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Autore: Glirnardir    20/01/2013    0 recensioni
Quel famoso scontro all'ultimo sangue tra Éomer e Uglúk, visto dalla prospettiva di Uglúk.
Storia completa.
Questa storia non è mia. Io l'ho semplicemente tradotta per farvi conoscere la meravigliosa autrice Soledad. Per chi fosse interessato alla versione originale, la trovate qui: http://www.fanfiction.net/s/2326629/1/Last-Stand
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eomer, Uruk-hai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte 3

     Continuarono a correre tutto il giorno, con l’indefessa caparbietà di cui soltanto gli Uruk-hai erano capaci, persino più degli Orchi comuni. Non si fermavano mai, solo rallentavano di tanto in tanto per trasferire i prigionieri da un portatore a un altro, cosicché nessuno si affaticasse a causa del peso aggiuntivo. Questo incarico toccò a ciascuno degli Uruk senza eccezioni, salvo la battitrice, il mastro aguzzino e lo stesso Uglúk - loro erano chiamati a compiti di maggiore importanza.
     Benché l’intenzione originale di Uglúk fosse quella d’imbrancare la banda di Grishnákh davanti al proprio gruppo, gli Uruk-hai sorpassarono gradualmente i miserabili ratti di Lugbúrz, che si misero quindi alla retroguardia.
     “Non mi piace,” ringhiò Thraknazh a voce bassa. “Si trattengono di proposito. Dovrebbero precederci di parecchio.”
     “Ma noi siamo più veloci e più robusti,” osservò Krumkû, rompendo con disinvoltura il naso di uno dei ragazzi di Grishnákh che le si era avvicinato un po’ troppo per i suoi gusti.
     “Thraknazh ha ragione,” disse Uglúk. “Quel maledetto Grishnákh ha in mente qualcosa. Tienilo d’occhio, Krumkû, sino a quando raggiungeremo la foresta.”
     “Hai intenzione di entrare nella foresta?” domandò Krumkû, senza nemmeno tentare di nascondere il proprio disagio. Non molte erano le cose in grado di spaventare Krumkû l’Orrenda, ma quegli strani, antichi boschi erano fra esse. Anche Uglúk rabbrividì.
     “Non se è possibile evitarlo, no,” replicò. “Ma potremmo esservi costretti. I cavalli dei Pellebianchi non ci seguirebbero lì dentro… e se lasciassimo giocare gli alberi con i vermiciattoli del Nord - e noi invece non li toccassimo - dovrebbe filarci tutto a meraviglia, credo.”
     “Credi?” domandò Krumkû, incredula. Uglúk alzò le spalle.
     “Spero. Non possiamo combattere a un tempo tutti e due i nemici, alberi e cavalieri, e al momento il rischio minore è rappresentato dai cavalieri.”
     Continuarono a correre, e presto incominciarono a guadagnare terreno persino sui Nordiani che li precedevano. La risoluta Lugdush corse in testa alla colonna, infaticabile, senza riposo, e le sue gambe forti si alternavano incessantemente, come se il suo intero corpo fosse fatto di fil di ferro e corno, e Uglúk si concesse un attimo di piacere, immaginando la splendida prole che avrebbe messo al mondo con quella femmina eccezionale. Lugdush era ancora molto giovane, avendo superato la maturità da appena due anni, e ancora non aveva il permesso di generare. Ma all’età di otto anni non la si poteva certo definire una ragazzina; e Uglúk era fermamente deciso a conquistarsela.
     In quel momento, tuttavia, dovevano correre se volevano raggiungere l’incerta sicurezza della foresta. E così corsero, e Uglúk constatò con sgomento e sospetto che la gente di Grishnákh era davvero in grado di stare al passo con loro.
     Nel pomeriggio raggiunsero davvero i Nordiani. Stavano ormai rallentando sotto i raggi del sole invernale, che pure era debole e pallido. Avanzavano col capo chino e con la lingua ciondoloni.
     “Vermi!” sghignazzò Thraknazh, agitando la frusta per incitarli a correre più veloci. “Siete bell’e cotti.”
     “I Pellebianchi vi acciufferanno e vi divoreranno,” soggiunse Krumkû con un ghigno. “Eccoli che arrivano!”
