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Autore: Siria Lilian Black    18/01/2013    2 recensioni
Nata come prologo di una Fanfiction, ho deciso di pubblicarla come originale. Racconta un piccolo pezzo di vita di due ragazzini italiani e di un terzo, venuto da lontano.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Word Life
000 - prologo






A sette anni, la visione del mondo inizia ad essere più chiara, le scuole aiutano in qualche modo a crescere e a cancellare il senso di irrealtà dell'universo. Con essa giungono i pregiudizi e tutto ciò che ha di sbagliato la società moderna. All'epoca ancora non capivo quanto potesse essere crudele e difficile la vita nel mondo, ma una cosa era e sarebbe sempre stata certa, qualunque cosa fosse successa, mi sarei rialzata e avrei continuato a combattere. Ero una bambina e mi davano della sciocca per questo, ma non potevo farci niente, non ero nata per gettare la spugna.

L'aveva visto arrivare due mesi e mezzo prima, un sorriso spaziale ed uno sguardo curioso, per niente preoccupato di essere giunto in un posto nuovo, mai visto. Sembrava diverso dal resto dei suoi amici, così aveva scelto di iniziare a conoscerlo, per poi scoprire che veniva da lontano. Si erano conosciuti quasi per caso, giocando a calcio, Siria aveva tirato la palla troppo lontano e quella era andata a finire sulla nuca del ragazzino. Gli aveva chiesto scusa e guardandolo negli occhi, colpita da quel sorriso spontaneo gli aveva chiesto se aveva voglia di giocare con lei e i suoi amici. Era più grande di loro, ma aveva accettato con un pizzico di incertezza.
Era cominciata così la loro amicizia, qualche tiro a pallone e qualche chiacchiera, supportata dalle occhiatacce del cugino, per la prima volta non era lui ad essere osannato sul campo e adorato dalla bambina. John, quello era i nome del ragazzino, appena dodicenne all'epoca, si era trasferito in Italia per l'estate, i suoi genitori desideravano che non dimenticasse le origini della famiglia e che di conseguenza ne imparasse bene la lingua. Avevano cercato di fare il possibile a casa, ma, giustamente, avevano preferito portarlo nel loro luogo natale per far sì che potesse allenarsi nella pronuncia.
La pronuncia americana non era passata inosservata, ai ragazzi più grandi non andava a genio che un nuovo arrivato si guadagnasse le simpatie dei bambini che un tempo sottostavano alle loro regole...

