Uglúk. “Quei maledetti allevatori di cavalli sanno che siamo qui. Ma è stata tutta colpa tua, Snaga,” aggiunse, lanciando un’occhiataccia alla piccola vedetta che, ancora una volta, si faceva piccolo dalla paura. “Tu e le altre vedette meritereste che vi tagliassimo le orecchie.”
     “Non ha importanza,” disse Krumkû scrollando le spalle. “Siamo ancora in venti, e venti Uruk-hai, non certo patetici vermiciattoli delle montagne. Siamo noi i combattenti. Vedrete che pasteggeremo con carne di cavallo, o con qualcosa di meglio ancora.”
     “Ammesso che i nostri ‘amici’ non ci procurino prima qualche problema,” ruggì Skaithak, noto anche come lo Storpiatore.
     Uglúk gli scoccò uno sguardo ostile. Di tutti i suoi subalterni, Skaithak era l’unico che poteva minacciare la sua posizione. Quella miserabile sottospecie di Uruk non sarebbe mai stato capace di uccidere un Uomo faccia a faccia, ma era abilissimo nell’uccidere e nello storpiare alle spalle chiunque. Compresi i suoi simili. Inoltre era estremamente bravo a leccare i piedi allo stregone. Queste erano due abilità che potevano tornargli molto utili, se sfruttate al momento giusto. Ed era precisamente per questo motivo che Uglúk teneva sempre un occhio vigile su Skaithak.
     In quel momento, tuttavia, fu costretto a concordare con il suo rivale. Vedendo tornare indietro la marmaglia di Grishnákh - una buona quarantina di Orchi - desiderò quasi che i cavalieri fossero arrivati prima di loro. Quasi.
     “Così, siete tornati?” domandò andando incontro a Grishnákh, che senza volerlo arretrò di un passo. “Ci avete pensato su, eh? O siete stati spaventati da qualche coniglio sbandato?”
     “Sono tornato per accertarmi che gli Ordini vengano eseguiti e i prigionieri non siano molestati,” ribatté Grishnákh con aria furente.
     “Davvero?” disse Krumkû con tono dolce e minaccioso al tempo stesso. “Ma sarà sicuro per voi? Ne dubito. Molto.”
     “E poi è fatica sprecata,” disse Uglúk. “Sarò io a occuparmi di far eseguire gli ordini. L’ho sempre fatto. E ci sono sempre riuscito.”
     “Forse è tornato per qualche altro motivo?” disse Krumkû dolcemente. Uglúk fece spallucce.
     “Perché? Se l’è svignata in fretta per salvarsi la pelle, non è così?”
     “Forse nella fretta della partenza ha lasciato qui qualcosa?” suggerì Lugdush con un luccichio negli occhi. “Potrebbe comunque lasciare qualcosa molto presto. La testa, per esempio.”
     “Ho lasciato un idiota,” ruggì Grishnákh. “Ma con lui ci sono dei ragazzi in gamba ch’è un peccato perdere. Quelli che non si lasciano comandare dalle loro femmine.”
     “I nostri maschi ci seguono,” lo corresse Lugdush, “perché siamo più brave a trovare la giusta via. Blateri di cose che non puoi sperare di capire.”
     “Ah, non posso?” ribatté Grishnákh, scoprendo le zanne. “Sapevo che tu e quell’idiota di Uglúk li avreste messi nei guai. Sono tornato ad aiutarli.”
     Se il suo intento era quello d’impressionare Orchi più grandi e più forti di lui, ebbe una brutta delusione. Tutti gli Uruk-hai riuniti attorno al loro capo si erano messi a sghignazzare al solo pensiero di aver bisogno di aiuto da parte di  Grishnákh e della sua banda.
     “Benissimo!” rise Uglúk con le lacrime agli occhi. “Ma hai preso la strada, a meno che tu non abbia un po’ di fegato per combattere.”
     “Non era Lugbúrz la tua direzione?” chiese Bâshdûl con falsa innocenza. “I Pellebianchi stanno arrivando - da quando in qua sei così ansioso di combatterli?”
     “E a proposito - cos’è accaduto al tuo prezioso Nazgûl?” aggiunse Uglúk. “Gli hanno ammazzato un altro cavallo? O forse stavolta quell’Elfo ha accoppato lui?”