     Gli altri Uruk-hai vociarono divertiti. Ma Uglúk non era affatto in vena di scherzi. Aveva sentito il grido spaventato di Grishnákh, e guardando dietro di sé vide veramente un gruppo di cavalieri in avvicinamento. I maledetti Pellebianchi erano ancora lontani, ma guadagnavano terreno su di loro come una marea che inondasse pianure ove la gente si smarriva nei banchi di sabbie mobili.
     Uglúk scosse rabbiosamente il capo. In quel momento non sapeva che farsene delle strane immagini di un Mare che non aveva mai visto, come d’altronde tutti i suoi antenati di cui avesse conoscenza. Ordinò a Thraknazh di raddoppiare la velocità, e il mastro aguzzino tornò indietro a passo di corsa, maneggiando la sferza con la solita mano esperta. Non che gli Uruk-hai avessero bisogno d’un qualche incoraggiamento, ma i ratti di Lugbúrz s’impegnavano di più quando erano sotto pressione.
     Il sole stava ormai per tramontare dietro le Montagne Nebbiose, e sebbene quei raggi non spaventassero né indebolissero gli Uruk-hai, Uglúk emise un sospiro di sollievo, vedendo le ombre che si allungavano sulla campagna. Ombre e tenebre erano le loro alleate - essi combattevano meglio di notte. Perfino i porci di Grishnákh levarono il capo e accelerarono anch’essi l’andatura, ora che il sole era scomparso.
     La foresta era scura e vicina, una promessa di salvezza - se vera o falsa non osava ancora chiederselo, ma almeno era una speranza. Mentre superavano i primi alberi solitari, il terreno incominciava a salire con un’inclinazione più ripida. Alcuni degli Orchi più piccoli e stanchi rallentarono involontariamente.
     “State attenti adesso!” sbraitò Uglúk. “Non restate indietro, a meno che non vogliate farvi ammazzare a suon di frecce, idioti! Correte! Correte finché ne avete la forza!”
     Come se volessero aggiungere enfasi alle sue parole, i cavalieri li avevano ormai raggiunti sul lato orientale, e galoppavano sulla pianura mantenendosi all’altezza dei nemici. Il sole calante indorava le lance e gli elmi e luccicava sui biondi capelli sciolti dei cavalieri. A Uglúk non piacque ciò che vide. Non gli piacque nemmeno un po’. I cavalieri li stavano accerchiando, impedendo ai vermiciattoli del Nord e alla marmaglia di Grishnákh di sparpagliarsi e costringendoli ad avanzare paralleli al fiume.
     “Non mi piace per niente,” ringhiò rivolto a Krumkû, che annuì cupamente.
     “Siamo caduti in una trappola,” disse. “Se sopravvivremo, giuro che farò a pezzi quello snaga con le mie nude mani. Se avesse ammazzato quel cavaliere, ora non ci troveremmo in questo maledetto guaio.”
     “Potremmo anche riuscire a battere i Pellebianchi,” ghignò Skaithak, scoccando un’occhiata di sfida all’indirizzo di Uglúk. “Se soltanto avessimo un capo provvisto di attributi.”
     Era una sfida che Uglúk non poteva lasciare impunita, non se voleva conservare la sua posizione. Ma prima che potesse sguainare la spada, una freccia comparve come dal nulla andando a conficcarsi nella gola di Skaithak, e lo Storpiatore, che correva proprio davanti a quelli che portavano i prigionieri, crollò e non si rialzò più.
     Uglúk si guardò intorno, cercando la fonte della freccia, e individuò un gruppetto di cavalieri che maneggiavano grandi archi. Dovevano esser venuti velocemente a portata di tiro, per scoccare frecce contro gli Orchi da un cavallo al galoppo. Erano già caduti parecchi degli inferiori soldati di Lugbúrz - ma questa era la prima volta che uno dei suoi ragazzi veniva ucciso. E sebbene Uglúk non rimpiangesse affatto la perdita di Skaithak, la trovava comunque una cosa inquietante.
     Gli idioti di Lugbúrz rispondevano al tiro alla meno peggio, ma poiché nessuno di essi osava fermarsi, i loro dardi andavano completamente fuori bersaglio. I cavalieri si allontanavano rapidi dalla portata delle frecce come niente fosse.