- Domani ci insegni a giocare a football, allora. - Disse entusiasta la bambina, seduta accanto al cugino nei pressi della pista di pattinaggio nel lato nord del parco. I loro genitori, alle prese con la sorella più piccola della ragazza erano in attesa nella zona sud del piccolo parco, dominato dalle querce di vecchia data.
- Ok, ma voglio sapere perché chiamate i sandwich con due nomi differenti. - Rispose John, alzando un sopracciglio.
- Oh, è semplice! Con il pane normale si fanno i panini, con il pancarre, quello secco, insomma, si fanno i tramezzini. Non sono la stessa cosa! - Esclamò il cugino della bambina, incrociando le braccia sul petto.
- Mah, se lo dici tu... - commentò John, passandosi una mano sulla nuca con aria ben poco convinta. - Comunque, domani la palla la porto io... - Aggiunse alzandosi dalla panchina nella quale erano seduti.
- Sarà ora di tornare a casa, Siria... - Disse il cugino di Siria, lanciando un'occhiata preoccupata in direzione del luogo nel quale si sarebbero dovuto trovare i genitori.
- Già, Dan ha ragione, torniamo dai giochi. - Concluse John, precedendo i due.
- E aspettare che ci vengano a chiamare no, eh? - Domandò scocciata la bambina, zampettando irritata dietro i due ragazzi.
- Sì, sì, tornate dalla mamma, marmocchi. - Esordì una tono sarcastico da dietro una quercia, seguita all'istante dalle risate di altri due individui.
Sorrisi sarcastici sul volto e braccia incrociate sul petto, comparvero tre vecchie conoscenze dei due cugini. Si erano sfidati più volte sul campo da calcio situato accanto alla pista di pattinaggio e, nonostante fossero decisamente più piccoli di loro, i due Black avevano sempre vinto ogni partita, indipendentemente dalla bravura della squadra che li aveva supportati. Sempre accompagnati dai genitori, come era giusto che fosse, i due bambini non erano mai stati sfiorati dai tre, nonostante si potesse vedere lontano un miglio l'odio che provavano nei loro confronti.
Così, vederli lì, senza genitori alle spalle, accompagnati solamente da 'quello straniero' era stata una manna dal cielo per i tre ragazzi.
- Marmocchio sarai tu, asino! - Rispose la bambina, lo sguardo determinato, saltando su una panchina lì accanto.
- Ha parlato la pulce... - Commentò il più largo dei tre, facendo un passo verso di lei, per poi esclamare un 'Bu', convinto di farla morire di paura. Siria alzò un sopracciglio, osservandolo, era piccola, sì, ma non stupida. Così, si mise la mani in tasca, sperando che Mister Cervello Bacato avesse qualcosa di più intelligente da dire.
- Ehi! Non rispondere così a mia cugina! - Esclamò il più piccolo dei cinque, incrociando le braccia sul petto.
- Vedi - Esordì  quello che, a giudicare dal tono e dall'atteggiamento, doveva essere il capo del gruppetto. - E' così da quando sei arrivato. I marmocchi non ci rispettano più. Quanti anni avranno questi due...  Cinque? Sei anni? -
- Ne ho sette, stupido! - ribatté alterata la bambina.
- Sta' zitta, tu. Capisci, non ci ascoltano e questa... questa è solamente colpa tua! - Concluse il ragazzo, spingendo a terra John, senza nemmeno dargli il tempo di rispondere o di elaborare ciò che gli stavano dicendo.
- Ehi! Lascialo in pace, non è colpa sua se sei scemo! -
- Sta' zitta, ho detto! - esclamò il ragazzo, spingendola a terra senza pensarci due volte.
Un urlo seguì quella spinta. Siria cadendo aveva poggiato male il piede ed il ginocchio, muovendosi in modo innaturale era uscito dal suo alloggio.
I tre ragazzi, preoccupati dal fatto che qualcuno nel parco, potesse accorgersi di ciò che era successo, scapparono, lanciando soltanto un'occhiata appena dispiaciuta in direzione della ragazzina.
John e Dan, invece, più che preoccupati per la sorte della bambina, si avvicinarono a lei, aiutandola a posare la schiena contro la panchina, cercando in ogni modo di non muovere la gamba, la quale, a giudicare dal volto pallido di Siria, sembra fare un gran male.
Siria, dal canto suo, era troppo preoccupata a trattenere le lacrime per accorgersi dei due compagni. In sette anni di vita si era più volte storta una caviglia, rotta un dito, preso pallonate in faccia e era persino caduta dallo skateboard, ma nessuno di quegli incidenti era minimamente paragonabile al dolore che stava provando in quel momento. Sembrava quasi che le avessero tagliato la gamba di netto.
- Vado a chiamare la zia... - disse Dan, sconvolto alla vista di ciò che era successo. Corse via, mollando il pallone col quale avevano giocato tutto il pomeriggio a metà strada, comportamento insolito per uno come lui che teneva più ai palloni da calcio che a qualunque altra cosa.
- Ha l'aria di essere piuttosto doloroso... -
Lo sguardo del ragazzo, ancorato al ginocchio ferito di Siria, si era fatto cupo, ma soprattutto colpevole. Si sentiva in colpa per ciò che le era successo, perché nonostante avesse cinque anni in meno di lei, non aveva esitato nel prendere le sue difese e lui... lui era semplicemente caduto a terra senza nemmeno provare a resistere. Era colpa sua se Siria era in quella condizione e si sentiva uno stupido perché non aveva idea di cosa dire in una situazione del genere.
Alzò lo sguardo sul volto della compagna, non ricevendo risposta e si stupì di ciò che vide. Con i denti stretti e le mani chiuse, Siria, fissava un punto imprecisato di fronte a sé, cercando in ogni modo di ignorare il dolore al ginocchio
- Guarda che puoi piangere se vuoi... - Aggiunse, John, sorridendo appena nella preoccupazione. Si sentiva stupido, ma soprattutto a disagio, non aveva la minima idea di come consolarla o convincerla a sfogarsi, sapeva benissimo cosa significasse fingere di essere più forti di quanto in realtà non si fosse per non offrire spunti agli altri...
- Non fa poi così tanto male... - Rispose Siria, con la voce rotta, abbozzando un sorriso.
- Se lo dici tu, farò finta di crederci. - Concluse il ragazzo, riuscendo a strappare un sorriso divertito alla bambina.
La discussione venne interrotta dalle madri dei due cugini. Chiamarono l'ambulanza prima ancora di sapere cosa fosse successo. Il ginocchio, piegato in una posizione strana, in quei pochi minuti era diventato di un colore ben poco invitante. Le due donne, in attesa dei soccorsi si erano fatte raccontare ciò che era successo e avevano cercato in ogni modo di rassicurare i ragazzi, soprattutto il più grande, il quale si sentiva responsabile di tutto.
- Non è colpa tua, John... Quei ragazzi sono degli stupidi e Siria ha fatto solamente ciò che riteneva giusto fare, l'avrebbe fatto comunque, anche se le avessi chiesto di non intervenire, è fatta così... - Aveva spiegato, la madre della bambina, un sorriso appena accennato sul volto solcato dalla preoccupazione.