     “Ecco, se l’avessi portato con te avresti fatto forse una cosa utile,” commentò Thraknazh in tono asciutto. “Ammesso che questi Nazgûl siano effettivamente ciò che pretendono di essere.”
     “Tu credi?” domandò Uglúk disgustato. “A cosa ci sono mai serviti gli spettri di Lugbúrz? E comunque cosa potrà mai fare un Nazgûl, oltre a far sì che gli Uomini se la facciano sotto dalla paura?”
     “Nazgûl, Nazgûl,” disse Grishnákh tremando e passandosi la lingua sulle labbra, come se la parola avesse un orribile gusto, sgradevolissimo da assaporare - con grande spasso degli Uruk-hai, che al contrario degli Orchi più deboli non avevano paura degli spettri. “Parli di qualcosa molto al di sopra dei tuoi sogni fangosi, Uglúk!”
     “Illuminami, allora,” disse Uglúk con un gran sorriso, incrociando le braccia sul petto massiccio. “Che cosa pretende di essere il tuo prezioso Nazgûl? Quel che ho visto finora non è certo granché.”
     Grishnákh roteò gli occhi all’indietro - era uno strano quadretto di odio, collera e panico.
     “Imbecille!” ruggì ferocemente. “Ah! Ciò che pretendono di essere! Un giorno ti rincrescerà di aver detto una cosa simile.”
     “Ah, dici davvero?” ghignò Uglúk. “E perché mai?”
     Grishnákh si guardò intorno per assicurarsi che la sua gente non potesse sentirlo -  mostrare una debolezza era tanto fatale per i deboli Orchi quanto lo era per gli Uruk-hai. Ma in quel momento aveva bisogno di avere Uglúk dalla sua parte, perlomeno fino a quando non fossero riusciti a liberarsi della minaccia rappresentata dai cavalieri, perciò s’impegnò a far capire l’Orco più grosso.
     “Ascoltami, idiota,” sibilò. “Dovresti sapere che sono la pupilla del Grande Occhio. Non possiamo permetterci di farli incollerire. Quanto ai Nazgûl alati, non è ancora giunta l’ora. Egli non vuole che si mostrino su questa sponda del Grande Fiume, per adesso, non ancora. Essi servono alla Guerra - e ad altri scopi.”
     “Sai molte cose, a quanto pare,” disse Uglúk, sospettoso. “Troppe, credo.”
     “Forse laggiù a Lugbúrz si domanderanno come mai, e perché,” commentò beffardamente Krumkû.
     “Credete di poter nascondere qualcosa al Grande Occhio?” replicò Grishnákh con un grugnito beffardo. “Se sono stato scelto, credetemi, è perché sono affidabile. E fidato.”
     “Se a Lugbúrz si fidano di te, sono ancora più idioti di quanto pensassi,” disse Uglúk. “E nel frattempo gli Uruk-hai di Isengard sbrigheranno come al solito le faccende più pesanti. Ma non per Lugbúrz; scordatelo. Noi combattiamo per la Bianca Mano, non per il tuo prezioso Occhio Rosso.”
     Si allontanò dalla banda di Lugbúrz, rivolgendosi alla propria gente. “È ora di ripartire,” disse. “Gâshag, Krumluk, tirate su i prigionieri. Krumkû, Thraknazh, fate muovere i ragazzi. Lugdush, va’ in testa alla colonna a impostare il ritmo di marcia.”
     I due che aveva chiamato afferrarono i piccoli sottosviluppati e se li misero in spalla. Le due guardie misero in formazione la truppa, preparandola a ripartire - questa operazione richiese un bel po’ di frustate da parte di Thraknazh, ma si svolse con sufficiente rapidità da accontentare persino Uglúk. Prima di mettersi a correre dietro i suoi, si voltò per scoccare uno sguardo maligno all’indirizzo di Grishnákh.
     “Non star lì impalato con la bava alla bocca!” gongolò. “Riunisci la tua canaglia! Gli altri porci se la son data a gambe verso la foresta. È quel che vi consiglio di fare. Non tornereste vivi al Grande Fiume.”
     “Coraggio!” aggiunse Thraknazh, agitando la frusta con palese godimento. “Si parte immediatamente, dannazione! Io vi starò alle calcagna.”
  
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