     “Smettetela, idioti,” vociò rabbiosamente Uglúk. “Così non fate altro che sprecare le frecce. Correte! Correte verso quel piccolo colle davanti a noi - lì potremo organizzare meglio la nostra difesa, semmai non riuscissimo a raggiungere la foresta in tempo.”
 
 
     Nessuno degli Orchi ebbe bisogno d’un incoraggiamento, neppure gli idioti di Lugbúrz. La notte scendeva rapidamente, ma fu soltanto dopo il calar della notte che i cavalieri accerchiarono gli orchi preparandosi alla battaglia; un fatto che Uglúk trovò strano e inquietante al tempo stesso. Gli Orchi riuscirono a raggiungere il piccolo colle che aveva indicato, ma essi non potevano più andare avanti, benché i margini della foresta fossero ormai molto vicini.
     “Probabilmente mezzo miglio, non di più,” mormorò Lugdush, “forse anche meno. Tentiamo di raggiungerla?”
     Uglúk scosse la testa massiccia. “No; non vedi i cavalieri davanti a noi? Ci hanno tagliati fuori, quei maledetti Pellebianchi.”
     “Ci hanno completamente circondati,” lo corresse Lugdush in tono cupo.
     Parlava a voce bassa, ma non abbastanza per le orecchie aguzze dei ratti di Lugbúrz, che andarono in preda al panico al pensiero di esser caduti in trappola. Uglúk cercò di tranquillizzarli, con il discutibile aiuto di quel doppiamente maledetto Grishnákh, affinché non sprecassero energie prima che scoppiasse la battaglia vera e propria, ma non c’era modo di ragionare con quegli ottusi idioti. Un gruppetto si allontanò e proseguì la corsa verso il bosco - più tardi, tre soli tornarono.
     Grishnákh, naturalmente, era furioso, e cercava di scaricare tutta la colpa addosso Uglúk, come ci si poteva aspettare.
     “Ebbene, eccoci qui,” sghignazzò. “Ottima guida! Spero che il grande Uglúk ci riconduca fuori.”
     Uglúk non gli prestò la minima attenzione. Aveva ordini da dare, truppe da organizzare. La situazione era precaria nel migliore dei casi - ma ciò nonostante confidava ancora nella forza e nel coraggio dei suoi ragazzi, se solo fossero riusciti a difendere il campo fino all’arrivo dei rinforzi. Mauhúr non li avrebbe lasciati morire e marcire in quella trappola per topi, di questo era certo. Non esistevano veri e propri legami tra due Uruk nati dalla stessa femmina, nemmeno tra due cuccioli gemelli come Mauhúr e Uglúk. Ma oltre ad avere legami di sangue erano anche alleati… e conoscevano entrambi il loro dovere verso lo stregone e verso la famiglia.
     “Mettete giù quei Mezzuomini!” ordinò a Skarburz e a Krumghash, i due portatori attuali. “Tu, Azdreg, e altri due, sorvegliateli bene! Non devono essere uccisi, a meno che i luridi Pellebianchi non penetrino sin qui. Capito?”
     Azdreg, uno dei ragazzi migliori, che Uglúk aveva addestrato personalmente e scelto appositamente per questa pericolosa impresa, annuì seccamente e fece come gli veniva ordinato. Uglúk abbassò la voce a un ringhio quasi inudibile.
     “Finché sono vivo, li voglio vivi. Ma non fateli gridare, e badate che nessuno venga a salvarli.”
     Azdreg annuì ancora una volta. Era tanto leale a Uglúk quanto poteva esserlo un qualsiasi Orco - ossia metteva unicamente i propri interessi al di sopra di quelli del suo capo.
     “Legategli le gambe!” ordinò, e le altre guardie eseguirono l’ordine senza alcuna pietà.
     Nel frattempo, Thraknazh cercava di organizzare e assettare le truppe, con l’aiuto della sua fidata frusta. Tutto questo avveniva con gran baccano, naturalmente, col mastro aguzzino e i suoi aiutanti che sbraitavano, i ratti di Lugbúrz che ruggivano e facevano tintinnare fragorosamente le armi, e i vermi delle montagne del Nord che squittivano come maialini impauriti.