Una volta arrivata l'ambulanza, il ragazzo aveva insistito per accompagnarli, così, John, Siria e la madre erano saliti sull'ambulanza e la zia e il cugino su un taxi, con la promessa di ritrovarsi in ospedale. In Pronto Soccorso, Siria era stata visitata ed in seguito le era stato assegnato un lettino in una delle sale del  reparto, sul quale avrebbe aspettato i risultati delle lastre.
Non dovettero attendere molto, appena venti minuti dopo giunse uno dei medici del reparto ad informare la madre sulla condizione della ragazza.
- Signora, vorrei scambiare due parole con lei in privato, se non le dispiace - Esordì il medico, lanciando un'occhiata ai due.
La zia non era ancora arrivata, così la madre lasciò i due soli nella stanza, rassicurandoli sul fatto che sarebbe tornata subito. Seguì il medico e si chiuse la porta alle spalle.
- A giudicare dalla sua espressione quella che sta per darmi non è una buona notizia. - 
- Vorrei poterla contraddire, ma ahimè la situazione di sua figlia non è delle migliori. Da quanto ho potuto capire in seguito ad un breve esame, sua figlia ha subito una torsione del ginocchio con conseguente e rottura del legamento crociato anteriore e di quello collaterale mediale, il tutto ha portato alla dislocazione del ginocchio stesso. In ogni caso, vista l'entità del gonfiore della parte interessata, prima di procedere con una qualunque terapia, è mia intenzione ricoverare sua figlia, vista la giovane età, per impedire che utilizzi in un modo qualunque la parte interessata, procederemo con degli esami più approfonditi tra qualche giorno, giusto il tempo di ridurre il gonfiore. - Spiegò il medico.
La madre, incapace di comprendere la metà di ciò che l'uomo le stava comunicando, rispose:
- Capisco... E, nel caso in cui le sue ipotesi fossero corrette, quale sarebbe la soluzione? - Domandò infine, preoccupata da quella che avrebbe potuto essere la risposta.
- Vista la giovane età di sua figlia, sarebbe più che consigliata un'operazione per la ricostruzione del crociato. Opereremo in artroscopia, per evitare di essere troppo invasivi. I tempi di recupero per un bambino sono relativamente brevi, vanno da uno a due mesi, a meno che sua figlia non faccia sport agonistico, in tal caso dovrebbe aspettare almeno sei mesi prima di riprendere l'attività. In ogni caso, dopo due settimane potrà tornare a camminare, anche se con l'ausilio delle stampelle. -
- Sarà difficile tenerla ferma... - Ironizzò, la madre, troppo preoccupata dalla condizione della figlia per poter dire qualcosa di diverso.
- Oh, non si preoccupi per questo. - Rispose il medico, sorridendo appena. - Tra qualche minuto passerà un'infermiera per il bendaggio, ci pensi lei a spiegare ciò che sta succedendo a sua figlia, mi sembra una ragazzina sveglia... in un modo o nell'altro riuscirà a capire qual'è la situazione. Arrivederci. -
La donna salutò il medico e rimase qualche minuto fuori dalla porta, aveva bisogno di un po' di tempo per rielaborare il tutto.