     Si radunarono sul colle, nascondendosi e riposando come meglio potevano nella notte fredda e silenziosa. Seduto sulla sommità della collinetta, Uglúk osservava torvo i piccoli falò che si accendevano tutt’intorno a loro, un cerchio perfetto.
     “Distano un lungo tiro di freccia,” osservò Ashluk, l’arciere migliore del gruppo. “Da qui riuscirei a colpirli.”
     “Forse sì,” borbottò Uglúk, “se si mostrassero alla luce. Ma quelli non lo fanno, e… Ehi, stupidi ratti.” D’un balzo fu in piedi, dirigendosi a passo di corsa verso i soldati di Lugbúrz, che si erano messi a tirare inutilmente sui fuochi. “Piantatela di sprecare le frecce, o vi ritroverete con una testa in meno!”
     “Inutile tentare di far qualcosa prima che compaia la luna,” concordò Lugdush.
     “Potrebbe volerci metà della notte,” disse Thraknazh. “Un tempo sufficiente per fare ciò che va fatto.”
 
 
     Tutti gli Uruk-hai nei dintorni piantarono su Uglúk uno sguardo trepidante. Non erano degli idioti; sapevano bene che rischiavano di essere uccisi nell’imminente battaglia con i cavalieri - dal primo all’ultimo. Erano presi in trappola, e fondamentalmente non avevano via di scampo.
     Uglúk esitò. Da una parte dovevano accoppiarsi prima della battaglia per mettere incinte le femmine, sperando che alcune riuscissero a mettersi in salvo e ad assicurare la sopravvivenza della loro schiatta. Ciò che va fatto, aveva detto Thraknazh. Lo sentivano nel sangue: l’impulso di affermare la successiva generazione del clan.
     D’altra parte, gli Uruk-hai condividevano una caratteristica particolare con gli odiati Elfi: per dare vita alla prole, dovevano rinunciare a una parte di sé. Si diceva che due genitori elfici sacrificassero parte della loro essenza - il loro fëa, come lo chiamava lo Stregone - per chiamare al mondo una nuova vita. Gli Uruk-hai sapevano di dover rinunciare a una grande quantità di energia per dare vita alla prole, almeno temporaneamente. E in effetti l’atto riproduttivo indeboliva i due partecipanti in modo considerevole per un paio d’ore a seguire. E questo non potevano permetterselo, nelle attuali circostanze.
     Eppure Uglúk sapeva che l’istinto di assicurare la sopravvivenza della loro stirpe avrebbe trionfato al di sopra di più assennate considerazioni. Accadeva sempre così. Era semplicemente troppo forte per essere ignorato. La cosa migliore era cedere immediatamente all’impulso, in modo da avere almeno un po’ di tempo per riprendersi dalla fatica. Quel poco tempo avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte.
     “Hai ragione,” disse a Thraknazh con un pesante sospiro. “Dobbiamo farlo, e dobbiamo farlo subito, finché siamo in tempo. Che Bâshdûl sorvegli i prigionieri. Sceglierò i più adatti alla riproduzione.”
     Era suo diritto compiere quella importantissima scelta. Il capo era lui. Ma la scelta era davvero ardua. Avevano con sé soltanto una manciata di femmine, escludendo Krumkû, che era già impegnata, e Lugdush, che Uglúk aveva scelto per sé. Per quanto riguardava le altre, Bâshdûl era sterile e perciò inutile, ed era per questo preciso motivo che veniva sempre destinata alle missioni pericolose - era sacrificabile. Gâshag era ormai troppo anziana per partorire. Restavano dunque quattro femmine, e quasi tre volte tanti maschi impazienti tra i quali dover scegliere.
     Dopo una breve riflessione, Uglúk scelse i quattro ragazzi più grossi, forti e leali che aveva a disposizione: Azdreg, Krumghash, Skarburz e Ghashur. Lasciò fuori Grothrásh e alcuni ragazzi straordinariamente forti ma alquanto lenti di cervello. Più tardi avrebbero avuto bisogno di tutte le loro forze per la battaglia. A maggior ragione perché gli altri sarebbero stati indeboliti.
     “Sapete quel che dovete fare,” disse alle coppie scelte. “Assicuratevi di mettere incinte tutte le femmine - e che si mettano in salvo, a qualunque costo. Domani, loro - e i cuccioli che avranno in seno - saranno forse tutto ciò che rimane del nostro clan.”
     Gli altri annuirono tetramente. Erano i migliori e i più intelligenti della loro generazione; con loro non c’era bisogno di mentire. Avrebbero fatto ciò che andava fatto, orgogliosi di poter preservare il loro ottimo lignaggio. Gli Uruk presi  singolarmente erano sacrificabili, ma il clan doveva sopravvivere.
 
 
     Non era così che Uglúk aveva immaginato di accoppiarsi con la splendida Lugdush, ma doveva accontentarsi. Se fossero sopravvissuto, si sarebbe potuto divertire e compiacere in seguito. Ora doveva concentrarsi sul metterla incinta - ed era tutt’altro che un compito facile. Sebbene gli Uruk-hai fossero sempre lieti di fornicare per svago, creare una nuova vita richiedeva un notevole sforzo… da parte di ambedue i partecipanti. Non era sufficiente montare la femmina per la durata di qualche affondo e qualche grugnito.
     Fortunatamente questa non era la prima copula di Uglúk, che quindi sapeva perfettamente cosa fare e cosa aspettarsi. Tutto ciò che rimpiangeva era di non avere il tempo e la tranquillità necessari per godere dell’atto come si conveniva. Lugdush si concedeva meravigliosamente al dominio del compagno, il suo corpo sensuale era caldo come le fornaci nelle viscere di Orthanc, e le sue membra così lisce e forti. Dedicando una minuscola parte della propria mente ai requisiti fisici, Uglúk si avvicinò al compimento quasi troppo presto, mentre la parte più grande e importante della sua mente aspettava ciò che era sul punto di arrivare: il momento davvero importante del loro accoppiamento.
     Eppure lo colse alla sprovvista. Il contatto tra la sua mente e quella di Lugdush fu come un fuoco vivo, oscuro e distruttivo. Combatterono un istante per il predominio - e quindi si unirono in una sola fiamma oscura e violenta, assai più forte di quanto non fossero i due singoli fuochi, ardente di un calore spietato che nemmeno gli Uruk-hai poterono sopportare per più di qualche tempo. Uglúk sentiva la forza riversarsi dalle sue membra, sgorgare dal suo stesso spirito, e come metallo liquido entrare a fiotti nelle forme che lo avrebbero plasmato per creare un essere nuovo, un essere forte, meraviglioso, pieno d’una bellezza oscura che soltanto gli Orchi sapevano apprezzare. Riusciva quasi a sfiorare quella nuova scintilla che cominciava a prendere forma tra loro due. La sentiva crescere e svilupparsi…
     Incapace di sopportare più a lungo il vincolo mentale, scese di dosso alla compagna, spossato, ma confortato dalla certezza che i loro sforzi erano serviti a qualcosa.
     “Ha attecchito?” domandò per aver conferma della propria sensazione, sapendo che mentre lui poteva sbagliarsi (per quanto improbabile potesse essere questa eventualità), Lugdush non poteva. Era un istinto caratteristico delle femmine - loro sapevano sempre.
     Lugdush, troppo esausta per parlare - l’atto riproduttivo era ancor più faticoso per le femmine di quanto non lo fosse per i maschi - emise un debole ringhio d’assenso. Uglúk le carezzò affettuosamente il didietro.
     “Bene. Adesso riposa come puoi. Devi cercare di svignartela dall’accampamento appena sarai abbastanza forte da camminare. Prima che i Pellebianchi ci attacchino. Voglio che tu te ne vada prima che sia scoppiata la battaglia. Dirigiti verso Isengard, ma nasconditi nella Valle dello Stregone finché non sarai certa che Orthanc sia un posto sicuro.”
     “E perché non dovrebbe?” domandò Lugdush, dando l’ennesima prova degli straordinari poteri di recupero degli Uruk-hai. Uglúk scrollò le spalle.
     “Pare che negli ultimi tempi lo stregone si sia procurato un sacco di nemici. Credo che alla fine sarà vittorioso… ma non voglio rischiare la tua vita - né quella dei cuccioli.”
     “Non saprei dire se siano più d’uno,” ammise Lugdush.