- Allora?! Mi dici che sta succedendo? - Domandò la bambina, lanciando un'occhiataccia al ragazzo fermo di fronte alla porta con un orecchio premuto sulla stessa.
- Parlano di dislocazioni e legamenti, ma la prima non ho idea di cosa sia... - Rispose il ragazzo, scontrandosi con termini tecnici che non aveva mai sentito prima d'ora.
- Non dicono niente su cosa devono farmi? - Domandò ancora, Siria, con un pizzico di malcelata ansia.
- No... aspetta! - Esclamò il ragazzo, premendo maggiormente l'orecchio contro la porta.
- Aspetta cosa? Parla, che sta succedendo? - Lo incalzò la bambina, tirandosi su a sedere.
John voltò il capo e Siria poté leggervi seria preoccupazione. Lo vide tornare a sedersi accanto al suo letto senza guardarla in faccia, quasi si vergognasse di ciò che aveva appena sentito.
- John... vuoi dirmi che succede? - Chiese la bambina, stropicciando la manica della maglietta del ragazzo.
- Ti dovranno operare, forse... ed è tutta colpa mia... - rispose lui, il tono basso, dispiaciuto, alzando lo sguardo sul suo volto. - Mi dispiace... -
- Non è colpa tua, te lo vuoi mettere in quello zuccone che ti ritrovi? La colpa è di quello stupido di Luca, non tua. E poi, chi se ne frega, l'importante è che mi insegni a giocare a football! - disse la bambina, con un sorriso divertito sul volto.
Certo che è strana Pensò il ragazzo, sorridendo a sua volta. Si sentiva ancora in colpa e nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea, ma se non altro poteva contare sul fatto che Siria non lo ritenesse responsabile dell'accaduto.
In quello stesso istante, la madre di Siria, accompagnata dalla zia e dal cugino entrarono nella stanza.
- John... sarà il caso che tu torni a casa, si è fatto tardi e non vorrei che i tuoi genitori di preoccupassero troppo. Ti ringrazio per essere stato con lei tutto questo tempo... - Aggiunse la madre della bambina, accarezzando il capo del ragazzo con un sorriso riconoscente sul volto.
- Mi perdoni ancora, Signora, se non fosse stato per me... -
- Se non fosse stato per te mia figlia non avrebbe mai imparato la differenza tra il calcio e il football. Non è colpa tua John, è solamente colpa loro, non devi sentirti responsabile per un qualcosa che non dipende da te - spiegò ancora la donna, guardandolo negli occhi.
- Mia sorella ha ragione, ma adesso, vieni, ti accompagno a casa, siamo piuttosto lontani dal parco... - 
Ancora convinto di ciò che aveva pensato, John salutò la bambina con un sorriso e la promessa di tornare i giorni seguenti per tenerle compagnia in attesa dell'operazione.
Rimaste sole, Siria e la madre parlarono a lungo di ciò che era successo e di ciò che sarebbe successo. La donna si stupì un po' scoprendo che la bambina già sapeva quale sarebbe stata la terapia che avrebbe dovuto affrontare, nonostante ciò la vide incupirsi appena spiegandole che avrebbe dovuto stare ferma per almeno uno o due mesi. L'estate sarebbe finita tra una settimana e mezzo e John sarebbe dovuto partire senza averle insegnato a giocare a football.
L'infermiera giunse mezz'ora dopo portando con sé bende e un antidolorifico più potente rispetto a quello che le era stato somministrato all'arrivo al Pronto Soccorso. La bambina si addormentò, sognando di uno sport che non aveva mai conosciuto e di un amico speciale dalla pronuncia stravagante.
I giorni seguenti furono al tempo stesso i più noiosi e i più affascinanti della sua intera esistenza. Anziché passare i pomeriggi al parco, John e Dan, sfruttando l'orario visitatori passavano il loro tempo con Siria, parlando delle cose più strane. Nonostante fossero chiusi dentro una stanza di un ospedale, John riuscì comunque a spiegare ai due cugini le regole del Football passando tre giorni interi a pasticciare i fogli regalatigli dall'ospedale. Quando fu il turno dei due cugini, loro insegnarono al ragazzo come preparare i piatti tipici della loro regione di origine che aveva mangiato a casa loro le volte nelle quali si era fermato per i pasti.
Intanto il giorno dell'operazione si stava avvicinando e pur nascondendolo all'universo, Siria avvertiva la preoccupazione e il terrore farsi strada dentro di sé. Nessuno riuscì ad accorgersene, secondo lei, nessuno tranne quello strano ragazzino, il quale, stringendole la mano con un sorriso comprensivo e al tempo stesso preoccupato, l'aveva guardata addormentarsi a poco a poco, cullata dall'effetto dell'anestesia.