     “È troppo presto,” disse Uglúk. “Ma che siano uno o più, devi portarli al sicuro. Ricordi il nascondiglio del Vecchio Gâbkrísh, appena fuori del Cerchio di Isengard? Lì potrai sparire dalla circolazione per qualche tempo.”
     “E tu?” chiese Lugdush. “Ho una brutta sensazione riguardo a questa battaglia.”
     “Anch’io,” disse Uglúk, “ma ora non possiamo tagliare la corda. Se sopravvivrò, verrò a cercarti. Altrimenti - sta a te proteggere i cuccioli. Anche se ciò comportasse voltare le spalle a Orthanc.”
     Lugdush indicò il proprio assenso con un cenno del capo. Nel creare nuove generazioni di Uruk-hai, provvisti di una mente astuta e penetrante, lo stregone aveva praticamente piantato il seme della slealtà, che dava i suoi frutti nelle situazioni che potevano mettere a repentaglio il punto imperativo della loro esistenza: la sopravvivenza del clan. Sarebbero stati disposti a combattere e a morire per Saruman senza pensarci nemmeno - a meno che ciò non mettesse a repentaglio la prole. Questo era un fatto di cui lo Stregone non era al corrente, e loro erano abbastanza scaltri da tenerglielo nascosto. Non erano più marionette come pensava lo Stregone, non lo erano ormai da molto tempo.
     “Manderò Krumkû con te,” continuò Uglúk. “È più vecchia e forte di te, e per un po’ di tempo sarà molto utile. Ma non ti devi fidare di lei.”
     “Mai fidata,” disse Lugdush con un sorriso stanco. “È pazza, quella.”
     “Infatti,” confermò Uglúk, “e quando avrà le sue smanie da gravidanza potrebbe ucciderti da un momento all’altro, se non presterai la debita attenzione. Se pensi già adesso che sia pazza, dovresti vederla quando ha un cucciolo in pancia. Io l’ho vista - e non ho la minima intenzione di rivederla in quello stato.”
     “E perché allora la mandi con me?” chiese Lugdush.
     “Ti servirà un po’ di protezione nei prossimi due giorni, finché non avrai recuperato tutte le tue forze,” rispose Uglúk. “Anche indebolita, Krumkû è formidabile - in due avrete una maggiore possibilità di uscirne vive. Ma devi separarti da lei non appena ti sentirai forte abbastanza.”
 
 
     Sentendosi sufficientemente forte da poter camminare, il riluttante Uglúk abbandonò la sua compagna (contrariamente a ciò che si possa credere, gli Uruk-hai provavano davvero un certo grado di affetto per le femmine con le quali copulavano - fintanto che questo non metteva a repentaglio la loro vita o la loro posizione) e andò a ispezionare il perimetro dell’accampamento. La luna era appena emersa dalla nebbia, e così si poteva scorgere di tanto in tanto qualche figura illuminata dalla sua bianca luce: erano i cavalieri, che si muovevano in una incessante pattuglia.
     Anche le guardie li vedevano, e non erano contente.
     “Aspettano il Sole, maledetti!” ringhiò Búrztakh, chiamato il Guercio per ovvi motivi; il rubino color rosso sangue che portava incastonato nell’orbita vuota rifletteva la luce dei fuochi. “Perché non radunarci e cercare di aprirci un varco?”
     Qualcun altro raccolse la sua osservazione e si disse d’accordo. Gli altri Orchi appoggiarono questa idea. A nessuno di loro piaceva starsene seduti in una trappola, aspettando di venir massacrati… o arrostiti dalla luce del sole.
     “Vorrei proprio sapere che cosa pensa di fare, il vecchio Uglúk!” aggiunse Búrztakh, versando olio nel fuoco. Era uno degli alleati di Skaithak, e detestava il capo con altrettanta passione. Forse sperava di prendere il posto di Skaithak, cosa che sarebbe senz’altro accaduta se avesse giocato bene le carte.
     “Immagino che ti piacerebbe,” ruggì Uglúk apparendo dietro le sue spalle. “Intendi dire che non penso a nulla, vero?”
     Trovò la reazione impaurita di Búrztakh assai soddisfacente, ma non aveva la minima intenzione di permettergli di svegliare gli altri. Non avevano tempo per questa follia.
     “Ah, sì?” ribatté Búrztakh con aria di sfida, sapendo fin troppo bene che il capo era ancora indebolito dall’accoppiamento e che non avrebbe sprecato energie per uccidere un subalterno ribelle. “O ti si è annebbiato troppo il cervellino, a furia di fornicare? Io dico…”
     Non poté proseguire la  sua invettiva carica di odio, perché Grothrásh, tardo ma leale quanto poteva esserlo un Orco, lo colpì in piena faccia, rompendogli il naso con un solo pugno brutale.
     “Maledetto!” ringhiò il Massacratore. “Sei fatto della stessa pasta degli altri: vermiciattoli e imbecilli di Lugbúrz. Come se non li conoscessi! Inutile contare su di loro per aprirci un varco. Incomincerebbero a squittire e se la darebbero a gambe, e questi luridi allevatori di cavalli sono in numero sufficiente per acciuffarci tutti, se torniamo in pianura.”
     E questo era fin troppo vero, naturalmente, ma il ricordo fece tutt’altro che calmare i nervi degli Orchi.
     “Ma siamo comunque seduti in una trappola per topi,” disse Bagdreg, dando voce alla preoccupazione generale. “Dovremmo cercare di aprirci un varco finché fa ancora buio. I vermi sono più forti di notte.”
     Uglúk scosse la testa. “No, Grothrásh ha ragione. Una sola cosa sanno fare questi vermi: hanno uno sguardo che penetra nel buio come un succhiello. Ma i Pellebianchi pare possiedano una vista notturna migliore di quella degli altri Uomini; e non dimenticare i loro cavalli! Quelli vedono anche la brezza di notte, o così ho sentito dire.”
     “Meraviglioso,” borbottò Búrztakh, tastandosi il naso ancora sanguinante. “E allora perché ce ne stiamo qui seduti ad aspettarli?”
     “Perché c’è una cosa che i nostri furbi amici non sanno,” replicò Uglúk con un ghigno ferino. “Mauhúr e i suoi sono nella foresta, e dovrebbero spuntare da un momento all’altro.”
     Gli altri Orchi non furono particolarmente confortati da questa promessa, ma gli Uruk-hai tirarono un sospiro di sollievo. Le truppe di Mauhúr erano forti quanto le loro - anzi, più forti ancora, poiché i ragazzi di Uglúk avevano subito alcune perdite nei pressi di Rauros - e aiutati dell’altra marmaglia avrebbero potuto intrappolare i cavalieri tra due fuochi, e uccidere Uomini e cavalli indistintamente, guadagnandosi non solo una via di scampo ma anche un pasto alquanto soddisfacente.
     Uglúk ordinò ai ratti di Lugbúrz di collocare alcune sentinelle - non certo pensando di trarne qualche utilità, ma almeno per dar loro qualcosa da fare - e ritornò al punto ove sperava di trovare Thraknazh. Anche il mastro aguzzino stava pian piano recuperando le forze; Krumkû era una compagna esigente, anche in circostanze normali, e metterla incinta era stato un compito… alquanto faticoso.
     “Le femmine sono andate,” riferì. “Krumkû è accompagnata da Lugdush, come ordinato, e le altre due sono partite insieme. Si sa qualcosa di Mauhúr e degli altri?”
     Uglúk scosse il capo. “Non ancora. Ma presto. Mauhúr è furbo; sfrutterà il buio per avvicinarsi.”
     La notte era diventata davvero molto buia, poiché la luna era scomparsa a ovest fra fitte nubi, e perfino i penetranti occhi notturni degli Uruk-hai non riuscivano a distinguere nulla a pochi passi di distanza. La luce dei falò dei cavalieri non giungeva sino alla collina. Ma Uglúk era riconoscente all’oscurità per la protezione che forniva. Lugdush e le altre avrebbero avuto più facilità ad allontanarsi inosservate.
     Thraknazh spostò le possenti spalle per sciogliere i nodi che gli si erano formati nella schiena. Presto sarebbe scoppiata una battaglia, e lui aveva bisogno di tutte le sue abilità, tese e affinate al punto massimo dell’acume. Non era la prima volta che si scontrava con i cavalieri, e sapeva che non sarebbe stato uno scontro facile. Con i Pellebianchi non lo era mai.
     “E adesso?” domandò. Uglúk fece spallucce.
     “Adesso aspettiamo.”
  
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