Siria riaprì gli occhi, erano passate alcune ore dall'operazione e l'anestesia sembrava perdere a poco a poco il suo effetto calmante. Si guardò attorno, ignorando con tutte le sue forze la gamba, la quale da alcuni attimi aveva iniziato a pulsare. Notò appena la figura della madre, la testa posata sulle braccia abbandonate sul lettino, addormentata. Accanto al lettino, sul comodino era stato lasciato un mazzo di fiori colorati. A giudicare dalla tipologia dei fiori e dai loro colori, doveva essere stata la zia della ragazza a lasciarli. Tuttavia non furono quelle presenze a colpirla, quanto, piuttosto un'assenza.
Resterò fino al tuo risveglio aveva promesso, eppure...
Siria abbassò lo sguardo, sfiorandosi il ginocchio pulsante con le dita. Non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamare l'infermiere confessandogli di sentire dolore. Strinse i denti e cercò di trovare mille ragioni per l'assenza dell'amico. Con lo sguardo puntato sul lettino, non si accorse della presenza di quello stesso infermiere che l'aveva preparata per l'operazione, sulla soglia della stanza.
"Ben svegliata" disse, attirando verso di sé lo sguardo della bambina. Si avvicinò al suo lettino, tenendo d'occhio la flebo oramai esaurita.
"Dov'è John?" domandò Siria, dimentica delle buone maniere.
"Parli del ragazzino dagli occhi azzurri, vero?" domandò l'infermiere, spostando lo sguardo verso di lei, mentre si apprestava a sostituire la sacca esaurita. "E' venuta sua madre a prenderlo. Voleva aspettare di vederti sveglia, ma il suo aereo sarebbe partito un'ora più tardi ed è dovuto andare via..."
"Ma..." Siria abbassò lo sguardo con un pizzico di delusione.
"Ah... aspetta, prima di andare via mi ha lasciato qualcosa." disse ancora dopo alcuni attimi di silenzio. Mise la mano destra in tasca, tirò fuori una busta da lettere azzurra e la porse alla bambina. "Tieni..."
Lei la prese, stupita e sollevata, stringendola tra le dita.
"Grazie..." sussurrò poi, vedendo l'infermiere uscire dalla stanza con un sorriso divertito.
Siria si guardò attorno per assicurarsi che la madre stesse dormendo e che nel frattempo non fosse entrato nessuno, prima di aprire con ansia la busta.

Cara Siria,

C'era scritto.

Mi dispiace di dover andare via, vorrei poter restare con te, ma il mio aereo partirà tra un'ora e non posso assolutamente perderlo. L'infermiere, mi ha detto che starai bene e che tra poco tempo camminerai di nuovo, così, anche se triste, parto con la speranza di tornare in Italia e poter giocare ancora a calcio con te. Devo ancora insegnarti a giocare a Football, ricordi? Le regole sono facili da ricordare, ma giocare... giocare è un'altra cosa.
Scusami ancora se per colpa mia ti sei fatta male, farò in modo che questo non succeda più.
Ho chiesto ai tuoi genitori il vostro indirizzo, così, appena sarò arrivato a casa potrò scriverti e raccontarti ciò che non ti ho raccontato in questi giorni.
Mamma è d'accordo, dice che così non potrò dimenticare la vostra lingua.
Spero di poter tornare in Italia il più presto possibile.
Mi mancherai, Siria...

Ciao, John.

La bambina sorrise emozionata, stringendo la lettera tra le dita e con essa, cadde addormentata, cullata dall'effetto del nuovo antidolorifico.
"Ci rivedremo, lo so..." aveva sussurrato, posando il capo sul cuscino del lettino.







   
 
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